1) Com'erano belli quegli anni con Clinton

Di Marco De Martino del 25 maggio 2003

 

Prima il volume dell'ex consigliere Blumenthal. Poi le memorie di Hillary. Con un'offensiva letteraria i democratici cercano di convincere gli elettori a rinverdire gli anni di gloria prima di George W. Bush. Per arrivare alla presidenza, nel 2008, con Hillary .

 

La campagna presidenziale dei democratici è già cominciata: peccato che sia quella per le elezioni del 2008, non del 2004. Per ora è solo una battuta al Madison club e negli altri salotti della politica di Washington.
Ma che le possibilità di riconquistare la Casa Bianca l'anno prossimo siano poche lo dimostra il fatto che
il candidato più accreditato di tutti è anche l'unico che non si presenterà: Hillary Clinton. E che il suo quartier generale si è trasferito negli uffici della casa editrice Simon & Schuster, che da due mesi è interamente mobilitata per il lancio in grande stile di Living history, biografia della ex first lady.

Un milione di copie sono pronte in magazzino, è stato appena firmato il contratto di esclusiva con Time e People che pubblicheranno le anticipazioni; Barbara Walters prepara l'intervista in tv; i pochi fortunati che hanno letto le bozze devono firmare accordi di assoluta segretezza.
Eppure,
tra gli editor newyorkesi la delusione è palpabile: tre anni fa, quando fu deciso di investire 5 milioni di dollari di anticipo, nessuno sospettava che Hillary e Bill sarebbero stati ancora assieme. Ma le speranze di chi pensava che Hillary avrebbe rivelato qualcosa di sensazionale sullo scandalo Lewinsky sono state frustrate alla consegna del manoscritto, su cui alla casa editrice continuano a lavorare a pochi giorni dalla data di pubblicazione del 9 giugno.

Hillary parla soprattutto di come è riuscita a salvare il matrimonio. Come i più cinici avevano previsto il libro serve a un solo scopo: riabilitare la presidenza Clinton di fronte all'elettorato americano. Il processo di canonizzazione si concluderà con la pubblicazione della biografia dell'ex presidente, prevista per l'anno prossimo, in coincidenza con la fase finale della campagna.

Ma quali siano i temi della riscrittura della storia da cui partirà la riscossa democratica lo si può già capire leggendo le 803 pagine di The Clinton wars, appena pubblicato da Farrar Straus and Giroux, in cui l'ex consigliere Sydney Blumenthal lega Clinton alla tradizione di Theodore Roosevelt, passando per Franklin Delano Roosevelt e Lyndon Johnson: presidenti, cioè, che hanno riscritto le regole indicando un'alternativa, nel caso di Clinton quella della terza via, anche a grandi modernizzatori europei come Tony Blair.
Ex corrispondente da Washington del settimanale New Yorker, poi diventato tra i migliori amici di Bill e Hillary (alla quale ha suggerito di diventare senatore), Blumenthal vede solo peccati minori nella presidenza Clinton.
Lo scandalo Lewinsky che portò quasi all'impeachment del presidente è una vicenda personale: "Ho sempre pensato che fosse una cosa tra loro" scrive Blumenthal, soprassedendo sul fatto che Clinton mentì anche a lui, rassicurandolo sull'inesistenza della storia con Monica, prima di ammettere il contrario di fronte alla nazione.

Nel vangelo secondo Sid, come lo ha definito la penna avvelenata dell'editorialista Andrew Sullivan, Clinton avrebbe potuto vincere la guerra contro Osama Bin Laden se i suoi sforzi non fossero stati interrotti dall'inizio della presidenza di George W. Bush. Che sarebbe arrivato alla Casa Bianca solo grazie a una congiura dei conservatori culminata con la grande rapina delle elezioni della Florida.

La prima a parlare di una vasta congiura della destra fu proprio Hillary Clinton. Eppure, chi ha letto il suo libro racconta che i giudizi dell'ex first lady sono più prudenti di quelli di Blumenthal. Molto favorevole all'intervento in Iraq, convinta che per ambire alla Casa Bianca anche i democratici debbano dimostrare fermezza in politica estera, Hillary ha già cominciato una decisa marcia di ridefinizione della propria immagine.

Partecipa all'Armed service committee, la commissione del Senato che si occupa di difesa, in cui si è schierata più volte con uno dei più tenaci persecutori di suo marito, il repubblicano Lindsey Graham. In altre occasioni ha dichiarato la propria ammirazione per il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld o per il portavoce repubblicano Tom DeLay.

Il suo libro provocherà certamente più malumori a sinistra che a destra, non solo per la sua difesa del marito.

Un preludio sulla rissa a venire lo forniscono le reazioni alle memorie di Blumenthal. "L'opera di un ipocrita" le definisce Michael Isikoff, il giornalista di Newsweek che fu tra i primi a denunciare lo scandalo Lewinsky, descritto nel libro come un traditore. Scontenta è anche Susan Schmidt, giornalista del Washington Post su cui la Casa Bianca aprì un dossier, cosa che Blumenthal nega.
Christopher Hitchens, una volta grande amico di Blumenthal, viene invece definito un "ubriacone di destra": il suo peccato è avere spifferato ai giudici del Sexgate una conversazione privata in cui Blumenthal parlava male di Monica. Fu durante una cena del 1998, che nella sua recensione del libro che lo accusa Hitchens ricorda invece così: "Non potrò mai dimenticare la trasformazione di Sidney: al posto del mio amico spiritoso e talvolta cinico c'era uno che sembrava lavorare per John Gotti. Un servile apparatchik".
Secondo Joseph Lelyveld, ex direttore del New York Times, come molti clintoniani Blumenthal soffre di sindrome di Stoccolma: "E' difficile pensare che Bill e Hillary difenderanno se stessi più entusiasticamente di così". Di sicuro sarà difficile rivedere i Clinton alla Casa Bianca fino a che il loro nome continuerà a suscitare tanti rancori: almeno per ora le "Clinton wars" non sono finite.

 

 

 

 

 

L'AIUTO SUDANESE

Khartum offrì di estradare Bin Laden

 

Bill Clinton era ossessionato da Al Qaeda, rivela nel suo libro l'ex consigliere della Casa Bianca Sydney Blumenthal. Dopo gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania il presidente mandò alcuni sottomarini al largo del Pakistan, pronti a colpire Osama Bin Laden: tre volte, in due anni, lo sceicco si spostò poco prima che partissero i missili. A ostacolare azioni più decise, riferisce Blumenthal, fu la guerra personale che l'allora direttore dell'Fbi Louis Freeh aveva ingaggiato contro la Casa Bianca. Su almeno un fatto la versione di Blumenthal diverge da quella di Clinton. In varie interviste infatti l'ex consigliere ha affermato che il Sudan non avrebbe mai offerto di estradare Bin Laden nel 1996, offrendolo agli Usa. Eppure, dell'offerta ha parlato lo stesso Clinton: "Al momento Bin Laden non aveva commesso alcun crimine, quindi non c'erano i presupposti per deportarlo, anche se le sue intenzioni erano già note".