Neal Morse

 

 

 

 

Beh, ammetto che il sottotitolo proposto possa risultare, per alcuni, eccessivo, soprattutto per quanti, e credo quasi tutti, non abbiano la minima idea di chi sia quest’artista, ma il suo album meritava una presentazione di tal genere.L’ascolto di questo primo lavoro solista di Neal Morse, mi ha impressionato molto favorevolmente e penso possa destare simili impressioni anche in chi è completamente a digiuno del rock progressivo. Infatti, il cd ha la capacità di inondare l’ascoltatore di melodie, armonie e note che si fondono, mescolano, intrecciano, a volte con gran dolcezza, altre volte con impeto e irruenza, per restituire otto pezzi costruiti con tatto, buon gusto e sentimento.

Neal Morse, del resto, non è nuovo ad “exploits” del genere, i quali svelano sempre un talento cristallino, eccezionale e sfaccettato. Morse è, infatti, il “frontmen” della “progband” del momento, gli Spock’s Beard (di cui ho già parlato nel numero di Maggio), essendo voce, compositore, tastierista e chitarrista, e indiscusso leader, anche per il coraggio di portare avanti scelte a volte discutibili, come quest’album solista che si allontana decisamente dai canoni musicali del gruppo, virando nettamente sulla strada di una maggiore freschezza e semplicità compositiva che non vuol dire affatto vacua banalità, quanto piuttosto la ricerca di maggior feeling e d’immediatezza nel messaggio musicale.

A dire il vero il disco non è propriamente “prog”, se non per quanto riguarda la ricerca di sperimentazione con il pentagramma, né può essere considerato “pop” o tanto meno “metal”.Morse non tradisce affatto la sua anima prog, tant’è vero che “A whole another trip” è la tipica suite che s’inserisce a pieno merito nel solco del rock progressivo, così lunga, così movimentata, a volta così intima e così caleidoscopica e violenta altre, ma riesce a confezionare un disco proteiforme che fa della versatilità il suo punto di forza. 

Le otto tracks dell’album manifestano, infatti, in maniera evidente, la gran voglia di Morse di esplorare generi tra loro diversi, magari per dare maggiore espressività ad un’emozione che lui ha voluto tradurre in musica o magari per semplice curiosità, e la maestria nell’accostare sonorità a volte molto distanti, come accade in “Bomb that can’t esplode”, dove un sound tipicamente latino si staglia netto contro chitarre “grunge” che stemperano la loro aggressività nel ritmo avvincente dettato da un organo Hammond protagonista assoluto della parte iniziale del brano.

L'album si apre con gli accordi quantomai "staccati" ed incisivi del pianoforte, i quali si fondono ben presto con la melodia dettata dall'organo e con il ritmo della batteria, nell'occasione suonata dallo stesso Morse, e si risolvono in un pezzo, "Living Out loud", che alterna momenti di puro pop ad altri, vedi il solo di pianoforte, che si vestono di sonorità quasi jazzistiche. 

In "Lost Cause" la chitarra è padrona, sia per quanto riguarda la ritmica dell'intero pezzo, tipicamente rock e "tagliente", che per il riff iniziale, che si ripete più volte durante il pezzo. “Land slide” è una tipica ballata chitarra, voce e pianoforte, molto delicata ed intima, con l’immancabile “mellotron” che si sovrappone, inusuale, ad un effetto “candle waving” delle tastiere. 

La quarta traccia farebbe la gioia di molte band stile Rem, con chitarre distorte quanto basta e una linea vocale accattivante, così come assolutamente preziosa risulta “Nowhere Fast”, pop atipico che si risolve in un “precorus” duro e “rockeggiante”.Altrettanto fascinosa è “Emma” che ingioiella splendidamente l’intero album, così soffusa ed emozionale, con gli archi che si accompagnano sapientemente ad una chitarra acustica molto delicata e ad una voce quantomai suadente ed espressiva.

Infine “A whole Another Trip”, la suite conclusiva, nella quale emerge l'anima prog di Neal; 24 minuti che partono quasi jazz in "Bomb that can't explode", passando attraverso il rock di "Mr Upside down", le parti venate di ritmi latini di "The man who would be king" per finire nell'ultima sezione della suite con "It's alright", brano di commiato, che lega questo disco ad un certo tipo di rock romantico e decadente, con gli inserti vocali ed i controcanti che pian piano si spengono, lasciando voce e chitarra a salutare la fine di un disco che si candida a pieno titolo come uno dei più emozionali dell’anno.

 

In alto, nell'ordine: Neal in concerto; in una jam session con John Petrucci e

 Jordan Rudes, chitarrista e tastierista dei Dream Theater