TROVARE LA SPERANZA




INGRANDISCE LA FOTO

Alessandro era vicino alla tavola quando entrò suo figlio. Sentì il rumore della porta che si chiudeva. Lo stava aspettando per andare a mangiare dal nonno.
<< Ciao, dobbiamo andare... >> disse guardandolo entrare nel piccolo corridoio d'ingresso. Le parole gli morirono sulla bocca.
<< Cosa hai fatto? >> chiese preoccupato.
<< Stamattina a scuola... >> Alberto, il figlio di Alessandro, cominciò a raccontare una storia contorta. Appena l'aveva visto il padre aveva già compreso il nocciolo della questione. Alberto teneva sul petto una busta di ghiaccio secco per non sentire il dolore. << Dobbiamo andare al Pronto Soccorso! >> concluse bruscamente Alessandro. Ci fu una piccola discussione fra i due. Alberto cercava in tutti i modi di trovare altre soluzioni. Anche Alessandro avrebbe evitato volentieri di andare al Pronto Soccorso, sapeva ci sarebbero volute diverse ore. Tuttavia sapeva anche che era la cosa giusta da fare. Era preoccupato: Alberto poteva essersi rotto una costola, bisognava fare una lastra per accertarsene. Mangiarono di fretta dal nonno e si avviarono il prima possibile verso l'ospedale. Arrivarono al parcheggio a pagamento di fianco all'ingresso alle 14:44. Si avviarono a piedi al Pronto Soccorso. Al triage, dove si misura la temperatura corporea, li accolse un ragazzo sorridente. Da quando si era scatenata l'epidemia di Covid si veniva accolti in questo modo, anche se ormai i pazienti Covid si erano quasi azzerati. Il ragazzo spiegò ad Alessandro che era andato nel posto sbagliato.
<< Fino a diciotto anni i ragazzi devono andare al Pronto Soccorso Pediatrico, non a quello per adulti! >> disse. I due dovevano proseguire. Alessandro si infastidì. Prima di partire aveva guardato su internet dove andare. Sul web c'era scritto una cosa diversa: era possibile andare al Pronto Soccorso dei bambini solo per ragazzi fino al compimento del quindicesimo anno di età. Alberto ne aveva già quindici e mezzo. In ogni caso il padre evitò di fare polemiche e si diresse con immediatezza verso la nuova destinazione. Aveva già sperimentato il Pronto Soccorso Pediatrico, lì i tempi d'attesa erano stati ancora più lunghi. Inoltre in passato, per fare una lastra, era dovuto tornare al Pronto Soccorso per adulti, proprio il posto da cui li avevano appena cacciati. Le sue budella già tese si contorsero ulteriormente. Il padre strinse i denti. Con un sorriso forzato proseguì verso la meta. Non rammentava con esattezza la posizione del Pronto Soccorso Pediatrico, grazie al cielo, vi si era dovuto recare di rado. < Ecco il solito gioco di passare la patata bollente a qualcun altro! > pensò osservando l'infermiere mentre si allontanava. Dietro ad una gentilezza di facciata, il ragazzo del Triage nascondeva in malo modo il sollievo di aver potuto evitare l'intervento. Alessandro aveva preferito arrivare a piedi. Al Pronto Soccorso per bambini era più semplice entrare in questo modo. Alessandro fu contento di aver fatto la scelta giusta, tuttavia, era teso. Nelle situazioni d'emergenza l'agitazione fa regredire le persone. Tutti diventiamo come bambini. Alessandro cercava di rammentare la strada, si ricordava l'ubicazione del luogo, anche se non con esattezza l'edificio. Provava una stupida paura infantile di non riuscire a trovarlo. Alberto trotterellava velocemente al suo fianco senza lamentarsi. Le sue doti atletiche gli permettevano di procedere velocemente anche come infortunato. Il padre cercò di guardare i cartelli. < Ospedale dei bambini > lesse su un paio di indicazioni. Le frecce erano un po' contraddittorie. In ogni caso erano in zona. Alessandro decise di entrare in un edificio che ricordava essere la sede. All'ingresso c'era un punto di accoglienza presidiato. Il luogo era stranamente privo di pazienti e, dentro, si aveva l'occasione di poter chiedere informazioni ad un essere umano. Un'infermiera rispose che il Pronto Soccorso per bambini si trovava lì vicino. Muoveva il braccio davanti a sé come una biscia e proferiva frasi condite con:
<< ...destra...sinistra. >> Alessandro uscì, non vide nulla di nuovo. Proseguì più o meno verso la direzione indicata. < Perché nei film quando si entra in ospedale si vede subito la scritta "Pronto Soccorso", alta come una persona? > si domandò. < E l'accoglienza per le emergenze di solito possiede una strada d'accesso ampia come una superstrada? > Proseguì oltre l'angolo del palazzo. Quel che vide oltre riportò alla luce i ricordi. Il palazzo in cui si erano fermati era la vecchia sede del Pronto Soccorso per bambini. Dall'angolo in cui avevano svoltato si vedevano le vetrate della nuova sede. Era meglio arrivare a piedi al Pronto Soccorso per bambini perché sulla strada esterna era presente solo un piccolo cancello pedonale. I due stavano arrivando dal retro del Palazzo: la strada interna al complesso ospedaliero. Quella via era stata progettata per l'accesso in automobile. Con tutta probabilità era quella che Alessandro aveva fatto le volte precedenti. Prima di entrare il padre cercò senza successo la scritta: "Pronto Soccorso Pediatrico" o "Astanteria Pediatrica" o "Ospedale dei bambini", sia intorno all'ingresso che sulle vetrate. Nulla, non vide nulla. < La scritta sarà fuori dal cancello. > si immaginò. Ma il suo sguardo era già corso all'interno dell'edificio. Nell'atrio vide tre gruppi di persone composti da due individui ciascuno. Stavano più o meno in fila davanti ad un bancone d'ingresso nuovo fiammante. Pasta, una ditta alimentare di livello nazionale, qualche anno prima aveva donato alla città il nuovo Pronto Soccorso e l'Ospedale dei bambini. Adesso tutto era molto moderno. A prima vista l'ambiente ricordava quello dei film americani. I tempi di intervento, al contrario, erano molto italiani, lenti, soprattutto a causa della mancanza di personale. Questa era spesso la giustificazione fornita dall'ASL, in risposta alle numerose lettere di protesta pubblicate sul giornale cittadino. Alessandro aveva persino visto servizi sulla tv locale in cui venivano intervistate persone "autolesioniste". Esse attribuivano la responsabilità della lunghezza dei tempi di attesa a loro stesse. Secondo loro i pazienti "intasavano" inutilmente il Pronto Soccorso, ricorrendo a questo servizio, pur senza averne davvero bisogno. Alessandro avrebbe preferito "tagliarsi una mano..." piuttosto che stare ore ed ore in attesa al Pronto Soccorso "senza averne davvero bisogno". < Siamo rovinati! > concluse infastidito il padre. L'ultima volta che aveva dovuto ricorrere al servizio, dopo due ore e trenta di attesa, nessuno aveva ancora visitato il figlio. E quella volta aveva un solo paziente davanti. Alessandro se ne era andato prima della visita. Alberto allora aveva la febbre a quasi quaranta. Si era verificata una reazione immunitaria dopo aver ricevuto una dose di vaccino. Il padre era corso all'ospedale con i dati del vaccino somministrato, l'ora della somministrazione. Credeva bisognasse fare così... Dopo due ore e trenta di sala d'attesa, la febbre era scesa da sola a 37,5 gradi. Alberto era guarito lì, in sala d'attesa. Alessandro se ne era andato o più precisamente: "...si era allontanato volontariamente", prima di essere visitato. Una volta arrivato il turno di Alessandro, questa era la dicitura che l'infermiera avrebbe utilizzato sul referto. Ma oggi la fila era lunga. La vista di quei tre gruppetti aveva spaventato Alessandro, terrorizzato dal pericolo di un'attesa interminabile. Anche se un leggero effetto tranquillizzante venne prodotto da una fotocopia posta sulla porta a vetri. Su di essa si leggeva: "A causa del Covid è ammesso un solo accompagnatore per paziente".
< Almeno per questo siamo in regola. > pensò Alessandro. < Ci sono solo io ad accompagnare Alberto. >
< Tre gruppi da due... in realtà sono tre piccoli pazienti accompagnati... > Padre e figlio entrarono e si misero in fila. Il padre ricominciò a pensare al problema della scritta "Pronto Soccorso Pediatrico", alle indicazioni contradditorie, alle incredibili difficoltà a fare cose semplici nel nostro paese.
< Eppure McDonalds mette un'insegna su un palo alto una decina di metri. Si vede dall'inizio della strada. Non potrebbero fare così anche al Pronto Soccorso? Già, ma McDonalds vuole farsi trovare, qui probabilmente non vogliono. > concluse tenebrosamente Alessandro. Al bancone vide Angela, un'infermiera vicina di casa. Quella persona gli piaceva, era una fervente religiosa, passava la vita dedicandosi agli altri, a cominciare dai suoi quattro figli. Arrivato al bancone la salutò. Si erano visti varie volte in chiesa. Lei lo riconobbe. Li salutò con gentilezza, ascoltò con pazienza il macchinoso racconto di Alberto, si premurò di avvisarli dei lunghi tempi d'attesa. Li avvertì che forse i medici avrebbero rifiutato di fare una lastra al ragazzo.
< Qui a forza di tagliare i costi cercano persino di evitare di fare le lastre. > pensò Alessandro.
<< Alberto devi dire che ti fa male. >> disse al figlio. << Altrimenti non ci fanno la lastra. >>
La preoccupazione principale di Alberto era di poter giocare la prossima partita di calcio domenica mattina. Il campionato era finito ormai, tuttavia, stavano per iniziare i tornei primaverili. Alberto aveva scoperto una cosa interessante. Quella domenica forse avrebbe avuto l'occasione di affrontare la squadra da cui se ne era andato ad inizio anno. Nel caso in cui entrambe fossero arrivate in semifinale, le squadre si sarebbero affrontate. Alberto se ne era andato per dissapori con l'allenatore. Il mister aveva smesso di convocarlo alle partite, benché fosse l'unico ragazzo ad essere stato presente per anni a tutti gli allenamenti. In nove anni era mancato meno volte di quante se ne potessero contare sulle dita di una mano. Il desiderio di poter avere una rivincita col vecchio mister interessava molto il figlio. In seguito Alessandro sospettò che, dopo averli accolti, Angela fosse andata ad avvisare il triage della lunga coda. I due furono fatti accomodare in sala d'attesa, messi in una fila approssimativa, alle spalle di un signore di colore. L'uomo si esprimeva in un italiano stentato. In teoria sosteneva di accompagnare un bambino da soccorrere, ma in pratica era solo. Passati cinque minuti, il signore di colore sparì. Alessandro entrò nel panico. Aveva perso il suo unico punto di riferimento nella coda. In sala d'attesa erano presenti ventidue persone, in tre stanze separate da vetri. In pratica c'erano undici piccoli pazienti, e undici accompagnatori, in stragrande maggioranza mamme. I pazienti erano quasi solo bambini piccoli, con l'eccezione di tre ragazzi adolescenti, fra cui Alberto. La scomparsa del signore impaurì Alessandro: temeva di aver perso il posto. Ricordava in modo vago il paziente prima dell'uomo di colore. Ricordava che era un bambino con una mamma, tuttavia, non avrebbe saputo dire quale. Mancava una fila regolare, le persone erano sedute qua e là senza alcun ordine.
< Ma possibile che non ci sia un numero regola-code!? > si chiese provocatoriamente Alessandro. < Senza un regola-code nel nostro paese c'è sempre qualcuno che cerca di passarti davanti. E in questo caso si scatena la "legge del più forte" >
Alessandro si guardò intorno preoccupato. Con la legge del più forte avrebbe di sicuro perso almeno una posizione. C'era una porta, con a fianco colorati disegni di carattere infantile, dietro cui si trovava il triage del Pronto Soccorso Pediatrico. Sulla porta erano presenti numerosi cartelli: la scritta "Vietato entrare", con il disegno di un cagnolino, la scritta "Vietato l'accesso" sopra al segnale stradale di divieto d'accesso, affiancato al disegno stilizzato di un uomo con un enorme mano nera, posta in segno di fermarsi, due manifesti con la scritta: "NO alla violenza in ospedale", e, infine, un cartello di STOP. Al guardarli si aveva una sensazione di "calorosa accoglienza".
< In effetti al TG ho sentito diversi servizi di aggressioni agli addetti. > rifletté Alessandro. < Devo dire che anch'io mi arrabbiai la prima volta che venni al Pronto Soccorso per bambini. Ero in ansia per mio figlio, ma nessuno sembrava avere la minima fretta di visitarlo. Certo con il mio carattere, i miei ideali di NON VIOLENZA, alla fine, feci del male a me stesso, più che agli altri. Alla fine mi sfogai sul mio stomaco. Credo sia meglio comportarsi così che far male a qualcun altro. Se invece una persona ha un carattere reattivo, evita la gastrite, ma rischia di aggredire un addetto. Un problema esiste: quei cartelli ne sono la prova. Forse dovrebbero farsi tutti venire il mal di stomaco? Del resto in Italia, senza una sceneggiata teatrale, di solito nessuno si prende la briga di ascoltarlo. Sembra sia necessario urlare da noi per manifestare l'esistenza di un problema. Chi muore in silenzio, muore di ulcera perforante, ma non conta... >
All'ansia dell'infortunato gli addetti al Pronto Soccorso sembravano contrapporre la filosofia del soccorritore: meglio andare con calma per evitare di fare sciocchezze, il nome paziente significa proprio colui che deve portare pazienza. Il signore di colore rientrò d'improvviso con una bimba sui nove anni. Alessandro si tranquillizzò. Adesso aveva di nuovo il suo punto di riferimento. I pazienti stavano tutti in attesa davanti alla soglia del Triage. Passò ancora molto tempo e ad un certo punto finalmente il signore di colore entrò.
<< I prossimi siamo noi, Alberto >> disse con un sospiro di sollievo Alessandro. Pochi minuti dopo tocco a loro. Varcata la porta trovarono una giovane dottoressa sorridente, aiutata da un ragazzo ancora più giovane, dal sapore di studente di medicina. Venne presa loro la temperatura ed intavolata una gioviale conversazione. Alberto sfoderò ancora il suo macchinoso complicato racconto. Alessandro si rese conto in quel momento di avere ormai un figlio abbastanza grande da fare da solo. Ciò lo rese felice. Ascoltò in silenzio. Tutto si concluse bene. Alla fine vennero le domande di rito:
<< Allergie? >> chiese la dottoressa.
<< Alla scuola! >> scappò ad Alessandro, in vena di battute. Era allegro per il raggiunto traguardo, oltre allo scampato pericolo di dover difendere il posto del turno.
<< è molto diffusa e ormai non la curiamo più >> rispose allo scherzo la sorridente dottoressa, mentre Alberto guardò torvo il padre, giudicandola una pessima battuta. Anche questa dottoressa espresse dubbi sul fatto che l'esito della visita successiva avrebbe stabilito la necessità di effettuare una lastra. C'erano inoltre alcuni misteriosi problemi d'orario, sommariamente spiegati, e poco compresi dal padre.
Vennero consegnate loro alcune carte per proseguire il percorso, e rimandati in sala d'attesa.
Una volta seduto, Alessandro lesse i documenti. Era stato assegnato loro il codice di gravità verde e il numero regola-code G34. In cima al foglio svettava l'orario di ingresso al Pronto Soccorso Pediatrico: ore 15:49.
Il padre strabuzzo gli occhi, guardò l'orologio ed estrasse dal portafoglio il biglietto del parcheggio. Il biglietto mostrava l'ora 14:44. In un'ora e cinque minuti avevano percorso circa 250 metri, era stata misurata loro la temperatura ed avevano ottenuto un numero regola-code. Con tre persone davanti, la stessa operazione, in un qualunque negozio della città, avrebbe richiesto meno di cinque minuti. In quel lungo lasso di tempo, invece di essere soccorsi, erano solo riusciti ad entrare. Molte lettere al giornale parlavano dei lunghi tempi d'attesa. Per smentirle la direzione utilizzava i dati indicati sui fogli del Pronto Soccorso: orario d'ingresso, d'uscita, uniti ai tempi medi d'attesa. Con questo piccolo stratagemma un'ora e cinque minuti di coda sparivano. L'orario sul biglietto del parcheggio era l'unica prova di quando erano davvero arrivati. Mentre per il Pronto Soccorso erano entrati in quel momento, alle 15:49. Alessandro si ricordò dei corsi seguiti all'università all'indirizzo statistico, e rammentò che anche con le medie statistiche è possibile far sparire ore di attesa. Basta lavorare i dati nel modo giusto. Al padre venne anche in mente suo suocero, una volta gli aveva raccontato della rottura del femore di sua moglie. Se l'era rotto a Vienna. Dopo mezzora la moglie infortunata si trovava già nel letto d'ospedale, il letto assegnato per l'operazione del mattino seguente. Tutto in mezzora. Il giorno dopo l'avevano operata mettendole una protesi. Una settimana dopo era rientrata con l'ambulanza in Italia, e lì... erano cominciati i guai. Dodici ore di viaggio in ambulanza e ventiquattro ore al Pronto Soccorso per ottenere un posto letto. Il tutto andando direttamente al Pronto Soccorso per abbreviare i tempi, su consiglio del medico curante.
< Viviamo in un paese in via di sviluppo > concluse cupo Alessandro.
La tensione allo stomaco riprese forza.
Per farsi passare il tormento il padre ricominciò a guardarsi intorno. Almeno adesso avevano un numero regola-code. I due erano ufficialmente in attesa di una visita medica. Sul muro c'era il manifesto di un giovane e sconosciuto candidato Sindaco. Le elezioni comunali si stavano avvicinando. Sul manifesto c'era lo slogan: "Salute e Sanità".
< Un genio! > quel manifesto accese una luce nella mente di Alessandro. < Con questi tempi di attesa chi non vorrebbe votarlo. Disonesto, tuttavia, se ricordo bene le competenze sulla sanità sono regionali. Credo che un sindaco possa fare poco o niente, per risolvere questi problemi. Ma molti non lo sanno... >
Di sicuro il manifesto era nel posto giusto per racimolare voti.
< Sì, siamo in un paese in via di sviluppo > confermò fra sé e sé Alessandro. Gli piaceva darsi ragione.
Le pareti in muratura erano dipinte con un bel colore rosa. Anche i tavolini e le sedie avevano tinte vivaci adatte ai pazienti più piccoli. Le vetrate erano tutte adornate con figure di carattere marino: conchiglie, granchi, paguri, stelle marine, squali e bollicine.
Gli sguardi di Alessandro erano accompagnati dai rumori di sottofondo. I bambini più piccoli scoppiavano in pianti disperati, in particolare quando dovevano affrontare la prima ispezione al Triage. Le mamme osservavano incuriosite Alessandro. Probabilmente si domandavano come mai fosse presente il padre, invece della madre? Gli accompagnatori erano quasi tutte mamme. Alberto poi accresceva i loro interrogativi. In questa situazione d'emergenza si era lasciato andare ad insolite manifestazioni d'affetto, come: baci, abbracci, carezze. Al contrario gli altri ragazzi presenti erano seduti vicino alla madre, stando ben attenti a non farsi sfiorare nemmeno con un dito. La maggior parte era immersa nell'utilizzo del cellulare. Solo una ragazza sui dodici anni teneva teneramente la mano alla mamma, la quale guardava incuriosita Alberto. Alessandro amava il contatto fisico, ed era ben felice di farsi coccolare dal figlio.
D'un tratto uscì dal Triage la vivace dottoressa e, tentando un tono ironico, disse:
<< Non c'è più nessuno?! Mi avevano detto che c'era un sacco di gente! >>
< Angela! > immaginò Alessandro. < Avrà cercato di sveltire i tempi. >
La frase, tuttavia, risultò un po' fuori luogo in quella situazione caratterizzata dal pianto di bambini e manifesti che vietavano persino l'aggressione verbale. < E questa sembra pure provocare > rifletté Alessandro < Forse... senza nemmeno rendersene conto. >
< Oppure sarà una che ama attaccar briga? > si chiese.
Secondo il padre era giunto il momento di pregare.
Alessandro era molto religioso, anzi di più: era perdutamente innamorato di Dio. Aveva messo sul cellulare un link per recitare il rosario e scannerizzato i vari santini utilizzati a casa. In questo modo poteva pregare anche "da remoto". Il telefonino gli permetteva di portare gli strumenti per la preghiera ovunque, e di tempo a disposizione in quel posto ce n'era in abbondanza.
Alberto lo conosceva bene e gli disse:
<< A qui puoi dire tutte le preghiere che vuoi. >>
Il padre recitò il Santo Rosario, le trentacinque pagine di preghiere sui Santini e la Coroncina della Divina Misericordia.
< Che modo straordinario di passare il tempo! > pensò. < Se le persone sapessero com'è bello pregare, come è bello stare insieme a Dio. >
Nella stanza era anche presente un grande monitor. Su di esso comparivano i numeri delle persone chiamate per la visita, abbinato a quello dell'ambulatorio in cui recarsi. Anche un altoparlante annunciava il numero di chi "aveva ricevuto la grazia..."
Ben presto Alessandro e Alberto notarono un particolare: mentre i numeri dei pazienti erano i più disparati, quello dell'ambulatorio era sempre lo stesso.
I numeri dei pazienti avevano questo formato: K46, H27, L35, E60, sembravano numeri casuali senza alcuna connessione fra loro. Alessandro immaginò si trattasse di uno stratagemma per evitare discussioni. Un incidente diplomatico si sarebbe potuto verificare se una persona fosse stata visitata prima, pur essendo arrivata dopo. Pensiamo al caso di un codice verde, appena arrivato, visitato prima di un codice bianco, in attesa da lungo tempo. Una tale situazione avrebbe potuto scatenare un terremoto. Con questi strani numeri si tentava di mascherare all'occhio del paziente il posto occupato nella coda. I pazienti presenti erano sparpagliati in modo disordinato. I codici alfanumerici casuali impedivano di capire chi fosse prima, chi fosse dopo, quanti pazienti si avessero davanti. Essi generavano un senso di smarrimento nei presenti. Le persone si guardavano confuse intorno cercando una certezza e qualcuno a cui chiedere.
Anche Alessandro e Alberto aspettavano il loro turno con il codice G34.
Al contrario il numero dell'ambulatorio era ironicamente sempre lo stesso: l'ambulatorio 9a.
Padre e figlio cominciarono a scherzare sulla cosa.
<< Scommetti che sono in grado di indovinare il numero del prossimo ambulatorio? >> diceva Alessandro.
<< Sentiamo... >> rispondeva Alberto.
<< Secondo me... dovrebbe essere il 9a. >> insinuava Alessandro.
Poi si udiva l'annuncio dell'altoparlante:
<< Il paziente L35 si deve recare all'ambulatorio 9a. >>
<< Ma dai... ma come hai fatto? >> domandava Alberto, poi ridevano allegramente insieme.
In pratica c'era un unico ambulatorio in cui venivano effettuate le visite. Cominciarono ad immaginare come mai avessero scelto proprio quel nome: "9a". Forse volevano fare credere alle persone che ci fossero nove ambulatori attivi o forse, addirittura, diciotto ambulatori attivi pensando anche ad ambulatori di classe b.
I due risero ancora.
Finite le preghiere scoccarono le 18:00, ci fu un'altra chiamata ed il signore di colore entrò.
<< Forse siamo i prossimi >> azzardò con cautela Alberto.
Alessandro cominciò a riflettere sulla visita. Alberto aveva preso una botta alla mattina a scuola e, dopo sette/otto ore, secondo lui il dolore si sarebbe attutito in qualunque caso.
<< Di che ti fa male. >> suggerì preoccupato Alessandro. << Altrimenti non ci fanno la lastra. >>
D'improvviso si udì la voce dell'altoparlante: "Il paziente G34 deve recarsi all'ambulatorio 9a."
Era il loro turno. Varcarono l'ingresso e sulla destra trovarono un corridoio. Su di esso si affacciavano diverse stanze con le porte aperte. Il padre fece scorrere lo sguardo ovunque possibile, cercando la scritta "ambulatorio 9a". Vide poi che, dall'interno della prima stanza, una giovane dottoressa sorridente, ed un giovane medico con la barba, li guardavano incuriositi.
<< è qui? >> domandò Alessandro
<< Sì. >> rispose la dottoressa.
< Perché non hanno scritto il numero dell'ambulatorio sulla porta? > si interrogò il padre nel tentativo di trovare una rapida spiegazione illuminante. Ma l'attimo fuggì e cominciò la visita.
Alberto ripeté ancora la sua particolare descrizione dell'accaduto. La lastra venne approvata, tuttavia, vennero informati di un fatto: i tempi per farsela fare erano molto stretti. L'addetto alle lastre stava per andarsene. Il giovane dottore si offerse di accompagnarli e di intercedere per loro.
Alle domande di rito Alessandro cercò senza successo di resistere alla tentazione di essere simpatico. Cadde miseramente e fece di nuovo la battuta sull'allergia alla scuola. Alberto lo guardò ancora storto, scuotendo la testa, e domandandosi perché il padre insistesse con quella battuta. Questa dottoressa prese la cosa sul serio ed iniziò ad interrogare il ragazzo sulle motivazioni.
Poi partirono di corsa verso la possibile lastra. Alessandro temeva ancora di dover tornare al Pronto Soccorso per Adulti, proprio da dove erano partiti. Invece si sbagliava, adesso anche l'Ospedale dei Bambini si era dotato di un ambulatorio per effettuare le lastre.
< Alcune cose sono migliorate. > rifletté con sollievo Alessandro. < Anche gli ambienti sono più gradevoli. >
Uscendo incontrarono di nuovo Angela.
<< Eh... una lastra non si nega a nessuno! >> disse scherzando. Nel mentre Angela massaggiò con fare amichevole il braccio di Alessandro. Questo gesto gli fece sentire una sensazione di conforto nel cuore.
Quando arrivarono a destinazione, il giovane medico entrò per trattare.
Dall'interno una voce con un forte accento del sud Italia disse: << Un attimo! >>.
Alessandro e Alberto vennero temporaneamente fatti accomodare su una panchina senza schienale.
La trattativa per la lastra era in corso.
Alla fine entrarono nell'ambulatorio. Alessandro dovette firmare alcune carte per concedere il permesso al figlio minorenne di effettuare i raggi. Dopodiché venne fatto accomodare di nuovo fuori.
Terminato il tutto furono invitati a recarsi in una specifica sala d'aspetto. La descrizione del tragitto prevedeva un'importante svolta presso un estintore rosso, a cui si doveva fare particolare attenzione.
Alessandro comprese male le indicazioni ma partì lo stesso di gran carriera. I due si ritrovarono in qualche modo nella sala d'attesa iniziale.
Passarono diversi minuti, poi videro entrare il giovane medico con la barba. Il dottore dimise Alberto, dopo aver spiegato loro che si erano diretti nella sala d'aspetto sbagliata. Dalla lastra non risultavano fratture né incrinature. L'uomo prescrisse ad Alberto un antidolorifico e alcuni giorni di riposo. In caso di bisogno avrebbero dovuto contattare il medico di base.
< Ma è venerdì sera! > pensò infastidito Alessandro. < Questo dottore non sa che i medici di base sono irreperibili nel weekend? > Poi con saggezza trattenne la lingua. Alberto era contento, aveva deciso: domenica mattina avrebbe giocato lo stesso la partita di calcio.
Sul foglio compariva l'orario di dimissione dal Pronto Soccorso Pediatrico: le 18:49.
<< Quattro ore per fare una lastra. >> concluse deluso Alessandro.
Era proprio la parola "Pronto" a dare fastidio al padre. Avrebbe voluto eliminare quella parola. Anche in quella ennesima esperienza quella parola sembrava una presa in giro. Sarebbe stato meglio scrivere fuori dall'ospedale solo "Soccorso", oppure "Soccorso quando si può". Si sarebbe potuto scrivere qualunque parola, tranne quella. Sì, il soccorso ricevuto era tutto, tranne che pronto.
Si sfogò con Alberto. Ripercorsero gli avvenimenti e concordarono che la cosa peggiore per i pazienti era quella lunghissima attesa. I più infastiditi parevano i bambini piccoli, come neonati e bambini sotto i dieci anni.
Addirittura i tempi di attesa sembravano essere stati più lunghi di quando erano andati in quello per Adulti.
< Basta! > sbottò con impazienza fra sé e sé Alessandro. < Adesso scrivo una lettera al giornale! >
< E poi è andata bene che la costola era sana, altrimenti quanto tempo saremmo dovuti rimanere ancora lì dentro!? >
Poi Alessandro fu preso dallo sconforto. Anche una lettera al giornale sarebbe servita a poco, una fra le tante, un'altra lettera, l'ennesima. La risposta dell'ospedale sarebbe stata fornita con il solo intento di negare l'accaduto.
< Non si potrebbe fare un Pronto Soccorso privato, magari a pagamento, ma veloce? > si domandò il padre. Questa domanda interiore lo turbò ulteriormente.
Ogni idea che gli veniva in mente, se ci rifletteva, sembrava trasformarsi in qualcosa di impossibile da realizzare o del tutto inutile.
Quando da bambino il padre era andato al Pronto Soccorso, benché gli ambienti fossero brutti, i tempi erano stati di sicuro più brevi, forse addirittura la metà. Eppure anche quelli erano stati lunghi, lunghissimi, troppo lunghi. In tanti anni le cose erano tristemente peggiorate. Ora il problema principale sembrava essere la mancanza di personale. Gli addetti erano pochi, troppo pochi per fornire un servizio rapido.
D'improvviso videro arrivare di corsa Angela. La loro vicina si era tolta il camice. Indossava un paio di jeans e una camicetta bianca. Probabilmente aveva finito il turno. Abbracciò con calore prima Alberto poi Alessandro.
I due rimasero sorpresi da quell'inaspettato gesto.
Angela non disse nulla e si dileguò.
Alberto e Alessandro la guardarono confusi allontanarsi, prima di rendersi conto di un cambiamento interiore.
Quell'abbraccio aveva centrato un punto del cuore irraggiungibile dalle parole che avrebbe potuto dire.
Entrambi erano inebetiti, toccati nel profondo e alla ricerca di una spiegazione razionale.
Alessandro si riprese con un proposito nel cuore.
< Scriverò un racconto! >
Questo pensiero balenò come un fulmine nella sua mente. < Forse servirà a rendere altre persone sensibili sull'argomento. Del resto tutti vorrebbero essere soccorsi subito, altrimenti perché l'avrebbero chiamato "Pronto Soccorso". >
<< Grazie Angela. >> Disse a bassa voce.
L'abbraccio di Angela ricordò ad Alessandro una frase di Gandhi: "Cerca di essere tu il cambiamento che vorresti vedere nel resto del mondo."
< Angela è riuscita a farlo > pensò il padre.
Ora la parola "Pronto" gli sembrava più simpatica, rappresentava qualcosa per il futuro, un progetto.
Quel gesto aveva dato un insospettabile cuore all'ospedale.
< L'ospedale col cuore... > pensò fra sé. < Sarebbe un ottimo messaggio pubblicitario. >
La sua anima da economista era tornata a galla.
Alessandro sorrideva: aveva trovato la speranza.
Ora sapeva cosa fare.

Enrico


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