DISCORSO DI ELAZAR BEN-YAIR

Uomini valorosi, avendo noi deciso da lungo tempo di non servire nè ai Romani nè a nessun altro, salvo che a Dio, adesso è giunto il tempo di mettere in pratica il nostro proposito.  In questa occasione non dobbiamo disonorarci da noi stessi, noi che nel passato non tollerammo una schiavitù immune da pericolo, e che ora dovremmo accettare insieme con la schiavitù inesorabili vendette, se cadessimo vivi in potere dei romani; poichè, come fra tutti fummo i primi a ribellarci, siamo anche gli ultimi a combattere contro di loro.
Credo, inoltre, che da Dio ci sia stata elargita questa grazia, di poter cioè morire con nobiltà e in libertà: ciò non fu concesso ad altri.

Per domani ci attende l'inevitabile cattura, oppure la libera scelta di una morte gloriosa assieme ai nostri cari: noi, infatti, non possiamo ormai vincere i nemici in combattimento e i Romani, che bramano catturarci vivi, non possono che propiziarci questo onorevole destino.
La stessa posizione naturale della fortezza, che è pure inespugnabile, non è valsa a salvarci; pur avendo abbondanza di viveri, armi in eccedenza e una disponibilità di mezzi quasi superflua, evidentemente da Dio siamo stati privati della speranza di salvezza.

Muoiano dunque immuni dal disonore le nostre donne, senza subire la schiavitù i nostri figli e, dopo la loro fine, scambiamoci l'identico generoso servizio, preservando la libertà come nobile coltre.
Ma, prima, distruggiamo col fuoco ogni nostro avere e la fortezza; così i Romani - ne sono sicuro - resteranno delusi di non impossessarsi delle nostre persone e insieme di fallire nel guadagno.  Lasciamo soltanto i viveri: essi testimonieranno, per noi morti, che non fummo vinti dall'indigenza, ma che preferimmo volontariamente la morte alla schiavitù.
Oh! fossimo morti tutti, prima di vedere la città santa distrutta dai nemici, il sacro tempio empiamente profanato.  Ed ora anche la speranza di poter un giorno farne giusta vendetta è ormai definitivamente svanita: senza speranza di fronte alla dura realtà, affrettiamoci almeno a morire con onore!

Noi, fieri del nostro coraggio, gà ci ribellammo ai Romani e anche ultimamente quando ci offrirono scampo, non prestammo ascolto.
Chi poi non prevede il loro sicuro furore se ci prenderanno vivi?
Sventurati i giovani il cui vigore permetterà più prolungati supplizi; sventurati quelli la cui tarda età renderà insopportabili quelle sofferenze!  Uno vedrà la moglie trascinata via con violenza; il padre, con le mani legate, udrà invano l'implorante voce del figlio!
Ma finchè queste sono libere e possono impugnare una spada ci rendano un servizio di tragica nobiltà: moriamo quando ancora i nemici non ci hanno ridotto in schiavitù.
Diamo da liberi l'addio alla vita con le mogli e i figli, lasciando ai Romani lo stupore per la nostra morte e l'ammirazione per il nostro coraggio.

(Flavio Giuseppe - Guerra Giudaica)

 


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