Ritorno a Casa
Giusto cento anni fa Giuseppe Gambarini nasceva a
Salsomaggiore: quando la città termale celebrava i suoi trionfi di verdi
e di acque. Ed è così,per un tramando di sapore arcangeliano ( siamo pur
sempre nella terra d'Emilia esplorata con avvolgente passione dalla
chirurgia rovente di Momi Arcangeli ), la pittura di Gambarini trova il
suo luogo elettivo nella cornice delle serre comunali, fra arnesi dismessi
e bagliori di quel verde che è rimasto la nota dominante dell'ambiente
salsese:quanto alle acque,il rito si celebra sulle nudità serrate nei
bagni, con una pudicizia che è, anch'essa, di un secolo fa.
Ecco, dunque, la mostra:cronologica, scelta dalla
produzione, pausata e metodica, di Gambarini, svolta lungo l'impegno di
riprendere il problema della pittura, e forse della vita, da quel punto
che dettava al grande Cézanne una frase troppo dimenticata : " La
sostanza della nostra arte sta in quel che pensano i nostri occhi."
Ed è un impegno tale, di per sé, ove naturalmente accada
con un minimo di coscienza, da allontanare chi lo intraprende da ogni
soluzione banale.Come fa Gambarini nei primi quadri di questa mostra,
datati sul finire degli anni Trenta ( Donna
e Lampada, 1938, Palazzo Besta a
Teglio, 1939 ) e messi lì a testimoniare un acquisito controllo dei
mezzi espressivi nello spazio di un unico punto di vista su cui il pittore
concentra la sua memoria:dell'occhio e della mente, come voleva Césanne.
Così inquadrato, fra queste leggibili citazioni culturali
( a cui si può aggiungere la lezione di Funi ), il cammino di Gambarini
si addensa sulla forma e sulla realtà fisica degli oggetti d'interno ( Natura
morta con specchio, Camera
d'affitto, entrambi eseguiti nel 1939 ), prima di trasmigrare per le
vie del plein air, in sintonia
con il clima del Chiarismo alitante su Milano ad opera di un gruppo, molto
organico, di artisti : Lilloni, Del Bon, Spilimbergo, De Rocchi, De Amicis.
Di quella stagione, Gambarini, " che ama la chiarezza
e l'ordine, le luci diffuse e gentili " ( Leonardo Borgese, Corriere
della Sera, 7 marzo 1951 ), distilla i sapori di una realtà di natura
frequentata a tempi lunghi ( Paesaggio
autunnale in Valbrona, 1949, Marina
a Camogli, 1950 ),e accesa, d'improvviso, da vivide apparizioni di
cultura : com'è nella citazione morandiana di Rose,
1951.
E procede, negli anni, il viaggio di Gambarini : Mar
Ligure,1954, affrontato direttamente nei suoi rapporti sensibili di
colore e di tono, Albero fiorito a Villa Taranto, 1957, indagato con altrettanto
impegno nelle sue giunture formali e serrato entro una folta rete
strutturale che evidenzia le linee portanti del mondo di natura.
La natura, dunque, invade l'orizzonte visivo di Gambarini
alla svolta degli anni Sessanta: e lo fa con la sostanza trepida del
colore. E' il colore che, con tutte le sue delicate risonanze e
rifrangenze, si conforma alla stringatezza del dipinto, accompagnandone
l'intima scansione ritmica Mimosa
a Ospedaletti, 1965, Riflessi di
cabine sotto il ponte, 1968, Burano,
un canale a Mazzorbo, 1969 ).
E si approda al decennio ultimo dell'attività pittorica
di Gambarini, sempre contesa dai paesaggi amati: con le spianate fughe
della superficie marina ( Scogliera
a Punta Chiappa, 1975 ),con le ombre raccolte su una storia antica ( San
Fruttuoso di Camogli sempre del 1975 ),e con il commiato del Parco
di Rapallo, 1981, restituito nella verità visiva di un mondo, la
pittura, che è un lungo ed inesausto processo di memoria. Come questo
ritorno a Salsomaggiore, a cent'anni dalla nascita, nel verde immutato
delle serre, mentre nei segreti delle terme scorrono gli antichi miti.
Gianni Cavazzini