La diffrazione da polveri è una delle più diffuse tecniche di caratterizzazione dei materiali. Nell’arco degli ultimi 50 anni è stata tradizionalmente utilizzata come tecnica di routine per l’analisi qualitativa e quantitativa di fasi cristalline, per la misura accurata dei parametri di cella, per studi di tessitura ed orientazione preferenziale, per l’analisi dell’allargamento dei profili legato alle dimensioni ed alla deformazione interna dei cristalliti, per misure di stress residuo. Agli albori della cristallografia molte strutture cristalline relativamente semplici sono state risolte da dati di diffrazione da polveri [1]. La principale limitazione della diffrazione da polveri nell’indagine cristallografica sta nel fatto che le singole intensità di Bragg, misurabili nelle tre dimensioni dello spazio reciproco con le tecniche a cristallo singolo, sono considerate in questa tecnica come proiettate in un’unica dimensione. Ma procediamo con ordine.
Nel capitolo precedente abbiamo
visto che le equazioni di Laue sono vettoriali e che le soluzioni Shkl
stabiliscono una ben precisa relazione fra l’orientazione del reticolo
cristallino, relativamente al raggio incidente, e la direzione dei raggi
diffratti. Si può dimostrare che questa relazione identifica, formalmente, la
diffrazione da un cristallo con le riflessioni della radiazione incidente con i
vari piani cristallografici, identificati dalla terna d’indici di Miller hkl.
Nel caso di un campione policristallino, con i cristalliti orientati in modo
casuale rispetto alla radiazione incidente, l’aspetto orientazionale
(vettoriale) delle equazioni di Laue va completamente perduto mentre sopravvive
il solo aspetto scalare. Quindi i valori permessi di S si riducono ai valori permessi dal suo modulo, |S|
=
2sin
q/l,
dove 2q
è l’angolo fra la radiazione incidente e quella diffratta. La relazione
scalare che esprime questa situazione è l’eq. di Bragg:
|
(1) |
dove dhkl e` la spaziatura esistente fra i piani cristallografici caratterizzati dagli indici di Miller hkl. Tale eq. pone una relazione fra la spaziatura dhkl e l’angolo 2qhkl. Il dato sperimentale nel caso di campioni policristallini (polveri) è costituito quindi dall’intensità del raggio diffratto raccolta in funzione dell’unica variabile geometrica sotto nostro controllo, ossia l’angolo 2q. Tale dato è comunemente noto come spettro di polveri ed assume l’aspetto di una sequenza di picchi di diffrazione, di varia intensità e forma, che si susseguono lungo la coordinata 2q. Il range angolare che bisogna indagare varia in primo luogo in funzione della lunghezza d’onda utilizzata e in secondo luogo dalle esigenze di sperimentazione. I picchi si innestano su una linea di base, o fondo, che rappresenta sostanzialmente il contributo alla intensità diffratta da parte di tutto ciò che è estraneo alla fase (o fasi) cristallina in esame (scattering incoerente, scattering dell’aria, scattering di fase amorfe, presenza di difetti reticolari). Altra limitazione della diffrazione da polveri risiede nella sovrapposizione dei picchi di diffrazione; per ridurre al minimo questo fenomeno è necessario progettare geometrie sperimentali in grado di massimizzare la risoluzione angolare strumentale. In quest’ottica, stazioni di diffrazione da polveri ad alta risoluzione sono state installate presso sorgenti dedicate di luce di sincrotrone (LS) e sorgenti di neutroni continue o pulsate. Nel caso della LS ( [2], [3], [4], [5], [6], [7] ) alcune caratteristiche la rendono particolarmente adatta alle applicazioni di diffrattometria da polveri:
q Elevata brillanza in un’ampia banda spettrale
q Elevata collimazione (bassa divergenza del fascio)
q Possibilità di selezione continua della lunghezza d’onda (wawelenght sensibility)
Lo sviluppo e l’impiego concomitanti delle metodologie d’analisi degli spettri di diffrazione a profilo completo, resi possibili anche dall’attuale disponibilità di computer sempre più potenti ed a basso costo, hanno trasformato la diffrazione da polveri in uno strumento potente e versatile d’analisi strutturale anche per strutture piuttosto complesse, come testimoniato dall’ampia popolarità raggiunta dal metodo di Rietveld.
In tab.1 sono riportate alcune delle principali applicazioni della diffrazione da polveri.
Lo schema concettuale di un
esperimento di diffrazione da polveri è basato su un fascio incidente di
radiazione X che viene diffratto da un campione policristallino (monofasico) in
accordo con l’equazione di Bragg:
2dhkl sinJ = l |
(2) |
dove:
dhkl =distanza interplanare di ciascuna successione di indici hkl
J = angolo di Bragg
l = lunghezza d’onda della radiazione X.
L’intensità diffratta di ciascuna successione planare (Ihkl) può essere scritta come:
Ihkl = S . jhkl . Lpkhl . ½Fhkl½2 |
(3) |
dove:
S = fattore di scala comune a tutti i riflessi che comprende anche I0, l, Vcella
jhkl = molteplicità del riflesso hkl
Lpkhl = fattore di Lorentz-polarizzazione
½Fhkl½2 = fattore di struttura di hkl.
Per un campione policristallino ideale (vale a dire con distribuzione statistica dei cristalliti), l’intensità diffratta è distribuita nello spazio reciproco secondo superfici concentriche omogenee dette coni di Debye-Scherrer, la cui semi-apertura è uguale a 2q. L’esperimento consiste nella misura dell’intensità diffratta nello spazio reciproco, cioè in funzione di 2q (o di l). Tale misura può essere fatta con modalità diverse in funzione delle caratteristiche dalla sorgente, della natura e delle dimensioni del campione, dell’ambiente condizionante e degli scopi della misura. La distribuzione dell’intensità associata a ciascun effetto di diffrazione nello spazio reciproco è idealmente una funzione delta di Dirac, ovvero diversa da zero solo per valori di q tali da soddisfare rigorosamente l’equazione di Bragg. Negli esperimenti reali si ha un allargamento (D2q) dei picchi di diffrazione legato sia a caratteristiche del campione (forma e dimensioni dei cristalliti, ecc.) che ad effetti strumentali. In particolare è stato dimostrato che un picco di diffrazione misurato costituisce una convoluzione di due funzioni, quella cosiddetta “del campione” e quella “strumentale” (fig.1) [8]. Dall’entità dell’allargamento dipende anche la possibilità di risolvere due picchi adiacenti, perciò si parla anche di risoluzione angolare. Un importante parametro di riferimento è la risoluzione angolare strumentale (in pratica quella di un picco in cui sono nulli gli effetti d’allargamento dal campione), che è comunemente espresso in termini di D2q (FWHM, “Full width at half-maximum intensity”)( [9], [10], [11], [12] ).
Le tecniche diffrattometriche possono essere distinte in due categorie principali a seconda che nell’equazione di Bragg si mantenga costante l o q. Nei due casi la radiazione X utilizzata sarà:
q Monocromatica (l0 = 2dhkl sinJhkl: le intensità sono misurate in funzione di 2q; si parla di dispersione angolare)
q Policromatica o luce bianca (Ehkl ® lhkl = 2dhkl sinJ0: le intensità sono misurate ad angolo di Bragg fisso, in funzione di E; si parla di dispersione di energia).
Rientrano nella prima categoria
le tecniche diffrattometriche convenzionali di laboratorio. Fra le tecniche
diffrattometriche da polveri basate sull’utilizzo della LS, quelle con
radiazione monocromatica hanno ricevuto un maggiore sviluppo, essendo le più
adeguate per un ampio campo di applicazioni, soprattutto strutturale. La diffrazione X in dispersione
d’energia, realizzabile di fatto solo con luce policromatica da sincrotrone,
permette applicazioni strutturali abbastanza limitate a causa della scarsa
risoluzione in energia dei rivelatori semiconduttori utilizzati, e della
difficoltà nel trattare in modo quantitativo le intensità diffratte.
La rassegna che segue vuole servire come introduzione alle caratteristiche principali di un rivelatore per raggi X e non ha pretese di completezza. Inoltre, in questo settore si stanno attualmente realizzando sviluppi tecnologici molto rilevanti. Tra i parametri con cui sono normalmente valutate le prestazioni di un rivelatore per raggi X, sono la linearità rispetto alla frequenza di conteggio (counting rates), il campo dinamico, l’efficienza e la risoluzione in energia.
Le camere di ionizzazione (gas-proporzionali) sono tipicamente usate negli esperimenti di diffrazione per la misura dell’intensità incidente (monitor).In funzione del gas impiegato, supportano counting rates anche elevati (> 109 c/s) e non permettono discriminazione d’energia. Rientra in questa categoria un particolare tipo di Position Sensitive Detector (PDS) curvo che copre un intervallo angolare di 120° o 80° (INEL CPS 120 o 80). Seppure il campo dinamico dell’INEL CPS 120 sia piuttosto limitato (< 105 c/s) e la risoluzione angolare non elevata (~0.1°), è stato impiegato con successo per studi di cristallografia ( [13,[14], [15], [16] ).
Il rivelatore a scintillazione (o scintillatore) offre una buona linearità (counting rates < 5.105 c/s) con scarsa discriminazione d’energia (DE/E = 25%). Rappresenta certamente il rivelatore più comunemente usato in diffrazione da polveri.
I rivelatori semiconduttori (o Solid State Detectors, SSD) supportano valori < 5.104 c/s con una buona risoluzione in energia (DE/E » 3%) che, se tradotta in termini di risoluzione angolare, è in ogni caso inferiore a quella di uno scintillatore. Richiedono raffreddamento ad azoto liquido. Il loro tipico impiego è quindi per gli esperimenti in dispersione di energia ( [17], [18], [19], [20], [21]).
I rivelatori bi-dimensionali (o Area
Detectors, AD): tradizionalmente impiegati per gli studi cristallografici a
cristallo singolo di macromolecole, il loro impiego anche per esperimenti di
diffrazione da polveri ha ricevuto un notevole impulso. Tra gli AD distinguiamo:
i Multi-Wire, gli Image
Plates (IP) e gli Image-Intensifiers
basati su camere CCD (Charge-Coupled-Devices).
I parametri di valutazione comprendono anche risoluzione spaziale e Point-Spread Function (PSF). I multi-wire
sono dei gas-proporzionali in cui la risoluzione spaziale è ottenuta tramite
linee di ritardo (delay lines). Sono
comunemente impiegati per esperimenti di scattering a basso angolo in cui la
risoluzione spaziale richiesta non è elevata; il loro impiego per la
diffrazione da polveri è promettente ma ancora in fase di sviluppo. Gli image
plates sono basati sull'accumulazione di un’immagine latente ad opera di
un fosforo (cristallo di BaF(Br,I): Eu+2) che può essere letta
tramite uno scanner a laser He-Ne e poi cancellata per il riutilizzo. Gli IP
sono disponibili sia in lastre separate (Fuji e Kodak) che in sistemi integrati
con scanner e sistema di cancellazione (MAR Research). Negli intensificatori
di immagine basati su CCD l’immagine latente raccolta da un fosforo viene
demagnificata e trasferita al chip tramite fibre ottiche. La caratteristica
principale di entrambi i sistemi ( [22] per un confronto) è quella di un ampio
campo dinamico e buona risoluzione spaziale. Non è possibile, però, avere
discriminazione di energia. Tra i due sistemi, gli IP hanno avuto fino ad ora il
maggiore impiego in diffrazione da polveri per la loro notevole versatilità ([23], [24], [25],
[26], [27], [28]). Sono stati impiegati in studi delle
cinetiche di trasformazione [29], ma anche per raffinamenti strutturali tipo
Rietveld [30] e per analisi strutturale risolta in tempo
[17]. La trattazione
dei dati da rivelatori bidimensionali è oggi notevolmente semplificata dalla
disponibilità di software che permette di integrare l’intensità lungo i
cerchi di Debye-Scherrer ed ottenere uno spettro unidimensionale, apportando le
correzioni necessarie a seconda delle diverse configurazioni ( [31], [32] ).
I metodi tradizionali di laboratorio utilizzano la radiazione caratteristica (tipicamente la Cu Ka) emessa da un tubo a raggi X e resa monocromatica (o meglio pseudo-monocromatica) da un filtro o da un monocromatore su raggio incidente.Le caratteristiche principali delle apparecchiature di laboratorio sono schematicamente riassunte di seguito, (per una descrizione più completa si rimanda ai testi [33], [34] ).
La strumentazione più comunemente diffusa comprende:
Camere di Debye-Scherrer e Gandolfi: il sistema di rivelazione è costituito da pellicole fotografiche sensibili ai raggi X. L’intensità è stimata visivamente o può essere misurata semi-quantitativamente attraverso uno scanner. Sono ancora usate per l’identificazione delle fasi in campioni disponibili in modestissime quantità (<1mg). Una variante per la misura accurata dei parametri di cella è data dalla camere focalizzante di Guinier, che fornisce una eccellente risoluzione angolare (» 0.05° FWHM)
Diffrattometro automatico: la misura dell’intensità diffratta avviene tramite un goniometro in cui il rivelatore (tipicamente gas-proporzionale o scintillatore) è sorretto da un braccio. La maggior parte dei diffrattometri sono basati sulla cosiddetta geometria parafocalizzante Bragg-Brentano con campione piatto, il cui schema è riportato in fig.2. Il contatore montato sul braccio esegue la scansione angolare, 2q, muovendosi lungo il cerchio goniometrico, mentre il campione piatto viene ruotare di metà angolo, q, al fine di garantire la tangenza fra superficie del campione e cerchio di focalizzazione per tutti i valori angolari. Questo tipo di scansione viene anche definita q-2q simmetrica. Il fascio incidente è delimitato da slitte divergenti (» 1°- 0.25°) ed il fascio diffratto dal campione piatto è raccolto da slitte riceventi (0.05° - 0.2°) poste davanti al rivelatore. Sistemi di slitte Soller (lamine di acciaio disposte parallelamente con fine spaziatura) sono utilizzati per ridurre la divergenza assiale. Questa configurazione presuppone l’uso di una sorgente intrinsecamente divergente e richiede quantità notevoli di campione (>100mg). Negli strumenti più completi un monocromatore (cristallo curvo di grafite pirolitica) montato dopo le slitte riceventi permette di eliminare il contributo della radiazione Kb e la fluorescenza indesiderata dal campione. La risoluzione angolare ottenibile con questa strumentazione varia da 0.1° a 0.2° FWHM ed è particolarmente scarsa a basso angolo, dove le componenti spettrali Ka1 e Ka2 della radiazione X dal tubo non sono risolvibili. Inoltre la forma dei profili di diffrazione risulta complicata da un insieme di aberrazioni della funzione strumentale (vedi paragrafo seguente), particolarmente accentuate a basso angolo. Tra questi rientrano gli effetti di divergenza assiale, campione piatto, trasparenza ed “allontanamento del campione dal cerchio di focalizzazione” in genere, che comportano un’accentuata asimmetria dei profili verso bassi angoli. La simmetria dei profili non è facilmente trattabile da un punto di vista analitico, e questa costituisce una delle principali limitazioni della geometria Bragg-Brentano di laboratorio per studi strutturali. Le prestazioni di uno strumento di laboratorio possono essere un po’ migliorate con l’utilizzo degli SSD (più efficiente discriminazione Ka vs. Kb e l’eliminazione delle componenti di diffusione incoerente) e dei PDS lineari (risoluzioni strumentali di 0.05°-0.1° e raccolte dati più veloci anche se con un peggiore rapporto picco-fondo). Le caratteristiche della radiazione incidente possono poi essere notevolmente migliorate attraverso l’impiego di monocromatori curvi focalizzanti su raggio incidente [35] e specchi ottenuti da cristalli con distanze interplanari variabili cosiddetti Göbel mirrors ( [36], [37] ). In entrambi i casi si può ottenere un significativo aumento di intensità ed eliminazione anche della componente Ka2.
Nelle operazioni d’allineamento del diffrattometro, grande attenzione deve essere posta nel settare lo zero del goniometro ed i movimenti q-2q, poiché errori anche minimi in queste procedure possono introdurre errori sistematici nei valori rilevati di 2q. Comunque, anche con un appropriato allineamento del diffrattometro, tutte le misure sono soggette a certi errori, i più importanti dei quali sono descritti qui di seguito.
Divergenza assiale: con questo termine intendo la divergenza del raggio incidente sul piano del campione. Riferendomi alla fig.2, la radiazione proveniente dalla sorgente L diverge attraverso la slitta divergente B verso il campione C. E’ quindi necessario un primo collimatore (slitte Soller) che limiti la divergenza del raggio sul piano del campione, mentre un secondo collimatore è posto fra il campione e la slitta ricevente D. Oltre a produrre alcuni allargamenti asimmetrici sui picchi di diffrazione a bassi q, la divergenza assiale introduce un errore negativo decrescente nei valori di 2q fino a 90°, quindi un errore positivo crescente oltre i 90°. La formula matematica dell’errore di divergenza assiale [33] per un singolo set di slitte Soller risulta:
|
(4) |
dove h è l’estensione assiale del campione, R il raggio del cerchio del goniometro mentre K1 e K2 sono due costanti caratteristiche del collimatore. L’effetto della divergenza assiale sul profilo dei picchi può essere minimizzato soltanto diminuendo la distanza fra le lamine d’acciaio delle Soller, oppure aumentando la lunghezza del collimatore (Soller lunghe).
Campione piatto: questo specifico errore è causato dal superficie del campione, naturalmente piana e non co-concentrica con il cerchio focalizzante del goniometro. Questo errore produce allargamenti asimmetrici nel profilo dei picchi a bassi 2q; la sua formula matematica risulta:
|
(5) |
dove a è l’apertura angolare della slitta divergente. Poiché il raggio del cerchio focalizzante diminuisce con l’aumentare dell’angolo di Bragg, anche l’errore campione piatto aumenta. Qualora si utilizzino celle divergenti fisse, un buon compromesso sta nell’usare una slitta che assicuri una intensità accettabile a fronte di una aberrazione per il campione piatto minima. In genere per normali scansioni, partendo da valori di 2q di 8°, posso usare delle slitte divergenti da 0.5°.
Assorbimento: in genere i fotoni dei raggi X non si limitano ad incidere la sola superficie del campione, ma penetrano attraverso diversi strati atomici. Questo errore aumenta al diminuire dell’assorbimento del raggio X da parte del campione, ovvero al diminuire del coefficiente d’assorbimento lineare (ricordo che il coefficiente di assorbimento lineare m, espresso in cm-1, compare nella legge di Beer: I=I0.e-mt). Per materiali organici ed altri campioni a basso assorbimento, questo tipo d’errore può condurre ad errori angolari fino ad un decimo di grado. Per questo motivo, materiali a basso assorbimento sono in genere preventivamente ridotti nella forma di un film molto sottile, oltre ad usare un portacampione a basso background.
Spostamento del campione: in genere è assai difficile piazzare il campione esattamente nel cerchio focalizzante del goniometro. Eventuali spostamenti del campione possono produrre un errore, la cui formula matematica risulta:
|
(6) |
dove s risulta lo spostamento
del campione dal cerchio focalizzante. Questo tipo d’errore è il più
importante delle quattro aberrazioni viste, ed i suoi effetti sono un
allargamento asimmetrico del profilo a bassi 2q
ed uno spostamento assoluto, nei valori di 2q
dei picchi, anche di 0.01° per uno spostamento del campione di soli 15 mm.
I raggi X, così come altri tipi
di radiazione elettromagnetica, possono essere prodotti anche da sorgenti
definite “non convenzionali” quali le sorgenti di luce di sincrotrone. Negli
anelli di sincrotrone le particelle cariche utilizzate sono elettroni o
positroni (i fisici hanno scoperto che è preferibile l’uso di positroni
piuttosto che di elettroni poiché i fasci di luce di sincrotrone ottenuti sono
molto più stabili) e l’accelerazione radiale è prodotta da magneti curvi che
deflettono il fascio di particelle e lo mantengono in un’orbita chiusa (fig.3). L’impiego di sincrotroni dedicati alla produzione di raggi X è oggi
molto diffuso nella comunità cristallografica in quanto essi possono fornire
uno spettro continuo di intensità, un flusso di fotoni ed una risoluzione in
energia molto superiore a qualsiasi altra sorgente (fino a 1012 volte
superiore alle sorgenti convenzionali di raggi X). Di conseguenza sono ormai
numerose le sorgenti di luce di sincrotrone presenti in tutto il mondo; fra
queste lo European Synchrotron Radiation Facility (ESRF), stazione scientifica
presso Grenoble espressamente costruita per l’ottenimento di raggi X.
La luce di sincrotrone è la radiazione elettromagnetica prodotta da particelle cariche sottoposte ad accelerazioni perpendicolari alla loro velocità. Durante la deflessione di una particella di bassa energia l’emissione di radiazione avviene secondo un campo toroidale (fig.4a), che è distorto ad energie relativistiche ed assume la forma di uno stretto cono di emissione avente il massimo di intensità nella direzione tangente all’orbita percorsa (fig.4b) [81]. Ricordo che la energia emessa per unità di tempo (P), sotto forma di radiazione elettromagnetica, da una particella carica che si muove lungo un’orbita circolare è data da:
|
(7) |
dove e è la carica della particella, c la velocità della luce, E l’energia della particella, m0 la sua massa a riposo ed R il raggio dell’orbita. La quantità g , intesa come rapporto fra l’energia della particella (E) e la sua energia di riposo, riveste particolare importanza poiché si ricollega alla divergenza (qn) del fascio di radiazione prodotto nel piano perpendicolare all’orbita:
|
(8) |
e per energie intorno ad 1 GeV la collimazione naturale verticale della radiazione emessa è dell’ordine di 1 mrad. Questa radiazione è fortemente polarizzata nel piano dell’orbita percorsa. L’energia totale emessa da un elettrone (keV) durante una rivoluzione nell’orbita è espressa da:
|
(9) |
in cui r è il raggio di curvatura dei magneti, E è l’energia delle particelle (GeV) e B è il campo dei magneti deflettenti (kGauss). La potenza totale della radiazione emessa (kW) è pari all’energia moltiplicata per la corrente immessa nell’anello (I si misura in Ampère).
|
(10) |
Lo spettro continuo della radiazione è solitamente descritto mediante la lunghezza d’onda critica (lc, misurata in Å), definita da:
|
(11) |
Metà della potenza totale è emessa a lunghezze d’onda inferiori a lc e metà a lunghezze d’onda superiori; il massimo dell’emissione avviene a circa 0.7 lc e praticamente tutta la potenza è emessa nella regione compresa fra 0.2 e 10.0 lc. Il flusso reale dei fotoni disponibili per esperimenti è valutato secondo la funzione di distribuzione universale:
|
(12) |
dove G1 è una funzione dell’energia:
|
(13) |
e
K5/3 (x) è una funzione di
Bessel modificata. La funzione N(l) è mostrata in fig.5 e rappresenta il numero di
fotoni emesso per secondo per ogni mrad di divergenza orizzontale, calcolato
usando 1% di banda energetica e integrato su tutta la divergenza verticale.
|
(14) |
con
una costante di decadimento t
caratteristica per ciascun sincrotrone.
L’utilizzo della luce di
sincrotrone (LS) permette di estendere notevolmente la flessibilità di un
esperimento di diffrazione. Nelle stazioni sperimentali con LS, la sorgente è
situata ad una distanza di 10-20 metri dal campione e la divergenza intrinseca
del fascio incidente è di 2-3 ordini di grandezza inferiore rispetto ad un tubo
di raggi X. Questo comporta la possibilità di progettare geometrie basate su fascio
parallelo (parallel-beam geometry) anziché geometrie focalizzanti. L’uso
di un fascio parallelo è desiderabile, in quanto vengono ridotti ed eliminati
alcuni degli effetti che producono aberrazioni nei profili di diffrazione.
L’unica controindicazione nell’uso del fascio parallelo è la riduzione del
numero di cristalliti per unità di volume orientati in modo da soddisfare
l’equazione di Bragg. Comunemente la radiazione monocromatica è ottenuta
tramite diffrazione della “luce bianca “, proveniente dall’anello
d’accumulazione, da parte di un cristallo perfetto, ad es. un monocristallo di
Si (111) od un sistema a due cristalli con funzioni di focalizzazione. I
monocromatori focalizzanti hanno il vantaggio di poter concentrare l’intensità
in uno spot di ridotte dimensioni (< 1 mm) ma possono introdurre un fattore
di divergenza indesiderato in esperimenti di diffrazione da polveri.
Nella fig.7 [5] sono riportate diverse possibili configurazioni
sperimentali per diffrazione da polveri con LS:
(a): geometria con campione piatto (q-2q)
e slitte riceventi singole (RS)
(b):
geometria con capillare (Debye-Scherrer) e RS singole
(c):
geometria con slitte Soller (SS) tipo Parrish-Hart
(d):
geometria con cristallo analizzatore (CA) tipo Cox-Hastings-Thomlinson
In tutti i casi, il tragitto in aria del raggio incidente fino al campione
è ridotto al minimo mentre il raggio diffratto passa all'interno di un tubo in
vuoto dinamico o riempito d’elio. Le configurazioni (a), (b) ed, in
particolare, (c) sono riconducibili alla cosiddetta geometria Parrish-Hart (PH) ( [38],
[39]), anche definita a
due assi. La configurazione (d) è riferibile alla geometria
Cox-Hastings-Thomlinson (CHT) ( [40], [41] ), detta anche a
tre assi. Nel primo caso la bassa divergenza verticale della LS (normalmente
< 0.01°) fa sì che la risoluzione angolare sia controllata dalla distanza
campione-rivelatore (in genere circa 1 metro) e dall'apertura delle slitte
incidenti e di quelle riceventi per il campione piatto (a) o dal diametro del
capillare (in genere il più piccolo possibile, < 0.5 mm) (b).La risoluzione
e la simmetria dei picchi di diffrazione in (a) possono essere ulteriormente
migliorate con I'impiego di un collimatore a slitte
Soller (c) costituite da sottili lamine d’acciaio montate parallelamente
in modo da avere una separazione di pochi centesimi di grado. La FWHM
strumentale minima ottenibile con uno strumento tipo Parrish-Hart con slitte
Soller è normalmente tra 0.05° e 0.07° e la posizione del minimo dipende
dall'angolo di Bragg del monocromatore (2q
»
qM;
ad esempio qM
= 14.2° per il Si(111) con l=1.54
Å).
Un campione policristallino ideale consiste di cristalliti sferici di 1-3 mm
e in ogni caso < 10 mm
(distribuzione statistica, elevato numero di grani per unità di volume,
eliminazione dell'orientazione preferenziale). Deviazioni da queste
caratteristiche si riflettono in possibili errori e complicazioni nella
trattazione dei dati di diffrazione. Normalmente le dimensioni delle particelle
vengono ridotte attraverso macinazione in un mortaio d'agata. Particolare
attenzione deve essere riposta nel non deteriorare il campione durante la
macinazione (uso di un liquido inerte organico). Le dimensioni vanno poi
controllate attraverso l'eliminazione per setacciatura delle porzioni più fini
e più grossolane, oppure tramite annealing ad alta temperatura.
Come già fatto osservare in precedenza, la scelta della geometria di
diffrazione rappresenta un compromesso tra diversi fattori che meglio si presta
agli scopi della misura, tenendo anche conto delle caratteristiche del campione.
Come descritto, l'uso dei diffrattometri multi-rivelatore permette di coniugare
alta risoluzione e buona velocità di raccolta per cui questi strumenti sono da
preferire. La diffusione di questi sistemi è però ancora relativamente
limitata per cui è utile valutare le possibili alternative. Se il tempo di
raccolta dati non è un problema e sono richiesti la massima risoluzione
angolare ed un ottimo rapporto picco/fondo, lo strumento da preferire è il
diffrattometro a tre assi (tipo Cox-Hastings-Thomlinson). Questi requisiti sono
particolarmente vantaggiosi nell'indicizzazione di una cella non nota, nella
valutazione di possibili abbassamenti di simmetria (sdoppiamento di picchi o
comparsa di deboli picchi non ammessi per simmetria) e nella determinazione
strutturale ab-initio. Per contro, la
maggiore intensità raccolta propria di una geometria a due assi (tipo
Parrish-Hart) può essere di maggior beneficio, ad esempio, in esperimenti di
scattering risonante, in cui una raccolta viene eseguita selezionando una
lunghezza d'onda prossima alla soglia d’assorbimento di un elemento
all'interno del composto analizzato. In queste condizioni le intensità
diffratte sono in genere molto deboli. La radiazione incoerente (fluorescenza,
ecc...) prodotta in condizioni d’assorbimento può essere discriminata
attraverso l'uso di un rivelatore a stato solido. E' stato osservato che
entrambe le due geometrie permettono la raccolta di dati adeguati ad un
raffinamento strutturale tipo Rietveld.
Per una beamline situata su di un bending magnet, come tipico di molte
linee di diffrazione, si ha un campo abbastanza ampio di selezione della
lunghezza d'onda (NSLS: 0.7 - 2.5 Å; ESRF: 0.3 - 2.4 Å). Normalmente il limite
inferiore è dettato dallo spettro caratteristico del sincrotrone mentre il
limite superiore è imposto dall'attenuazione per effetto delle finestre di Be e
dell'aria. Anche la scelta della l utilizzata per la raccolta rappresenta un compromesso tra opposti
fattori. Usando una l
più lunga si può ridurre la sovrapposizione dei riflessi. Per conservare lo
stesso numero d’osservazioni (intensità di Bragg indipendenti) è necessario
estendere l'intervallo angolare misurato. Per contro, se la risoluzione e la
definizione del picco non sono degradate seriamente dalla riduzione della l,
lo spettro completo può essere raccolto in un intervallo angolare più stretto,
con lo stesso passo di scansione, senza perdita d’accuratezza e precisione nei
dati ma con guadagno nei tempi. ln pratica una l
compresa tra 1.2 e 1.5 Å risulta adatta per composti con elementi a basso
numero atomico (ad es., zeoliti) e per campione piatto mentre una l tra 0.7 e 1.2 Å meglio si presta per elementi a più alto numero atomico
e per capillari.
L'ottimizzazione del passo di scansione (step interval) e del tempo di conteggio per step (counting
time) deve tenere conto d’alcuni aspetti discussi in dettaglio da Hill
[67] e Cox [5].
Come regola pratica per il passo di
scansione, la corretta definizione e localizzazione di un picco richiede la
misurazione di almeno 5 punti nella porzione sopra alla FWHM del picco più
stretto. Quest’aspetto, però, è ancora dibattuto [68]. Da un lato, è stato
suggerito che il passo può essere aumentato fino a circa la metà della FWHM
senza perdita d’informazione [69]. Dall'altro fino a 15 punti sopra alla FWHM
sono considerati ideali [70].
La calibrazione di uno strumento viene eseguita attraverso la raccolta di
campioni standard di riferimento. E' buona norma controllare l’eventuale
presenza (indesiderata) di picchi di diffrazione dovuti ad armoniche della
lunghezza d'onda utilizzata (ad es. l/3) non soppresse dall'uso di specchi o da un’appropriata
discriminazione d’energia nel rivelatore.
E' noto che, a differenza dei tubi a raggi X di laboratorio, l'intensità
del fascio incidente prodotto da un sincrotrone decresce con il tempo fino
al successivo riempimento dell'anello d’accumulazione. Visto che un
esperimento di diffrazione può durare molte ore, anche per diversi riempimenti,
è necessario registrare I'intensità del monitor
su cui normalizzare le intensità diffratte. Nei sincrotroni di seconda
generazione anche la stabilità del fascio
può richiedere un controllo periodico attraverso un beam
position monitor. Oscillazioni regolari del fascio possono produrre errori
sistematici particolarmente gravi in esperimenti di scattering risonante.
E' buona norma eseguire un’analisi dei dati, il più possibile avanzata,
già presso la stazione sperimentale. Alcuni errori sistematici, diagnosticabili
solo da un’analisi avanzata (ad es., full-profile fitting), possono risultare
di difficile correzione analitica e richiedere una nuova raccolta in condizioni
sperimentali diverse. E' il caso d’errori derivanti dall’inadeguata
statisticità della polvere (campione più macinato, diversa geometria,
lunghezza d'onda più breve), dalla presenza d’estinzione primaria (campione
più macinato), dall'orientazione preferenziale (diversa geometria),
dall'assorbimento o microassorbimento (diversa geometria o lunghezza d'onda).