Pesah

Un cammino attraverso la cena pasquale ebraica

Tu ci hai dato, o Signore nostro Dio,
tempi di gioia e questo giorno di festa

Perché parlare della Pasqua ebraica? Perché tirar fuori sempre gli ebrei, il passato ormai lontano, la storia?

Beh, parlare della Pasqua ebraica significa parlare di qualcosa che in realtà è molto più vicino a noi di quel che si è soliti immaginare: significa parlare della S. Messa. Eh sì, proprio quell'oretta che almeno una volta la settimana passiamo in chiesa mentre un tipo tutto bardato si agita attorno a un tavolo con un bella tovaglia sopra, fiori e candele. Ma chi ce lo fa fare? Beh, nell'ultima cena è Gesù stesso a dire

fate questo in memoria di me [Luca 22,14; 1Corinzi 11,24.25]

e, che è l'ultima cena se non la cena di Pasqua di un gruppo di Ebrei cioè Gesù e i suoi discepoli? Certo, Gesù di questo lungo rito esalta due parti, la benedizione del pane e la terza coppa di vino, ma questo già ci invita a cercare di capirci un po' di più. Per questo, prima di soffermarci sulla Pasqua di Gesù, facciamo un breve cammino a ritroso nei secoli.

Le Origini

Nella festa pasquale confluiscono due antiche tradizioni. La prima è la Pasqua vera e propria, detta פֵּסַח (leggi pèsach più o meno, ma pronunciato da un ebreo farebbe più effetto!), una festa pastorale. Il gruppo di pastori nomadi, trascorsi i tre mesi invernali in un accampamento stabile, si apprestano a ripartire per girovagare per nove lunghi mesi fra i pascoli sugli altipiani. Molti sono i pericoli, soprattutto per il gregge e in particolare per gli agnelli appena nati, sotto l'anno, ancora deboli e impreparati alle insidie del terreno. Allora, la notte prima della partenza, l'agnello più giovane (purché privo di difetto, altrimenti sarebbe comodo ucciderne uno già malato) viene ucciso e offerto agli dei, perché con l'offerta di uno si salvassero poi tutti gli altri (cfr. in chiave cristologica Giovanni 11,50 e 18,14: Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: "E' meglio che un uomo solo muoia per il popolo") col favore degli dei. In accadico (una lingua della stessa famiglia linguistica dell'ebraico e quindi simile ad esso, anche se è attestata anche in tempi più antichi -è la lingua dei babilonesi e assiri in Mesopotamia, quello che oggi è lo stato dell'Iràq, di cui a scuola si parla come di cuneiforme che è propriamente il modo con cui era scritta) il verbo pasāhu (che contiene le stesse tre consonanti di pesah) significa placare (cioè rendersi favorevole), sottinteso una divinità. Ora il sangue di questo agnello era cosparso sui picchetti delle tende, sempre con valore apotropaico (cioè per tenere lontano gli spiriti maligni) e tutta la cerimonia avveniva certo nella maniera più essenziale, senza tanto apparato, vista l'imminente partenza. A questa festa che è sicuramente più antica dell'esodo forse si riferisce il versetto Esodo 5,1 in cui Mosè riporta al faraone:

"Dice il Signore, il Dio d'Israele: Lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto!" (ricordo che deserto qui come nel Nuovo Testamento generalmente non indica il deserto sabbioso privo di forme di vita, ma un territorio isolato e arido dove pur sempre cresce in parte erba -cfr. Matteo 14,15.19: nel luogo deserto c'è l'erba!).

La seconda tradizione che confluisce nella Pasqua ebraica è una festa agraria, la festa della primavera, del ritorno al lavoro dei campi mentre la natura rifiorisce. Fulcro di questa festa è il pane fatto con il primo frumento e senza lievito. E' la festa degli azzimi (dal greco α-ζυμη ἀ-ζύμη, leggi azùme, cioè senza lievito).

Non dobbiamo stupirci che queste due feste, una pastorale-nomade e una agraria-sedentaria, si siano unite: innanzitutto coincide il periodo (l'inizio della primavera), poi sappiamo che la divisione fra nomadi e agricoltori non era affatto netta. Probabilmente all'interno di uno stesso gruppo (una tribù cioè una famiglia allargata, come quella che Abramo porta con sè verso la Terra Promessa) alcuni (specie le donne) praticavano l'agricoltura nei terreni fertili attorno al villaggio (che è sempre presso un fiume) mentre altri nel periodo primaverile-estivo portavano le greggi nelle zone aride attorno al villaggio ma più distanti dal fiume, dove l'erba cresceva solo in quel periodo, a pascolare. Al tempo di Gesù come pure oggi le due feste erano dunque già unite nel rito della cena pasquale. Vi era però il ricordo della duplice origne se Marco 14,1 riporta

Mancavano intanto due giorni alla Pasqua e agli Azzimi.

Infatti la Pasqua si esauriva nel giorno stesso di Pasqua mentre gli Azzimi (cioè la prescrizione di non mangiare pane lievitato) si prolungavano per un'altra settimana, un po' come la nostra Ottava di Pasqua che vuol prolungare nella liturgia la domenica di Risurrezione).

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san Giovanni in Persiceto, 19/XII/1996; pagina HTML Napoli, 10/IV/2002