Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?

[Giovanni 6,60]

Quel parlare restava oscuro per loro e non capivano ciò che egli aveva detto. [Luca 18,31]

Queste note sono solo una piccola premessa alla comprensione del testo, che deve essere poi fatta con la propria meditazione personale ed eventualmente ricorrendo a commenti spirituali ed esegetici. Qui interessava dare un senso a certi termini oscuri, spesso ascoltati passivamente e accolti senza esercitarvi alcuno spirito critico, ovvero senza che sia risvegliata quella curiosità che dovrebbe essere innata e naturale.

LAVORI IN CORSO...

Betània o Betanìa? ...e altri accenti problematici

Una premessa sull'accento: a volte non serve sapere dove cade l'accento sulla parola ebraica perché bisogna tener presente anche la tradizione italiana basata a sua volta sul latino.

Betania in ebraico è Bet-Aniyyah, casa del dattero (come Betlemme è Bet-Lehem, la casa del pane), e andrebbe accentata sull'ultima sillaba. Già in greco l'accento è stato percepito diversamente Bhthanìa mentre in italiano è consolidata la lettura Betània segnalata anche nella Bibbia CEI. Si tratta di un villaggio sul pendio sud-orientale del monte degli Olivi, circa due miglia a est di Gerusalemme, sulla strada per Gerico. Oggi è noto come el-Azariyeh cioè "località di Lazzaro" in ricordo della risurrezione di Lazzaro. In Giovanni 1,28 c'è un'altra Betania al di là del Giordano dove Giovanni battezza: una variante del testo propone però...

Isaia in ebraico è Yeshahyàhu [BDB 447] ovvero "salvezza di Yah (abbreviazione del nome di Dio)". In greco è Hsaìas; la stessa accentazione conserva l'italiano con Isaìa. Il nome è simile a Yehoshùah [BDB 221] "Yah è salvezza" Giosuè, Ihsùs in greco, Gesù in italiano. Ancora simile è Hosheah "salvezza", il nome, ad esempio, del profeta Osea. In comune hanno tutti la radice ebriaca yasha' ('ayin) "salvare".

Geremia è Yirmeyàhu "mollezza di Yah" [BDB 941]. In greco è Ieremìa(s) e così rimane l'accento nell'italiano Geremìa.

Baruk significa "benedetto" [BDB 140] e l'accento cade sull'ultima sillaba. E' il nome dello scrivano di Geremia.

Qohèlet (ambedue le e sono aperte) deriva da una radice con significato di "riunire, raccogliere in assemblea" e significa "collezionatore" o "collezionista", di sentenze e detti nel caso del libro biblico ma con una sfumatura di indagatore, ricercatore. Non a caso in greco diventa ekklhsiasth's cioè il membro di un ekklhsìa, un assemblea, da cui deriva l'italiano "chiesa". Nell'omonimo libro è una specie di soprannome di Salomone.

Oracolo del Signore al mio Signore [salmo 110,1]

Quella che non esito a definira una traduzione affrettata, giustificabile solo alla luce della tradizione.

Innanzitutto 'oracolo' è ebr. ne'um 'espressione, parola' con senso di profezia, rivelazione, dichiarazione solenna. Sempre riferito a Dio o ad un profeta che riporta le parole di Dio. In italiano deriva dal latino 'orare' parlare, derivato da os, oris 'bocca' e vale per predizione, responso di una divinità. Si noti come sottolinei l'oralità (termine collegato etimologicamente non a caso) della rivelazione e indichi anche che il redattore del libro trascrive le parole così come sono state dette.

In ebraico è neum Yahwe ladonai che veniva letto neum adonai ladonai perché nella lettura si sostituiva il nome di Dio Yahwe con il termine adonai 'Signore". Forse è questo il motivo per cui in greco e poi in latino si è persa la distinzione fra i due termini. Su un piano storico è un oracolo di Dio a Davide. Il Signore dei versetti seguenti è sempre Dio tranne che nel verso 5 dove abbiamo adonai: è Davide che starà alla destra di Dio (coerentemente con il verso 1) e abbatterà i nemici nel nome di Dio. Il tu è quindi riferito a Davide, re per volere divino. In greco abbiamo kyrios, in latino dominus. La NRSV distingue usando LORD per Yahwe e Lord per Signore.

E' chiaro poi che il salmo viene riletto in chiave messianica. Il padre dialoga con il figlio che è però allo stesso tempo Dio in egual misura. Comunque, anche in questa chiave interpretativa, la distinzione fra i due termini avrebbe giovato. Mi sembra che chi legge in italiano si limiti a non capire nulla.

Il versetto 6 è notoriamente eliminato nel breviario per la sua crudezza [PNLO ++]. Questo salmo è particolarmente carico di simbolismi. Anche su Melkisedek si potrebbe discutere per ore, anche alla luce dei testi di Qumran. L'ultima parte del versetto 3 non è chiara: ci sono almeno due traduzioni concorrenti.

L'intronizzazione non è per niente onorifica in quanto porta l'onere di combattere [Castellino p. 598].

Dio viene da Teman [Abacuc 3,3]

Teman è una località nell'Idumea settentrionale o meridionale. Le colline di Paran la separano dal bassopiano dell'Arabah. In pratica Dio viene dal Sinai come i temporali impetuosi (BJ nota a Abacuc 3,3). Significativamente secondo Numeri 13,3.26 è dal deserto di Paran, ormai a ridosso della terra promessa, che Mosè invia gli esploratori/spie. Il riferimento più calzante è comunque la benedizione di Mosè agli israeliti prima di morire [Deuteronomio 33,2]:

Il Signore è venuto dal Sinai,
è spuntato per loro dal Seir;
è apparso dal monte Paran,
è arrivato a Mèriba di Kades,
dal suo meridione fino alle pendici.

Nevicava sullo Zalmon [salmo 68,14]

Zalmon [BDB 854]: secondo Giudici 9,48-49 un bosco presso Sichem in cui Abimelech un giudice trasse il legno per bruciare la torre di Sichem, l'ultimo baluardo in cui si erano rifugiati i signori della città. Significa 'oscuro' e forse è il picco meridionale del monte Garizim. Secondo me il riferimento alla nevicata è un'immagine poetica per ricordare proprio l'impresa di Abimelech, che dopo ricoprì di sale (Giudici 9,45). Allo stesso tempo credo che sottolinei l'eccezzionalità di un simile evento, verificabile solo per intervento divino, che acquista maggior rilievo per contrasto con il nome che significa 'oscuro' (forse perché il bosco era fitto?). Infine, la neve è simbolo di rinfrescamento, purezza (Salmo 51,9). Probabilmente più corretta la traduzione 'nevicò' come in IEP, NRSV. La nevicata è da intendersi come un fenomeno atmosferico che esprime la partecipazione di Jahvè alla battaglia [Castellino p. 481].

Sull'Idumea getterò i miei sandali [salmo 108]

Capita a volte di leggere il salmo 108 (107), che riprende i salmi 57,8-12 per i versi 2-6 e 60,7-14 per i versi 7-14 con leggere varianti. Ci occuperemo quindi del salmo 60 (59).

Esulto (salmo 108: esulterò) e divido Sichem
misuro la valle di Succot

Assieme a Sichem , Succot ad est del Giordano, sono due tappe di Giacobe nel suo ritorno in Palestina [Genesi 33,17-18]. Insieme significano le terre ad ovest e quelle ad est del Giordano. Dividere misure: in relazione alla conquista e al bottino.

Mio è Galaad (ing. Gilead)

Regione montuosa ad est del Giordano. Comprende i possedimenti delle tribù di Ruben, Gad e la parte meridionale di Manasse

mio è Manasse,

inteso il Manasse occidentale contrapposto a Galaad che è a est del Giordano.

Efraim è la difesa del mio capo
Giuda lo scettro del mio comando

Efraim e Giuda sono la parte principale del territorio nazionale.

Moab è il bacino per lavarmi

La zona ad est del mar Morto. Allusione all'usanza di portare un recipiente d'acqua al guerriero che torna vittorioso perché possa lavarsi [Castellino p. 335].

sull'Idumea getterò i miei sandali

Da sempre nemici di Israele, fin da quando negarano il passaggio agli ebrei fuggiti dall'Egitto (Numeri 20,14-21). Capitale Bozra, altra città famosa è Sela (Petra). Territorio a sud della Palestina che si estende dal golfo di Elan ai piedi del mar Morto. Gettare i sandali è segno di possesso [confronta Rut 4,7]. Seir: regione montuosa di Edom.

sulla Filistea canterò vittoria

Gioco di parole edulcorato nel salmo 108,10

Me infelice: abito straniero in Meshek [Salmo 120 (119),5]

Mosoch o Mesech: popolazione del Caucaso presso il mar Nero cioè Muski, i Frigi. Cedar (nella Bibbia CEI generalmente Kedàr): tribù nomade (si noti l'accenno alle tende, anche in Cantico 1,5) del deserto arabico. Dimorare in Mosoch e Cedar significa essere tagliati fuori dall'adorare il vero Dio.++

Basan, Sirion, Senire, Ermon

Monte di Dio, il monte di Basan [Salmo 68 (67),16]

Basan era una regione famosa per il legno delle quercie [Ezechiele 27,6; Isaia 2,13] e per il bestiame con i pascoli. Regione ++, in cui si trova il monte Hermon, imponente segna il confine settentrionale della Palestina, formato da più cime. Per gli abitanti di Sidone è il Sirion ('Fa balzare come un vitello il Libano e il Sirion come un giovane bufalo' [Salmi 29,6]), per gli Amorrei è il monte Shenir. Probabilmente qui si trasfigurò Gesù e non sul Tabor secondo alcuni. Salmo 133,3: è come la rugiada dell'Ermon.

Benedite, opere tutte del Signore, il Signore [Daniele 3]

[mia traduzione]

Il cantico tipico della domenica della I settimana del salterio e delle feste è tratto dal capitolo 3 del libro di Daniele. Mi è sempre piaciuto moltissimo e, non appena iniziai a macinare un po' di ebraico biblico, fu uno dei primi brani che volevo tradurre. Con grande sorpresa, scoprii che nella bibbia ebraica non esiste questo passo! E' riportato infatti solo dalla tradizione greca (sia i LXX che Teodozione). La parte centrale del libro di Daniele (da 2,4b a 7,28) è in aramaico (il resto è in ebraico) e dal versetto 3,23 passa a quello che è il nostro 3,91. Dal versetto 26 al 45 abbiamo la cosidetta preghiera di Azaria mentre il cosidetto cantico delle creature si apre al versetto 52. Dal v. 52 al v. 56 abbiamo una prima parte che costituisce il cantico delle lodi mattutine della II e IV domenica. Ogni versetto è diviso in due parti, la prima è una benedizione variabile, la seconda è (apparentemente) la frase 'degno di lode e di gloria nei secoli'. In realtà il testo greco è molto più fantasioso e meno pauroso dei traduttori CEI: il senso è quello ma alterna 'super-esaltato' e ++. Così infatti traduce la NRSV: ++

Dal v. 57 inizia il cantico della I settimana: il testo del breviario cambia leggermente l'ordine dei versetti. I nomi dei tre fanciulli sono dati nella versione ebraica (Anania, Azaria e Misaele) e non nel nome imposto loro (Sadrach, Mesach e Abdenego v. 1,7). Sadrach è di lingua Hurrita, Mesach forse è connesso con l'etnonimo Mushki (i Frigi) mentre Abdenego da Abed-Nabu (servo di Nabu, un dio babilonese). Daniele è invece ribatezzato Baldazzar cioè Balati-shar-usur 'proteggi la vita del re!'.

Vieni con me dal Libano [Cantico 4,8]

[mie note sul Cantico del 11/IX/1997 molto ampliate a Madonna del Faggio 1-2/VIII/2001; ritocchi Persiceto 16/VIII]

"Vieni dal Libano, mia sposa, vieni dal Libano vieni": lo cantiamo quasi a tutti i matrimoni. Ma che significa?

Innanzitutto leggiamo il testo secondo la CEI:

Vieni con me dal Libano, o sposa,
con me dal Libano, vieni!

Libano

Secondo BJ 'potrebbe essere un invito all'amata ad abbandonare un paese difficile e pericoloso per raggiungere l’amato e divenire "suo giardino"' [BJ nota a Cantico 4,8]. Questa idea di un Libano 'difficile e pericoloso' mi sembra molto moderna, magari inconsciamente suggerita dalla situazione politica di qualche anno fa (da questo punto di vista mi sembra fuorviante anche la nota i a Cantico 4,8 di TOB). Innanzitutto qui Libano, non esistendo ancora come entità politica, va riferito all'omonima catena montuosa [vedi 2Re 19,23 o Geremia 18,14]. Libano significa 'bianco', forse proprio a causa del colore delle sue rocce [BDB; TOB nota r a Osea 14,6]. Nella Bibbia il Libano è sempre una terra fertile e rigogliosa di vegetazione, famosa per gli alberi di cedro e per gli animali selvatici che popolano i suoi monti:

sono salito in cima ai monti,
sugli estremi gioghi del Libano:
ne ho tagliato i cedri più alti,
i suoi cipressi più belli;
sono penetrato nel suo angolo più remoto,
nella sua foresta lussureggiante. [2Re 19,23]
Fontana che irrora i giardini,
pozzo d’acque vive
e ruscelli sgorganti dal Libano. [Cantico 4,15]
Il suo frutto fiorirà come il Libano [Salmi 72,16, detto del re/Messia NOVENA??]
Il suo aspetto è quello del Libano,
magnifico come i cedri. [Cantico 5,15, detto del 'diletto']
Metterà radici come un albero del Libano, [...]
avrà la bellezza dell'olivo e la fragranza del Libano [Osea 14,7, detto di Israele; secondo BDB qui è nome proprio di albero]
Il Libano non basterebbe per accendere il rogo,
né le sue bestie per l'olocausto. [Isaia 40,16; sull'olocausto 29,38-46]

Nel Vicino Oriente antico, generalmente povero di alberi e boschi, il legname del Libano era un bene prezioso. Mentre i re assiri se lo procuravano con apposite spedizioni militari, il re Salomone preferisce stipulare un apposito accordo commerciale con Hiram re di Tiro, assicurandosi anche una manodopera competente [1Re 5,20ss]. Con questo legno fu realizzato il rivestimento esterno ed interno del tempio di Gerusalemme, tanto che nella liturgia sinagogale e nella letteratura midrashica Libano è sinonimo del tempio stesso, che diventa quindi la 'casa bianca' dove sono purificati i peccati di Israele [Manns Frédéric, La preghiera d'Israele al tempo di Gesù pagg. 109s e mia nota postuma del 18/XI/1997].

Il principale legname importato era quello del cedro èrez del Libano (Cedrus Libani), la cui sagoma campeggia tuttora sulla moderna bandiera dello stato libanese benché ormai sia raro trovarne a causa dell'intenso sfruttamento passato. Robusto, alto fin oltre 30m [confronta Salmi 80,11], con una circonferenza fino a 10m alla base e ampia chioma di rami orizzontali, formanti come tanti piani sovrapposti, oggi è diffuso soprattutto sui monti Urali. Il legno è leggero, rossastro e venato.

un cedro del Libano

Il tuono del Signore schianta i cedri,
il Signore schianta (perfino) i cedri del Libano. [Salmi 29,5]

La reggia di Salomone era detta 'Foresta del Libano' per il grande numero di colonne realizzate con i cedri del Libano.

Risorse internet

La sposa quindi deve fuggire dal Libano non perché sia un paese inospitale, ma perché vuole raggiungere la casa del suo 'diletto' a Gerusalemme, la città del Signore ancora più bella del Libano. L'amata del Cantico dovrebbe essere quindi una donna straniera, perlomeno non di Gerusalemme [vedi il tono di Cantico 1,5: anche se si riferisce all'abbronzatura e non alla razza, la donna si pone in opposizione alle figlie di Gerusalemme]. E' una 'figlia di principe' [Cantico 7,2] che vuole essere introdotta nelle stanze del re [Cantico 1,4] ovvero nell'harem, pur rimanendo al di sopra 'delle regine e delle altre spose che ne hanno intessuto le lodi' [confronta Cantico 6,8-9, è un verso di un altro famoso canto]. Mi sembra quindi che la vicenda possa essere inserita nel contesto di un matrimonio interdinastico tipico della seconda metà del II millennio a.C. Nell'ottica del libro, il re in questione dovrebbe essere Salomone [confronta Cantico 1,1 e Cantico 3,11] e la Bibbia stessa ci informa come anch'egli seguisse questa pratica comune fra le dinastie regnanti allora nel Vicino Oriente: ad esempio in 1Re 3,1 si sposa con la figlia del faraone (per cui poi costruirà una casa [1Re 7,8]) mentre da 1Re 11,1 sappiamo che il suo harem era pieno di donne straniere di cui viene indicata anche la provenienza. Proprio queste donne portarono in Israele i culti stranieri [1Re 11,2]. Mi sembra quindi plausibile che la donna del Cantico fosse la figlia del re di Tiro. Da 1Re 5,16-20 si deduce che il Libano (che allora era solo la catena montuosa e non il moderno stato) era dominio del re di Tiro. Da Tiro attraverso il Libano lo sposo la invitava a seguirlo a Gerusalemme. Si legga in quest'ottica il salmo 45!

Il testo ebraico

Val la pena dare un'occhiata al testo ebraico:

אִתִּי מִלְּבָנוֹן כַּלָּה אִתִּי מִלְּבָנוֹן תָּבוֹאִי
ittì millevanòn kallàh ittì millevanòn tavò'i
Con-me dal-Libano, o-sposa, con-me dal-Libano vieni!

Le note di BJ e TOB non mi sembrano precise. Il doppio 'vieni' della CEI deriva direttamente dalla Vulgata latina con l'aggiunta di 'con me' in base al raffronto con il testo ebraico. La versione greca dei Settanta sostituisce il doppio 'con me' con δεῦροδευρο dèuro 'qui' e mantiene il 'vieni' alla fine. Casomai quindi è san Girolamo (autore della Vulgata, che tradusse il Cantico fra il 390 e il 405 d.C.) che lesse 'etì 'vieni' (dal verbo poetico אָתָה [BDB pag. 87]; non sarebbe quindi lo stesso verbo del 'vieni' attestato) al posto di ittì 'con me'. La traduzione CEI opta quindi per un compromesso, al contrario del verso del canto che segue la Vulgata. La Vulgata aggiunge alla fine coronaberis '(e) sarai incoronata' che non mi è chiaro ma non ho trovato nessuna spiegazione in merito: forse è una aggiunta esplicativa, come dire 'vieni via dalla tua patria, dalla casa di tuo padre, per essere incoronata regina a Gerusalemme' [confronta forse Salmi 45,11ss].

Si noti in ebraico l'uso del delicato imperfetto esortativo al posto di un imperativo. Infine, sempre in ebraico, è suggestiva la somiglianza (non etimologica) fra kallàh 'sposa' e il verbo kalal 'completare'. In nota BJ segnala che kallàh significa letteralmente 'fidanzata'; secondo BDB si tratta più che di una 'fidanzata' della 'sposa subito prima (ma anche poco dopo) del matrimonio' quindi 'promessa sposa'.

La seconda parte del versetto

Per completezza soffermiamoci brevemente sulla seconda parte del versetto:

Osserva dalla cima dell’Amana,
dalla cima del Senìr e dell’Ermon,
dalle tane dei leoni,
dai monti dei leopardi.

L'Amana è probabilmente la sommità meridionale della catena dell'Antilibano. Il Senir è il nome dato dagli Aramei al monte Hermon [Deuteronomio 3,9], precisamente è la sommità centrale dei tre picchi. L'Hermon è il prolungamento orientale dell'Antilibano e segna il confine settentrionale della Palestina [ad esempio Deuteronomio 3,8].

Il verbo ebraico tradotto in italiano con 'osserva' pone qualche problema di interpretazione. In ebraico ci sono due verbi שור simili: il primo significa 'viaggiare', il secondo 'scrutare, guardare fissamente (con attenzione)'. La versione greca dei Settanta preferisce il primo e traduce con il verbo διερχομαι 'andarsene, passare attraverso', immaginando quindi l'amata che attraversa i monti dell'Antilibano per raggiungere Gerusalemme con il suo 'diletto'; aggiunge però anche 'da(l) principio de(lla) fedeltà' mentre una traduzione moderna come la NRSV inglese usa 'depart from'. Se la traduzione giusta è 'osserva' [BDB pag. 1003] io intenderei qualcosa tipo 'scruta l'orizzonte dal confine del tuo paese in attesa di vedermi arrivare' (sta parlando il 'diletto').

Da dove mi verrà l'aiuto? Le montagne portino pace al popolo [Salmi 121,1 e 72,3]

Mi ricorderò sempre le indimenticabili lezioni di ebraico biblico tenute dal professor Iginio Ambanelli per il suo unico studente di secondo anno. Guardando insieme la mia traduzione del salmo 121, mi chiese da dove avevo tirato fuori quel punto interrogativo nel primo versetto. Effettivamente nel testo ebraico nulla lasciava intuire una frase interrogativa: mi ero lasciato inconsciamente influenzare dalla traduzione CEI! La versione greca dei Settanta riporta semplicemente:

Alzo (azione puntuale, effettuata in questo momento) i miei occhi verso i monti da dove arriverà il mio aiuto.

Come suggestione, mi piace collegare questo versetto con altri come:

Le montagne portino pace al popolo
e le colline giustizia. [Salmi 72,3]
Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero di lieti annunzi
che annunzia la pace,
messaggero di bene che annunzia la salvezza... [Isaia 52,7]

Non riesco a capire bene cosa significavano le montagne per gli Ebrei di allora. Gerusalemme è circondata da colline quindi ogni notizia arrivava 'dalle montagne'. 'Le montagne portino pace al popolo' significa forse che dalle colline circostanti affluiscono a Gerusalmme buone notizie, doni e mercanzie, popoli e uomini amichevoli che vengono in pace. Quanto all'aiuto che viene dai monti, forse potrebbe riferirsi ai due monti, Sion e Moria, su cui si estende Gerusalemme e verso cui sta salendo il pellegrino che recita il 'salmo delle ascensioni'.

Alla tua destra la regina in ori di Ofir [Salmi 45 (44),10; 1Re 9,28]

Riporto la nota di BJ su questo salmo:

Secondo alcuni, questo salmo sarebbe stato un canto profano per le nozze di un re israelita, Salomone, Geroboàmo Il o Acab (che sposò una principessa di Tiro [1Re 16,31]). Ma la tradizione giudaica e cristiana lo interpreta delle nozze del Re-Messia con Israele, figura della chiesa [confronta Ezechiele 16,8-13, Isaia 62,5, Cantico 3,11; ecc.], e la liturgia estende a sua volta l’allegoria applicandolo alla Madonna e alle sante vergini. Il poeta si rivolge dapprima al Re-Messia (versetti 3-10) applicandogli attributi di Jahve [Salmi 145,4-7, 145,12-13; ecc.] e dell’Emmanuele [Isaia 9,5-6], poi alla regina (versetti 11-17).

Mirra

Aloè (più comunemente aloe in italiano; inglese aloes, ebraico 'ahalim sempre plurale) [Numeri 24,6; Salmi 45,9; Proverbi 7,17; Cantico 4,14; Giovanni 19,39] Aquilaria agallochum, genere di piante perenni appartenenti alla famiglia delle liliacee, alte persino 20m, dal cui legno si estrae una costosa colla profumata. Utilizzata dagli antichi Egizi per l'imbalsamazione, Nicodemo ne portò una mistura mìgma alla sepoltura di Gesù. Dalle foglie carnose dell'Aloe vulgaris si ricava un succo amaro dai poteri medicinali.

Cassia (ebraico kiddah' 'spaccatura') Una delle principali spezie dell'olio santo [Esodo 30,24] e un articolo di commercio [Ezechiele 27,19]. E' la corteccia interna di un albero assomigliante al cinnamòmo (dall'ebraico qinnamon; genere di piante cui appartengono specie che forniscono canfora e cannella [Esodo 30,23; Proverbi 7,17; Cantico 4,14; Siracide 24,15; Apocalisse 18,13]), probabilmente importato dall'India. Nel salmo 45 compare però come ketzi'oth (è anche il nome proprio della seconda figlia di Giobbe [Giobbe 42,14]), un plurale, un essenza profumata utilizzata per profumare gli indumenti, preparata dalla corteccia sbucciata di una qualche specie di cinnamòmo.

Ofir Una regione famosa per il suo oro [1Re 9,28 10,11 22,48; Giobbe 22,24 28,16; Isaia 13,12]. Nella Settanta è tradotta con Sophir, come il nome copto per 'India', che è la traduzione della versione araba, come pure della Vulgata in Giobbe 28,16. Flavio Giuseppe la identifica con il Chersoneso (la penisola Malay). E' oggi indentificata con Abhira, alla bocca del fiume Indo, o, più probabilmente, da qualche parte in Arabia sulle coste del mar Rosso.

Gli iràci e il levitàn

Iraci [Levitico 11,5; Deuteronomio 14,7; Salmi 104,18; Proverbi 30,26] (ebraico shafan, latino chyrogryllius, choerogyllim, erinaciis, lepusculus rispettivamente, inglese rock-badger 'tasso delle rocce') un ruminante [Levitico 11,5 e Deuteronomio 14,7] la cui identificazione non è chiara (come si vede nelle differenti traduzioni della Vulgata!), forse l'irax syriacum. Questi ultimi formano un gruppo a sè posto fra i Roditori e i Proboscidati; simili alle marmotte, hanno piedi anteriori con quattro diti, posteriori con tre, tutti terminanti con piccole unghie a zoccolo; hanno gambe corte e sono senza coda. Sono erbivori timidi e mansueti, la carne è commestibile (e proibita agli Ebrei), morbida e sericea (simile alla seta) la pelliccia, si può anche addomesticare.

Glossario

Midràsh Interpretazione omiletica del testo biblico; termine derivato dalla parola deràsh 'cercare'. Si distingue tra Midrash halachico diretto a definire la legge, il comportamento e la condotta (halachà) e il Midràsh aggadico che ricerca il senso della storia biblica attualizzandola nel racconto omiletico. [Bekhor Shlomo (a cura di), Cantico dei Cantici (ed. DLI) pag. 179]

Omiletico Relativo ad una spiegazione e commento di passi delle sacre scritture per ammaestramento ed edificazione. Da 'omelia' che a sua volta deriva dal greco homilìa 'compagnia, società, conversazione' correlato a hòmilos 'folla, moltitudine'. [Zingarelli XI ed.]


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san Giovanni in Persiceto, 30/VII/2001 (17/V e 15/VI prima bozza del testo)