Le sommosse popolari
La popolazione alessandrina è sempre stata
pacifica, ma, quando non ne ha più potuto dei soprusi, ha reagito con
manifestazioni, a volte anche violente, contro chi
deteneva il potere.
Ad Alessandria si ricordano ancora le sommosse
scoppiate nel '900 e cioè nel 1943, nel 1962 e nel
1968; le dimostrazioni del 1943 e del 1968, però, non hanno avuto come
obiettivo la richiesta di miglioramenti delle condizioni di vita; questo invece
accadde con la manifestazione del 1962. D'altra parte, pochi sanno che anche nel
passato gli alessandrini si ribellarono, basti ricordate
le rivolte del 1647 e del 1850.
Per ricordare le lotte sostenute dai nostri
antenati scriviamo queste brevi note partendo dalla insurrezione
più antica: quella legata alla rivoluzione di Masaniello
E' il 7 di luglio del 1647, quando a Napoli,
sotto la guida di Tommaso Aniello d'Amalfi "Masaniello", scoppiano i
tumulti contro l'esosità del governo spagnolo che, non contento delle già
troppe gabelle, ne aggiunge un'altra sulla
frutta. I rivoltosi al grido di "viva il Re, mora il mal governo"
raggiungono il palazzo vicereale e costringono il viceré, duca d'Arcos, alla fuga per salvarsi la vita. Masaniello viene nominato "capitano generale del popolo di
Napoli", ma è anche l'inizio della fine, perché comincia a dare segni
di pazzia, ecco le parole di un cronista dell'epoca a tal proposito: " grandemente
insuperbito, per vedersi in tanta grandezza che da vilissimo
pescivendolo era quasi divenuto monarca". Ma
il viceré prepara la sua trappola. Il 16 luglio, giorno della festività della
Madonna del Carmine, nella omonima chiesa il cardinale
Filomarino sta celebrando una cerimonia religiosa
che, però, viene interrotta da Masaniello. Su ordine del cardinale, Masaniello viene portato nel vicino convento dei frati. E al monastero giungono anche i congiurati che lo uccidono.
E' la fine di un sogno, ma le notizie di
quanto succede a Napoli raggiungono anche i luoghi più lontani e dovunque le
popolazioni si sollevano e non solo contro il governo centrale, ma anche, e
soprattutto, contro i feudatari che aggiungono prepotenze alla prepotenza
esercitata dal governo.
Ad Oriolo la rivolta ha inizio per opera del Dr. Paolo Vivacqua, che, non
potendo sopportare che il padre fosse stato,
ingiustamente, carcerato, si reca ad Alessandria (del Carretto), Castroregio e a Farneta e
predicando la libertà dall'oppressione del barone, riesce a sollevare queste
angariate popolazioni.
Ad Oriolo, intanto, il Marchese venuto a
conoscenza di quanto sta succedendo decide di rinchiudersi, con alcuni
cittadini a lui fedeli e una squadra di soldati, nel castello. Il 13 dicembre
del 1647, il Vivacqua con i rivoltosi che è riuscito a raccogliere, giunge ad Oriolo e anche il popolo
oriolano lo segue insorgendo. Segue un breve assedio
che finisce quando il Marchese, costretto, si arrende. Solo l'intervento del Dr Francesco Vivacqua, padre del
Dr Paolo, che è stato liberato dal carcere di Noepoli
(Pz), evita il peggio, perché, "s'erano resoluti que' di Alessandria di
toglierli la vita..". Queste notizie ci vengono
fornite da Vincenzo Toscano, autore della già citata "Storia di
Oriolo", che le ha sentite da un testimonio oculare: il padre.
Da queste brevi notizie, si può notare che
sono gli alessandrini a mostrare più odio nei confronti del feudatario e questo
sembra confermare la tradizione che vuole che i primi abitanti di Alessandria fossero persone poco incline a subire
soverchie angherie da parte dell'"utile padrone" e che,
pertanto, dovevano essere allontanate da Oriolo, per ovvi problemi di ordine
pubblico.
La rivolta servì a calmare, almeno per il
momento, le pretese del marchese, che, però, non rinunciò alla vendetta; è lo
stesso Toscano a citare chi dovette subire le ritorsioni e le condanne, anche a
morte, ma non risulta esserci nessun alessandrino!
La rivolta del 1850, invece, scoppia, tra
ottobre e novembre, con lo scopo di costringere le autorità a quotizzare il
demanio. Il giudice circondariale di Oriolo, temendo
che "Nel comune di Alessandria si sta infelicemente riproducendo la
triste scena del 1848", ordina l'arreso di alcuni alessandrini.
Ma questo movimento non è una vera e propria
rivolta contro il governo e di questo si rende conto il giudice istruttore di Castrovillari a cui viene affidato
il caso. Per questo magistrato è la fame a spingere gli alessandrini a
ribellarsi.
La Gran Corte Criminale di Cosenza fa propria
questa tesi e lascia cadere l'accusa di "banda armata"
lasciando solo quella di occupazione di terre
demaniali. Per questa sommossa vennero incriminati ed
alcuni anche arrestati:
Adduci Leonardo; Basile Giuseppe; Benedetto Vincenzo; Chidichimo Giovanni; Larocca
Vincenzo; Mundo Marco; Mazzullo
Vincenzo; Napoli Leonardo "piricellë";
Napoli Alessandro "mahëtiempë"; Napoli Pasquale; Napoli Matteo di
Pasquale; Napoli Vincenzo fu Leonardo; Pittacora
Antonio; Rago Francesco; Rago
Domenico di Vincenzo; Rago Maurizio; Rossi Giovanni fu Giuseppe; Rossi Leonardo di Marcantonio; Vuodo Francesco.
Finisce così l'altra grande
sommossa degli alessandrini, grazie alla quale, nel 1853 i terreni demaniali di
Apitello verranno quotizzati.
Nel 1943 la sommossa scoppia contro gli
amministratori comunali e contro l’arciprete. Anche questa volta la calma viene riportata dalle autorità che promettono di risolvere i
problemi che sono alla base della rivolta allontanando il podestà e l’arciprete.
L'insurrezione del 1962, nasce dall'esigenza
di portare a conoscenza delle autorità lo stato miserevole e di
abbandono in cui è lasciato questo comune calabrese. Anche
Fanfani, nel 1961, in occasione del suo storico
viaggio in Calabria, si era interessato del fatto, impegnando il governo a
stanziare fondi per risolvere i secolari problemi di questo centro montano, ma
senza risultati concreti. I lavori pubblici cominciano, ma vanno a rilento e la
loro fine non si vede. La sollevazione scoppia con la rabbia di chi sa che è
stato da sempre abbandonato a se stesso, ma che alla
richiesta, da parte della Patria, ha sempre dovuto dare tutto, a volte anche la
vita, per correre al suo servizio. E che, come tutti, ha
sempre pagato le sue tasse per essere, però, trattato non come gli altri
cittadini. Alle sacrosante richieste degli alessandrini, da parte
delle autorità che rappresentano lo Stato si risponde, come al
solito con la forza, inviando reparti di carabinieri!
Anche qui, in seguito alla insurrezione,
seguono denuncie da parte delle autorità contro alcuni alessandrini, diciassette
per la precisione, ma anche questa volta la rivolta riesce a smuovere qualche
cosa: due anni dopo Alessandria è visitata dal Ministro dei lavori pubblici Pieraccini.
Ma l'avverarsi di quello che è sempre stato un
sogno, cioè la costruzione della strada, non è un
merito della Nazione; gli alessandrini, con grossi sacrifici, anche personali,
e con pochi mezzi, nel 1955, provvedono a collegarsi mediante una strada
sterrata alla vicina Castroregio.
La strada provinciale sarà,
invece, completata solo agli inizi degli anni '70!
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