nella notte della gogna pubblica.
Filippo Facci
Cos'è questo casino?». La stanza di
Craxi non ha l'affaccio sulla strada. «Chi c'è giù? Cos'è
questo casino?». Il casino è che in tutte le città d'Italia in quel momento
ci sono migliaia di manifestazioni contro di lui, e occupazioni, presìdi,
sit-in, proteste, i centralini del Parlamento e dei quotidiani ingolfati di strepiti,
forze politiche che fanno a gara nell'improvvisare comizi, la sua casa milanese
di via Foppa assediata, Montecitorio circondato di bandiere e cartelli e
striscioni, Piazza Colonna sigillata dalla Polizia come può esserlo un groviera,
commercianti che hanno svuotato le vetrine per protesta, la sedi socialiste e
democristiane dello Stivale presidiate come ai tempi del terrorismo, la sede di
via del Corso irraggiungibile, Nando Dalla Chiesa che a Milano si è arrampicato
su una statua ad arringare i suoi, il missino Riccardo De Corato che si è
ammanettato davanti all'ufficio craxiano di Piazza Duomo dove già' rumoreggiano
centinaia di persone, l'altra missina Cristiana Muscardini che nel frattempo è
a San Babila a comiziare, il socialista Ugo lntini che è stato preso a sassate
durante un'intervista, i verdi milanesi che hanno tirano monete e oggetti
contro
il Psi di Corso Magenta, decine di università che sono state occupate dagli
studenti talvolta con l'appoggio dei rettori, come a Venezia, con il presidente
della Camera Giorgio Napolitano che proprio quel giorno era in visita all'
ateneo di Cagliari così trovando, nell'aula Magna, questo striscione: «Legate
Craxi, sciogliete la Camera». Ecco, succedeva questo. Poi, vabbè, c'è il
presidente dei giovani industriali Aldo Fumagalli che ha chiesto agli associati
di manifestare “contro una delle pagine più nere della storia, un pericolo
per la democrazia» c'è, il cardinal Martini invita i cittadini «alla veglia
dei lavoratori», c’è l’Arci che parla di «scempio delle istituzioni
democratiche», la Lega delle Cooperative di «rischio per la tenuta democratica
del Paese», e comunicati similari di Confartigianato, Confesercenti, varie
associazioni di categoria che si appellano alla «vigilanza» e talvolta a «scendere
nelle strade», metalmeccanici di tutto il paese che proclamano due ore di
sciopero, i liceali che nondimeno manifestano e saltano le lezioni, decine di
comunicati delle Federazioni socialiste di tutt'Italia che invocano la
sospensione di Craxi dal partito - la sospensione del Partito dal Partito, in
pratica -
c'è il
segretario nazionale Giorgio Benvenuto che giura che Craxi non sarà più
rimesso in lista, i giovani socialisti di Firenze che hanno occupato la
federazione locale, il vecchio avversario Pietro Mancini che scrive una lettera
a Francesco Saverio Borrelli dopo aver contribuito all'invio del primo avviso di
garanzia al leader socialista, la creatura craxiana Carlo Ripa di Meana che
indica Dc e Psi come «complici di chi ha spogliato l'Italia» meritandosi
feroci battute d'ambito familiare, circola una foto di Gianni Vattimo seduto a
terra con dei ragazzini delle scuole medie e con appesa al collo la prima pagina
di Repubblica! c'è Repubblica, il titolo più grande della sua storia,
«Vergogna, assolto Craxi», con Eugenio Scalfari che riesce a scrivere: «Dopo
il rapimento e l'uccisione di Moro è il giorno più grave della nostra storia
repubblicana... Forse c'è addirittura un filo nero che lega uno all' altro
questi due avvenimenti». Il filo, per intanto, ha lo spessore di una corda:
Giorgio Forattini la disegna annodata al piede di un Craxi raffigurato a testa
in giù, come a piazzale Loreto. In basso a destra, sul quotidiano di Scalfari,
si annuncia invece un comizio di Achille Occhetto in Piazza Navona, ore 18. L'Unità
ossigenata da Primo Greganti pubblicizza il comizio a pagina 6: «Contro il
vecchio regime e i colpi di spugna», con ItaliaRadio che invita a una presenza
massiccia. Per le strade e nelle piazze, dopotutto, è come se al novantesimo
della finale di Coppa del Mondo avessero negato un rigore alla Nazionale: si è
come se al novantesimo della finale di Coppa del Mondo avessero negato un rigore
alla Nazionale: si legge del postcomunista Gavino Angius che invoca «la
protesta democratica e la lotta degli operai, degli studenti e dei cittadini per
una rigenerazione morale». Sapori antichi. Occhetto, su Raitre, chiama a
raccolta quel che resta dei socialisti: «Unitevi a noi».
Solo
un anno prima implorava Craxi, per iscritto, affinché accogliesse il Pds
nell'Internazionale socialista. I giornali evidenziano un rilevante intervento
dell' allora bancarottiere Carlo De Benedetti («È il colpo di coda del regime»)
mentre Silvio Berlusconi, intercettato vicino all'Hotel Raphael da una sua
emittente, certo non badava ai consensi, non allora: «Sono amico di Bettino da
vent'anni e da amico, personalmente, sono contento per lui: mi sembra che basti.
Che rispetto potrei avere di me stesso, se dovessi voltargli le spalle nel
momento della cattiva sorte?». A Marco Pannella, nel pomeriggio, è andata
decisamente peggio. I missini stavano manifestavano in Via Colonna e lui era
stato visto come un provocatore: «Sei un infame socialista» gli aveva urlato
un tizio; «È colpa tua se mio figlio si droga» gli aveva detto un altro, e
lui, che è Pannella: «Ora che l'ho vista capisco perché l' ha fatto».
Qualche schiaffo, tafferugli, pannellate.
Quel
giorno, 30 aprile 1993, succede anche questo. Ma Bettino Craxi forse non lo
comprende ancora. Forse ha visto solo il Tgl della sera prima, dove il brillante
Luca Giurato, in apertura, aveva parlato del governo Ciampi senza neppure citare
le mancate autorizzazioni a procedere per Craxi che l'avevano quasi ucciso, con
in seguito un fondamentale servizio sul Settuagenario di Gino Giugni e nessuna
menzione per quanto andava montando nel Paese, nessuna percezione di una
tensione sociale che si era alzata come non accadeva da lustri. Il primo ad aver
capito che cosa stava succedendo, al solito, era stato come Emilio Fede, anche
se a saltare in groppa i fatti avrebbe fatto in tempo solo Enrico Mentana sul
Tg5. Forse Craxi non l'aveva visto, forse non aveva letto neppure i giornali: si
era perso i raggelanti editoriali di tutti i quotidiani (impossibile citarli
tutti, ma ne varrebbe la pena) e forse neppure aveva letto la stampa
internazionale lo spazio inusitato dedicato al suo caso, il supplemento di El
Paìs titolato «Porca Italia», persino l'agenzia Nuova Cina che lo
aveva menzionato. Il voto del Parlamento dopo tutto aveva provocato una
ripercussione negativa sui mercato finanziario, con la lira che a New York era
colata a picco sul dollaro e sul marco. È lo stesso clima in cui Borrelli, di lì
a poco, in un'intervista al Grl, si sentirà autorizzato a stimolare la pubblica
delazione: il cittadino può rivolgersi alle autorità «presentandosi come
confidente, la sua identità non verrà rivelata». Poi smentirà e spiegherà
che delatore e confidente sono termini diversi, non è la stessa cosa. Il
procuratore capo, circa Craxi, aveva già chiarito che «La decisione del
Parlamento sembra studiata per sottrarre Craxi a una prospettiva di condanna».
Aveva annunciato un ricorso alla Corte costituzionale. A Palazzo di Giustizia,
intanto, il procuratore generale Giulio Catelani stava parlando con la stampa
straniera: «La nostra è una rivoluzione legale, e quando si fa una rivoluzione
non si torna indietro».
«Cos'è
questo casino?». Craxi intuisce che qualcosa non quadra circa alle sei del
pomeriggio. «Perché non li cacciano?». A Largo Febo, dove c'è l'Hotel
Raphael in cui dimora dagli anni Settanta, riecheggia l’audio dei comizianti
di Piazza Navona: è distante poche decine di metri. Si erano sentite le note di
La storia siamo di noi e le voci di Giuseppe Ayala e Francesco Rutelli,
poi di Occhetto. Il cielo si sta abbrunendo e intanto davanti al Raphael c’è
sempre più gente, affluiscono da Largo Zanardelli, dal comizio. Craxi chiama
tre volte la segretaria Serenella Carloni che altrettante volte chiama Vincenzo
Parisi, il capo della PoÌizia, il quale tranquillizza e rassicura. Non è
assolutamente chiaro come possano aver concesso una piazza antistante la
residenza di Craxi proprio in un giorno come quello., ma cosa fatta capo ha.
Peccato che la situazione si stia facendo angosciante, anche se tra i primi
poliziotti che accedono dentro e fuori l'hotel è palpabile una certa
insofferenza, un paio sono in borghese e passeggiano nella hall con le manette
alla cintola come neanche Pecos Bill. Forse sarebbe bastato bloccare le vie di
accesso all’albergo, ma ormai è tardi. La folla s’ingrossa. E fa casino. Si
sente una specie di boato: è finito il comizio e Occhetto ringrazia. Craxi
anche. Arriva il grosso della gente
arginata da due cordoni di celerini e tre blindati in tutto, con un militante
della Rete che distribuisce volantini anche ai poliziotti. La proporzione delle
forze è ridicola. Dall'Hotel esce Bruno Vespa che ha intervistato Craxi. Il
Tg2, exTelegarofano passato ad altri lidi, viene rispedito al mittente: "Ditegli
di invitarmi a Pegaso» ironizzaCraxi. Là fuori intanto sono arrivate anche
frotte di fotografi e cameraman. È quasi, buio e la folla grida, grida
continuamente: «Sei fi-ni-to, sei fi-ni-to», «In ga-le-ra, in ga-le-ra», ,
«su-i-ci-dio, su-i-ci-dio», «Bettino, Bettino, il carcere è vicino». I
poliziotti, nella hall, hanno perso quella certa arietta di sufficienza e forse
cominciano a temere di non poter controllare la situazione. Nicola, l'autista di
Bettino, fa da tramite tra loro e il suo leader che è sempre chiuso nella sua
stanza. Un tizio in borghese prova con Luca Josi: «Dovete convincerlo a uscire
dal retro». In effetti c'è una' piccola uscita, sul retro, assolutamente
anonima: sbuca in una vietta che dà su Via dei Coronari. «Se vuol provare a
dirglielo lei…» risponde Josi. Si sente un botto: è Craxi che ha dato un
calcio alla porta dell'ascensore. Si si mette a posto la cravatta e si
avvicina a un gruppo di turisti: «Scusate per tutto questo casino». Gli andava
sempre il sangue al cervello per un niente, ma poi, nei momenti difficili,
recuperava una freddezza animale. È imbarazzato, gli dispiace anche per il
suo Raphael, ne era sempre stato l'orgoglio, è imbarazzato per quegli ospiti
stralunati che sono seduti nel salottino; uno sguardo verso la porta'a vetri: «Non
vogliono la mia fine politica, vogliono la mia fine e basta, vogliono il rogo.
Andatevi a rileggere la Colonna Infame». Ha un appuntamento con Giuliano
Ferrara previsto per le venti, deve registrare un'intervista che trasmetteranno
a metà serata su Italiauno. Con lui, al solito, c'è Luca Josi che sta
scrivendo appunti sui suoi quadernetti. «Io la capisco, la piazza -dice
Craxi -ma non mi devono parlare a nome della gente, la gente deve avere un nome
e un cognome. Il problema è chi sta sul palco, non chi sta nella piazza. Se io
sono un ladro, loro, allora, sono ladri e bugiardi». Parla degli ex
comunisti, ovviamente. «Io non faccio come quei segretari che fanno finta di
niente, che vengono dal paese dei balocchi. I finanziamenti ci sono stati,
abbiamo commesso degli errori, ma per me è ancora più immorale chi
prevedeva finanziamenti dal blocco politico che era awersario del nostro paese,
dal Pcus, dal Kgb». Il capetto dei poliziotti fa un altro tentativo: «Dovete
convincerlo a uscire dal retro». Craxi nel frattempo si è avvicinato alla
vetrata con un sorriso ne beffardo, ha attraversato il nugolo dei poliziotti
che si è aperto come le acque di Mosè. «Dice che dovresti uscire da dietro»,
fa Nicola. Craxi si volta di tre quarti, non guarda nemmeno il capetto, cambia
solo inclinazione della faccia, chiede: «La macchina è pronta?». «Sì»,
«Bene». Una pausa. «Allora andiamo». Carica la giacca blu sulla spalla e un
poliziotto si precita alla porta, passa Craxi
e dà un altro calcione tipo Saloon, è fuori, è un boato. La sera è
illuminata a giorno da flash e faretti, a guardarla in televisione sembra un
primo pomeriggio, eccolo, eccoli, salgono sulla Thema marroncina, Nicola alla
guida, il fotografo Umberto Cicconi affianco, Craxi e Josi dietro, e volano urla,
sassi, monetine, accendini, pacchetti di sigarette, un ombrello, Cicconi
sanguina alla testa, Josi si è preso qualcosa
in
un occhio, Craxi niente, sorride,
è pazzo, e intanto sono pugni sul vetro, colpi di casco e sacchetti di sassi
sulla carrozzeria, non c'è filtro tra l'auto e i dimostranti, i poliziotti sono
tutti spersi o travolti, via, si parte, via, Craxi sorride ancora rivolto al
finestrino, «tiratori di rubli» gli mormora.
Più.
tardi le auto arrivano al Centro Palatino di Canale5 che sono esattamente le 20
e 18. Ci sono fuori dei ragazzi, aspettano che alcune smutandate escano da un
programma di Gianni Boncompagni. Ecco, riconoscono Craxi, d'accapo: ladro,
ridacci i soldi, solita storia. Entrano le auto, scende lui: «C'è in giro un
po' di squadrismo» dice ai giornalisti. Ora è proprio buia, non c'è più. un
filo di luce. L'intervista con Ferrara non avrà molto ascolto, ormai il cono
d'ombra è di un nero siderale. Andrà assai meglio, sui Raitre, una strana
puntata di Babele, teorica trasmissione di libri in cui Corrado Augias
inscenerà una sorta di processo craxiano rappresentato dalla seguente accusa:
Vittorio Feltri, Sandra Bonsanti e Paolo Flores D'Arcais. La difesa: Ugo Intini.
E basta. Chissà chi ha vinto. Seguirà semirissa al Costanza Show: Umberto
Bossi, Gianfranco Fini, Francesco Rutelli, Giuseppe Ayala e altri garantisti.
Il titolo del Resto del Carlino del giorno dopo: «Craxi assediato, fa la
vittima». Un frammento del Corriere della Sera: «L'hotel Raphael era un
fortino inespugnabile». Era il 30 aprile 1993 e Bettino Craxi vivrà comunque
sino al nuovo millennio, sino al 2000, ma lo farà come una di quelle stelle di
cui s'intravede una luce che è di un altro tempo. Si spense quel giorno.