Storia dell'abitato

Sono purtroppo poche le fonti pervenuteci riguardanti la storia di Case Nuove e lo sviluppo del suo territorio nei secoli scorsi.

L'origine di Case Nuove risale all'anno 1590. In quell'anno i Visconti, signori di Somma Lombardo, fondarono ai margini della brughiera detta "Gradenasca" (brughiera a gradinate), una colonia agricola che chiamarono "Cassina Case Nuove". La struttura originaria consisteva in un fabbricato a due piani di forma irregolare, costruito attorno ad un ampio cortile. I primi abitanti di Case Nuove erano fittavoli: si trattava di 4 famiglie per un totale di 26 persone, che erano giunte in quel luogo, sito in mezzo alla brughiera, pronte a dissodare la stessa per coltivarne foraggi ed alberi da frutta. La brughiera deriva il suo nome dal brugo, l'erica, la Calunna Vulgaris. Questa vegetazione è tipica di terreni molto aridi ed acidi, con un sottosuolo ciottoloso. Le carte del 1723, del catasto di Maria Teresa, conservate all'Archivio di Stato di Varese, ci mostrano con evidenza che quasi in tutto il territorio circostante Case Nuove, la brughiera rappresentava l'elemento dominante dell'orografia del suolo. La brughiera occupava praticamente l'intero territorio e si distingueva in brughiera e brughiera boscosa. Infatti, il tecnico del Governo Austriaco, geometra Giovanni Triebi, giunto in questo luogo, sito nel Comune di Somma Lombardo, "in occasione della misura generale del Nono censimento dello Stato di Milano principiato il giorno 13 Maggio e terminato il giorno 25 Agosto dell'anno 1723", aveva redatto un documento dal quale risultavano ben 711 pertiche milanesi di brughiera boscosa e 389 di brughiera, di cui 137 di proprietà del marchese Gian Galeazzo Visconti (Tavole Censuarie del Catasto Maria Teresa. Agosto 1723). Alla Cassina Case Nuove lo sviluppo dell'attività agricola, che comprendeva la coltivazione del grano, del fieno e frumento, delle viti, dei gelsi per l'allevamento del baco da seta, procedeva molto lentamente a causa dell'aridità e della scarsa fertilità del terreno, che richiedeva tempi molto lunghi di dissodamento e di trasformazione. Analizzando una carta d'epoca del territorio circostante Case Nuove, si nota che il dissodamento delle terre incolte veniva praticato  negli appezzamenti vicini agli abitati, probabilmente per questioni economiche legate all'irrigazione dei medesimi. I nuclei abitati erano immersi nella brughiera e la loro estensione era limitata e compatta. Infatti la popolazione di Case Nuove rimase stabile per circa un secolo. Il problema del dissodamento e dell'irrigazione i questi terreni fu senza dubbio la causa del mancato sviluppo dell'abitato. L'aumento della popolazione si ebbe in rapporto all'aumento delle terre bonificate. Il dissodamento delle brughiere fu sempre oggetto di studi e ricerche sin dai secoli XVI e XVII. Ma fu solamente nel 1770 che in Lombardia venne pubblicato l'editto, datato 10 Giugno 1779, e poi l'editto 6 Settembre 1779, in nome di Maria Teresa Imperatrice, che si proponeva per la prima volta di risolvere il problema agricolo e sociale delle brughiere. Con l'editto del 1779, si ordinò che tutte le brughiere ed i terreni incolti di proprietà dei comuni dovessero essere venduti ed i compratori dovessero impegnarsi  a rendere gli stessi fertili.

"Le brughiere e gli altri fondi incolti segnatamente paludosi posseduti dalle Comunità, che non sono situate nella parte montuosa dello Stato di Milano, dovranno alvenarsi a chi avrà fatto migliore oblazione nel calore dell'asta [...] I compratori dei fondi non potranno acquistarli che sotto l'obbligo di doverli ridurre a coltura  entro il termine e sotto quelle condizioni e patti che saranno convenuti all'atto del contratto di vendita. Il genere poi della cultura sarà lasciato in pieno arbitrio del compratore, il quale si intenderà aver soddisfatto l'assunta obbligazione anche col ridurre i fondi medesimi a bosco." (Archivio di Stato - Milano, Fondo Acque P.A., Cart. 6).

Alla fine del Settecento, i terreni incolti erano di proprietà delle famiglie nobiliari e delle Comunità. Il Comune di Somma Lombardo possedeva oltre 5000 pertiche, delle quali ben 1100 si trovavano sul territorio di Case Nuove (Archivio di Varese, Tavole Censuarie del Catasto Maria Teresa). La pubblicazione dell'Editto del 1779 contribuì al frazionamento dei latifondi e, nello stesso tempo, favorì la nascita di iniziative private volte alla bonifica di queste terre, nel tentativo di ricavare dalle stesse coltivi e boschi. Così, alla fine del XVIII secolo, circa duecento anni dopo la fondazione di Case Nuove, il bustese Gian Battista Tosi, proprietario di alcune brughiere nel territorio di Somma Lombardo, comprò  da numerosi privati altri appezzamenti di terreni incolti, estendendo le sue proprietà ai comuni di Cardano e Casorate. I terreni così raggruppati erano suddivisi in tre appezzamenti: il più grande, di forma rettangolare misurava 180 ettari, si trovava a circa 10 km da Gallarate (Stefano Calcaterra, "La Malpensa - Bonifica Tosi e diretto dominio di Alessandro Manzoni", estratto da "Rassegna Storica del Seprio", vol. III, anno 1940). Fu proprio in questo luogo, chiamato Malpensa, che Tosi diede inizio alla bonifica dei terreni. Intorno all'anno 1789 incominciarono anche i lavori di costruzione della Cascina Malpensa. Sulla mappa del Cessato Catasto è rappresentata come un enorme fabbricato a forma rettangolare, con un grande cortile interno. Il fabbricato, costruito due piani fuori terra, contava circa 90 locali, tra abitazioni, stalle, fienili e portici. Ospitava 24 famiglie di coloni ed era dotato di un pozzo profondo 70 metri. Il cascinale era ubicato al centro di detto podere. Dal cortile interno si diramavano due strade poderali, che attraversavano i campi e collegavano la cascina agli abitati limitrofi e alle strade vicinali e provinciali. L'intera proprietà era chiusa tutt'intorno da una fascia di bosco castanile da taglio, quasi a delimitarne il confine. Il terreno era tutto aratorio, suddiviso da filari di gelsi, di viti e piante da frutta. Con la morte di Gian Battista Tosi la proprietà passò ai figli Carlo e Luigi. Nell'anno 1822 Luigi, canonico di S. Ambrogio Maggiore in Milano, comprò dal fratello la metà della proprietà e nel 1839 vendette l'intero podere a Luigi Galbiati. Negli anni successivi la cascina subì diversi passaggi di proprietà . L'ultimo proprietario fu l'avvocato Casanova. Nell'anno 1832 il Governo Austriaco espropriò i terreni della Gradenasca e li destinò a campi per le esercitazioni militari. Nel 1886 il podere ed i fabbricati furono espropriati dal Ministero della Guerra Italiano. La cascina fu destinata dal Governo del Regno a diventare Caserma di Cavalleria, adatta alle esercitazioni militari delle truppe a cavallo, grazie anche alla sua posizione strategica in mezzo alla pianura. All'interno del podere, l'operazione di bonifica venne sospesa, si assistette ad un impoverimento del fondo e le famiglie che abitavano nella cascina furono trasferite a Bellaria, a Case Nuove ed alcune a Somma.

La Cascina Malpensa

La Bonifica Caproni: un omaggio dell'aeronautica all'agricoltura

Tratto da : Federico Caproni, "Primi risultati di una bonifica in brughiera". Memoria letta alla Regia Accademia dei Georgofili di Firenze, 11 Aprile 1937.

"Nella primavera del 1909 mio fratello ed io, stavamo costruendo in Arco, nel Trentino, un aeroplano. Si accarezzava la speranza, tradottasi più tardi in realtà, che quel nostro apparecchio potesse il primo, di concezione e costruzione completamente italiane, a librarsi nell'aria, ma non si sapeva ancora dove avremmo potuto trovare una larga distesa di terreno, sgombra da alberi, adatta per provarlo. Attorno a noi non vi erano che campi alberati e, per giunta, rinchiusi fra alte montagne. Vi era di peggio. Su tutto sovrastava l'Austria, che noi, ancora irredenti, non amavamo. Per questo si auspicava che il volo potesse essere spiccato partendo da un lembo di Patria già redento. Ci demmo subito alla ricerca di un campo di prova entro i vecchi confini del Regno. Le prime trattative si conclusero in Piemonte. Si trascinavano già da qualche tempo, quando in treno, fra Alessandria e Milano, appresi dai giornali la traversata della Manica di Bleriot. Alla notizia provai l'impressione che il terreno venisse a mancarci sotto i piedi. Tanta è la fretta che si ha da giovani ! Dopo altri mesi perduti infruttuosamente - le pratiche andavano per le lunghe perché si voleva l'uso gratuito del terreno e, per di più, cercavamo quattrini, sotto forma di azioni - un compagno di università , milanese, ebbe la felice idea di suggerirmi la Cascina Malpensa come il luogo meglio indicato per le nostre esperienze. Si trovava nell'alto Milanese, a nove chilometri da Gallarate, sperduta in una brughiera. Veniva adibita alle esercitazioni annuali della cavalleria e dell'artiglieria ed era di proprietà del demanio militare. Dipendeva dal Comando del Corpo d'Armata di Milano. Si ottenne con facilità il permesso di provarvi l'aeroplano. Fu quello lo svolto decisivo della nostra vita. Ci portò in un ambiente che fin'allora non avevamo sospettata l'esistenza. Giunti al ciglione che chiude la "brughiera grande" verso Gallarate, i nostri occhi spaziarono per la prima volta su di una pianura desertica, dall'aspetto contrastante in pieno con quello vario del paese da cui provenivamo, paese sovrappopolato di contadini, sfruttatori di ogni minuzzolo di terra. Dalla vista piana emergeva un unico fabbricato, di forma quadra, grande, semi abbandonato. Addossammo ad esso il nostro capannone di legno. Poche settimane dopo le prove ci diedero la certezza che avevamo loro richiesta e insegnarono a noi e agli altri che il modo migliore di utilizzare quelle brughiere era quello di servirsene come magnifici campi naturali di aviazione. Ai primi voli, ai primi successi, seguirono gli immancabili contrattempi. Il nostro soggiorno in brughiera, preventivato di qualche settimana, si protrasse a lungo. Durò tanto che io ci sto ancora ! Nelle lunghe sere del primo inverno passato colà, il vecchio custode dell'immobile militare ci raccontò la sua storia e quella dell'insolito ambiente che ci albergava. Apprendemmo con sorpresa che ancora nel 1880 alla Malpensa si esercitava un'agricoltura fiorente. Il nostro narratore era stato l'ultimo agente di quell'azienda che per molti anni, aveva dato da vivere a ventiquattro famiglie e nella quale si produceva foglia di gelso bastante ad allevare trentacinque oncie di seme bachi. Dentro e ai lati dei 65 ettari di terreni arati, disposti attorno al fabbricato, campeggiavano grandissimi ciliegi che davano frutti abbondanti. La vigna, presso la casa, produceva un buon vino. Al nostro arrivo, come ho già detto, di tutto ciò non era rimasta neppure l'ombra. Da per tutto dominava l'incolto."

Era la primavera dell'anno 1909 quando i fratelli Gianni e Federico Caproni arrivarono per la prima volta alla piana della brughiera della Gradenasca. Affascinati da questo luogo desertico e semi abbandonato dall'aspetto contrastante con quello vario del paese dal quale provenivano, decisero che era il sito ideale per i loro esperimenti di aviazione. Nel 1910, la Cascina Malpensa ospitava i primi allievi della scuola di aviazione. Nello stesso anno i fratelli Caproni si trasferirono a Vizzola Ticino e lì costruirono i capannoni dell'industria aeronautica. Il campo di aviazione divenne, grazie al primo esperimento di volo effettuato nel maggio del 1910, la scuola aerea più importante del Regno e fu riconosciuta anche oltre i confini della nazione. Le prime costruzioni delle Officine Caproni sorsero lungo la strada tra Somma e Tornavento, "su di un appezzamento di brughiera preso in affitto".

"Durante la guerra comperammo Vizzola, una proprietà di 275 ettari. Più tardi con altri acquisti, compreso quello della ex Colonia, prima della Umanitaria e poi dei Borletti, raggruppammo 400 ettari così ripartiti: 100 ettari di terreni coltivati, di cui 7,71 in valle del Ticino irrigui; 200 ettari di brughiere, per un ottavo utilizzate dal campo di aviazione; 100 ettari di boschi, per oltre otto decimi a ceduo, il resto a pineta. E' su questi terreni che ho condotte le esperienze, sulle quali mi è stato accordato l'onore di intrattenervi."

Le officine Caproni: il campo di volo

Così, Federico Caproni, stanco di vedere attuata un'agricoltura tradizionale basata sull'alternanza granoturco - segale, decise di intraprendere su questi terreni un'epoca di trasformazione agraria, che come egli affermava, sarebbe apparsa più tardi, quasi in omaggio dell'aeronautica all'agricoltura.

"...Per prima cosa feci le strade e triplicai la dotazione dell'acqua potabile. Essa viene sollevata meccanicamente da una profondità di 70 metri. I vecchi fabbricati, dalle poche finestre, che nei tempi di maggior affollamento avevano albergato fino ad otto, dieci e più persone per locale, in ampi stanzoni senza soffitti, erano ridotti in condizioni deplorevoli, cominciando dai tetti. Nelle cucine, poste a pian terreno, spesso buie non c'era che un focolare primitivo. In alcune mancava perfino il pavimento o, per dir meglio, l'avevano di terra battuta. Non si conoscevano latrine. Le scale d'accesso ai piani superiori, di legno erano malconce e pericolose. Sull'intero paese incombeva un'incuria secolare. Feci conto di dover rifare tutto da capo a fondo. Misi sotto sopra ogni cosa. Non rispettai che i muri perimetrali e non sempre anche questi. Portai le concimaie fuori dal paese, riunite in unico luogo per meglio sorvegliarle. Separai le abitazioni dalle stalle e dai fienili. Distribuii le abitazioni e le stalle in quattro punti del fondo: tre in alto e uno in basso. Nel paese accentrai i magazzini, il caseificio, il mulino, le officine di riparazioni, i ricoveri delle macchine, le serre, i locali destinati alla pollicoltura, la scuola ecc. Trovai il modo di procurarmi capriate, travi di legno e di ferro, tegole, porte, finestre,vetri ecc. a condizioni molto buone, approfittando delle demolizioni che in quegli anni si facevano a Milano di edifici pubblici ancora in buono stato di conservazione quali la dogana, la caserma dell'artiglieria a cavallo, la stazione centrale, il macello civico, la Galleria Decristoforis, e di case civili e di stabilimenti cadenti nel nuovo piano regolatore. Mi è tornato pure utile il concomitante abbassamento del costo del trasporto delle merci con automobili. Con due lire e mezzo, al massimo tre, al quintale poco più dei noli che si pagavano qualche anno prima dalla stazione ferroviaria più vicina al paese, feci trasportare decine di migliaia di quintali di materiali, da piè d'opera a Milano a piè d'opera Vizzola. Costruii ex-novo più di due terzi di tutti i fabbricati oggi esistenti, occupanti 127.541 metri cubi, l'altra fu riattata a fondo. Di pari passo con i lavori edilizi procedettero quelli culturali. Scomparvero i 200 ettari di incolti trasformati: 26 in campo di aviazione; 30 in boschi ad alto fusto, e 144 in campi coltivati (seminativi).

La fase del dissodamento. Il disboscamento.

Prima di procedere al dissodamento del terreno furono tagliate le piante, rimosse le radici e sgombrate tutte le sterpaglie, impiegando in questi lavori circa 750 ore per ettaro. Il dissodamento a 50 cm. di profondità, fu compiuto con manovomeri trainati da trattrici Pavesi. Il rendimento medio di lavoro per trattore è stato di due terzi di ettaro per ogni giornata lavorativa di 10 ore. Al dissodamento seguì la calcitazione in ragione di 60 quintali di calce per ettaro. Essa fu estesa a tutti i terreni coltivati. S'impiegarono 15 mila quintali di calce. Dalla carta acidimetrica del fondo risulta che i terreni coltivati da secoli non sono meno acidi degli ultimi dissodati. Forse sulle culture, almeno su quelle dei miei terreni, più che la diversità della composizione dei terreni stessi, agisce lo spessore dello stato coltivabile, così almeno mi sembra di poter giudicare mettendo a raffronto i risultati della produzione dei singoli appezzamenti e i coefficienti di bibacità , attribuiti agli stessi appezzamenti col metodo di Muntz. Circa l'avviamento a coltura devo distinguere tra i terreni a brughiera nuda e quelli a brughiera cespugliata. Dove prima c'era stato del bosco si è perduto più tempo nella sistemazione dei terreni, ma, in compenso, ancora nella primavera dell'anno successivo a quello di dissodamento si seminarono patate, ed in autunno frumento. Colle brughiere nude la faccenda è andata più per le lunghe. I primi venti ettari di esse, ad esempio, nel primo anno furono dissodati, dicioccati e riarati con un trivomere. Nella primavera successiva seminati a lupini, sovesciati in giugno. I lupini erano di due varietà: una alta con fiore azzurro, l'altra nana, proveniente dall'Italia Meridionale. I primi diedero buoni risultati, gli altri no. A settembre fu seminata la prima segale che venne male e fu rovesciata. In primavera si ritornò ai lupini della qualità buona e finalmente in autunno si entrò in rotazione. I boschi di latifoglie furono allevati ad alto fusto per farne pascoli ombrosi al bestiame. Vennero piantate 170.000 piantine di varie essenze forestali, fra i quali 72.000 di conifere, in maggioranza pini silvestri, tolti dal campo di aviazione, 10.000 roveri, 7.000 pioppi del Canada, questi in valle; il resto ontani, frassini ecc. ..."

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Alcuni frammenti di storia raccontati di cittadini che hanno da sempre vissuto a Case Nuove

"... Ai tempi dei marchesi, nella metà del XVIII secolo, i Casenovesi che vivevano a Case Nuove e Bellaria, oltre a pagare l'affitto delle terre, dovevano lavorare un giorno al mese gratuitamente per i marchesi proprietari del feudo. Inoltre, erano obbligati, sotto Natale, a portare ai loro feudatari un pollo, che doveva raggiungere un certo peso. Se il pollo risultava essere troppo leggero, erano costretti a portarne due."

Ul Foss del Panperdu

"Il fosso del Panpeduto era un canale scavato per irrigare i campi. Il fossato partiva dal Ticino, presso Maddalena, ed arrivava sino a Tornavento. Non venne mai utilizzato, e fu per questo motivo che prese il nome di Foss del Panperdu"

La ferrovia a cavalli

"La ferrovia a cavalli era una strada a forma di conca. Sul fondo di questa strada vi erano dei tralicci di legno, sui quali venivano trainati i barconi da Tornavento a Sesto Calende."

"... Alcuni cittadini narrano che, durante la Seconda Guerra Mondiale, le truppe tedesche avevano costruito una pista per il ricovero degli aerei militari bombardieri. Questi ricoveri erano tre e sorgevano uno vicino alla chiesa; un altro a sud di Case Nuove ed il terzo a nord. A sud di Case Nuove, confinante con la Cascina Malpensa, sorgeva l'accampamento delle truppe. Prima della fine della guerra i tedeschi volevano distruggere la pista, facendola saltare con delle mine. La popolazione intervenne presso il comando convincendolo a non attuare il piano. I cittadini allora tagliarono la pista, rompendola in più parti, per renderla inagibile. Le truppe tedesche portarono via gli aerei e Case Nuove venne risparmiata dai bombardamenti. La pista rimase così fino all'arrivo della S.E.A., che ne espropriò le terre."

"... In un sito chiamato Muntecc si trovava una cappellina dedicata alla Madonna; sul cui altare vi era una lastra di marmo raffigurante la Vergine Maria con in grembo il Bambino Gesù. La cappellina era meta di preghiera e di sosta per coloro che passavano in quel luogo. Durante la battaglia di Tornavento, nell'anno 1636, e nei giorni successivi, la cappellina venne distrutta ed anche la lastra di marmo venne danneggiata. La lastra di marmo venne poi ritrovata nel bosco di Muntecc dagli abitanti di Case Nuove e riportata al paese. Gli abitanti, devoti alla loro Madonna, la collocarono sulla parete del cortile interno della cascina, perché tutti la potessero venerare. In seguito, venne poi sistemata sulla parete sinistra della chiesetta dedicata a S. Margherita V. M. di Case Nuove, dove si trova ancora."

Il "Circolo"

Nel 1918 nel centro abitato nasce una Società Anonima Cooperativa Edilizia della Cascina Case Nuove. L'edificio, che attualmente ospita la Birreria Samarcanda, viene comunemente chiamato "Circolo" e costituisce uno dei luoghi di ritrovo più frequentati della frazione.

Il forno e la fontana

Il vecchio forno pubblico poi adibito alla sede della Società Sportiva Virtus e la fontana, utilizzata come lavatoio dagli abitanti di Case Nuove, sono stati demoliti per lasciare spazio all'acquedotto ed al Monumento dei Caduti.

La via Moreno

Prima della guerra i muretti di recinzione della via G, Moreno erano rifiniti con cancellate che vennero fatte tagliare da Benito Mussolini quando necessitava ferro per la produzione di cannoni.

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