Slivers

Ho titolato questo post “slivers”, si schegge…schegge del mio vissuto che sono improvvisamente saltate all’attualità della memoria...

 

Ho vissuto un’infanzia bellissima, senz’altro il periodo più bello della mia vita. Un’infanzia trascorsa prevalentemente nelle campagne adiacenti alla casa dei nonni. Godevo di una grande libertà ed avevo un grande carisma, una grande capacità di trascinare i miei coetanei. Era il periodo delle “bande”, un po’ come i famosi “Ragazzi della via Paal” di Molnar Ferenc ed io, ero il capo, il “genio” geniere. Ero davvero una peste. Orgoglioso, rispettato, ero l’inventore delle nuove armi che servivano a combattere i nemici delle “bande” vicine. Pensate, una volta ideai con un rottame di un sidecar e due bidoni “stabilizzatori” dalle parti, una zattera-battello, per traversare il fiume ed andare a combattere i “nemici” della banda rivale, sull’altra sponda del fiume, mentre questi con le fionde ci bersagliavano dall’alto con sassate che alzavano lunghe colonne d’acqua. Se qualcuno ne avesse presa una in testa, poteva considerarsi fortunato se finiva all’ospedale.

 

Ricordo che una volta realizzai quello che chiamavo poi “il bazooka”. Un tubo di ferro lungo circa due metri con un rudimentale arco legato ad una estremità, che utilizzava come dardi delle frecce ricavate da stecche d’ombrello ed appuntite alla molatrice del mio povero nonno. Così mentre uno mirava tenendo sopra la spalla il tubo di ferro, l’altro  tirava l’arco con tutta la forza che aveva. Siccome tirare con l’arco è generalmente difficile (figuriamoci con i nostri archi artigianali), diventava così molto più facile, per l’effetto stabilizzatore sulla traiettoria della freccia, esercitato dal tubo. Un aggeggio pericolosissimo. Ricordo che le freccie, una volta conficcate in una tavola di legno utilizzata come bersaglio, non si riusciva poi ad estrarle più, tanto erano penetrate in profondità!

 

Vi risparmio poi i racconti delle sfide fatte con le fionde di mia concezione, appostati agli angoli delle cantonate, dei sobborghi di campagna, con i sassi “scelti” fra quelli a più alta densità che chiamavamo “ferrugginosi”, per il loro colore metallico, che fischiavano davvero come pallottole nell’aria. Questo sono stato io, un ragazzo di strada, pestifero e geniale al contempo che con la propria capacità d’iniziativa, trascinava gli altri, quasi tutti gli altri.

Come diceva sempre mio zio, con trentacinque anni  più di me, ancora un ragazzino quando passarono dalle nostre parti le truppe alleate, se mi fossi trovato al suo posto in quel periodo, non ne sarei uscito vivo. Credo proprio che avesse ragione da vendere.

 

Si in realtà ho goduto davvero di molta fortuna ed a parte gli immancabili vetri rotti e gli innumerevoli lividi, non mi è mai successo niente di grave.

 

Questo ero io. Fino a che un giorno, capii che una ragazzina, 2°, 3° media? Non ricordo, mi piaceva da matti… Le fionde non servivano più e tutto quel magico mondo di fieri guerrieri, scomparve all’improvviso. Quegli occhi neri, profondi, le lunghe trecce che le cadevano sul grembiule bianco, come ancora ricordo, in un istante, spazzarono via tutto. In un istante mi fecero capire che il fiero ragazzino non c’era più e quello che vedevo riflesso ogni mattino nello specchio, diventava ogni giorno di più, un uomo….

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