L'Arte del rimorso

In principio era la caccia. Il cacciatore che abitava la nostra preistoria, questo nostro antenato, di cui siamo gli eredi nei millenni che faceva cadere in trappole gigantesche i mammuth, che spingeva astutamente branchi di cavalli selvaggi nei baratri, che colpiva a morte bisonti e cervi con lance acuminate dalle punte di selce e d'osso, che viveva in un universo misterioso e terrificante.
 
La natura, con i suoi monti, i suoi fiumi, i suoi ritmi vegetali di fiori e foglie cadute, era ancora per lui un geroglifico oscuro, fatto di ombre e distanze, un luogo da popolare di miti e di favole. Ma questo universo, apparentemente arbitrario e nebuloso, era retto da leggi, da regole, che sembrano riaffiorare negli usi e costumi di quei popoli come gli aborigeni australiani o i boscimani, che vivono ai margini della nostra civiltà e che sono praticamente fermi in una dimensione senza storia, cristallizzati in un’età parallela a quella della pietra.
 
La risposta del cacciatore preistorico all'enigma al mondo che lo circondava, è stata l'arte, un'arte animalistica, fiorita nelle serre calde delle grotte che nasce ben trentamila anni fa! Nelle grotte, immense cavità notturne, viscere delle montagne, labirinti e cripte di animali sotterranei, cominciano a comparire, opera di artisti primordiali, sulle pareti umide e accidentate, sulle volte, talora immani, delle tracce, i primi segni dell'uomo. Al principio sono dei graffi nell'argilla, dei solchi tortuosi, mappe dell'immaginazione turbata, emblemi astratti di una interazione triplice tra la mente, la mano e la materia. Poi, a poco a poco, come condensandosi sulla superficie di una coscienza estetica collettiva, si delineano delle immagini di animali. Cavalli, colti nell'estasi del salto, bisonti, fulminati dalla morte o congelati nell'impeto della carica, cervi, rinoceronti e mammuth. Bulldozer di muscoli, tanti animali, uno zodiaco meraviglioso, impareggiabile per realismo e sintesi organica, si insedia nelle grotte della preistoria, a costituire una delle più straordinarie epopee visive dell'uomo.
 
Dal Trentamila al Diecimila avanti Cristo nasce, raggiunge l'apogeo e tramonta la grande parabola estetica dei cacciatori, artisti raffinati, che hanno inventato e usato, le tecniche più progredite di resa visuale. Sorge spontaneo il quesito del perché il cacciatore preistorico abbia popolato le sue grotte con queste raffigurazioni. La domanda non ha mai ricevuto una risposta che fosse pienamente soddisfacente.
 
Per alcuni, l'arte del cacciatore preistorico è l'espressione di un esorcismo, è un atto liturgico e sciamanico, una evocazione. Per la magia, legge fondamentale, il simile evoca il simile. Il cacciatore che dipinge un bisonte entra in sintonia con l'animale reale, lo attrae in un vortice di corrispondenze, e se colpisce l'immagine, con una lancia, colpisce anche, abolendo il tempo e lo spazio, il bisonte; lo abbatte per delega simbolica ancor prima di incontrarlo. L'atto virtuale e quello reale coincidono. La strega delle fiabe in fondo continua a trafiggere con uno spillo il pupazzo, l’avatar di chi vuole colpire e pensa di raggiungerlo e di ferirlo anche nella carne. Si tratta sempre della stessa legge magica. L'immagine, la parola, il simbolo, da un lato e la persona, l'animale, la cosa, dall'altro, risultano perfettamente speculari. Le leggi della scienza sono rette dalla causalità, quelle della magia dalla corrispondenza. Le prime conoscono e praticano i labirinti della logica, e dei numeri, le altre quelli della simpatia, e del desiderio. Desiderare significa già appropriarsi, in qualche modo, dell'oggetto (e c'è del vero...). E tanto più l'immagine dell'animale è simile all'animale stesso, tanto più pensava forse l'artista preistorico, funzionerà la sintonia. Questa ipotesi, che il cacciatore forse formulava, potrebbe spiegare, in una certa misura, la tensione realista che fonda e sostanzia l'arte cavernicola. Il realismo dell'immagine sarebbe cioè una garanzia crescente per il suo echeggiamento magico.
 
L'arte però potrebbe anche essere stata un tentativo di superare, sublimandola esteticamente, e convertendola in riparazione magica, l'angoscia dell'uccidere. Tutti i popoli cacciatori, hanno dei riti di riparazione che rendono trasparente il loro rimorso collettivo. L'uomo del resto, per vivere, deve uccidere e l'animale ucciso, che egli avverte in fondo come suo consanguineo, diventa l'abitatore del rimorso, il fantasma delle sue notti. Ed è così che egli deve liberarsene, e può solo farlo richiamandolo a una seconda vita, trasferendolo nel simbolo. L'arte preistorica sarebbe così una sorta di immenso esorcismo espiatorio. (avete visto l'ultimo dei Moicani e la scena iniziale di caccia al cervo? Se si, ricordatevi le parole pronunciate da uno dei cacciatori, evidentemente il regista la pensava più o meno come me.)

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