A mio nonno

Ho avuto la fortuna di conoscere mio nonno materno. Ero molto giovane quando se ne andò ma ho avuto la fortuna di conoscerlo e di abbandonare la mia fantasia di bambino alla magia dei suoi numerosi racconti. Una bella famiglia di industriosi contadini quella di mio nonno, una come tante altre dalle mie parti. Una bella casetta adagiata sulle colline toscane, circondata da qualche ettaro di terra, su cui si ricavava da vivere.

Uomo ingegnosissimo e di grande talento, riusciva a tirare avanti da solo l’economia autarchica tipica delle famiglie contadine all’epoca. Denaro ne circolava poco e tutto si doveva ricavare da ciò che si riusciva a fare da soli od a ricavare dalla terra. Così mio nonno oltre che un buon agricoltore, era anche fabbro, falegname, idraulico, elettricista e con il tempo si era arredato una sorta di officina tutto fare. Vi si poteva trovare la sega elettrica per le legna, le pialle, i torni per il legno e per il ferro, una fucina per forgiare il metallo degli utensili che adoprava per i lavori dei campi. Insomma, nel suo piccolo, quel vecchietto con i baffi bianchi era un vero eclettico talento.

Spesso si vantava, a buon diritto, dei prodotti che era riuscito a strappare ad una terra non sempre benevola. Il buon vino delle colline del Chianti, il raccolto di frumento che quell’anno era stato più o meno generoso dell’anno precedente.

Aveva combattuto per la Patria sul Carso, mio nonno. Aveva combattuto sull’Isonzo, nel lontanissimo 1916. Era sfuggito più volte, miracolosamente, alle mitragliatrici, ai cannoni ed alle bombe a mano tedesche. Era sfuggito ai terrificanti assalti alla baionetta, riuscendo a riportare dopo lunghi anni di guerra di trincea, la pelle intatta a casa.

Era un vero libro vivente di memorie storiche del novecento, mio nonno. Spesso mi ritrovavo come ipnotizzato dalla sua voce che materializzava nella mia mente, nella mia mente di bambino, immagini reali. Ho visto quelle trincee, ho visto i corpi straziati dei soldati, ho visto gli orrori dei campi di battaglia, perché lui mi raccontava tutto. Queste immagini le porto ancora e per sempre le porterò  stampate nella mia memoria, nonostante i tanti anni trascorsi. Davvero un’epoca travagliata la sua. Tornato a casa, ebbe poco tempo per riprendersi da tutto quello che aveva vissuto, da tutte le cicatrici fisiche e morali che tutti quegli anni di guerra gli avevano inferto. La guerra, ancora la guerra, ancora una volta, tornava a coinvolgerlo. Questa volta non indossava l’uniforme, né portava il moschetto d’ordinanza sulle spalle. Però poco ci mancò che il “fuoco amico”, come oggi si conviene dire, non facesse quello che non avevano fatto gli shrapnel tedeschi, più di vent’anni prima. Durante la ritirata tedesca, i B-29 americani bombardavano un po’ ovunque come e dove pareva loro. Certo, le strade ed i nodi ferroviari, erano i bersagli preferiti ma non disdegnavano ogni tanto di lanciare qualche bomba da mezza tonnellata nelle campagne, tanto per tenere allegra la popolazione. Così, mio nonno, mentre se ne stava tornando dai campi, una sera, ammirava la lucentezza di un unico aereo, altissimo nel cielo, silenzioso, con le scie bianche dei motori che si ingigantivano dietro di lui. All’improvviso, l’inferno. Una forza immane lo alzò in un’ istante da terra e lo scaraventò lontano decine di metri. Contemporaneamente un boato immenso gli massacrò i timpani e quando semistordito si guardò attorno, con i vestiti stracciati, scoprì che la stradella su cui camminava, era scomparsa ed al suo posto c’era un enorme cratere che vomitava fumo come un vulcano. La bomba gli era esplosa a pochi metri e lo aveva lasciato indenne! La morte però quando arriva, come recitava il buon de André, va a colpo sicuro… Così molti anni dopo, in un tranquillo mattino d’estate, mentre se ne stava seduto all’aperto, oramai a riposo dopo una lunga e laboriosa vita, la morte gli passò accanto e volle riscuotere la sua parcella. Lo trovarono a terra, supino. I suoi occhi celesti sbarrati che riflettevano i colori del cielo, mentre lo fissavano immobili. La sedia rovesciata. Quello che non avevano fatto le mitragliatrici tedesche, o le bombe vaganti americane, lo aveva fatto, in un istante, il destino. Il destino, intransigente esattore, passando casualmente da quelle parti, si era improvvisamente accorto che il suo libro della vita era finito, era arrivato all’ultima pagina. Addio nonno, ti porterò sempre nel cuore. Forse da qualche parte, ogni tanto, dedichi ancora un’occhiata a questo svogliato nipote, che muove a volte incerto, a volte maldestro, i propri passi su questo mondo. Un mondo, per molti aspetti, assai più facile del tuo e dove vivo, sicuramente, con molti meno meriti di te.

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