Anna
Capita
assai spesso ad ognuno di noi di respingere la
Realtà in una dimensione lontana.
Una
Realtà ed una concezione del mondo magari strutturata e
complessa che pur
percepiamo, frutto talvolta di lunghi studi e di brillanti carriere
professionali.
Ma
il nostro patrimonio nozionistico può nei casi
più
felici strutturarsi in bagaglio culturale.
Difficilmente
però, dopo questa fondamentale e
faticosissima conquista,
riesce a spiccare il salto definitivo di qualità. Il nostro
patrimonio
cognitivo viene di fatto usato assai raramente per porci interrogativi
sul mondo
in cui viviamo e conseguentemente poco utilizzato per cercare risposte.
Risposte
plausibili
che
soddisfino le
categorie dell’oggettività logica
ed
il nostro innato e fondamentale bisogno di “Verità”.
Purtroppo, quasi sempre,
preferiamo invece ubriacarci dell’immediato quotidiano,
straripante delle
piccole banali e talvolta ignobili “cose”
di tutti i giorni, talvolta espressione ed emblema del nostro
provincialismo più profondo.
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Anna era
felice...
I
suoi lunghi capelli castani
le cadevano dolcemente sulle spalle esili e nel suo volto sereno si
stagliavano
due occhi bellissimi di un azzurro così intenso e profondo
che sembravano
tradire un’intelligenza assolutamente non
comune. Sugli
zigomi
poi, leggermente pronunciati, aveva qualche rara lentiggine che le
conferivano
talvolta un’aria stranamente sbarazzina. Non troppo conforme
forse, alle
caratteristiche prevalenti della sua personalità. In fondo
Anna era bella. Non
aveva proprio niente di quello che con l’immancabile
espressione anglo-sassone
chiamiamo “sex appeal”, però era bella.
Forse era il suo sorriso sempre
pronto. Un sorriso che esprimeva una cordialità profonda. O
forse erano i suoi
occhi azzurri ed il suo sguardo intenso. O la sua delicata
fragilità …
Non lo so. Nessuno sa come succedono certe cose. Sicuramente dipendono
da
milioni di fattori e da nessuno di essi al tempo stesso.
Però appena la
vidi mi colpì. Forse ne ero già
innamorato. Forse ne ero innamorato da
sempre e solo ora l’avevo incontrata. O forse
l’avevo sempre incontrata in
qualche angolo buio dei miei più riposti pensieri. Uno di
quegli incontri che
non raccontiamo neppure a noi stessi, per paura di sentirci dei
sognatori fuori
dalla realtà. Oppure talvolta accettiamo il sogno
nella sua intrinseca
inconsistenza. Lo accettiamo così. Come un qualcosa
già appagante di per sé e
non ci sforziamo di focalizzarlo troppo, forse per paura che svanisca
...
Anna
frequentava l’ultimo
anno di scienze economiche ed aveva un pesante libro fra le
braccia. Io,
oramai al mio secondo anno di volontariato post-laurea
all’Istituto di Chimica
Generale, mi recavo assai raramente alle Segreterie Generali dove la
vidi per
la prima volta.
C’è
chi parla di affinità
elettiva fra due persone. Non so. Ma quando la vidi non potei
fare a meno
di fissarla e quando i nostri sguardi si incontrarono percepii
nettamente il mio
ed il suo imbarazzo.
L’imbarazzo
di chi
vede improvvisamente sdoppiarsi la propria immagine ed una parte di
essa
che prende a vivere autonomamente.
In
quella donna
percepivo tanta parte di me, tanta
“affinità”. E ne ero certo, a lei
succedeva qualcosa di simile. Non so quali e quante
(certamente
molte) definizioni abbiano dato della felicità. Io
però, in quell’istante,
la sentii lì accanto a me , la vidi, la percepii.
Forse in fin dei conti
la felicità, quella vera, era proprio questa.
Ritrovare l’anello
mancante della propria essenza umana . Ritrovare quella parte
di se stessi che nella Notte dei Tempi si
dissociò.
La
comparsa della sessualità.
Chissà
quali esseri
compirono quell’apocalittico esperimento ! In ogni caso essi
non avevano certo
la coscienza di sé, la percezione della propria
soggettività … Ora
invece il nostro Io , sensibile ed autocosciente, paga per quella
scissione.
Paga con quello che chiamiamo desiderio, con la costante ricerca di
quella che
spesso chiamiamo con banale espressione l’”anima
gemella”; ed è forse nel
ritrovamento di quest’ultima, l’attimo in cui si
compie l’atto estremo del
nostro destino esistenziale. Una sorta di riunione
che ci fa
percepire la completezza totale, la completezza dell’Essere.
Il Tutto.
Riusciamo così a moltiplicare all’infinito noi
stessi. Ed è quasi come se
riuscissimo a proiettarci fuori dallo spazio e dal tempo, per cogliere
la
profonda sensazione della nostra esistenza che si fonde con
l’essenza stessa
dell’intero Universo.
Si.
Troviamo finalmente la
moneta con cui pagare la Morte. Potremo
così, alla fine della strada , l’ultimo giorno,
quando inevitabilmente
spunterà fuori dall’angolo dove paziente ci
attende , dirle a testa alta:
“ vieni pure avanti, ti consegno la mia vita. Non ho motivi
di rammarico
alcuno. Ho vissuto intensamente e con totale completezza la mia essenza
ancestrale, la più autentica. Ho accettato e
vissuto completamente la
vita secondo tutte le sue regole ed anche l’ultima, sebbene
la più categorica
ed intransigente, non può più farmi
paura.”
Era
oramai trascorsa
una settimana da quello strano incontro. Non riuscivo a
pensare ad altro,
e non ero riuscito ad incontrarla di nuovo. Cominciavo a credere che
fosse stato una
specie di sogno vissuto ad occhi aperti. Così
rimuginando entrai nel mio
studio. Mi sedetti. Squillò il telefono. Una voce calda di
donna mi fece
trasalire. Ma era davvero lei ? Si, ed era stata più brava
di me, mi aveva
rintracciato. “ Salve. Non so neppure chi sei, so solo che ho
voglia di
parlare con te. Non sono brava ad inventare scuse che sarebbero poi
poco
credibili ... ti prego solo di non fraintendere le mie
intenzioni ...”
Quanto
le era costato un
simile approccio ? Apparentemente moltissimo. Ma in
realtà lo aveva fatto
perché‚ “sentiva” che lo
poteva, anzi lo doveva fare.
“Anch’io
ho voglia di
parlare con te , devo parlare con te. Va bene alle sei davanti le
Segreterie? -
Si, certo...”.
Inutile
descrivere
il mio
stato d’animo. La felicità che avevo intravisto
quel
giorno, ora aveva
bussato alla mia porta e mi aveva teso la mano. Ma quali turbinose
incertezze
affollavano ora la mia mente . Chi era in realtà? e
perché proprio io? Forse
i miei dubbi erano anche i suoi. Lo sentivo. Così
desiderando e
temendo le
stesse cose c’incontrammo. In fin dei conti
entrambi
avevamo la
sensazione che qualcosa di molto più grande di noi ci
manovrasse, ci inducesse
paure e speranze in quegli attimi intensissimi. Era come percepire
dentro di sé‚
l’umanità’ intera. L’eterno
destino
dell’uomo e della donna che si
compiva ancora una volta nella maniera più sublime.
Non
c’era niente di
banale nel nostro incontro. Tutto era al di fuori dei
consunti schemi
usuali. Emblemi di una società’ decadente che sa
solo fornire stereotipi ”fast
food”, e pensieri già pensati. Un
“déjà vu” esasperante e
monotono. Orgia ed apoteosi del consumismo post-industriale.
Pensare
che è
sufficiente che le nostre pulsioni più remote ed ancestrali
si destino in tutta
la loro prorompente “necessita’”,
affinché‚ tutto quadri. Tutto
divenga sublime ed appagante. Pronti magari a rinnegare
qualunque
filosofia non epicurea. Pensare che forse a far tutto
ciò, anche se
magari preferiamo negarcelo, è stato un cosiddetto
“ormone”, una “stupida”
molecola che si è messa in moto e che ci ubriaca del suo
effetto, che ci
droga con la sua presenza. Pensare che forse a quella molecola se ne
sono unite
mille altre ed insieme, nell’armonia perfetta di un chimismo
sconosciuto,
hanno generato l’immagine,la percezione ,
l’illusione. Anna, la mia
felicità…, forse il mio futuro, solo e soltanto
uno squallido seppur
affascinante concerto di molecole. No.. Non voglio pensarlo
! Ed
ecco che devo sottrarmi alla Logica. La Logica della
oggettività . Fautrice,
perno e forza direttrice della nostra stessa evoluzione
culturale. Quante volte l’”Homo Sapiens
Sapiens” deve ed ha dovuto
rinnegarla ! Gli sono occorsi forse centomila anni per capire
che
possedeva la poderosa e tremenda arma dell’intelletto, della
capacità
raziocinante. Ma ecco che ora devo, una volta ancora,
rinnegare Galileo,
immolandolo sull’altare delle mie soggettive esigenze, delle
mie pulsioni
biologiche . Certo esigenze e pulsioni ancestrali.
Emblema del
profondissimo legame esistente con la nostra natura così
tanto biologica e senz’altro
molto poco “sapiens” ! Ed in fin dei
conti era giusto così. Perché‚
violentare tali sublimi sensazioni ? Molto meglio accettarle,
viverle.
Occorrerebbe semmai guardarsi poi onestamente allo specchio.
Ricordarsi di
ciò che è accaduto e non avanzare più
definizioni comunque pretenziose sulla
nostra essenza, sulla nostra origine. Certo molto poco
divina. Si,
constatavo l’essenzialità delle sensazioni che
provavo; appartenenti ad un
mondo recondito e sconosciuto che ognuno si porta dentro e che
è pronto a
prendere il sopravvento su ciò che di
più sublime crediamo di aver
acquisito, per ricondurci a sensazioni ancestrali, violente ed
immediate.
Ciò stabilisce i confini dell’”Homo
Sapiens Sapiens” e ne definisce la
sua maggiore affinità al mondo animale che non a quello
platonico delle Idee
Pure. Definisce, in fondo la sua vera essenza. Denudata di
tutti i
costrutti utopici e recuperata alla brutalità del Regno
Animale, dove l’Istinto,
la Sessualità e la Forza impongono violentemente le loro
stesse urgenze e
necessità…
La
sera ormai preannunciava il suo arrivo con quel suo bizzarro gioco di
ombre
stilizzate. Continuavamo a passeggiare. Parlavamo. Ognuno
raccontava se
stesso in maniera apparentemente banale. In realtà provavo
una immensa
soddisfazione a presentarmi a quella
donna che ad ogni mia
parola “mi approvava”. Lo sentivo. Lei, ne ero
convinto , provava sensazioni
simili. Non so come, finimmo a cena in un piccolo
locale poco
frequentato. Un pasto frugale, consumato alla luce dei suoi occhi, reso
sublime
dalla dolcezza della sua compagnia, dal calore della sua voce e dalle
riflessioni della sua mente….
Ora
avvertivo davvero che lei
era parte di me e le pulsioni più dirette, più
immediate cominciavano a farsi
prepotentemente sentire. Volevo quella donna. Sentivo la
indispensabilità di
suggellare quell’affinità così tanto
evidente….
Il desiderio di possederla in
fin dei conti, equivaleva al desiderio di dare corpo, consistenza a
quel bisogno
di riunirmi a quella parte di me che avevo miracolosamente e
fantasticamente
ritrovato.
Fu tutto così spontaneo,
così conseguente. Non ci furono attimi di imbarazzo od
incertezze. Tutto era
“scontato”. Sembrava rientrare (e forse
era davvero
così) in un
disegno preordito, come i personaggi di uno splendido copione che
veniva
magistralmente recitato. Facemmo l’amore. Eravamo finiti nel
mio
monolocale
che quasi non riconoscevo più. Tutto sembrava cambiato,
diverso.
I due o tre
quadri appesi alle pareti sembravano illuminati di una luce nuova,
più intensa.
I personaggi in alcuni di essi raffigurati, sembrarono
vivere.
Che
strane, profonde e
magnifiche sensazioni !!
Anna
,seminuda sul letto mi
guardava. I suoi occhi esprimevano desiderio e
soddisfazione , in
perfetta sintonia con i miei sentimenti. Ora era davvero mia.
Facemmo
ancora l’amore e non so quante altre volte ancora…
L’estate
era appena
iniziata, ma già si proponeva in tutta la propria
prorompente irruenza :
giornate assolate, calde e lunghe, serate interminabili, in
cui non si
vorrebbe mai andare a dormire per assaporare fino in fondo il fresco
della sera
e l’estenuante concerto che migliaia di minuti esseri suonano
forse per
richiamare la propria compagna o compagno.
In
questo clima di luci e
colori vivemmo ancora qualche settimana di intensa felicità.
Poi
un mattino, come al
solito, le telefonai appena arrivato in ufficio. Nessuno
rispose. Un
sottile senso di angoscia iniziò lentamente a pervadermi
l’animo. Decisi di
uscire. Mi recai camminando in fretta verso la sua
abitazione. Anche
lei possedeva un monolocale. In genere vivevamo un
po’ nel suo ed un po’
nel mio, ma ultimamente Anna preferiva che restassimo separati. La
ragione era
che doveva ancora studiare, stavolta per gli esami di Stato per
l’iscrizione
all’Albo Professionale.
Senza
neanche accorgermene
arrivai con il fiato grosso, a suonare il suo campanello. Ancora
nessuna
risposta. La sensazione di disagio dentro di me si
approfondiva. Cercavo
di razionalizzare : in fin dei conti non c’era niente di
strano; poteva essere
uscita per andare al bar o a comprare un quotidiano o chissà
quali altre
banalissime ragioni potevano averla indotta ad assentarsi da
casa. Non c’era
niente da fare non riuscivo a calmarmi, a razionalizzare quella
sensazione ormai
di profonda angoscia che mi aveva inesorabilmente preso.
Quale
direzione prendere ?
Senza riflettere mi diressi verso la periferia sud. Non rispettavo
neppure i
semafori. Non so cosa mi era preso. Mi rendevo razionalmente conto che
il mio
atteggiamento era esagerato rispetto alle circostanze, ma una forza
istintiva
oramai aveva preso il sopravvento e mi guidava.
Girai
come un pazzo per
almeno un’ora, poi, in fondo ad un piccolo crocevia
sulla strada del
ritorno in città, notai un piccolo assembramento di
persone. Fu allora
che la Morte mi tese la sua gelida mano.
“Sentivo” che Anna era
laggiù....
Perché
la sorte l’aveva
presa per mano così, improvvisamente, a ventisette
anni…
“Povera
ragazza !” -
esclamò uno dei curiosi che stavano lì intorno
-” ha dato l’ultimo respiro
quando la signora Gianna ha sentito la botta ed è scesa. Bei
criminali però
! Ammazzano una persona e poi se ne vanno così,
senza neppure fermarsi !
La sedia elettrica ci vorrebbe ! Eccome ! “.
Civiltà
millenarie lo
avevano temuto come entità metafisica attribuendogli un
potere più grande
persino a quello degli Dei. Forse era davvero
così. Potevo cogliere un
vago senso di approvazione per quelle remote credenze.
Non
certo che il destino
possa essere aprioristicamente definito, come essenza metafisica e
trascendente. Però è pur sempre vero
che le vicissitudini della vita
creano di fatto, casualmente, circostanze, congiunture, condizioni
esistenziali,
con poi una loro intrinseca necessità. Alla fine quasi tutto
si svolge lungo
questo binario oramai divenuto inesorabilmente
“necessario”, univoco senza
“snodi”. Ed il binario si stende lungo un
percorso senza molti gradi
di libertà: è ormai divenuto quasi una precisa
trasformazione termodinamica
dove tutto decorre nella direzione prestabilita.
Azzardando una definizione
forse pretenziosa, si potrebbe dire che il destino è una
specie di “entità”
che riassume globalmente le infinite interconnessioni casuali degli
eventi,
delle vicissitudini della nostra esistenza. Non trascurando nessun
rapporto di
causa-effetto che può essersi verificato nella nostra
esistenza e
ricombinandoli spesso in modo bizzarro, imprevedibile, talvolta
tragicamente
ironico. L’incontro con Anna,
l’esperienza vissuta insieme, tutto un
caso, una magnifica concomitanza di eventi. Ora
però la sua tragica
scomparsa diventa la mia tragedia e la mia unica necessità
esistenziale.
La necessità di operare una scelta. La vita, per
ricominciare, oppure spegnere
per sempre l’interruttore e dire magari - “No,
grazie. Per me è
abbastanza, non riesco a sopportare un dolore così estremo
“. Tutto
dipendeva da riuscire a trovare o meno la forza. O meglio,
sperare che
quella ancestrale molecola che fa fuggire l’insetto, la
formica davanti al
pericolo, continuasse a funzionare anche nella mia mente .
Che
ci piaccia o no, le
nostre scelte, anche le più complesse e drammatiche, sono
profondamente
connesse alle nostre strutture biologiche e da esse direttamente od
indirettamente dipendenti. Razionalmente avevo già
scelto di morire.
Forse mille volte..... Ma quella maledetta molecola mi
impediva di farlo,
mi imponeva uno dei pochi obblighi esistenziali degli esseri che la
zoologia
definisce inferiori : l’istinto di conservazione.
Mentre rimuginavo
questi pensieri,tornai alla realtà, alla tragedia.
Quell’auto
o se vogliamo il
Destino, aveva ucciso anche me . Non avrei potuto
ricominciare . E poi da
dove ? Volevo solo potermene andare. Magari in
punta di piedi, come
aveva fatto lei.
Del
resto la sua spietata essenza non contempla affatto alcuna
pietosa
pratica di eutanasia....
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Il
breve aneddoto narrato non
si può certo dire a “lieto fine”,
ammesso che possa esistere la fine di un
qualcosa che ci appartiene definibile “lieta”.
Altrimenti,
ed oramai lo
sappiamo bene , cesseranno di esistere entrambi : l’uomo e la
bestia.