Anna

Capita assai spesso ad ognuno di noi di respingere la Realtà in una dimensione lontana.  Una Realtà ed una concezione del mondo magari strutturata e complessa che pur percepiamo, frutto talvolta di lunghi studi e di brillanti carriere professionali.  Ma il nostro patrimonio nozionistico può nei casi più felici strutturarsi in bagaglio culturale.  Difficilmente però, dopo questa fondamentale e faticosissima conquista, riesce a spiccare il salto definitivo di qualità. Il nostro patrimonio cognitivo viene di fatto usato assai raramente per porci interrogativi sul mondo in cui viviamo e conseguentemente poco utilizzato per cercare risposte. Risposte plausibili  che soddisfino le categorie dell’oggettività logica  ed il nostro innato e fondamentale bisogno di “Verità”. Purtroppo, quasi sempre, preferiamo invece ubriacarci dell’immediato quotidiano, straripante delle piccole banali e talvolta ignobili “cose” di tutti i giorni,  talvolta espressione ed emblema del nostro provincialismo più profondo.

Preferiamo quasi sempre non accorgerci che potremmo anche alzare gli occhi e guardare oltre l’orizzonte immediato degli eventi, ma così va il mondo degli uomini ... Per ciò che concerne la mia personale esperienza posso affermare con assoluta onestà che ho cercato e cerco assai spesso di guardare oltre quell’orizzonte, pagando spesso di tasca propria la rinuncia alle “quotidiane certezze” , gratificato però al contempo di aver compiuto un piccolo passo avanti verso quell’irraggiungibile arcobaleno all’orizzonte. Un orizzonte assai spesso lontano verso il quale la strada è lunga e tortuosa e la marcia spesso defatigante, ma avendo sempre nell’animo la profonda convinzione che là si nasconda la vera Realtà dell’uomo…Una Realtà in cui possiamo finalmente identificarci, senza ricorrere a dissociazioni del proprio io con fideismi peraltro poco consoni a chi è costretto dai propri studi o dalla propria professione ad esplorare e valutare “l’oggettivo”. Ritengo anche che se tutti facessimo più frequentemente questo sforzo di  fantasia e di onestà intellettuale, riusciremmo tutti a vivere molto meglio l’uno con l’altro e con noi stessi. Lo scritto che segue scaturisce pertanto da una riflessione oltre i limiti del quotidiano, oltre quegli invalicabili bastioni di cartapesta del provincialismo e degli usuali schemi di pensiero ...Questo breve racconto non vuole essere in nessun modo un tentativo di riprodurre una di quelle lacrimose e banali storielle d’amore per sceneggiature di fiction da due soldi. Purtroppo però il supporto aneddotico è sempre inscindibile dalla necessità di esprimere idee, concetti. Non si può rinunciare all’uno se si vogliono esporre gli altri . E’ l’elemento scenografico che supporta la trama e spesso l’infrastruttura che la sostiene. E’ pertanto solo per ottemperare a questa necessità che mi sono imposto l’adozione dell’aneddoto, della “storiella”. Questa vuole peraltro proporsi come spunto per una ponderata riflessione esistenziale sulla nostra natura di esseri umani.  Esseri umani in verità molto confusi ...Esseri umani che ancora non hanno ben capito se rappresentano davvero la massima espressione della Creatività del Supremo o solo un evento della complessa fenomenologia del vivente. Esseri umani che non hanno ancora ben chiaro il valore da attribuire alla propria vita. Entità metafisica od illusione della mente? Esseri umani che soffrono di quel violento conflitto esistenziale generato dalla stretta ed inevitabile convivenza dell’intelletto con le più remote ed istintive pulsioni biologiche del nostro essere. Questa contrapposizione dialettica, che potremmo definire a buon diritto una sorta di “nevrosi congenita”, è frutto di quella che in realtà è ed è stata una sorta di aberrazione evolutiva : l’acquisizione dell’intelletto inteso essenzialmente come coscienza di sé, del proprio Io. E’ facile immaginare che se l’”Homo Sapiens Sapiens” fosse solo bestia, potrebbe vivere, amare e morire serenamente . Ma il suo Alter Ego glielo impedisce. Gli pone invece impietosamente davanti le profonde contraddizioni del mondo in cui vive. Ed egli inesorabilmente fallisce ogni tentativo di recuperare a sé la propria primordiale istintività, di proiettare la propria essenza esistenziale al di là del bene e del male”. Ma sarebbe poi giusto ? Forse No. Dovremmo però renderci finalmente conto che sono le esigenze della nostra mente che mal si adeguano alle regole del mondo in cui viviamo, animale, biologico e quindi brutale nel suo intrinseco meccanicismo e non tentare maldestramente sfuggenti ed aleatorie interpretazioni di questa ancestrale contraddizione. Potremo così finalmente cessare di fustigarci con i Peccati Originali, con le Entità Supreme che ci guardano, ci giudicano e magari ci condannano. Dobbiamo cominciare a pensarci soltanto come vittime di un cieco quanto bizzarro destino. Un destino che per la sua stessa intrinseca casualità ci ha spinti troppo lontano, ci ha resi troppo "potenti” dotandoci, in quella che fu l’alba dell’uomo,di quel “quid” che trascendeva e vanificava la forza muscolare: l ’intelletto.  Un capriccio evolutivo, davvero un caso, ma quante necessità ha poi creato ! Persino la negazione di se stesso, il non-essere, la scelta estrema, comunque volontaria, dell’ irrazionale, della morte . Il suicidio. La piccola storiella narrata ha pertanto il principale scopo di proporsi come spunto di riflessione per un ragionevole dubbio : il dubbio se pensare ancora in qualche modo ad una dimensione e visione “tolemaica” dell’Universo, oppure di liberarci per sempre e definitivamente da tutte le utopie e dai contorti alibi con cui affannosamente cerchiamo di interpretare la nostra esistenza. Di recuperare finalmente a noi stessi la nostra nuda essenza di argonauti sperduti in un mare di cui non conosciamo pressoché nulla. Argonauti straccioni ed impauriti, attaccati ad una misera e fragile zattera. Certo non molto diversi dai pesci che le stanno sotto. Semmai loro sono in casa propria, nel loro elemento e si accettano così. Noi invece dobbiamo necessariamente cercare la terra ferma, un approdo sicuro anche se può accadere che talvolta il tutto si trasformi inevitabilmente in un tragico naufragio ...     

                                

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Anna era una ragazza minuta. Alta ,con il suo metro e settantasette che talvolta quasi si curvava. Non era però affatto sgradevole: apparentemente timida ed introversa risultava dolcissima. Aveva comunque capito molto della vita. A ventisei anni. Aveva capito che bisogna saper sorridere gli uni agli altri anche perché non esistono mai vincitori o vinti fra gli esseri umani. Esistono solo fragili e vulnerabili esseri, molto spesso impauriti dall’idea della morte e che celebrano i propri esorcismi magari celandosi dietro la protervia di un potere illusorio quanto effimero e si smarriscono così in questa costante allucinazione, dove la reale percezione della propria essenza esistenziale, si perde nel nulla. Personaggi potenti”, ubriachi del proprio “potere” che fingono o preferiscono ignorare che prima o poi dovranno anche loro in qualche modo affrontare l’ineluttabile ed intrinseco destino di ogni uomo : l’uguaglianza finale. L’intrinseco destino associato ad ogni creatura vivente : la morte, il non-essere, l’eterno ed inconsapevole oblio. Estrema e violenta negazione di tutta la nostra vita, inevitabilmente protesa all ’acquisizione di una sempre più strutturata percezione del mondo ... 

Anna era felice...

I suoi lunghi capelli castani le cadevano dolcemente sulle spalle esili e nel suo volto sereno si stagliavano due occhi bellissimi di un azzurro così intenso e profondo che sembravano tradire un’intelligenza assolutamente non comune. Sugli zigomi poi, leggermente pronunciati, aveva qualche rara lentiggine che le conferivano talvolta un’aria stranamente sbarazzina. Non troppo conforme forse, alle caratteristiche prevalenti della sua personalità. In fondo Anna era bella. Non aveva proprio niente di quello che con l’immancabile espressione anglo-sassone chiamiamo “sex appeal”, però era bella. Forse era il suo sorriso sempre pronto. Un sorriso che esprimeva una cordialità profonda. O forse erano i suoi occhi azzurri ed il suo sguardo intenso. O la sua delicata fragilità … Non lo so. Nessuno sa come succedono certe cose. Sicuramente dipendono da milioni di fattori e da nessuno di essi al tempo stesso.  Però appena la vidi mi colpì. Forse ne ero già innamorato.  Forse ne ero innamorato da sempre e solo ora l’avevo incontrata. O forse l’avevo sempre incontrata in qualche angolo buio dei miei più riposti pensieri. Uno di quegli incontri che non raccontiamo neppure a noi stessi, per paura di sentirci dei sognatori fuori dalla realtà. Oppure talvolta accettiamo il sogno nella sua intrinseca inconsistenza. Lo accettiamo così. Come un qualcosa già appagante di per sé e non ci sforziamo di focalizzarlo troppo, forse per paura che svanisca ...

Anna frequentava l’ultimo anno di scienze economiche ed aveva un pesante libro fra le braccia.  Io, oramai al mio secondo anno di volontariato post-laurea all’Istituto di Chimica Generale, mi recavo assai raramente alle Segreterie Generali dove la vidi per la prima volta.

C’è chi parla di affinità elettiva fra due persone.  Non so. Ma quando la vidi non potei fare a meno di fissarla e quando i nostri sguardi si incontrarono percepii nettamente il mio ed il suo imbarazzo.

 L’imbarazzo di chi vede improvvisamente sdoppiarsi la propria immagine ed una parte di essa che prende a vivere autonomamente.  

In quella donna percepivo tanta parte di me, tanta “affinità”. E ne ero certo, a lei succedeva qualcosa di simile. Non so quali e quante   (certamente molte) definizioni abbiano dato della felicità. Io però, in quell’istante, la sentii lì accanto a me , la vidi, la percepii.  Forse in fin dei conti la felicità, quella vera, era proprio questa.  Ritrovare l’anello mancante della propria essenza umana .  Ritrovare quella parte di se stessi  che nella Notte dei Tempi si dissociò.

La comparsa della sessualità. 

Chissà quali esseri  compirono quell’apocalittico esperimento ! In ogni caso essi non avevano certo la coscienza di sé, la percezione della propria soggettività … Ora invece il nostro Io , sensibile ed autocosciente, paga per quella scissione.  Paga con quello che chiamiamo desiderio, con la costante ricerca di quella che spesso chiamiamo con banale espressione l’”anima gemella”; ed è forse nel ritrovamento di quest’ultima, l’attimo in cui si compie l’atto estremo del nostro destino esistenziale.  Una  sorta di riunione che ci fa percepire la completezza totale, la completezza dell’Essere. Il Tutto. Riusciamo così a moltiplicare all’infinito noi stessi. Ed è quasi come se riuscissimo a proiettarci fuori dallo spazio e dal tempo, per cogliere la profonda sensazione della nostra esistenza che si fonde con l’essenza stessa dell’intero Universo.

Si. Troviamo finalmente la moneta con cui pagare la Morte. Potremo così, alla fine della strada , l’ultimo giorno, quando inevitabilmente spunterà fuori dall’angolo dove paziente ci attende , dirle a testa alta:  “ vieni pure avanti, ti consegno la mia vita. Non ho motivi di rammarico alcuno. Ho vissuto intensamente e con totale completezza la mia essenza ancestrale, la più autentica. Ho accettato e vissuto completamente la vita secondo tutte le sue regole ed anche l’ultima, sebbene la più categorica ed intransigente, non può più farmi paura.”

 Era oramai trascorsa una settimana da quello strano incontro.  Non riuscivo a pensare ad altro, e non ero riuscito ad incontrarla di nuovo. Cominciavo a credere che fosse stato una specie di sogno vissuto ad occhi aperti.  Così rimuginando entrai nel mio studio. Mi sedetti. Squillò il telefono. Una voce calda di donna mi fece trasalire. Ma era davvero lei ? Si, ed era stata più brava di me, mi aveva rintracciato. “ Salve. Non so neppure chi sei, so solo che ho voglia di parlare con te. Non sono brava ad inventare scuse che sarebbero poi poco credibili ... ti prego solo di non fraintendere le mie intenzioni ...”

Quanto le era costato un simile approccio ?  Apparentemente moltissimo. Ma in realtà lo aveva fatto perché‚ “sentiva” che lo poteva, anzi lo doveva fare.

“Anch’io ho voglia di parlare con te , devo parlare con te. Va bene alle sei davanti le Segreterie? - Si, certo...”.

Inutile descrivere il mio stato d’animo. La felicità che avevo intravisto quel giorno, ora aveva bussato alla mia porta e mi aveva teso la mano. Ma quali turbinose incertezze affollavano ora la mia mente . Chi era in realtà? e perché proprio io? Forse i miei dubbi erano anche i suoi. Lo sentivo. Così desiderando e temendo le stesse cose c’incontrammo.  In fin dei conti entrambi avevamo la sensazione che qualcosa di molto più grande di noi ci manovrasse, ci inducesse paure e speranze in quegli attimi intensissimi. Era come percepire dentro di sé‚ l’umanità’ intera. L’eterno destino dell’uomo e della donna che si compiva ancora una volta nella maniera più sublime.                                                                                        

Non c’era niente di banale nel nostro incontro.  Tutto era al di fuori dei consunti schemi usuali. Emblemi di una società’ decadente che sa solo fornire stereotipi ”fast food”, e pensieri già pensati. Un “déjà vu” esasperante e monotono.  Orgia ed apoteosi del consumismo post-industriale.

“Ciao, io mi chiamo Carlo” ; le tesi la mano. Lei mi fissò per un attimo, poi con un imbarazzo malcelato mi disse con un tono dimesso che esaltava ancor più il calore della sua voce, “ Scusami, non è mia abitudine abbandonarmi a simili intraprendenze. Non so cosa mi è accaduto. Mi chiamo Anna “. “Non devi scusarti, sei solo stata più brava di me. Anche io ti ho cercato....”. “Ma perché ? perché‚ ci sta accadendo questo ? Non riesco a capire.... eppure sentivo che dovevo farlo”. “Anna” - pronunciare il suo nome mi dette un sottile senso di piacere - “ nemmeno io posso capire. Però riesco a capire te, a percepire la tua personalità….Forse è proprio questo il punto. Non credi ?” Aveva abbassato lo sguardo al terreno e dopo una breve pausa tornò a fissarmi. I suoi occhi erano splendidi.  L’intensità del loro colore contrastava con l’azzurro del cielo che cominciava ad affievolirsi per lasciare il posto ai colori vivaci di un tramonto stupendo .  I suoi occhi erano davvero belli .  Sempre leggermente lucidi come  scossi da una sottile e leggera commozione.  
“Riesci a capirmi ? Ma non ti pare assurdo? conosciamo a fatica i nostri nomi..... e poi.....non so... ....sono così confusa”.
Anch’io ero confuso, eppure la capivo, la percepivo .Pensare quanto è stato scritto sull’incomunicabilità’ umana !
Insigni filosofi…
Eppure erano sufficienti gli occhi dolci di quella donna per saltare a piè pari tali angosciose problematiche. Talvolta è davvero stupido l’”Homo Sapiens Sapiens” ! Continua a compiere inconsciamente, nella continua presunzione di sé, del proprio essere , l’errore tolemaico. Sentirsi al centro di un Universo che riusciamo a malapena vagamente ad immaginare.

Pensare che  è sufficiente che le nostre pulsioni più remote ed ancestrali si destino in tutta la loro prorompente “necessita’”, affinché‚ tutto quadri.  Tutto divenga sublime ed appagante.  Pronti magari a rinnegare qualunque filosofia non epicurea.  Pensare che forse a far tutto ciò, anche se magari preferiamo negarcelo, è stato un cosiddetto “ormone”, una “stupida” molecola che si è messa in moto e che ci ubriaca del suo effetto, che  ci droga con la sua presenza. Pensare che forse a quella molecola se ne sono unite mille altre ed insieme, nell’armonia perfetta di un chimismo sconosciuto, hanno generato l’immagine,la percezione , l’illusione.  Anna, la mia felicità…, forse il mio futuro, solo e soltanto uno squallido seppur affascinante concerto di molecole.  No.. Non voglio pensarlo !  Ed ecco che devo sottrarmi alla Logica. La Logica della oggettività . Fautrice, perno e forza direttrice della nostra stessa evoluzione culturale.  Quante volte l’”Homo Sapiens Sapiens” deve ed ha dovuto rinnegarla !  Gli sono occorsi forse centomila anni per capire che possedeva la poderosa e tremenda arma dell’intelletto, della capacità raziocinante. Ma ecco che ora devo,  una volta ancora, rinnegare Galileo, immolandolo sull’altare delle mie soggettive esigenze, delle mie pulsioni biologiche .  Certo esigenze e pulsioni ancestrali.  Emblema del profondissimo legame esistente con la nostra natura così tanto biologica e senz’altro molto poco “sapiens” !  Ed in fin dei conti era giusto così. Perché‚ violentare tali sublimi sensazioni ? Molto meglio accettarle, viverle.  Occorrerebbe semmai guardarsi poi onestamente allo specchio.  Ricordarsi di ciò che è accaduto e non avanzare più definizioni comunque pretenziose sulla nostra essenza, sulla nostra origine. Certo molto poco  divina.  Si, constatavo l’essenzialità delle sensazioni che provavo; appartenenti ad un mondo recondito e sconosciuto che ognuno si porta dentro e che è pronto a prendere il sopravvento su ciò  che di più sublime crediamo di aver acquisito, per ricondurci a sensazioni ancestrali, violente ed immediate.  Ciò stabilisce i confini dell’”Homo Sapiens Sapiens” e ne definisce la sua maggiore affinità al mondo animale che non a quello platonico delle Idee Pure.  Definisce, in fondo la sua vera essenza. Denudata di tutti i costrutti utopici e recuperata alla brutalità del Regno Animale, dove l’Istinto, la Sessualità e la Forza impongono violentemente le loro stesse urgenze e necessità…  

La sera ormai preannunciava il suo arrivo con quel suo bizzarro gioco di ombre stilizzate. Continuavamo a passeggiare.  Parlavamo. Ognuno raccontava se stesso in maniera apparentemente banale. In realtà provavo una immensa soddisfazione a presentarmi a quella donna che ad ogni mia parola “mi approvava”. Lo sentivo. Lei, ne ero convinto , provava sensazioni simili.  Non so come,  finimmo a cena in un piccolo locale poco frequentato. Un pasto frugale, consumato alla luce dei suoi occhi, reso sublime dalla dolcezza della sua compagnia, dal calore della sua voce e dalle riflessioni della sua mente….

Ora avvertivo davvero che lei era parte di me e le pulsioni più dirette, più immediate cominciavano a farsi prepotentemente sentire. Volevo quella donna. Sentivo la indispensabilità di suggellare quell’affinità così tanto evidente….
Il desiderio di possederla in fin dei conti, equivaleva al desiderio di dare corpo, consistenza a quel bisogno di riunirmi a quella parte di me che avevo miracolosamente e fantasticamente ritrovato.                                                                                           
Fu tutto così spontaneo, così conseguente. Non ci furono attimi di imbarazzo od incertezze. Tutto era “scontato”.  Sembrava rientrare (e forse era davvero così) in un disegno preordito, come i personaggi di uno splendido copione che veniva magistralmente recitato. Facemmo l’amore. Eravamo finiti nel mio monolocale che quasi non riconoscevo più. Tutto sembrava cambiato, diverso. I due o tre quadri appesi alle pareti sembravano illuminati di una luce nuova, più intensa. I personaggi in alcuni di essi raffigurati, sembrarono vivere.                        

Che strane, profonde e magnifiche sensazioni !!

Anna ,seminuda sul letto mi guardava. I suoi occhi esprimevano desiderio e   soddisfazione , in perfetta sintonia con i miei sentimenti. Ora era davvero mia.  Facemmo ancora l’amore e non so quante altre volte ancora…

Non si può descrivere ciò che è di per se, indescrivibile. Ciò che accadeva ed era accaduto, non può essere descritto.  Forse chi è in possesso del raro dono di quel potente linguaggio che chiamiamo “Arte”, potrebbe farlo.  Forse riuscirebbe   a trovare i colori, le immagini, i suoni e le parole, che in un mosaico trascendente le nostre categorie logiche, trasmettesse tutta l’intensità di quei momenti.  Ci addormentammo. Al mattino realizzai a fatica che non era stato tutto un magnifico sogno. Lei  dormiva ancora.... Le preparai il caffè. Poi la vidi apparire sulla soglia della cucina. Si era sommariamente vestita , colta chissà da quale pudica sensazione . Così spettinata, con l’aria assonnata, era ancora più bella. “Buongiorno...” “Buongiorno amore “-, le risposi..... “Ma....non riesci a chiamarmi amore ?”  -  “ No, non è questo.... avverto solo una spiacevole sensazione.  Ho paura che tutto svanisca. Come una bolla di sapone. E non può che essere una bolla di sapone. Stupenda.  Dove tutto è effimero ed irreale : i colori dell’iride, la sua diafana trasparenza. Finirà. Inesorabilmente. ...Ed io non lo voglio.... Non credevo che esistesse una felicità così intensa.”
Cosa rispondere ? Dopo tutto anch’io avevo gli stessi timori. Uscimmo insieme. Poi ci salutammo. Mi avviai verso l’ufficio.  Ora sentivo dentro di me una forza nuova. Immensa. Avrei potuto sfidare l’Universo. Una sicurezza totale mi pervadeva.  Sarebbe durata? No, non volevo pormi questa domanda. Mi feriva. Preferivo assaporare l’ebbrezza che la presenza di Anna nella mia vita, riusciva a darmi.  Così andammo avanti frequentandoci molto assiduamente.  Non c’erano dissapori di alcun genere fra di noi. Poi venne la sua tesi di laurea e dovemmo un po’ diminuire la frequenza dei nostri incontri, anche se  per quanto mi era possibile cercavo di starle vicino, di aiutarla,fino a che ciò le risultava gradevole, almeno.  Avevo infatti scoperto che era molto suscettibile in questo senso e non gradiva molto la mia superprotezione, che peraltro io tendevo a darle con assoluta istintività.  Cercavo per questo comunque di correggermi.  Anna riuscì a laurearsi a pieni voti.

L’estate era appena iniziata, ma già si proponeva in tutta la propria prorompente irruenza : giornate assolate, calde e lunghe,  serate interminabili, in cui non si vorrebbe mai andare a dormire per assaporare fino in fondo il fresco della sera e l’estenuante concerto che migliaia di minuti esseri suonano forse per richiamare la propria compagna o compagno. Che dire poi degli odori della sera . Anche qui migliaia di vegetali miscelano i loro profumi affinché‚ insetti operosi, in virtù di un tacito accordo, li aiutino a portare a compimento il loro ancestrale destino : la riproduzione ad ogni costo.

In questo clima di luci e colori vivemmo ancora qualche settimana di intensa felicità.

Poi un mattino, come al solito, le telefonai appena arrivato in  ufficio. Nessuno rispose. Un sottile senso di angoscia iniziò lentamente a pervadermi l’animo. Decisi di uscire.  Mi recai camminando in fretta verso la sua abitazione.  Anche lei possedeva un monolocale. In genere vivevamo un  po’ nel suo ed un po’ nel mio, ma ultimamente Anna preferiva che restassimo separati. La ragione era che doveva ancora studiare, stavolta per gli esami di Stato per l’iscrizione all’Albo Professionale.

Senza neanche accorgermene arrivai con il fiato grosso, a suonare il suo campanello. Ancora nessuna risposta.  La sensazione di disagio dentro di me si approfondiva. Cercavo di razionalizzare : in fin dei conti non c’era niente di strano; poteva essere uscita per andare al bar o a comprare un quotidiano o chissà quali altre banalissime ragioni potevano averla indotta ad assentarsi da casa.  Non c’era niente da fare non riuscivo a calmarmi, a razionalizzare quella sensazione ormai di profonda angoscia che mi aveva inesorabilmente preso.

Per le scale incontrai l’inquilina del piano superiore e le chiesi se l’aveva vista uscire. Rispose che in effetti, circa verso le sei, l’aveva vista scendere le scale ed andarsene con la bicicletta. Anna possedeva infatti una bicicletta che di solito  usava  per spostarsi in città. Ma dove poteva essere andata alle sei del mattino ?  L’inquietudine ormai dentro di me cresceva ad un ritmo continuo. Senza neppure salutare mi allontanai correndo . Volevo raggiungere l’auto e per la strada maledivo mille volte ogni minuto, la stupida idea di essere venuto a piedi.  Con il fiato grosso più di prima, la raggiunsi, vi salii ed accesi il motore.

Quale direzione prendere ? Senza riflettere mi diressi verso la periferia sud. Non rispettavo neppure i semafori. Non so cosa mi era preso. Mi rendevo razionalmente conto che il mio atteggiamento era esagerato rispetto alle circostanze, ma una forza istintiva oramai aveva preso il sopravvento e mi guidava.

Girai come un pazzo per almeno  un’ora, poi, in fondo ad un piccolo crocevia sulla strada del ritorno in città, notai un piccolo assembramento di persone.  Fu allora che la Morte mi tese la sua gelida mano.  “Sentivo” che Anna era laggiù.... 

Mi feci coraggio, le gambe mi si piegavano. La bicicletta era appoggiata all’argine della strada e sul prato subito sopra c’era lei. Adagiata supina sopra l’erba. Bella come sempre. Aveva gli occhi aperti e lucidi come espressivi  di un estremo atto di commozione e di rammarico e che sembravano interrogare  il cielo chiedendo perché. Perché il destino aveva voluto strapparle così prematuramente la vita che ancora le apparteneva a pieno diritto.

Perché la sorte l’aveva presa per mano così, improvvisamente, a ventisette anni…

Quanti perché affollavano la mia mente ! Supposto che ne avessi ancora una.....  Avrei voluto gridare, piangere, gettarmi sopra di lei, stringerla in un estremo quanto irrazionale tentativo di recuperarla alla vita, a me stesso. Ma le parole non uscivano dalla gola serrata.... Invocai anche le lacrime, forse nella speranza che potessero alleviare il dolore.  Non vennero.  Tutto sembrava irrigidito dentro di me, a mala pena riuscivo a muovermi. Sperai intensamente che la Morte venisse a prendere anche me.

“Povera ragazza !” - esclamò uno dei curiosi che stavano lì intorno -” ha dato l’ultimo respiro quando la signora Gianna ha sentito la botta ed è scesa. Bei criminali però !  Ammazzano una persona e poi se ne vanno così, senza neppure fermarsi ! La sedia elettrica ci vorrebbe ! Eccome ! “. 

Anna era stata investita da un’auto in corsa. Chi guidava quella macchina ?   Perché, senza motivo alcuno, a quell’ora era uscita ? Sembrava davvero che al volante di quell’auto sconosciuta vi fosse il Fato in persona.  Il nostro più intransigente esattore. Colui che è preposto a scrivere la parola Fine al Romanzo della Vita di ognuno di noi. Sembrava averle dato appuntamento. E si sa. Lui non manca mai. Riscuote sempre la sua parcella. 
Già il Fato. ...

Civiltà millenarie lo avevano temuto come entità metafisica attribuendogli un potere più grande persino a quello degli Dei. Forse era davvero così.  Potevo cogliere un vago senso di approvazione per quelle remote credenze.

Non certo che il destino possa essere aprioristicamente definito, come essenza metafisica e trascendente.  Però è pur sempre vero che le vicissitudini della vita creano di fatto, casualmente, circostanze, congiunture, condizioni esistenziali, con poi una loro intrinseca necessità. Alla fine quasi tutto si svolge lungo questo binario oramai divenuto inesorabilmente “necessario”, univoco senza “snodi”.  Ed il binario si stende lungo un percorso senza molti gradi di libertà: è ormai divenuto quasi una precisa trasformazione termodinamica dove tutto decorre nella direzione prestabilita.
Azzardando una definizione forse pretenziosa, si potrebbe dire che il destino è una specie di “entità” che riassume globalmente le infinite interconnessioni casuali degli eventi, delle vicissitudini della nostra esistenza. Non trascurando nessun rapporto di causa-effetto che può essersi verificato nella nostra esistenza e ricombinandoli spesso in modo bizzarro, imprevedibile, talvolta tragicamente ironico.  L’incontro con Anna, l’esperienza vissuta insieme, tutto un caso, una magnifica concomitanza di eventi.  Ora però la sua tragica scomparsa diventa la mia tragedia e la mia unica necessità esistenziale.  La necessità di operare una scelta. La vita, per ricominciare, oppure spegnere per sempre l’interruttore e dire magari - “No, grazie.  Per me è abbastanza, non riesco a sopportare un dolore così estremo “.  Tutto dipendeva da riuscire a trovare o meno la forza.  O meglio, sperare che quella ancestrale molecola che fa fuggire l’insetto, la formica davanti al pericolo, continuasse a funzionare anche nella mia mente . 

Che ci piaccia o no, le nostre scelte, anche le più complesse e drammatiche, sono profondamente connesse alle nostre strutture biologiche e da esse direttamente od indirettamente dipendenti.  Razionalmente avevo già scelto di morire. Forse mille volte.....  Ma quella maledetta molecola mi impediva di farlo, mi imponeva uno dei pochi obblighi esistenziali degli esseri che la zoologia definisce inferiori : l’istinto di conservazione.  Mentre rimuginavo questi pensieri,tornai alla realtà, alla tragedia. Tornai a fissarla, avvicinandomi a lei.  Forse speravo in un ultimo sorriso, in un’ultima parola d’amore.  I suoi occhi ora sembravano socchiusi ed una lacrima vera le scendeva sul volto pallidissimo.

Fu assolutamente istintivo. Mi tolsi il fazzoletto di tasca e l’asciugai. Mi accorsi anche che un sottile rivolo di sangue le scendeva dall’estremità sinistra del labbro inferiore.
Arrivarono i Carabinieri e l’ambulanza. Cercarono di allontanare la gente.  Li convinsi  a lasciarmi restare.  La guardai a lungo,il suo volto scarno , le sue lentiggini ,i suoi capelli arruffati.  Volevo imprimere per sempre la sua ultima immagine nella  mia mente.  Ma più che cercavo di farlo, più sentivo che mi sarebbe sfuggita.  La mia Anna .  La mia stessa ragione di vita. Non l’avrei rivista mai più.

Quell’auto o se vogliamo il Destino, aveva ucciso anche me .  Non avrei potuto ricominciare . E poi da dove ?  Volevo solo potermene andare.  Magari in punta di piedi, come aveva fatto lei. La caricarono di fretta sull’ambulanza e la portarono via.  Non ebbi il coraggio di seguirla. Rimasi lì, quasi come per cercare qualcosa che di lei fosse rimasto. Fino a sera.

Venne poi il tramonto, enfatizzatore di tutte le malinconie.....  Fu  un attimo, ma percepii che forse avrei potuto vincere quella stupida molecola. Non potevo fuggire come la formica.  Non volevo. E poi da che cosa ? Oramai non possedevo più nulla.  Volevo solo spengere l’interruttore.  Il buio della sera era ormai sceso. Sentivo il desiderio di confondermi con esso, di scomparire nel nulla.  Senza guardare attraversai la strada, poi fu davvero il buio.
Mi svegliai qualche ora dopo in una corsia d’ospedale in preda a lancinanti dolori . Il Fato ancora una volta si era preso gioco di me. Non aveva accettato le mie dimissioni. All’esattore spietato non collimava la data.  Certo, sarebbe senz’altro ripassato un giorno. …ma a suo comodo e piacimento…

 Del resto la sua spietata essenza non contempla affatto  alcuna pietosa pratica  di eutanasia....
 

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Il breve aneddoto narrato non si può certo dire a “lieto fine”, ammesso che possa esistere la fine di un qualcosa che ci appartiene definibile “lieta”. La vicenda , come già accennato brevemente nel prologo, vuole emblematizzare il destino esistenziale dell’uomo e lo scontro, spesso assai violento, fra il suo intelletto raziocinante e la remota istintività della propria ancestrale progenie, purtroppo ancora tanto, troppo presente, in tutte le nostre manifestazioni. Il culmine di questa violentissima battaglia è rappresentata dalla decisione dell’Alter Ego evolutivo di sopprimere la bestia, di ucciderla, nel disperato quanto vano tentativo di dissociarsi da essa, colta la necessità di dissociare la mente dai nostri doveri esistenziali più immediati che ci accomunano alla formica, agli “esseri inferiori”.

La dialettica fra l’istintività ed l’intelletto, è forse l’ultimo degli “esperimenti” che la Natura ha messo e sta mettendo in atto. L’ultimo e senz’altro di gran lunga il più pericoloso. Pericoloso per noi stessi e per il nostro piccolo, misero, povero e martoriato mondo : pulviscolo di sabbia sperduto in un Universo di cui ci è consentito solo scrutarne il passato, passato talvolta assai remoto.
Abbiamo sprigionato , quali novelli apprendisti stregoni, forze che regolano la dinamica stessa dell’Universo ed al contempo ostentiamo una ferocia predatoria che nessun altro animale riesce ad eguagliare. Una ferocia che è diretta contro i nostri stessi simili. Nessuna “spietatissima belva” se possedesse la capacità di esprimersi introdurrebbe mai nel proprio lessico la parola “guerra” e non perché è “più buona o più saggia” di noi, ma semplicemente perché non la pratica.
Con noi "qualcuno" ha compiuto un tremendo esperimento facendo coesistere l'uomo e la bestia. La domanda che sorge, seppur retorica dato l’abuso letterario che se ne è fatto e se ne continua a fare, si pone sempre in tutta la sua prorompente drammaticità: vincerà l’uomo oppure la bestia ? In tutte le guerre si annoverano  sempre battaglie vinte e battaglie perse.... L’importante è che quando si arriverà fatalmente a combattere l’ultima, quella decisiva, l’uomo sia preparato e riesca a risolverla a suo favore.

Altrimenti, ed oramai lo sappiamo bene , cesseranno di esistere entrambi : l’uomo e la bestia.

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