GIUGNO
1
IL NEGOZIO DI MUSICA.
C’era una volta
un ragazzo nato con una grave malattia, una malattia di cui non si conosceva la
cura. Aveva 17 anni, ma poteva morire in qualsiasi momento.
Visse sempre in casa sua, con l’assistenza di sua madre, ma un giorno stanco di
stare in casa decise di uscire almeno una volta. Chiese il permesso a sua madre
e lei accettò.
Camminando nel suo quartiere vide diversi negozi e passando per un negozio di
musica, guardando dalla vetrina, notò la presenza di una tenera ragazza della
sua età.
Fu amore a prima vista.
Aprì la porta ed entrò guardando nient’altro che la ragazza, e avvicinandosi
poco a poco, arrivò al bancone dove c’era quell’adorabile fanciulla.
Lei lo guardò e gli disse sorridente: “Posso aiutarti?”
Nel frattempo,
egli pensava che fosse il sorriso più bello che avesse mai visto nella sua vita
e sentì il desiderio di baciarla. Balbettando le disse: “Mi piacerebbe comprare
un CD!”
Senza pensarci, prese il primo che vide e le diede i soldi.
“Vuoi che te lo impacchetti?” chiese la ragazza sorridendo di nuovo. Egli
rispose di si annuendo; lei andò nel magazzino, tornò con il pacchetto e glielo
consegnò. Lui lo prese ed uscì dal negozio. Tornò a casa e da quel giorno in poi
andò al negozio ogni giorno per comprare un cd.
Faceva fare il pacchetto sempre alla ragazza e poi tornava a casa per riporlo
nell’armadio.
Egli era molto timido per invitarla ad uscire e nonostante provasse non ci
riusciva.
Sua madre si interessò alla situazione e lo spronò a tentare, così egli il
giorno seguente si armò di coraggio e si diresse al negozio. Come tutti i giorni
comprò un altro cd e come sempre lei gli fece una confezione. Lui prese il cd e,
in un momento in cui la ragazza era distratta, posò rapidamente un foglietto con
il suo numero di telefono sul bancone; dopodiché uscì di corsa dal negozio.
Il giorno dopo
squillò il telefono. Sua madre rispose: “Pronto?” Era la ragazza che chiedeva di
suo figlio; la madre afflitta cominciò a piangere mentre diceva: “Non lo sai?… è
morto ieri!”
Ci fu un silenzio prolungato interrotto dai lamenti della madre.
Più tardi la madre entrò nella stanza del figlio per ricordarlo. Decise di
iniziare dal guardare tra la sua roba, aprì l’armadio e con sorpresa si trovò di
fronte ad una montagna di cd impacchettati. Non ce ne era nemmeno uno aperto.
Le procurò una
curiosità vederne tanti che non resistette: ne prese uno e si sedette sul letto
per guardarlo; facendo ciò, un biglietto uscì dal pacchettino di plastica.
La madre lo raccolse per leggerlo, diceva: “Ciao, sei bellissimo! Ti andrebbe di
uscire con me? TVB… Sofia.”
La madre emozionata ne aprì altri e trovò altri bigliettini: tutti dicevano la stessa cosa.
2
LA PRINCIPESSA
C'era una volta un re che aveva una figlia di grande bellezza e straordinaria intelligenza.
La principessa soffriva però di una misteriosa malattia. Man mano che cresceva, si indebolivano le sue braccia e le sue gambe, mentre vista e udito si affievolivano. Molti medici avevano invano tentato di curarla. Un giorno arrivò a corte un vecchio, del quale si diceva che conoscesse il segreto della vita. Tutti i cortigiani si affrettarono a chiedergli di aiutare la principessa malata. Il vecchio diede alla fanciulla un cestino di vimini, con un coperchio chiuso, e disse: «Prendilo e abbine cura. Ti guarirà». Piena di gioia e attesa, la principessa aprì il coperchio, ma quello che vide la sbalordì dolorosamente. Nel cestino giaceva infatti un bambino, devastato dalla malattia, ancor più miserabile e sofferente di lei. La principessa lasciò crescere nel suo cuore la compassione. Nonostante i dolori prese in braccio il bambino e cominciò a curarlo. Passarono i mesi: la principessa non aveva occhi che per il bambino. Lo nutriva, lo accarezzava, gli sorrideva. Lo vegliava di notte, gli parlava teneramente. Anche se tutto questo le costava una fatica intensa e dolorosa. Quasi sette anni dopo, accadde qualcosa di incredibile. Un mattino, il bambino cominciò a sorridere e a camminare. La principessa lo prese in braccio e cominciò a danzare, ridendo e cantando. Leggera e bellissima come non era più da gran tempo. Senza accorgersene era guarita anche lei.
3
IL NON VEDENTE ED IL PUBBLICITARIO
Un giorno, un
uomo non vedente stava seduto sui gradini di un edificio con un cappello ai suoi
piedi ed un cartello recante la scritta: “Sono cieco, aiutatemi per favore.”
Un pubblicitario che passeggiava lì vicino si fermò e notò che aveva solo pochi
centesimi nel suo cappello. Si chinò e versò altre monete, poi, senza chiedere
il permesso dell’uomo, prese il cartello, lo girò e scrisse un’altra frase.
Quello stesso pomeriggio il pubblicitario tornò dal non vedente e notò che il
suo cappello era pieno di monete e banconote.
Il non vedente
riconobbe il passo dell’uomo: gli chiese se fosse stato lui ad aver riscritto il
suo cartello e cosa avesse scritto. Il pubblicitario rispose: “Niente che non
fosse vero; ho solo riscritto il tuo in maniera diversa.” sorrise e andò via.
Il non vedente non seppe mai che ora sul suo cartello c’era scritto:
“Oggi è primavera ed io non la posso vedere.”
4
IL NIBBIO E IL SERPENTE
In una calda
giornata primaverile, un giovane serpente strisciava sereno tra le pietre
godendosi i raggi solari. L’aria era tiepida e carica di un buon profumo
floreale, ogni animale si sentiva in pace in quel clima piacevole. Il piccolo
serpente si muoveva piano nel prato quando all’improvviso una spaventosa ombra
si proiettò sul suo cammino. L’animale preoccupato alzò la testa per guardare da
dove provenisse la macchia scura e scoprì che un terribile nibbio stava puntando
dritto dritto su di lui! Il poverino non ebbe nemmeno il tempo di scappare
perché in un lampo il volatile gli piombò addosso afferrandolo con il becco. Il
serpente fu sollevato in cielo da rapace, il quale, senza pietà per le sue
grida, volò via il più velocemente possibile.
“Lasciami andare!” implorava lo sfortunato rettile, “Non ti ho fatto niente!”
Ma il nibbio non gli prestò ascoltò.
A quel punto il
piccolo serpente si rivoltò su sé stesso e con un’abile mossa diede un morso al
suo nemico. Il volatile fu colpito dal veleno della sua preda e fu costretto ad
aprire il becco liberando il serpente, che cadde a terra, senza però farsi male.
Il nibbio rimase con la vista annebbiata e, senza più forze a causa del morso
velenoso, precipitò sul terreno a peso morto riportando parecchie ferite.
Il serpente si
avvicinò al nibbio, ancora stordito, e gli disse: “Ben ti sta! Io non volevo
farti del male ma tu mi ci hai costretto e adesso ne paghi le conseguenze!”
Trascorsero due giorni interi prima che il nibbio potesse riprendere a volare
ma, da allora, si tenne sempre ad una certa distanza da tutti i serpenti.
ESOPO
5
IL NONNO E IL NIPOTE
C’era una volta
un uomo molto anziano che camminava a fatica, le ginocchia gli tremavano, ci
vedeva poco e non aveva più neanche un dente. Quando sedeva a tavola, reggeva a
malapena il cucchiaio e versava sempre il brodo sulla tovaglia; spesso gliene
colava anche dall’angolo della bocca. Il figlio e la nuora provavano disgusto,
perciò costringevano il vecchio a sedersi nell’angolo dietro la stufa e gli
davano da mangiare in una brutta ciotola di terracotta.
Il poveretto guardava sconsolato il loro tavolo, con gli occhi lucidi.
Un giorno le sue mani, sempre tremanti, non riuscirono a reggere la ciotola, che
cadde a terra e andò in pezzi. La donna lo rimproverò, ma il vecchio non disse
nulla e sospirò.
Allora per
pochi soldi gli comprarono una ciotola di legno. Mentre sedevano in cucina, si
accorsero che il figlioletto di quattro anni armeggiava per terra con dei
pezzetti di terracotta.
“Che cosa stai combinando?” gli domandò il padre.
“Ecco,” rispose il bambino, “sto accomodando la ciotola per farci mangiare te e
la mamma quando sarete vecchi.” I genitori allora si guardarono e scoppiarono in
lacrime. Fecero subito sedere il vecchio nonno al loro tavolo e da quel giorno
lo lasciarono mangiare sempre assieme a loro. E quando versava il brodo non gli
dicevano più nulla. FRATELLI GRIMM
6
IL NOVIZIO ED IL PULEDRO DI RAZZA
Un saggio abate
volle un giorno mettere alla prova il più promettente tra i suoi novizi.
Chiamò a sé il giovane.
“Ascolta
Pietro, voglio farti un dono.” disse, “Ti regalerò un cavallo di razza che tu
potrai cavalcare e usare a tuo piacimento, se sarai capace di recitarmi dal
principio alla fine il Padre Nostro senza mai neppure per un istante distogliere
il tuo pensiero dalla preghiera.”
“Oh,” rise Pietro meravigliato, “è puerile padre, quel che mi chiedete.
E davvero io in premio potrei avere un cavallo?”
Impaziente com’era di vedersi in groppa a un bel puledro di razza, il giovane
cominciò la sua orazione:
“Padre Nostro che sei nei cieli…”
Ma il suo
pensiero era lontano dalle parole di fede: inseguendo il bel sogno, Pietro
mormorava meccanicamente:
“Venga il Tuo regno… come in cielo così in terra…” e ad un certo punto si trovò
senza accorgersene a chiedere: “Ma il cavallo, avrà poi una sella perché io lo
possa montare?”
L’abate rise divertito e consolò il giovane. In fondo era stato un’ottima lezione.
LEGGENDA DELLA NAVARRA.
7
UN GRANELLO ALLA VOLTA
In uno sperduto
angolo del regno d’Etiopia, viveva un re che amava le favole più di ogni altra
cosa al mondo. Diventato vecchio, però, si annoiava perché ormai le conosceva
tutte.
Così un giorno fece annunciare in tutto il Paese che avrebbe dato il titolo di
principe a chiunque gli avesse saputo raccontare una favola nuova, in grado di
suscitare la sua attenzione e la curiosità di conoscere il finale.
Numerosi cantastorie vennero da tutti gli angoli del reame e dai Paesi vicini,
ma nessuno riuscì ad interessare le orecchie reali, sempre tristi e distratte.
Un giorno un povero contadino bussò alle porte del palazzo per raccontare al
vecchio re la storia di un agricoltore che aveva ammassato nel suo granaio il
raccolto più ricco della sua vita.
Ma c’era un piccolo buco nel granaio e, quando tutto il grano fu portato dentro,
una formica vi entrò e portò via un chicco.
“Molto interessante, continua.” disse il re.
Il contadino
proseguì: “Il secondo giorno un’altra formica passò nel buchino e portò via un
altro chicco di grano, il terzo giorno accadde la stessa cosa…”
Il re era ormai molto preso dalla storia del contadino e chiese di tagliare
corto sui dettagli per sapere come andava a finire tutto quel via vai di
formiche nel granaio.
“Vai avanti, non mi annoiare!” urlò il re rosso in viso.
Ma il contadino continuava.
“Basta! Vai avanti!” ordinò il re.
Il contadino
sembrava sordo e proseguiva con la sua cantilena di formiche e chicchi di grano.
Si interruppe per dire: “Mio re, questa è la parte più importante della storia:
il granaio è ancora pieno di chicchi di grano.”
Allora il sovrano esclamò: “Hai vinto tu! Ho capito che bisogna saper ascoltare gli altri con pazienza e umiltà. I racconti più belli non sono quelli che ci stupiscono con grandi eventi, ricchezze, rivoluzioni e storie d’amore impossibili. Sono quelli che, come succede nella vita di ogni giorno, ci fanno sperare di riuscire a vedere i risultati dei nostri sforzi.”
8
IL PADRETERNO AL TELEFONO
Il Padreterno è
al telefono da un pezzo, molto attento a quanto dice il suo interlocutore
dall’altro lato del filo.
Annuisce, sorride, gesticola come se disegnasse nell’aria qualcosa. L’angelo
segretario socchiude la porta e gli fa cenno che sull’altra linea c’è… Ma il
Padreterno fa un gesto con la mano per fargli capire di non interrompere, mentre
continua ad annuire, a sorridere e a ridere di cuore. Il segretario torna
nell’altra stanza.
“Il Padreterno è molto occupato.” dice l’angelo, “Non lo si può interrompere!”
“Ma glielo hai detto che al telefono c’è il Papa?” chiese l’interlocutore.
“Non me ne ha dato il tempo!” rispose l’angelo.
“Prova a
farglielo dire dalla Beata Vergine, piccolino!” dice il Papa.
Il piccolo angelo avvisa la Beata Vergine che, con molta dolcezza e discrezione,
va a bussare alla porta dello studio del Padreterno. La socchiude appena. Lui le
fa una strizzatina d’occhio e il gesto di pazientare. La Beata Vergine capisce
al volo e richiude dolcemente la porta.
“È impossibile!” dice, “Si tratta di una persona veramente importante.”
L’angelo va a riferire al Papa che aspetta all’altro telefono con una certa
impazienza.
“Oh, Signore!” supplica il Santo Padre, “Vai a cercare San Giuseppe, fai entrare
in azione Sant’Antonio, vedi se c’è da qualche parte Papa Giovanni… Sbrigati!
Sono affari importanti, affari della Chiesa!”
Dietro la porta
dello studio del Padreterno si è formata una piccola folla di Santi.
Ma non c’è nulla da fare: appena qualcuno socchiude l’uscio, Lui fa cenno di non
interrompere e di chiudere.
Finalmente posa il ricevitore e si butta indietro sulla sua poltrona. “O quella
Valentina!
Quella Valentina!” ride divertito. “Ogni sera mi deve raccontare per filo e per
segno che cosa ha fatto in tutta la giornata!”
Suona il campanello.
Entra l’angelo segretario.
“Chi era all’altro telefono?” chiede curioso il Padreterno.
“Il Papa.” risponde l’angelo
“E ora dov’è?” chiede il Padreterno.
“Si è ritirato.
Ha detto che andava a rileggersi “La notte oscura!” di San Giovanni della
Croce!” spiegò il piccolo angelo.
“Presto, portagli da parte mia questo biglietto.” esclamò il Padreterno.
Parla a voce alta mentre scrive:
“Affido alla carità del Papa Valentina: quattro anni, madre prostituta, padre
carcerato, abitazione: baracche dell’acquedotto felice.”
E rassicuralo. Stia contento: il Padreterno gli vuole sempre un gran bene, anche
se a volte sembra un pochino distratto.
9
IL PAESE DEI CANI
C’era una volta
uno strano piccolo paese.
Era composto in tutto di novantanove casette, e ogni casetta aveva un
giardinetto con un cancelletto, e dietro il cancelletto un cane che abbaiava.
Facciamo un esempio. Fido era il cane della casetta numero uno e ne proteggeva
gelosamente gli abitanti, e per farlo a dovere abbaiava con impegno ogni volta
che vedeva passare qualcuno degli abitanti delle altre novantotto casette, uomo,
donna o bambino. Lo stesso facevano gli altri novantotto cani, e avevano un gran
da fare ad abbaiare di giorno e di notte, perché c’era sempre qualcuno per la
strada.
Facciamo un altro esempio. Il signore che abitava la casetta numero 99,
rientrando dal lavoro, doveva passare davanti a novantotto casette, dunque a
novantotto cani che gli abbaiavano dietro mostrandogli fauci e facendogli capire
che avrebbero volentieri affondato le zanne nel fondo dei suoi pantaloni. Lo
stesso capitava agli abitanti delle altre casette, e per strada c’era sempre
qualcuno spaventato. Figurarsi se capitava un forestiero. Allora i novantanove
cani abbaiavano tutti insieme, le novantanove massaie uscivano a vedere che
succedeva, poi rientravano precipitosamente in casa, sprangavano la porta,
passavano in fretta gli avvolgibili e stavano zitte zitte dietro le finestre a
spiare fin che il forestiero non fosse passato.
A forza di sentir abbaiare i cani gli abitanti di quel paese erano diventati
tutti un po’ sordi, e tra loro parlavano pochissimo. Del resto, non avevano mai
avuto grandi cose da dire e da ascoltare. Pian piano, a starsene sempre zitti e
immusoniti, disimpararono anche a parlare.
E alla fine capitò che i padroni di casa si misero ad abbaiare come i loro cani.
Loro forse
credevano di parlare, ma quando aprivano la bocca si udiva una specie di “bau
bau” che faceva venire la pelle d’oca. E così, abbaiavano i cani, abbaiavano gli
uomini e le donne, abbaiavano i bambini mentre giocavano, le novantanove
villette sembravano diventate novantanove canili. Però erano graziose, avevano
tendine pulite dietro i vetri e perfino gerani e piantine grasse sui balconi.
Una volta capitò da quelle parti Giovannino Perdigiorno, durante uno dei suoi
famosi viaggi.
I novantanove cani lo accolsero con un concerto che avrebbe fatto diventare
nervoso un paracarro. Domandò un’informazione a una donna ed essa gli rispose
abbaiando.
Fece un complimento a un bambino e ne ricevette in cambio un ululato.
“Ho capito!” concluse Giovannino “È un’epidemia!”
Si fece
ricevere dal sindaco e gli disse: “Io un rimedio sicuro ce l’avrei.
Primo, fate abbattere tutti i cancelletti, tanto i giardini cresceranno
benissimo anche senza inferriate. Secondo, mandate i cani a caccia, si
divertiranno di più e diventeranno più gentili.
Terzo, fate una bella festa da ballo e dopo il primo valzer imparerete a parlare
di nuovo.”
Il sindaco gli rispose: “Bau! Bau!”
“Ho capito,” disse Giovannino “il peggior malato è quello che crede di essere
sano!”
E se ne andò per i fatti suoi.
Di notte, se sentite abbaiare molti cani insieme in lontananza, può darsi che
siano dei cani, ma può anche darsi che siano gli abitanti di quello strano,
piccolo paese. GIANNI RODARI
10
IL PANE BUONO
Tempo fa, sul
cader della sera di un sabato qualunque, in una bella e profumata giornata
primaverile, stavo innaffiando l’erba ed i fiori del piccolo giardino che adorna
la nostra casa, assorto nei lieti pensieri del dolce far niente.
Davanti al cancello, all’improvviso, apparve la figura di una ragazzina.
Chiaramente una Rom, una zingara: il suo volto ed il suo cencioso abbigliamento
non lasciavano certo spazio a dubbi in tal senso. Con un italiano piuttosto
stentato mi chiamò e mi disse: “Dio ti benedica te e tua famiglia, mi dai pane
vecchio per mangiare?”
Le risposi:
“Dove abiti?” (curioso, vero? Quando Dio ci parla, capita spesso che di primo
acchito cambiamo discorso)
“Là, vicino fiume Mella!” replicò.
“E di cosa vivi?” le domandai.
“Di quello che mi danno!” esclamò.
“Non vai a scuola?” proseguì.
“No, mai andata!” mi rispose.
“E i tuoi genitori cosa dicono?” chiesi ancora.
“Padre non so,
non vedo da tanto, lui carcere; madre dice: andare prendere qualcosa da
mangiare. Mi dai pane vecchio?” mi chiese nuovamente.
“Sì, certo, scusa, volevi del pane vecchio.
Ho quello fresco, buono, di oggi, vado dentro a prenderti quello!” le dissi
mentre mi stavo girando per entrare in casa.
“Buono, hai già dato!” rispose.
11
IL PANE DELLA FRATELLANZA
Si racconta di
una anziana contadina, di nome Giulia, che viveva in una fattoria con i suoi tre
figli, Roberto, Michele e Francesco. Il marito le era morto durante la guerra. I
tre figli, di cuore buono, erano però sempre pronti a litigare. Si volevano bene
ma, bastava una parola in più ed erano litigi senza fine. A quel punto
interveniva Mamma Giulia e ben presto i figli ritrovavano pace. La mamma divento
vecchia, allora i figli si preoccuparono: “Mamma, cerca di star sempre bene e di
non morire, perché quando litighiamo chi rimetterà la pace fra noi?”
“Ma io dovrò pur morire prima o poi.” rispose la mamma
“Allora,” chiesero i figli “inventa qualcosa perché quando tu non ci sarai più
noi potremo rifare pace e volerci bene.”
Mamma Giulia pensò a lungo alla cosa e un giorno prese un foglio, vi scrisse
come dovevano essere divisi i campi fra i tre figli e aggiunse alcune
raccomandazioni perché andassero sempre d’accordo. La mamma un giorno si ammalò
gravemente e dal suo letto chiamò i figli, consegnò loro il suo testamento, poi
prese un pane, ne fece tre parti, ne diede una a ciascuno e raccomandò:
“Mangiate e cercate di volervi bene.”
I figli,
commossi, mangiarono il pane della mamma, bagnandolo con le loro lacrime. Di lì
a pochi giorni Giulia morì. Roberto, Michele e Francesco si divisero serenamente
i campi e ognuno si mise a lavorare il suo. Ma un giorno Roberto e Michele
scoprirono che il confine fra i loro campi non era chiaro. Ben presto si misero
a litigare. Stavano per fare a botte, quando arrivò Francesco. Egli si mise in
mezzo a loro: “Non ricordate la mamma? Perché non facciamo come quel giorno che
ci ha chiamati al suo capezzale?”
Presero un pane, ne fecero tre parti, ne presero una per ciascuno e si misero a
mangiare.
Mentre mangiavano nella mente di Roberto e Michele si riaccese l’immagine
della mamma; il suo volto e le sue parole scendevano nel loro cuore come una
medicina. Scoppiarono in un pianto dirotto e fecero pace. La pace non durava
molto, perché occasioni di litigio ne incontravano spesso. Però avevano imparato
la soluzione: ogni volta che si creava un’occasione per litigare, i tre fratelli
si sedevano attorno ad un tavolo, prendevano un pane, lo mangiavano insieme; ben
presto scompariva la rabbia e tornava la pace.
12
IL PANE NELL’ARMADIO
Come era sua abitudine, Dio stava passeggiando sulla Terra e, come sempre, erano pochi quelli che Lo riconoscevano. Quel giorno passò davanti ad una casa dove un bambino stava piangendo. Si fermò e bussò alla porta. Uscì una donna con la faccia sofferente e disse: “Cosa desidera, signore?”
“Vengo ad aiutarti.” rispose Dio.
“Aiutarmi? È
molto difficile. Nessuno lo ha fatto finora. Solo Dio potrebbe aiutarmi.
Il mio bambino piange perché ha fame. Mi resta soltanto un pezzo di pane
nell’armadio… quando lo avremo mangiato, sarà tutto finito per noi!”
Sentendo questo, Dio cominciò a sentirsi male. Il suo Volto diventò sofferente
come quello della donna e alcune lacrime, come quelle del bambino, rigarono le
sue guance.
“Nessuno ha voluto aiutarti, donna?” domandò Dio.
“Nessuno,
signore. Tutti mi hanno voltato le spalle!” rispose.
La donna restò impressionata dalla reazione di quello sconosciuto.
A guardarlo, sembrava povero come lei. Lo vide così mal messo, con una faccia
così pallida, che pensò che stesse per svenire. Allora andò all’armadio, dove
conservava il suo ultimo pezzo di pane, ne tagliò un pezzo e glielo offrì.
Davanti a quel gesto, Dio si commosse profondamente e, guardandola negli occhi,
le disse:
“No, no, grazie. Tu ne hai più bisogno di me. Conservalo e dallo a tuo figlio.
Domani ti arriverà il mio aiuto. Non smettere di fare agli altri quello che oggi
hai fatto a Me!”
Detto questo, se ne andò.
La donna non
capì nulla… ma fu molto colpita da quello sguardo.
Quella sera, lei e suo figlio mangiarono l’ultimo pezzo di pane che era rimasto.
Il mattino dopo, la donna ebbe una grande sorpresa: l’armadio era pieno di pane.
Ma la sorpresa fu ancora più grande quando si accorse che, per quanti pani
prendesse, non finivano mai. In quella casa non mancò mai più il pane.
Allora comprese chi era “Colui” che aveva bussato alla sua porta e, da quel
giorno, non cessò più di fare agli altri quello che ha fatto con Lui:
condividere il pane con i bisognosi.
13
IL PAPAVERO E LA LUMACA
Un papavero
fioriva di buon mattino con il calore del sole dei giorni più caldi di
primavera.
E spiegava adagio i suoi petali di un bel rosso fiammante. Purtroppo, erano
tutti sgualciti come quelli di ogni papavero che sboccia. Una lumaca che si
trovava in viaggio per raggiungere il campo di grano osservò: “Questa specie di
fiore poteva fare a meno di sbocciare… così sgualcito e disordinato. È
impresentabile!”
“Hai ragione,”
rispose il papavero, “ma avevo fretta di vedere il sole e i campi di grano dove
si trovano i miei fratelli papaveri.”
La lumaca lo osservò incredula e gli domandò: “E tu saresti lo stesso fiore,
voglio dire della stessa specie, di quegli splendidi papaveri rossi e lucenti
tra le spighe di grano?”
“Già!” rispose il papavero che andava stirando i suoi petali uno ad uno, e
cominciava a diventare bellissimo.
“Ogni cosa vuole il suo tempo.” continuò, “Se tu avessi aspettato un po’, non
avresti dato un giudizio così affrettato quanto ingiusto!”
14
IL PAPPAGALLO RICONOSCENTE
Il povero
pappagallo non ne poteva proprio più. Era nato per la quiete: e intorno a lui,
dalla mattina alla sera, venti, cinquanta, cento pappagalline irrequiete,
sventate, pettegole, andavano, venivano, svolazzavano, cicalavano, strillavano
senza concedere un istante di pace.
Il pappagallo dovette finalmente risolversi e prese il volo per andar a cercare
un cantuccio tranquillo in terra straniera.
Fu proprio fortunato. Dove capitò, tutti gli animali erano pacifici e tutti gli
fecero grande accoglienza, specialmente gli uccelli. Il pappagallo era beato:
quanta quiete! Quanto silenzio!
Ci si sarebbe
fermato tutta la vita; ma non voleva abusare dell’ospitalità, e un giorno a
malincuore si congedò: “Devo ritornare tra i miei.”
Fece i suoi addii e se ne partì. Era già abbastanza alto e lontano, quando
scorse levarsi un denso fumo proprio sui cari luoghi che aveva da poco lasciato.
Tornò subito indietro.
Un grande incendio era scoppiato. Le fiamme correvano la pianura, risalivano i fianchi dei monti, divoravano foreste, villaggi, campagne. Il pappagallo, angosciato, vide un laghetto non lontano. Vi si tuffò, si inzuppò più che poté di acqua, poi volò sul luogo dell’incendio e, scuotendo ali e piume, fece piovere sulle fiamme le gocce d’acqua che lo imperlavano; quindi, volò via ancora al laghetto, tornò a tuffarsi, rivolò sulle fiamme e lasciò ricadere le sue scarse gocciole. E così fece non so quante volte.
Lo scorse una
scimmia e lo ammonì: “O pappagallo, come sei sciocco! Pensi forse di spegnere un
incendio che si stende mille miglia, solo con le goccioline d’acqua che puoi
raccogliere nel cavo delle tue alucce?”
“Oh,” rispose il pappagallo, “so benissimo che non spegnerò l’immenso incendio!
Ma il buon popolo di questi luoghi mi ha accolto e trattato come un fratello e
cerco di dimostrargli per quanto posso tutta la mia gratitudine e la mia pietà.
Non saprei vederlo soffrire tanto, senza portargli il mio soccorso, anche
sapendolo inutile.”
15
IL PARROCO E LA RAGAZZA
Era il mese di
maggio e, dopo il rosario, una ragazza si avvicinò al parroco e disse:
“Nel rosario voi non fate che ripetere sempre le stesse parole! E chi ripete
sempre le stesse parole, è noioso e lascia pensare che non crede in quello che
dice. Io non crederei mai ad una persona che ripete sempre le stesse cose!”
Il parroco le
chiese chi fosse il giovane che l’accompagnava. La ragazza rispose che fosse il
suo fidanzato.
“Ti vuole bene?” chiese il prete.
“Certamente!” rispose lei.
“E come lo sai?” domandò, allora, il parroco.
“Me lo ha detto!” spiegò la ragazza.
“Che cosa ti ha detto?” le chiese.
“Io ti amo!” esclamò sicura la ragazza.
“Quando te lo ha detto?” continuò il parroco.
“Me lo ha
ripetuto, l’ultima volta, un’ora fa!” rispose la ragazza.
“Te lo aveva detto anche prima?” domandò il sacerdote.
“Sì, ieri sera!” spiego la ragazza.
“Che cosa ti ha detto?” proseguì il parroco.
“Io ti amo!” replicò lei.
“Ed altre volte è capitato?” chiese, allora, il prete.
“Tutte le sere!” esclamò la ragazza.
“Gli hai mai
rinfacciato che ripete sempre le stesse cose?” domandò il prete.
“Certo che no!” rispose la ragazza, un po’ sorpresa.
“Ti annoia sentire dire ripetutamente:
“Io ti amo!”?” le chiese allora.
“No… Anzi, mi preoccuperebbe, se non lo facesse!” spiegò la ragazza.
“Bene, adesso hai capito perché, con il Rosario, diciamo sempre le stese cose…”
concluse sorridendo il parroco.
16
IL PASSERO ED IL GIRASOLE
In una
discarica abusiva, in un angolo abbandonato di una zona industriale di una
città, era nato un girasole, che aveva fatto amicizia con un passero! Il fiore
era triste: sognava un prato verde e farfalle svolazzanti. “A che servo io qui?”
si chiedeva.
Ma l’uccellino guardava il girasole, raggiante, a becco aperto: “Come sei bello!
Sei meraviglioso!” trillava.
“Ci sono molte cose più belle!” rispondeva il saggio girasole, “Guardati
intorno!”
Il buon passero si guardava diligentemente intorno, ma finiva sempre per
voltarsi verso il girasole e pigolare con aria ammirata: “Il più bello di tutti
sei tu!”
Così, ogni
giorno, il girasole prendeva coraggio e cresceva, tanto da troneggiare, ormai,
sul mucchio di rifiuti. La sua corona d’oro splendeva sempre di più! Ma un
giorno, al sorgere del sole, il fiore attese invano il suo piccolo amico. Solo
nel tardo pomeriggio sentì un pietoso pigolio ai suoi piedi! Si piegò e vide il
passero che si trascinava con un’ala ferita.
“Piccolo amico mio, che cosa ti è successo?” gli chiese.
“Un gabbiano mi ha colpito e da alcuni giorni non riesco a trovare niente da
mangiare.
È la fine per me!” bisbigliò l’uccellino.
“No no!” urlò il girasole, “Aspetta un attimo!”
Il bel fiore scosse con vigore la sua grande corolla e una pioggia di semi scese
sul passero.
“Mangiali,
amico mio! Ti daranno nuova forza!” disse il girasole.
Giorni dopo, il passero aveva ripreso vigore e, riconoscente, si voltò a
guardare il girasole.
Ma fu ferito da una dolorosa sorpresa: lo splendido fiore aveva perso i colori,
le foglie penzolavano grigiastre e i petali erano terrei!
“Che cosa ti è successo bellissimo fiore?” pigolò.
“Il mio tempo è finito!” rispose il girasole. “Ma me ne vado felice! Per tanto
tempo mi son chiesto quale crudele destino mi avesse fatto nascere in una
discarica. Ora ho capito:
sono stato un
dono per te e ti ho ridato la vita! Come tu sei stato un dono per me perché mi
hai sempre incoraggiato. Mangia tutti i semi che vuoi ma lasciane qualcuno!
Un giorno germoglieranno e, chissà, forse qui sorgerà una splendida aiuola!”
17
IL PASSEROTTO BEIGE E MARRONE
C’era una volta un passerotto beige e marrone che viveva la sua esistenza come una successione di ansie e di punti interrogativi. Era ancora nell’uovo e si tormentava: “Riuscirò mai a rompere questo guscio così duro? Non cascherò dal nido? I miei genitori provvederanno a nutrirmi?”
Fugò questi
timori, ma altri lo assalirono, mentre tremante sul ramo doveva spiccare il
primo volo: “Le mie ali mi reggeranno? Se mi dovessi spiaccicare al suolo… Chi
mi riporterà quassù?”
Naturalmente imparò a volare, ma cominciò a pigolare: “Troverò una compagna?
Potrò costruire un nido?” Anche questo accadde, ma il passerotto si angosciava:
“Le uova saranno protette? Potrebbe cadere un fulmine sull’albero e incenerire
tutta la mia famiglia. E se dovesse arrivare un falco a divorare i miei piccoli?
Riuscirò a nutrirli?”
Quando i piccoli si dimostrarono belli, sani e vispi e cominciarono a svolazzare
qua e là, il passerotto si lagnava: “Troveranno cibo a sufficienza? Sfuggiranno
al gatto e agli altri predatori?”
Poi, un giorno,
sotto l’albero si fermò un maestro. Additò il passerotto ai discepoli e disse:
“Guardate gli uccelli del cielo: essi non seminano, non mietono e non mettono il
raccolto nei granai… eppure il Padre vostro che è in cielo li nutre!”
Il passerotto beige e marrone improvvisamente si accorse che aveva avuto tutto…
E non se n’era mai accorto.
18
IL PASTORE E LA GABBIA ARRUGGINITA
C’era una volta
un uomo di nome George Thomas, che fu un pastore protestante e visse in un
piccolo paese. La mattina di una Domenica di Pasqua si recò in Chiesa, portando
con sé una gabbia arrugginita. La sistemò vicino al pulpito. La gente rimase
alquanto scioccata.
Il pastore se ne accorse e cominciò a parlare:
“Ieri stavo passeggiando quando vidi un ragazzo con questa gabbia. Nella gabbia
c’erano tre uccellini, tremavano dal freddo e per lo spavento.
Fermai il
ragazzo e gli chiesi: “Cos’hai lì, figliolo?”
“Tre vecchi uccelli!” fu la risposta.
“Cosa farai di loro?” chiesi
“Li porto a casa e mi divertirò con loro!” rispose il ragazzo che continuò a
parlare, “Li stuzzicherò, strapperò le piume, così litigheranno. Mi divertirò
tantissimo!”
“Ma presto o tardi ti stancherai di loro. Allora che cosa ne farai?” chiese
nuovamente il pastore.
“Oh, ho dei gatti…” disse il ragazzo, “A loro piacciono gli uccelli, li darò a
loro.”
Il pastore rimase in silenzio per un momento…
Poi domandò: “Quanto vuoi per questi uccelli, figliolo?”
“Cosa? Perché li vuoi, signore, sono uccelli di campo, niente di speciale. Non
cantano. Non sono nemmeno belli!” replicò il ragazzo.
“Quanto?” chiese di nuovo il pastore.
Pensando fosse
pazzo, il ragazzo disse: “Dieci dollari!”
Presi allora dieci dollari dalla mia tasca e li misi in mano al ragazzo. Come un
fulmine il ragazzo sparì. Dopo aver recuperato la gabbia con delicatezza andai
in un campo dove c’erano alberi ed erba. Aprii la gabbia e con gentilezza
lasciai liberi gli uccellini.”
Non appena il pastore finì di parlare, tutti capirono il motivo della gabbia
vuota accanto al pulpito.
19
IL PASTORE ED IL VIANDANTE
C’era una volta
un uomo che aveva sempre il cielo dell’anima coperto di nubi nere. Era incapace
di credere alla bontà. Soprattutto non credeva alla bontà e all’amore di Dio.
Un giorno mentre passeggiava sulle colline che attorniavano il suo villaggio,
sempre tormentato dai suoi dubbi, incontrò un pastore.
Il pastore era
un brav’uomo dagli occhi limpidi. Si accorse che lo sconosciuto aveva un’aria
particolarmente triste e gli chiese: “Che cosa ti rende così triste, amico?”
“Mi sento immensamente solo.” rispose l’uomo.
“Anch’io sono solo, eppure non sono triste!” replicò il pastore.
“Forse perché Dio ti fa compagnia…” disse il viandante.
“Hai indovinato!” esclamò il pastore.
“Io invece non
ho la compagnia di Dio.” spiegò l’uomo, “Non riesco a credere che mi ama.
Com’è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com’è possibile che ami uno come
me?”
“Vedi laggiù il nostro villaggio?” domandò il pastore, “Vedi ogni casa? Vedi le
finestre di ogni casa?”
“Vedo tutto questo!” rispose l’uomo.
“Allora non
devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più
piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell’arco della
giornata.
Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra.” concluse il saggio
pastore.
20
IL PELLEGRINO ED IL BARCAIOLO (I REMI “FEDE” E “OPERE”)
Un giorno, un
uomo si stava dirigendo in pellegrinaggio verso un paese lontano! Mentre era in
cammino, solitario, verso il luogo di destinazione giunse presso la riva di un
fiume. Non sapendo come continuare il suo viaggio a causa delle profonde acque
notò poco distante un barcaiolo che, con la sua piccola imbarcazione, svolgeva
il proprio lavoro trasportando i passanti da una riva all’altra del fiume!
Il pellegrino, dopo essersi informato dal barcaiolo sul prezzo del trasporto, si
accomodò tranquillamente sulla barca, per essere trasportato sulla sponda
opposta del fiume.
Mentre si trovavano nel centro del fiume, il pellegrino notò che i remi della
barca erano incisi da un’iscrizione a grandi caratteri!
Il primo remo portava la scritta “fede” mentre il secondo “opere.”
L’uomo, mosso
da curiosità, domandò al barcaiolo quale fosse il significato di tali incisioni!
E, senza dire neanche una parola, il barcaiolo tirò sopra la barca il remo con
la scritta “opere” e, remando solo con l’altro, la barca incominciò a girare su
se stessa.
Poi portò sull’imbarcazione il remo con la scritta “fede” e, gettato in acqua
quello delle “opere”, anche questa volta la barca girò su se stessa!
A questo punto, sotto lo sguardo attento del pellegrino, il barcaiolo fece
scendere in acqua tutti e due i remi e, finalmente, l’imbarcazione riprese la
giusta direzione per raggiungere la meta.
Il pellegrino annuì pensieroso e disse: “Adesso capisco!”
21
IL PITTORE E L’UBRIACO
Sperando di
lavorare per qualche giorno, un pittore ambulante di ritratti sostò in una
piccola città.
Uno dei suoi primi clienti fu un ubriaco il quale, nonostante la sua faccia
sporca, la barba lunga e gli abiti inzaccherati, si sedette con tutta la dignità
di cui era capace per farsi fare il ritratto.
L’artista impiegò più del solito per realizzare il suo lavoro, quando ebbe
finito, alzò il ritratto dal cavalletto e lo mostrò all’uomo.
“Questo non
sono io!” balbettò l’ubriaco sorpreso mentre guardava l’uomo sorridente e ben
vestito del ritratto.
L’artista, che aveva guardato oltre l’esteriore e aveva visto la bellezza
interiore dell’uomo, disse pensoso: “Ma questo è l’uomo che potresti essere!”
PAUL WHARTON
22
IL PIÙ FORTE
Un giorno, la pietra disse: “Sono la più forte!” Udendo ciò, il ferro disse: “Sono più forte di te! Vuoi vedere?” Subito, i due lottarono, fino a quando la pietra fu ridotta in polvere.
Il ferro disse
a sua volta: “lo sono il più forte! Udendolo, il fuoco disse: “lo sono più forte
te! Lo vuoi vedere?” Allora i due lottarono finché il ferro fu fuso.
Il fuoco disse a sua volta: “lo sì che sono forte!” Udendo ciò, l’acqua disse:
“lo sono più forte di te! Se vuoi te lo dimostro.” Allora, lottarono fin quando
il fuoco fu spento.
L’acqua disse a sua volta: “Sono io la più forte!” Udendola il sole disse: “Io
sono più forte ancora! Guarda!” I due lottarono finché il sole fece evaporare
l’acqua.
Il sole disse a
sua volta: “Sono io il più forte!” Udendolo, la nube disse: “lo sono più forte
ancora! Guarda!” I due lottarono finché la nube nascose il sole.
La nube disse a sua volta: “Sono io la più forte!” Ma il vento disse: “Io sono
più forte di te! Te lo dimostro!” Allora i due lottarono fin quando il vento
soffiò via la nube ed essa sparì.
Il vento disse a sua volta: “Io sì che sono forte!” I monti dissero: “Noi siamo
più forti di te! Guarda!” Subito i due lottarono fino a che il vento restò preso
tra le catene dei monti.
I monti, a loro
volta, dissero: “Siamo i più forti!” Ma sentendoli, l’uomo disse:
“Io sono più forte di voi! E, se lo volete vedere…”
L’uomo, dotato di grande intelligenza, perforò i monti, impedendo che
bloccassero il vento.
Dominando il potere dei monti, l’uomo proclamò: “Io sono la creatura più forte
che esista!”
Ma poi venne la morte, e l’uomo che si credeva intelligente e tanto forte, con
un ultimo respiro, morì.
La morte a sua volta disse: “Sono io la più forte! Perché prima o poi tutto
muore e finisce nel nulla!”
La morte già festeggiava quando, inatteso, venne un uomo e, dopo soli tre giorni
dalla morte, risuscitò, vincendo la morte. (Pasqua)
Questo Gesù è la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata
d’angolo…
23
IL PONTE
Due fratelli
vissero insieme d’amore e d’accordo per molti anni. Vivevano in cascine
separate, ma un giorno scoppiò una lite e questo fu il primo problema serio che
sorse dopo quaranta anni in cui avevano coltivato insieme la terra condividendo
le macchine e gli attrezzi, scambiandosi i raccolti e i beni continuamente.
Cominciò con un piccolo malinteso e crebbe fino a che scoppiò un diverbio con
uno scambio di parole amare a cui seguirono settimane di silenzio.
Una mattina qualcuno bussò alla porta di Luigi. Quando aprì si trovò davanti un
uomo con gli utensili del falegname: “Sto cercando un lavoro per qualche
giorno,” disse il forestiero “forse qui ci può essere bisogno di qualche piccola
riparazione nella fattoria e io potrei esserle utile per questo!”
“Sì,” disse il
maggiore dei due fratelli “ho un lavoro per lei. Guardi là, dall’altra parte del
fiume, in quella fattoria vive il mio vicino, beh! È il mio fratello minore. La
settimana scorsa c’era una splendida prateria tra noi, ma lui ha deviato il
letto del fiume perché ci separasse. Deve aver fatto questo per farmi andare su
tutte le furie, ma io gliene farò una. Vede quella catasta di pezzi di legno
vicino al granaio? Ebbene voglio che costruisca uno steccato di due metri circa
di altezza, non voglio vederlo mai più!”
Il falegname rispose: “Mi sembra di capire la situazione!”
Il fratello
maggiore aiutò il falegname a riunire tutto il materiale necessario e se ne andò
fuori per tutta la giornata per fare le spese in paese. Verso sera, quando il
fattore ritornò, il falegname aveva appena finito il suo lavoro. Il fattore
rimase con gli occhi spalancati e con la bocca aperta. Non c’era nessuno
steccato di due metri. Invece c’era un ponte che univa le due fattorie sopra il
fiume.
Era una autentica opera d’arte, molto fine, con corrimano e tutto. In quel
momento, il vicino, suo fratello minore, venne dalla sua fattoria e abbracciando
il fratello maggiore gli disse:
“Sei un tipo veramente in gamba.
Ma guarda!
Hai costruito
questo ponte meraviglioso dopo quello che io ti ho fatto e detto!”
E così stavano facendo la pace i due fratelli, quando videro che il falegname
prendeva i suoi arnesi. “No, no, aspetta; rimani per alcuni giorni ancora, ho
parecchi lavori per te!” disse il fratello maggiore al falegname.
“Mi fermerei volentieri,” rispose lui “ma ho parecchi ponti da costruire!”
24
IL POSTO DI VIAGGIO IN AEREO
Una donna
bianca, di circa 50 anni, prese posto in classe economica, di fianco ad un uomo
nero, su un aereo di linea. Visibilmente turbata, chiamò la hostess.
“Che problema ha signora?” chiese l’hostess.
“Ma non lo vede?” rispose la signora “Mi avete messo a fianco di un uomo nero!
Non sopporto di
rimanere qui. Assegnatemi un altro posto.”
“Per favore, si calmi,” disse l’hostess “poiché tutti i posti sono occupati.
Vado a vedere se ce n’è uno disponibile.”
L’hostess si allontanò e ritornò qualche minuto più tardi. “Signora, come
pensavo, non c’è nessun altro posto libero in classe economica, anche il
comandante mi ha confermato questa mancanza di posto, neanche in classe
executive. È rimasto libero soltanto un posto in prima classe.”
Prima che la donna avesse modo di commentare la cosa, l’hostess continuò: “Vede, è insolito per la nostra compagnia permettere a una persona con biglietto di classe economica di sedersi in prima classe. Ma, viste le circostanze, il comandante pensa che sarebbe scandaloso obbligare qualcuno a sedersi a fianco di una persona sgradevole.”
E, rivolgendosi
all’uomo nero, l’hostess proseguì: “Quindi, signore, se lo desidera, prenda il
suo bagaglio a mano che la attende un posto in prima classe!”
E tutti i passeggeri vicini che, allibiti, avevano assistito alla scenata della
signora, si misero ad applaudire.
25
IL POZZO E LA POZZANGHERA
Un giorno una
pozzanghera disse al pozzo vicino a sé: “Che vita insignificante la mia!
Nessuno si accorge di me se non che qualche uccellino ogni tanto, per bere un
po’ d’acqua.
Tu invece sei ben conosciuto e vengono a te da lontano, ti hanno dato persino un
nome.”
Il pozzo le rispose: “Cara amica mia, è vero che vengono da lontano e che mi hanno dato un nome, ma non vengono per me, vengono tutti a prendere l’acqua che la terra mi dona e se ne vanno felici per l’acqua che possono prendere. Ma a me va bene così, perché in ogni caso li vedo andar via contenti. Ma anche tu non devi lamentarti, perché è vero che non hai un nome ma quando la tua acqua è calma, riflette lo stupendo azzurro del cielo sulla terra, mentre la mia acqua non ha che buio attorno a sé. Pensaci amica mia, ciò che conta sia per me che per te è permettere all’acqua che ci viene donata di dissetare chi ne ha bisogno.
Tu cara amica, disseti chi non sa più guardare il cielo.” STEFANO LOVECCHIO
26
IL PREDICATORE ED IL QUARTO DI DOLLARO
Molti anni fa
un predicatore si trasferì a Houston, in Texas. Alcune settimane dopo essere
arrivato, ebbe l’occasione per andare con l’autobus dalla sua casa al centro.
Quando si sedette, scoprì che il conducente, nel fargli il biglietto, gli aveva
dato accidentalmente un quarto di dollaro in più. Allora lui cominciò a pensare
cosa fare, e così pensò di darlo indietro.
Sarebbe stato sbagliato tenerlo. Poi però pensò: “Ma dai! È solo un quarto di
dollaro. Chi si potrebbe preoccupare per questa piccola cifra? Di certo la
società degli autobus già ha applicato una tariffa troppo alta; evidentemente
stanno al riparo da ogni fallimento.
Di certo non
fallirà per questo! Accettalo come un regalo da Dio e stai in pace!”
Quando arrivò il momento di scendere, si fermò alla porta e diede il quarto di
dollaro al conducente, dicendo: “Guardi! Lei mi ha dato dei soldi in più!”
Il conducente
con un sorriso rispose: “Lei non è il nuovo predicatore in città? Io stavo già
pensando ultimamente di andare a frequentare qualche altra chiesa, ma volevo
ancora vedere quello che Lei avrebbe fatto se le avessi dato il resto
sbagliato!”
Quando quel conducente cominciò ad allontanarsi, il predicatore trovò un
posticino tranquillo per pregare e disse: “O Dio, non ho venduto Tuo Figlio per
un quarto di dollaro!”
27
IL PRELIEVO IN BANCA
Una vecchia
signora si presentò in banca e, rivolgendosi al cassiere, gli chiese di poter
prelevare 20,00 €. Il cassiere le rispose: “Per prelievi inferiori a 100,00 €,
si prega di voler utilizzare il bancomat!”
L’anziana signora gli domandò come mai non potesse prelevare la cifra di cui
necessitava, ma il cassiere le restituì la carta di credito, esclamando: “Queste
sono le regole, per favore se ne vada se non c’è altro. C’è una fila di clienti
dietro di lei!”
La vecchia signora rimase in silenzio per alcuni istanti e, restituendo la
propria carta al cassiere, gli disse: “Per favore, mi aiuti a ritirare tutti i
soldi che ho!”
Il cassiere rimase sbalordito dopo aver controllato il saldo del suo conto.
Annuì, si chinò e le disse rispettosamente: “Signora, lei ha 310.000,00 € nel
suo conto! Ma la banca non dispone di così tanti contanti al momento. Potrebbe
fissare un appuntamento e tornare domani?”
La vecchia signora chiese al cassiere quanto potesse prelevare immediatamente.
Il cassiere le spiegò che poteva prelevare qualsiasi importo fino a 3.000,00 €.
“Perfetto, per cortesia mi dia 3.000,00 € ora!”
Il cassiere
effettuò l’operazione e consegnò gentilmente 3.000,00 € alla signora, in modo
molto amichevole e con un sorriso.
La vecchia signora, dopo aver preso i soldi, mise 20,00 € nella borsa, dopodiché
chiese al cassiere di depositare 2.980,00 € sul suo conto.
Non essere difficile con le persone anziane, hanno passato una vita a imparare l’abilità!
28
IL PRIMO FIORE
In un paesino
di montagna c’è un’usanza molto bella. Ogni primavera si svolge una gara tra
tutti gli abitanti. Ciascuno cerca di trovare il primo fiore della primavera.
Chi trova il primo fiore sarà il vincitore e avrà fortuna per tutto l’anno. A
questa gara partecipano tutti, giovani e vecchi. Quest’anno, quando la neve
iniziò a sciogliersi e larghi squarci di terra umida rimanevano liberi, tutti
gli abitanti di quel paesino partirono alla ricerca del primo fiore.
Per ore e ore iniziarono a cercare alle pendici del monte, ma non trovarono
alcun fiore.
Stavano già ritornando verso casa quando il grido di un bambino attirò
l’attenzione di tutti:
“È qui! L’ho trovato!”
Tutti accorsero
per vedere. Quel bambino aveva trovato il primo fiore, sbocciato in mezzo alle
rocce, qualche metro sotto il ciglio di un terribile dirupo. Il bambino indicava
col braccio teso giù in basso, ma non poteva raggiungerlo perché aveva paura di
precipitare nel terribile burrone. Il bambino però desiderava quel fiore anche
perché voleva vincere la gara.
Cinque uomini forti portarono una corda. Intendevano legare il bambino e calarlo
fino al fiore.
Il bambino però aveva paura. Aveva paura che la corda si rompesse e di cadere
nel burrone.
“No, no!” diceva piangendo, “Ho paura!”
Gli fecero
vedere una corda più forte e quindici uomini che l’avrebbero tenuto. Tutti lo
incoraggiavano. Ad un tratto il bambino cessò di piangere.
Tutti fecero silenzio per sentire che cosa avrebbe fatto il bambino.
“Va bene!” disse il bambino, “Andrò giù se mio padre terrà la corda!”
29
IL PRINCIPE SENZA FIABA
C’era una volta
un principe senza fiaba, che vagava disperato nel paese delle fiabe, alla
ricerca di una storia dove poter fare la sua comparsa anche lui.
Non era facile, però: la Bella Addormentata aveva già il suo principe e così
Biancaneve, Cenerentola, Pelle d’ Asino, la Sirenetta… c’ erano fin troppi
principi nel paese delle fiabe.
Allora tentò il tutto per tutto: salì sul suo cavallo magico e volò fino sulla
terra, per ascoltare le fiabe che le mamme narravano ai loro bambini, sperando
di trovarne una adatta per lui.
Tutto inutile!
Non solo erano sempre le stesse fiabe, ma erano sempre più piene di principi e
re e magari si trattava di principi coraggiosissimi, capaci di combattere draghi
spaventosi e tutto il resto!
Sconsolato, una sera si fermò vicino ad una stanzetta con la luce fioca, dove
una mamma e il suo bambino stavano soli in silenzio.
La mamma veramente non era proprio in silenzio: piangeva piano e ogni tanto
provava a dire qualche parola, ma non le riusciva di raccontare nessuna fiaba,
perché il bambino era tanto malato e la mamma, sempre più triste, non poteva
ricordare più nulla.
“Quanto sono stupido, a preoccuparmi tanto per una fiaba!” pensò il principe.
“Questa mamma
ha motivi di tristezza assai più seri dei miei… se posso, proverò ad aiutarla.”
Per tranquillizzarla un po’, prese un pizzico di polverina del sonno e gliela
passò sugli occhi… non appena la mamma li ebbe chiusi, si avvicinò alla culla e
prese in braccio il bimbo.
“Vuoi venire con me, e volare con il mio cavallo magico?” chiese gentilmente.
“Ehh, Guh!” rispose il bimbo contento e partirono insieme.
Volarono su, fin nel cielo più alto, fino dalle stelle e tutte le stelline che
incontravano li salutavano allegre.
“Che bel bambino!” dicevano le stelle.
“E’ il bambino più bello che abbiamo mai visto! Posso prenderlo in braccio?”
Il principe
rise e lasciò che la stellina più giovane prendesse in braccio il bimbo e subito
tutte le altre furono lì attorno a ridere e a scherzare, perché le stelle sono
sempre molto allegre e trovavano il principe molto carino e simpatico e il suo
cavallo doveva essere certo il più veloce del cielo.
“Cos’è tutto questo chiasso?” esclamò d’improvviso la Luna, illuminando la notte
con il suo faccione tondo e vide il bimbo che giocava in mezzo alle stelline,
ridendo come loro.
“Via tutte, sciocchine!” s’arrabbiò la Luna.
“I bambini così piccoli a quest’ora devono dormire: ci penserò io.”
E tutto d’un tratto, da quella grassona che era, si fece bellissima e sottile
come una modella e con la forma giusta per prendere in braccio il bimbo e
cullarlo dolcemente, mentre le stelline in coro intonavano la ninna nanna.
Era un coro così dolce che il bambino s’addormentò subito e s’addormentarono
anche il principe ed il suo cavallo magico; dormivano così profondamente che si
accorsero appena del rumore che fece il sole, sbadigliando per alzarsi: se ne
accorsero invece le stelline, che subito presero a strillare: “Il sole, il sole!
Scappiamo, abbiamo fatto tardi!”
“Sempre così, queste monelle!” brontolò la Luna. “Cantano e ballano e non
pensano mai a niente. Per fortuna ci sono qua io: presto, bel principe, il
piccino deve tornare a casa prima che la mamma si svegli.”
“Sì, signora Luna.” rispose il principe, con un inchino, perché, essendo un
principe, era molto educato. Riprese il bimbo e, veloce più del vento, lo
riportò sulla terra, dove lo mise nella culla un istante prima che la mamma
aprisse gli occhi.
“Ehe ! Ahh, Oh!” disse il bimbo, per raccontare alla mamma dov’era stata quella
notte, ma la mamma non l’ascoltò neppure.
“Piccolo mio, stai bene!” gridò tutta contenta, “Sei guarito, finalmente!”
Lo prese in
braccio, lo riempì di baci e cominciò a cantare.
Il principe strizzò l’occhio al suo cavallo: “Qualche bacetto spetterebbe anche
a noi. Questa mamma è proprio carina.”
“Andiamo a riposare!” lo esortò il cavallo magico, “Ci siamo stancati anche
troppo.”
“Va bene, va bene,” acconsentì il principe, “ma questa sera torniamo, per
aiutare un’ altra mamma con un bambino malato: c’è più soddisfazione che a
cercare una fiaba vuota.”
Il cavallo magico nitrì energicamente, per far capire che era d’accordo; e
quella sera trovarono un bambino ancora più malato, e lo portarono sul fondo del
mare, dove i cavallucci marini si misero in cerchio a fare la giostra solo per
lui, mentre le ostriche e i granchi suonavano la musica con i loro gusci.
Da quella volta, il principe senza fiaba continua a tornare sulla terra, per
portare i bimbi malati nei posti più belli del mondo delle fiabe; ed i bambini
sono così contenti che quando tornano sono guariti, e non si ammalano più.
30
IL PROBLEMA DEGLI ALTRI
C’era una volta
un saggio molto conosciuto, che viveva su una montagna dell’Himalaya.
Stanco della convivenza con gli uomini, aveva scelto una vita semplice, e
passava la maggior parte del tempo meditando. La sua fama, però, era così grande
che la gente era pronta ad affrontare strade anguste, ad arrampicarsi su colline
ripide, a oltrepassare fiumi copiosi solo per conoscere quel sant’uomo, che
tutti credevano fosse capace di risolvere qualsiasi angoscia del cuore umano. Il
saggio, essendo un uomo molto compassionevole, elargiva un consiglio qui, un
altro lì, ma cercava di liberarsi subito dei visitatori indesiderati.
Essi, comunque, si presentavano a gruppi sempre più numerosi, e un giorno una
folla bussò alla sua porta, dicendo che sul giornale locale erano state
pubblicate delle storie bellissime su di lui, e tutti erano sicuri che lui
sapesse come superare le difficoltà della vita.
Il saggio non fece commenti e chiese loro di sedersi e aspettare. Trascorsero
tre giorni, e arrivò altra gente. Quando non ci fu più posto per nessun altro,
egli si rivolse alla popolazione che si trovava davanti alla sua porta: “Oggi vi
darò la risposta che tutti desiderate.”
Ma voi dovete promettere che, non appena i vostri problemi saranno risolti,
direte ai nuovi pellegrini che mi sono trasferito altrove, così che io possa
continuare a vivere nella solitudine cui tanto anelo. Gli uomini e le donne
fecero un giuramento solenne: se il saggio avesse compiuto quanto promesso, essi
non avrebbero permesso a nessun altro pellegrino di salire sulla montagna.
“Raccontatemi i vostri problemi!” disse il saggio.
Qualcuno cominciò a parlare, ma fu subito interrotto da altre persone, poiché
tutti sapevano che quella era l’ultima udienza pubblica che il sant’uomo avrebbe
concesso, temevano che non avrebbe avuto il tempo di ascoltarli. Qualche minuto
dopo, si era creata una grande confusione, con tante voci che urlavano nello
stesso tempo, gente che piangeva, uomini e donne che si strappavano i capelli
per la disperazione, perché era impossibile farsi sentire.
Il saggio lasciò che la situazione si prolungasse per un po’, finché urlò:
“Silenzio!”
La folla si azzittì immediatamente.
“Scrivete i vostri problemi e posate i fogli di carta davanti a me!” esclamò.
Quando tutti ebbero terminato, il saggio mescolò tutti i fogli in una cesta,
chiedendo poi:
“Fate passare tra voi questa cesta, e che ciascuno prenda il foglio che si trova
sopra e legga ciò che vi è scritto.
Potrete
scegliere se cominciare ad avere il problema che vi troverete scritto oppure
potrete richiedere indietro il vostro problema a chi gli è capitato nel
sorteggio!”
Ciascuno dei presenti prese uno dei fogli, lesse e rimase terrificato. Ne
conclusero che ciò che avevano scritto, per peggiore che fosse, non era tanto
serio come il problema che affliggeva il vicino. Due ore dopo, si scambiarono i
fogli e ciascuno si rimise in tasca il proprio problema personale, sollevato nel
sapere che il proprio problema non era poi tanto grave quanto immaginava. Tutti
furono grati per la lezione, scesero giù dalla montagna con la certezza di
essere più felici degli altri e, rispettando il giuramento fatto, non permisero
più a nessuno di turbare la pace del sant’uomo. PAULO COELHO