GENNAIO
1
BISOGNA SAPER ASCOLTARE…
Mauro proveniva
da una buona famiglia con genitori amorevoli, due fratelli e una sorella, che
avevano successo nella vita scolastica e sociale. Vivevano in un bel quartiere e
Mauro aveva tutto quello che un ragazzino può desiderare. Ma alle elementari,
Mauro fu subito etichettato come soggetto speciale. Nelle medie era il
disadattato piantagrane. Alle scuole superiori cominciò a inanellare espulsioni
e voti disastrosi.
Una domenica, un insegnante incrociò la famiglia e disse: “Mauro sta facendo
molto bene in questo periodo. Siamo molto soddisfatti di lui.”
“Forse ci state
confondendo con un’altra famiglia. Il nostro Mauro non ne azzecca mai una.
Siamo molto imbarazzati e non sappiamo capire perché!” disse il padre.
Mentre l’insegnante se ne andava, la madre osservò: “Però, a pensarci bene,
Mauro non si è cacciato nei guai nell’ultimo mese. Inoltre, è sempre andato a
scuola presto e si è sempre fermato più del necessario. Che cosa starà
succedendo?”
Alla consegna della prima pagella, i genitori di Mauro si aspettavano voti bassi
e note insoddisfacenti sul comportamento. Invece sulla pagella c’erano voti più
che sufficienti e una menzione speciale in condotta. Mamma e papà erano
sconcertati.
“A chi ti sei seduto vicino, per avere questi voti?” chiese il papà con
sarcasmo.
“Ho fatto tutto da solo!” rispose umilmente Mauro.
Perplessi e non completamente convinti, i genitori di Mauro lo riportarono a
scuola per parlare con il preside. Egli assicurò loro che Mauro stava andando
molto bene.
“Abbiamo una nuova insegnante di sostegno, e sembra che lei abbia una
particolare influenza su Mauro. Penso che dovreste conoscerla!”
Quando il trio
si avvicinò, la donna aveva il capo abbassato.
Le ci volle un istante per accorgersi che aveva visite.
Quando lo capì, si alzò in piedi e iniziò a gesticolare con le mani.
“Cos’è questo?” chiese indignato il padre di Mauro.
“Linguaggio dei segni. Questa donna è sordomuta!
Ecco perché è così straordinaria!” disse Mauro, mettendosi in mezzo.
“Lei fa molto di più, papà. Lei sa ascoltare!”
2
DEDICATO ALLE MAMME… ED ANCHE ALLE NONNE!
Quando sei
venuto al mondo, lei ti ha accolto tra le braccia, tu l’hai ringraziata
gridando.
Quando avevi 1 anno, lei ti ha dato da mangiare e ti ha pulito, tu l’hai
ringraziata piangendo per notti intere.
Quando avevi 2 anni, lei ti insegnò a camminare, tu la ringraziasti scappando
quando ti chiamava.
Quando avevi 3 anni, lei ti preparava da mangiare con amore, tu la ringraziavi
facendo cadere i piatti sul pavimento.
Quando avevi 4 anni, lei ti comprò alcuni pennarelli colorati, tu la
ringraziasti scrivendo sui muri della sala da pranzo.
Quando avevi 5 anni, lei ti vestiva bene per le occasioni speciali, tu la
ringraziavi camminando nelle pozzanghere della via.
Quando avevi 6 anni, lei ti accompagnava a scuola, tu la ringraziavi gridandole:
non voglio andare!
Quando avevi 7 anni, lei ti regalò un pallone, tu la ringraziasti calciandolo nella finestra del vicino.
Quando avevi 8
anni, lei ti comprò un gelato, tu la ringraziasti rovesciandolo sulla sua gonna.
Quando avevi 9 anni, lei ti pagò le lezioni di piano, tu la ringraziasti non
frequentandole.
Quando avevi 10 anni, lei ti scarrozzava in macchina da tutte le parti: a
scuola, alla partita di calcio, alle feste di compleanno e ad ogni altra festa,
tu la ringraziavi scendendo sempre dalla macchina senza mai voltarti indietro.
Quando avevi 11 anni, lei accompagnava te e i tuoi amici al cinema, tu la
ringraziavi dicendole di sedersi in un’altra fila.
Quando avevi 12 anni, ti consigliò di non guardare alla tv certi programmi, tu
la ringraziasti sperando che lei se ne stesse a lungo fuori casa.
Quando avevi 13 anni, lei ti regalò un giaccone in pelle, tu la ringraziasti
dicendole che non aveva gusto.
Quando avevi 14 anni, ella ti pagò un mese di vacanze estive in campeggio, tu la ringraziasti dimenticandoti di mandarle una cartolina.
Quando avevi 15
anni, tornava dal lavoro e avrebbe voluto abbracciarti, tu la ringraziasti
chiudendo a chiave la tua stanza.
Quando avevi 16 anni, ti insegnò a guidare la sua macchina, tu la ringraziasti
usandola ogni volta che potevi.
Quando avevi 17 anni, lei aspettava una telefonata importante, tu la
ringraziasti occupando il telefono tutta notte.
Quando avevi 18 anni, lei pianse alla festa del tuo diploma, tu la ringraziasti
restando alla festa fino all’alba.
Quando avevi 19 anni, lei ti pagò le tasse dell’università, ti accompagnò al
campus trasportando i tuoi bagagli, tu la ringraziasti salutandola fuori della
tua stanza, per non vergognarti davanti ai tuoi amici.
Quando avevi 20 anni, ti domandò se stavi uscendo con una ragazza, tu la
ringraziasti dicendole: non ti interessa!
Quando avevi 21 anni, lei ti propose alcune strade per il futuro, tu la ringraziasti dicendole: non voglio essere come te !
Quando avevi 22
anni, ti abbracciò alla festa di laurea, tu la ringraziasti chiedendole una
vacanza premio per l’Europa.
Quando avevi 23 anni, lei ti diede dei mobili per il tuo primo appartamento, tu
la ringraziasti dicendo ai tuoi amici che erano brutti.
Quando avevi 24 anni, conobbe la tua futura sposa, e le domandò dei progetti per
il futuro, tu la ringraziasti gridandole ferocemente: taci !
Quando avevi 27 anni, ti aiutò a pagar le spese del matrimonio, e piangendo ti
diceva che ti amava moltissimo, tu la ringraziasti trasferendoti in un altro
paese.
Quando avevi 30 anni, lei ti diede alcuni consigli per tuo figlio appena nato,
tu la ringraziasti dicendo che le cose non erano più come una volta.
Quando avevi 40 anni, ti chiamò per ricordarti il compleanno di papà, tu la
ringraziasti dicendo che eri molto occupato.
Quando avevi 50 anni, lei si ammalò e necessitò di cure, tu la ringraziasti
discutendo sugli obblighi dei genitori verso i figli.
Improvvisamente, un giorno, lei morì.
Tutto ciò che
non avevi fatto per lei, ti cadde addosso come fulmine e tempesta.
Prenditi un momento per pensare. Rendi onore e omaggio, dimostra quanto ami
colei che chiami mamma. Non c’è sostituto alcuno per lei.
E anche se non sempre la si può considerare la migliore amica, anche se il suo
modo di pensare non s’accorda con il tuo, lei è sempre la mamma.
Domandati: hai avuto tempo per star con lei, per ascoltare le sue lamentele, per
alleviare le sue stanchezze? Sii prudente e generoso. Portale il debito
rispetto.
Quando lei avrà lasciato questo mondo, ti resteranno solo bei ricordi di colei
che hai chiamato mamma.
3
DOVE VAI?
Gli insegnanti
di Zen abituano i loro giovani allievi a esprimersi.
Due templi Zen avevano ciascuno un bambino che era il prediletto tra tutti.
Ogni mattina uno di questi bambini, andando a comprare le verdure, incontrava
l’altro per la strada. “Dove vai?” domandò il primo. “Vado dove vanno i miei
piedi!” rispose l’altro.
Questa risposta lasciò confuso il primo bambino, che andò a chiedere aiuto al
suo maestro.
“Quando domattina incontrerai quel bambino,” gli disse l’insegnante, “fagli la
stessa domanda.
Lui ti darà la stessa risposta, e allora tu domandagli: “Fa’ conto di non avere
i piedi: dove vai, in quel caso?” Questo lo sistemerà.”
La mattina dopo i bambini si incontrarono di nuovo. “Dove vai?” domandò il primo
bambino.
“Vado dove soffia il vento!” rispose l’altro. Anche stavolta il piccolo rimase
sconcertato, e andò a raccontare al maestro la propria sconfitta. “E tu
domandagli dove va se non c’è vento.” gli consigliò il maestro.
Il giorno dopo i ragazzi si incontrarono per la terza volta. “Dove vai?” domandò il primo bambino. “Vado al mercato a comprare le verdure!” rispose l’altro. STORIA ZEN
4
E DIO CREÒ IL PADRE
Quando il buon Dio decise di creare il padre cominciò con una struttura piuttosto alta e robusta. Allora un angelo che era lì vicino gli chiese: “Ma che razza di padre è questo? Se i bambini li farai alti come un soldo di cacio, perché hai fatto il padre così grande? Non potrà giocare con le biglie senza mettersi in ginocchio, rimboccare le coperte al suo bambino senza chinarsi e nemmeno baciarlo senza quasi piegarsi in due!”
Dio sorrise e
rispose: “È vero, ma se lo faccio piccolo come un bambino, i bambini non avranno
nessuno su cui alzare lo sguardo.”
Quando poi fece le mani del padre, Dio le modellò abbastanza grandi e muscolose.
L’angelo scosse la testa e disse: “Ma… mani così grandi non possono aprire e
chiudere spille da balia, abbottonare e sbottonare bottoncini e nemmeno legare
treccine o togliere una scheggia da un dito!”
Dio sorrise e
disse: “Lo so, ma sono abbastanza grandi per contenere tutto quello che c’è
nelle tasche di un bambino e abbastanza piccole per poter stringere nel palmo il
suo visetto.”
Dio stava creando i due più grossi piedi che si fossero mai visti, quando
l’angelo sbottò:
“Non è giusto. Credi davvero che queste due barcacce riuscirebbero a saltar
fuori dal letto la mattina presto quando il bebè piange? O a passare fra un
nugolo di bambini che giocano, senza schiacciarne per lo meno due?”
Dio sorrise e
rispose: “Sta’ tranquillo, andranno benissimo. Vedrai: serviranno a tenere in
bilico un bambino che vuol giocare a cavalluccio o a scacciare i topi nella casa
di campagna oppure a sfoggiare scarpe che non andrebbero bene a nessun altro.”
Dio lavorò tutta la notte, dando al padre poche parole ma una voce ferma e
autorevole; occhi che vedevano tutto, eppure rimanevano calmi e tolleranti.
Infine, dopo essere rimasto un po’ soprappensiero, aggiunse un ultimo tocco: le
lacrime.
Poi si volse all’angelo e domandò: “E adesso sei convinto che un padre
possa amare quanto una madre?” ERMA BOMBECK
5
I CHIODI
“C’era una volta un ragazzo con un bruttissimo carattere. Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno sul muro del giardino ogni volta che avrebbe perso la pazienza e avrebbe litigato con qualcuno. Il primo giorno ne piantò 37 nel muro. Le settimane successive, imparò a controllarsi, ed il numero di chiodi piantati diminuì giorno dopo giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare chiodi. Infine, arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò nessun chiodo sul muro. Allora andò da suo padre e gli disse che quel giorno non aveva piantato nessun chiodo. Suo padre gli disse allora di togliere un chiodo dal muro per ogni giorno in cui non avesse mai perso la pazienza. I giorni passarono e infine il giovane poté dire a suo padre che aveva levato tutti i chiodi dal muro. Il padre condusse il figlio davanti al muro e gli disse : ” Figlio mio, ti sei comportato bene, ma guarda tutti i buchi che ci sono sul muro. Non sarà mai come prima.”
Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di cattivo, gli lasci una ferita come questa. Puoi piantare un coltello in un uomo e poi tirarglielo via, ma gli resterà sempre una ferita. Poco importa quante volte ti scuserai, la ferita resterà. Una ferita verbale fa male tanto quanto una fisica. “…il linguaggio è sacro , il silenzio ancora di più e uno sguardo amorevole e gentile può far piccoli miracoli…”
6
PERDERE LA VITA
Nonno, come si
perde la vita?
La vita si perde in molti modi tesoro mio.
Si perde quando si vuole vivere quella degli altri e non la propria.
Si perde criticando gli errori degli altri senza vedere i propri.
Si perde quando ci si lamenta in ogni momento per un fallimento e non
si cercano soluzioni per ottenere il successo.
Si perde quando si trascorre il proprio tempo invidiando gli altri senza
cercare di migliorare se stessi.
Si perde quando ci si focalizza sulle cose negative e si smette di godersi
quelle positive.
La vita non si
perde quando si smette di respirare, ma quando si smette di
essere felici.
7
TESTIMONIANZA
“Ieri sono andata a fare compagnia ai malati di una casa per persone affette da diversi handicap. Ci vado due volte a settimana e lo faccio perché lì non ci sono maschere. Lì nessuno può fingere, perché non sa neanche come si fa. Lì ciascuno è sé stesso, e infatti ti abbraccia e ride e piange così come viene, qualsiasi età abbia. In quel posto ho imparato ad avere due braccia, due gambe, due occhi, due orecchie… perché lì mi sono resa conto che le mie funzionano. Prima davo tutto per scontato, e quando dai qualcosa per scontato lo hai già perso. Ieri, Anna, una donna di 40 anni che sembra una bambina, mi ha chiesto di cantarle una canzone e mentre lo facevo piangeva. Le ho chiesto perché e lei mi ha detto che gliela cantava sempre sua madre. Mi ha abbracciato ed è rimasta così in silenzio per un tempo lunghissimo e io all’inizio ero in imbarazzo, poi il suo abbraccio mi ha costretto a rilassarmi, a non resistere. Ho sentito l’amore così com’è. e ho avuto invidia di quella semplicità, che non ho mai trovato nell’abbraccio di un ragazzo. L’amore così com’è è quello che serve, ma non si trova quasi da nessuna parte“… ALESSANDRA D’AVENIA
8
TESTIMONIANZA
“Dopo essere
diventato presidente, ho chiesto ad alcuni membri della mia guardia del corpo di
andare a fare una passeggiata in città. Dopo la passeggiata, siamo andati a
pranzare in un ristorante. Ci siamo seduti in uno dei più centrali, e ognuno di
noi ha chiesto cosa volesse. Dopo un po’ di attesa, è comparso il cameriere che
portava i nostri menù, in quel momento mi sono accorto che al tavolo che era
proprio davanti al nostro c’era un uomo solo che aspettava di essere servito.
Quando è stato servito, ho detto a uno dei miei soldati: vai a chiedere a
quell’uomo di unirsi a noi. Il soldato è andato e trasmise il mio invito.
L’uomo si alzò, prese il piatto e si sedette accanto a me. Mentre mangiava, le
sue mani tremavano costantemente e non alzava la testa dal cibo. Quando abbiamo
finito, mi ha salutato senza nemmeno guardarmi, gli ho stretto la mano e me ne
sono andato!
Il soldato mi ha detto: -Madiba, quell’uomo deve essere molto malato, dato che
le sue mani non smettevano di tremare mentre mangiava. -Affatto! il motivo del
suo tremore è un altro – ho risposto. Mi hanno guardato in modo strano e ho
detto loro: – Quell’uomo era il guardiano del carcere in cui sono stato
rinchiuso. Spesso, dopo la tortura a cui sono stato sottoposto, urlavo e
piangevo per avere dell’acqua e lui veniva ad umiliarmi , rideva di me e invece
di darmi acqua mi urinava sulla testa.
Non era malato, aveva paura e tremava forse temendo che io, ora che sono
presidente del Sud Africa, lo mandassi in prigione e facessi la stessa cosa che
ha fatto con me, torturandolo e umiliandolo. Ma io non sono così, quel
comportamento non fa parte del mio carattere, né della mia etica. Le menti che
cercano vendetta distruggono gli Stati, mentre quelle che cercano la
riconciliazione costruiscono le Nazioni.” NELSON MANDELA
9
IL SERPENTE E LA LUCCIOLA
Racconta la leggenda, che un serpente inseguiva una lucciola per divorarla. Il piccolo insetto faceva l’impossibile per fuggire dal serpente. Per giorni fu una persecuzione intensa. Dopo un po’ di tempo, la lucciola stanca ed esausta si fermò e disse al serpente:
Posso farti tre domande? Il serpente le rispose: – “Non sono abituato a rispondere a nessuno però siccome ti devo mangiare, puoi chiedere!”
— “Domanda numero 1: appartengo alla tua catena alimentare?” – chiese la lucciola.”- No!” – rispose il serpente.
– “Domanda numero 2: Ti ho fatto qualcosa di male?” – disse la lucciola- “No, assolutamente!” – Tornò a rispondere il serpente.
– “Domanda numero 3: E allora…. perché vuoi mangiarmi?”- “Perché non sopporto vederti brillare!”
Morale: In varie occasioni può capitare di incontrare persone che ti criticano, condannano, etichettano, sebbene tu non abbia mai fatto loro qualcosa di male, e malgrado tu ti sia dimostrato gentile con loro. E tutto ciò avviene perché, così come la lucciola, possiedi la tua luce interiore, illumini il tuo cammino e il cammino di molti che camminano nell’oscurità. Brilli più degli altri, come fa la lucciola di notte e questo è difficile da sopportare per alcune persone, perché non hanno quella luce interiore, quel brillio proprio e soffrono vedendoti brillare. Sono persone che vivono nell’infelicità. Tu non smettere mai di essere te stesso, di illuminare con quella tua luce, anche se questo dà fastidio a coloro che vivono nella totale penombra.
10
ELENA, LA GENTILEZZA ED IL SORRISO
Un giorno Elena
uscì da casa talmente di fretta che si dimenticò di prendere con sé la
gentilezza, la cosa che invece prese fu il sorriso; quindi, andò a lavoro e
sorrise per tutto il giorno, ma il sorriso non le impedì di essere poco gentile
con la cliente che le chiese un consiglio per un regalo alla nonna. Elena: “Se è
per sua nonna può regalarle un profumo di una fragranza qualsiasi, sono certa
che non farà alcuna differenza.”
E il sorriso non le impedì di prendere l’unico posto libero sull’autobus mentre
restava in piedi una donna con in braccio il suo bambino. E ancora, sempre con
il sorriso, ignorò una signora anziana in coda dopo di lei al supermercato che
doveva pagare solo il latte, mentre lei aveva una spesa chilometrica.
Il giorno dopo
uscendo sempre di corsa, prese per prima la gentilezza, ma non fece in tempo a
prendere il sorriso per paura di perdere l’autobus. Arrivata a lavoro si trovò
davanti una signora di una certa età, che la guardava corrucciata. Vicino a lei
c’era la nipote che il giorno prima era venuta a comprarle un regalo.
Signora: “Volevo farle sapere, cara la mia “commessa del mese”, che non mi
piacciono tutte le fragranze, ma solo quelle a base di agrumi e siamo venute per
cambiare il regalo.”
Elena divenne rossa e si sentì dispiaciutissima, ma oggi aveva la gentilezza ed
era certa che in qualche modo avrebbe rimediato.
Elena: “Mi dispiace moltissimo, sono stata davvero maleducata ieri. Non ho
davvero scuse.
Le faccio
vedere subito tutte le nuove fragranze a base di agrumi che ci sono arrivate
nell’ultimo mese.”
La Signora corrucciata, improvvisamente cambiò espressione e sorrise. A sua
volta Elena sorrise. Ma come poteva essere se aveva lasciato il sorriso a casa?
Tornando a casa, in autobus aveva ceduto il posto a un signore con il bastone il
quale le aveva sorriso ringraziandola e lei aveva risposto con un sorriso,
ancora una volta.
Poi andò al supermercato perché il giorno prima aveva dimenticato di comprare il
lievito per fare una torta e mentre era in fila, il Signore davanti a lei, con
una spesa chilometrica, le disse che, qualora avesse voluto, sarebbe potuta
passare avanti, e sorrise ancora.
Quel giorno Elena imparò che il sorriso da solo non bastava.
Non basta se
non è sincero e se non c’è in esso gentilezza.
Invece la gentilezza da sola può far nascere il sorriso.
Se ci pensate bene anche la gentilezza può essere contagiosa, ma bisogna fare il
primo passo, se facessimo tutti così il mondo forse potrebbe essere migliore.
Il mondo siamo noi. Elena, oggi, lo sa. PATRIZIA SGURA
11
ER BIJETTO DA CENTO LIRE
Un Bijetto da
Cento diceva:
“È più d’un mese
che giro ‘sto paese,
sempre in funzione, sempre in movimento!
Comincianno da
un vecchio, che una notte
me diede a ‘na coccotte,
so’ capitato in mano a un farmacista,
a un avvocato, a un giudice, a un fornaro, a un prete e a un socialista.
Capisco ch’è ‘na gran soddisfazione d’annà in saccoccia a tutti:
ommini e donne,
onesti e farabbutti; ma d’artronne trovo curioso che l’istesso fojo,
che j’ha servito a fa’ ‘na bona azzione, poi serva a fa’ un imbrojo!
Mó, da quattr’ora, sto ner portafojo d’una signora onesta:
ma indove finirò doppo de questa?
Chi lo sa? chi
lo sa? Chi me possiede me conserva, me stima,
me tiè da conto assai, ma nun me chiede quer che facevo co’ chi stavo prima.
E questo è naturale, capirai:
quanno se tratta de pijà quatrini la provenienza nun se guarda mai!
TRILUSSA
12
ESISTE ANCORA, ALMENO, UNA CORDA
C’era una volta
un grande violinista di nome Paganini. Alcuni dicevano che era strano.
Altri che era angelico. Traeva dal suo violino note magiche.
Una sera, il teatro dove doveva esibirsi era affollatissimo.
Paganini fu accolto da un’ovazione.
Il maestro impugnò il violino e cominciò a suonare nel silenzio assoluto.
Brevi e semibrevi, crome e semicrome, ottave e trilli sembravano avere ali e
volare al tocco delle sue mani. Improvvisamente, un suono diverso sospese
l’estasi della platea. Una delle corde del violino di Paganini si ruppe. Il
direttore si fermò. L’orchestra che accompagnava il violinista tacque. Il
pubblico ammutolì.
Ma Paganini non smise di suonare. Guardando la partitura, continuò a intessere
melodie deliziose con il suo violino.
Ma dopo qualche istante un’altra corda del violino si spezzò.
Il direttore dell’orchestra si fermò. L’orchestra tacque nuovamente.
Paganini non si fermò. Come se niente fosse, ignorò le difficoltà e continuò la
sua deliziosa melodia.
Il pubblico non si accorse di niente. Finché non saltò, con un irritante
stridio, un’altra corda del violino. Tutti, attoniti, esclamarono: “Oh!”
L’orchestra si bloccò.
Il pubblico
rimase con il fiato sospeso, ma Paganini continuò.
L’archetto correva agile traendo suoni celestiali dall’unica corda che restava
del violino.
Neppure una nota della melodia fu dimenticata.
L’orchestra si riprese e il pubblico divenne euforico per l’ammirazione.
Paganini aggiunse altra gloria a quella che già lo circondava. Divenne il
simbolo dell’uomo che sfida l’impossibile.
Libera il
Paganini che c’è dentro di te.
Io non so quali problemi ti affliggano. Può essere un problema personale,
coniugale, familiare, non so che cosa stia demolendo la tua stima o il tuo
lavoro.
Una cosa la so: di sicuro non tutto è perduto. Esiste ancora, almeno, una corda
e puoi continuare a suonare.
Impara a scoprire che la vita ti lascerà sempre un’ultima corda.
Quando sei sconfortato, non ti ritirare.
È rimasta la corda della perseveranza intelligente, del “tentare ancora una
volta.”
La vita non ti strapperà mai tutte le corde.
È sempre la corda dimenticata quella che ti darà il miglior risultato:
la tua fede, la tua forza interiore, la tua speranza, coloro che ti amano.
13
EVITIAMO GLI OSTACOLI PER MIGLIORARE LA NOSTRA VITA
In tempi
antichi un re fece collocare una pietra enorme in mezzo ad una strada.
Quindi, nascondendosi, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si prendesse
la briga di togliere la grande roccia dal centro della strada.
Alcuni mercanti ed altri sudditi molto ricchi passarono da lì e si limitarono a
girare attorno alla pietra. Altri persino protestarono contro il re dicendo che
non manteneva le strade pulite, ma nessuno di loro provò a muovere la pietra da
lì. Ad un certo punto passò un campagnolo con un grande carico di verdure sulle
spalle; avvicinandosi all’immensa roccia poggiò il carico al lato della strada
tentando di rimuovere la roccia.
Dopo molta fatica e sudore riuscì finalmente a muovere la pietra spostandola al
bordo della strada.
Tornò indietro
a prendere il suo carico e notò che c’era una piccola borsa nel luogo in cui
prima stava la pietra. La borsa conteneva molte monete d’oro e una lettera
scritta dal re che diceva che quell’oro era per la persona che avesse rimosso la
pietra dalla strada.
Il campagnolo imparò quello che molti di noi neanche comprendono:
“Tutti gli ostacoli sono un’opportunità per migliorare la nostra condizione.”
ANDREA CARDINALE
14
FAR COLAZIONE CON DIO!
Un bambino
voleva conoscere Dio.
Sapeva che era un lungo viaggio arrivare dove abita Dio, ed è per questo che un
giorno mise dentro al suo cestino dei dolci, marmellata e bibite e cominciò la
sua ricerca.
Dopo aver camminato per trecento metri circa, vide una donna anziana seduta su
una panchina nel parco.
Era sola e stava osservando alcune colombe. Il bambino gli si sedette vicino ed
aprì il suo cestino. Stava per bere la sua bibita quando gli sembrò che la
vecchietta avesse fame, ed allora le offrì uno dei suoi dolci. La vecchietta
riconoscente accettò e sorrise al bambino.
Il suo sorriso era molto bello, tanto bello che il bambino gli offrì un altro
dolce per vedere di nuovo questo suo sorriso.
Il bambino era incantato! Si fermò molto tempo mangiando e sorridendo, senza che
nessuno dei due dicesse una sola parola.
Al tramonto il bambino, stanco, si alzò per andarsene, però prima si volse
indietro, corse verso la vecchietta e la abbracciò. Ella, dopo averlo
abbracciato, gli dette il più bel sorriso della sua vita.
Quando il
bambino arrivò a casa sua ed aprì la porta, la sua mamma fu sorpresa nel vedere
la sua faccia piena di felicità, e gli chiese: “Figlio, cosa hai fatto che sei
tanto felice?”
Il bambino rispose: “Oggi ho fatto colazione con Dio!” E prima che sua mamma gli
dicesse qualche cosa aggiunse: “E sai cosa, ha il sorriso più bello che ho mai
visto!”
Anche la vecchietta arrivò a casa raggiante di felicità.
Suo figlio restò sorpreso per l’espressione di pace stampata sul suo volto e le
domandò:
“Mamma, cosa
hai fatto oggi che ti ha reso tanto felice?” La vecchietta rispose: “Oggi ho
fatto colazione con Dio, nel parco!” E prima che suo figlio rispondesse,
aggiunse:
“E sai? È più giovane di quel che pensavo!” LAURIE KUNKEL
15
FARE LA DIFFERENZA
C’era una volta
un uomo che subì un intervento a cuore aperto.
Raccontando la sua esperienza a un amico ricordò come il giorno prima
dell’intervento una bella infermiera venne nella sua stanza per visitarlo.
L’infermiera gli prese la mano e la strinse.
L’uomo le disse di sentire la sua mano e la strinse a sua volta.
“Ascolti,” disse la donna, “durante l’operazione di domani lei verrà separato
dal suo cuore e tenuto in vita solo dalle macchine.
Quando il suo cuore sarà finalmente sistemato e l’operazione terminata, lei
riprenderà conoscenza e si sveglierà in una stanza del reparto rianimazione.
Tuttavia, dovrà restare immobile per almeno sei ore. Potrebbe non riuscire a
fare alcun movimento, a parlare, persino ad aprire gli occhi, ma sarà cosciente.
Sentirà e comprenderà tutto ciò che le succederà intorno. Ecco, durante quelle
sei ore io rimarrò al suo fianco e le terrò la mano, proprio come sto facendo
ora.
Starò con lei finché non si sarà ripreso completamente.
Anche se potrà sentirsi inerme, quando sentirà la mia mano saprà che io non la
lascerò!”
“Successe
esattamente quello che l’infermiera mi disse!” spiegò l’uomo all’amico “Mi
svegliai ma non riuscii a fare nulla. Riuscii però a sentire la mano della donna
che stringeva la mia, per ore.
E fu questo a fare la differenza!”
16
FESTA PER LE NOZZE
La storia
racconta del matrimonio di una coppia italiana.
Gli sposi si erano messi d’accordo con il parroco per tenere un piccolo
ricevimento nel cortile della parrocchia, fuori della chiesa, non avendo grandi
possibilità economiche.
Ma si mise a piovere, e non potendo tenere il ricevimento fuori, i due chiesero
al prete se fosse stato possibile festeggiare in chiesa.
Il parroco non era affatto contento che si festeggiasse all’interno della
chiesa, ma i due dissero: “Mangeremo un po’ di torta, canteremo una canzoncina,
berremo un po’ di vino, e poi andremo a casa!”
Il parroco si convinse.
Ma gli invitati
bevvero un po’ di vino, cantarono una canzoncina, poi bevvero un altro po’ di
vino, cantarono qualche altra canzone, e poi ancora vino e ancora canzoni, e
così dopo una mezz’ora in chiesa si stava festeggiando alla grande. Tutti si
divertivano da morire, godendosi la festa. Ma il parroco, tesissimo, passeggiava
avanti e indietro nella sacrestia, turbato dal rumore che gli invitati stavano
facendo.
Entrò il suo viceparroco, che gli disse: “Vedo che è molto teso.”
“Certo che sono
teso! Senti che rumore stanno facendo, proprio nella Casa del Signore!
Per tutti i Santi!” rispose il parroco.
“Ma Padre, non avevano davvero alcun posto dove andare!” spiegò il viceparroco.
“Lo so bene!
Ma è assolutamente necessario fare tutto questo baccano?” domandò allora il
parroco.
“Beh, in fondo, Padre, non dobbiamo dimenticare che Gesù stesso ha partecipato
una volta a un banchetto di nozze!” replicò il viceparroco.
Il parroco
rispose: “So benissimo che Gesù Cristo ha partecipato a un banchetto di nozze,
non devi mica venire a dirmelo tu!
Ma a Cana non avevano il Santissimo Sacramento!” ANTHONY DE MELLO
17
“LA FIDUCIA IN DIO ED IL BUONSENSO”
Un giovane andò a far visita al maestro e gli disse: “Ho tanta confidenza in Dio che ho lasciato la mia moto lì fuori, perché sono sicuro che Dio protegge gli interessi di coloro che lo amano!”
Il maestro gli rispose: “Esci subito e chiudi la tua moto! Dio non può prendersi cura, al posto tuo, di ciò che sei capace di fare e che devi fare con il buonsenso!”
18
BISOGNA SAPER CONDIVIDERE
A Berna,
un’anziana signora ultraottantenne, essendo rimasta sola e non avendo voglia di
cucinare solo per sé stessa, si reca tutti i giorni a pranzare alla Migros, una
catena di ristoranti self-service.
Quel giorno decide di mangiare un bel minestrone di verdura.
Prende un vassoio, riempie il piatto di minestrone, va alla cassa a pagare e
prende posto ad un tavolo vuoto. Si siede, ma al momento di mangiare si accorge
di non aver preso un cucchiaio per mangiare il minestrone.
Si alza, va
alla cassa dove ci sono le posate, prende un cucchiaio e ritorna al suo tavolo,
ma…
lì seduto c’è un ragazzo africano che sta mangiando il suo minestrone!
Sul momento la signora s’indigna e vorrebbe andare dal ragazzo a dirgli di
tutto, ma poi pensa che, certamente, quell’emigrato l’ha fatto per fame e,
passata la rabbia, decide di sedersi davanti al ragazzo e, senza dirgli nulla,
incomincia a mangiare anche lei il minestrone.
Il ragazzo africano la guarda stupito, ma lei gli sorride, lui le sorride e
continuano a mangiare il minestrone: un cucchiaio lei, un cucchiaio lui…
Finito il
minestrone il ragazzo si alza, va al banco dei primi piatti, prende un piatto di
fettuccine alla bolognese, prende due forchette e torna al tavolo.
Dà una forchetta alla vecchia signora, si siede davanti a lei e incominciano a
mangiare le fettuccine, sorridendo: una forchettata lei, una forchettata lui…
Terminate le fettuccine il ragazzo africano si alza, fa un sorriso alla signora
e se ne va.
La signora,
contenta per aver fatto un’opera buona, si gira sorridendo, per salutarlo e…
ad un tavolo vicino, dietro di lei, vede un vassoio con sopra un piatto di
minestrone…
Il suo piatto! DON PAOLO FARINELLA
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FURTI A SCUOLA
Tanti anni fa,
una maestra di vecchio stampo educativo, narrò ai propri allievi il noto
racconto del furto del burro.
Questa storia parlava di un bottegaio e di un suo cliente.
Il bottegaio teneva sotto controllo questo cliente per i continui ammanchi e, infatti, anche quel giorno, aveva sottratto un panetto di burro, nascondendolo sotto il cappello. Il negoziante con la scusa del gelo che imperversava fuori, lo avvicinò alla stufa accesa e lo intrattenne in tutte le maniere. Rimanendo a contatto ravvicinato con la fonte di calore, il burro si sciolse, colando sull’incauto ladro, che venne scoperto.
La maestra spiegò che anche nella sua classe avvenivano da tempo dei fastidiosi furti che lei deprecava.
Il più
frequente era il disturbo chiassoso in aula, il quale rubava tempo prezioso alla
didattica.
Anche l’abitudine di copiare da un compagno di banco era un grave furto,
richiamato anche nel settimo comandamento.
Un altro furto fastidioso era quello inerente ai gessi per la lavagna.
Gli alunni li “rubavano” a scuola e li usavano nei dintorni di casa, per
disegnare a terra e per il gioco della campana.
Disse che sarebbe stato sufficiente chiedere a lei dato che, in qualche modo, li avrebbe procurati.
L’unico furto concesso e auspicato, secondo questa singolare maestra, era “rubare” con gli occhi quando venivano svolte le arti figurative.
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GANDHI E LO ZUCCHERO
Una nonna trovò
l’occasione di portare suo nipote al Mahatma Gandhi.
Il bambino aveva un’attrazione insaziabile per lo zucchero e ciò stava mettendo
in pericolo la sua salute.
“Per favore,” supplicando Gandhi “dica a mio nipote che smetta di mangiare lo
zucchero, poiché lui la rispetta molto e so che l’ascolterà perché è lei che
glielo dice.”
Gandhi allora chiese che si ripresentassero dopo quattro giorni.
Quattro giorni
più tardi la nonna ed il nipote ritornarono.
Gandhi guardando fisso negli occhi del ragazzo, gli disse con autorità:
“Smetti di mangiare zucchero, stai ferendo il tuo corpo.”
Dopo un breve silenzio, la nonna domandò a Gandhi: “Signore, perché ci chiese di aspettare quattro giorni e poi di ritornare? Questo è lo stesso che poteva dire quattro giorni fa!”
Gandhi rispose: “Signora, quattro giorni fa io avevo mangiato dello zucchero e non potevo parlare con autorità a suo nipote. Ora posso, perché sono quattro giorni che non mangio più zucchero.”
Eric Yaverbaum nel suo libro “Segreti della Leadership dei dirigenti che hanno più successo nel mondo” scrive che il loro più grande segreto è quello di guidare con l’esempio.
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LA PIETRA
Una volta Gesù e gli apostoli, nei loro continui viaggi, si trovarono a dover superare le asperità di un monte. Gesù disse:” Ciascuno prenda una pietra sulle spalle e la porti su!”
Volle provare il loro spirito di sacrificio.
San Pietro osò
chiedere: “Di quale grandezza?”
Rispose Gesù: “La grandezza non interessa!”
Mentre tutti si
caricarono di grosse pietre, Pietro prese con sé un sasso, tanto piccolo da
stare, diremmo noi, in una tasca.
La salita e il carico facevano sudare e ansimare gli apostoli; Pietro invece
camminava spedito e rideva, sotto, sotto, dell’ingenuità degli amici.
Arrivati su, si fermarono presso una fontana per riposarsi e mangiare un
boccone.
Mancava il pane. Gesù allora con una benedizione cambiò le pietre in pane.
Qui la
sorpresa, l’umiliazione, la vergogna di Pietro, costretto a domandare, per
favore, agli altri apostoli, che presero a guardarlo con un sorriso di
compassione.
Gli apostoli ne ebbero d’avanzo: Pietro ebbe, sì e no, il necessario.
22
GESÙ È RISORTO
“Ma Gesù è
morto o vivo?” chiese la piccola Lucia alla nonna.
A dire il vero, era un po’ che le frullava in testa questa domanda, il parroco
era arrivato alla scuola materna e aveva spiegato a lungo che Gesù era stato
crocifisso e sepolto.
La nonna capì molto bene la domanda della sua nipotina, andò ad aprire il
Vangelo e
le lesse alcuni
fatti: le donne erano andate al sepolcro il mattino dopo il sabato e avevano
trovato il sepolcro vuoto!
In quel luogo stava un angelo ad annunciare che Gesù era vivo!
È risorto, è glorificato dal Padre che non l’ha lasciato nella tomba!
E Lucia era piena di gioia.
Qualche giorno
dopo Pasqua, la nonna si recò con Lucia alla messa domenicale.
C’era in mezzo all’altare un prete e tra i banchi poca gente, un po’ triste e un
po’ annoiata.
Anche le canzoni che una donna dal primo banco intonava erano basse, lente,
cantate da pochi e senza convinzione.
Allora Lucia, dopo essersi guardata ben bene in giro, disse alla nonna:
“Ma loro lo sanno che Gesù è risorto?”
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GLI ALPINISTI
Due alpinisti
si arrampicavano su una strada impervia, mentre li flagellava un vento gelido.
La tormenta stava per scatenarsi.
Raffiche turbinanti di schegge di ghiaccio sibilavano fra le rocce.
I due uomini procedevano a fatica.
Sapevano molto
bene che, se non avessero raggiunto in tempo il rifugio sarebbero periti nella
tempesta di neve.
Mentre, con il cuore in gola per l’ansia e gli occhi quasi accecati dal
nevischio, costeggiavano l’orlo di un abisso, udirono un gemito. Un pover’uomo
era caduto nella voragine e, incapace di muoversi, invocava soccorso.
Uno dei due disse: “È il destino. Quell’uomo è condannato a morte. Acceleriamo
il passo o faremo la sua fine.” E si affrettò tutto curvo in avanti per opporsi
alla forza del vento.
Il secondo
invece si impietosì e cominciò a scendere per le pendici scoscese.
Trovò il ferito, se lo caricò sulle spalle e risalì affannosamente sulla
mulattiera.
Imbruniva. Il sentiero era sempre più oscuro.
L’alpinista che portava il ferito sulle spalle era sudato e sfinito, quando vide
apparire le luci del rifugio. Incoraggiò il ferito a resistere, ma
all’improvviso inciampò in qualcosa steso di traverso sul sentiero.
Guardò e non poté reprimere l’orrore: ai suoi piedi era steso il corpo del suo
compagno di viaggio. Il freddo lo aveva ucciso. Lui era sfuggito alla stessa
sorte solo perché si era affaticato a portare sulle spalle il poveretto che
aveva salvato nel burrone.
Il suo corpo e lo sforzo avevano mantenuto il calore sufficiente, per salvargli
la vita.
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GLI ANIMALI INSEGNANO CHE…
Un signore va a
caccia grossa in Africa e porta con sé il suo cucciolo.
Un giorno, durante una battuta, il cagnolino annoiato si mette a rincorrere una
farfalla e, senza rendersene conto, si allontana dal gruppo dei cacciatori e si
ritrova solo in mezzo alla savana.
Ad un tratto scorge un grosso leone che corre veloce verso di lui.
Impaurito si guarda intorno e vede poco lontano la carcassa di un grosso
animale.
La raggiunge e comincia a leccare un osso.
Quando il leone sta per attaccarlo il cagnolino dice a voce alta:
“Mmm, che buon
leone mi sono mangiato. Me ne farei un altro subito.”
Il leone si ferma e sentendo quelle parole pensa: “Che razza di animale sarà?
E se poi faccio la stessa fine di quello lì? Meglio sparire!”
Una scimmia che stava appollaiata su un ramo e aveva assistito a tutta la scena
scende dall’albero e dice al leone: “Ma va là, stupido, è tutta una finta.
Quella carcassa era già lì da un pezzo. Quello è semplicemente un cane e ti ha
fregato!”
Il leone dice alla scimmia: “Ah si? Allora vieni con me che andiamo a trovare
quel cane e poi vediamo chi mangia chi!”
E si mette a correre verso il cucciolo con la scimmia sulla groppa.
Il cagnolino che aveva sentito tutto si rende conto della vigliaccata della
scimmia e atterrito si chiede: “E adesso cosa faccio?”
Ci pensa su un
attimo poi, invece di scappare, si siede dando le spalle al leone e dice a voce
alta: “Quella maledetta scimmia! Mezz’ora fa le ho detto di portarmi un altro
bel leone grasso e ancora non si fa vedere!”
A quelle parole il leone incavolatissimo mangia la scimmia in un boccone e il
cagnolino fugge mettendosi in salvo.
25
GLI AUGURI MECCANICI
Un giovane,
invitato al matrimonio di un amico, fu incuriosito dal gran numero di persone
che si recavano a porgere gli auguri agli sposi e ai parenti degli sposi, che in
fila li ricevevano.
Aveva notato che ospiti e parenti degli sposi si scambiavano meccanicamente
frasi rituali, senza neppure ascoltarsi reciprocamente.
Perciò si mise in fila e, quando arrivò di fronte al primo parente, disse con
tono pacato e con il sorriso sulle labbra: “Oggi è morta mia moglie!”
La risposta fu:
“Mille grazie, molto gentile!”
Ripeté la stessa frase a un altro parente e gli fu risposto: “Molto gentile,
grazie infinite!”
Alla fine arrivò dallo sposo, sempre ripetendo la stessa frase.
Questa volta la risposta fu: “Grazie. Adesso tocca a te, vecchio mio!”
26
GLI INNAMORATI E L’OPALE
C’era una volta
una coppia di giovani fidanzati che si fermò ad ammirare le pietre preziose
esposte nella vetrina di una gioielleria.
Entrati nel negozio venero incantati da diamanti, zaffiri e smeraldi che il
gioielliere mostrò loro.
La coppia stava cercando una pietra che rappresentasse simbolicamente il loro
amore.
Il loro sguardo cadde su una pietra modesta, scura e senza splendore.
Il gioielliere lesse la domanda nei loro occhi e spiegò: “Questo è un opale: è
fatto di silice, polvere e sabbia del deserto, e deve la sua bellezza ad un
difetto invece che alla sua perfezione.
L’opale è una pietra con il cuore spezzato, poiché è pieno di minuscole fessure
che permettono all’aria di penetrare all’interno.
L’aria, poi,
rifrange la luce, e il risultato è che l’opale possiede delle sfumature così
incantevoli da essere chiamato “lampada di fuoco,” perché ha dentro il soffio di
Dio.”
Poi il gioielliere prese la pietra e la strinse forte avvolgendola con tutta la
sua mano, continuando a parlare ai due giovani innamorati: “Un opale perde la
sua lucentezza se viene messo in un posto freddo e buio, ma torna ad essere
luminoso quando è scaldato dal tepore di una mano oppure è illuminato dalla
luce.”
L’uomo aprì la mano.
La pietra era
un palpito di luce tenera, morbida, carezzevole.
Alla fine i due giovani innamorati acquistano proprio l’opale come simbolo del
loro amore.
27
GLI INUTILI PROPOSITI
Un adolescente
scriveva i suoi propositi chino sul tavolo, mentre la mamma stirava la
biancheria.
“Se vedessi qualcuno in procinto di annegare,” scriveva l’adolescente, “mi
butterei subito in acqua per soccorrerlo.
Se si incendiasse la casa salverei i bambini.
Durante un
terremoto non avrei certo paura a buttarmi tra le macerie pericolanti per
salvare qualcuno.
Poi dedicherei la mia vita per aiutare tutti i poveri del mondo…”
La mamma lo interruppe e gli chiese:
“Per piacere,
vai a prendere un po’ di pane qui sotto!”
Il ragazzo rispose: “Mamma, non vedi che piove?”
28
LA FELICITÀ
Questa è la
storia di un uomo che, quando era ragazzo e andava a scuola continuava a dire:
“Ah! Quando lascerò la scuola e comincerò a lavorare, allora sarò felice!”
Lasciò la
scuola, cominciò a lavorare e diceva: “Ah! Quando mi sposerò, quella sarà la
felicità!”
Si sposò, e in capo a pochi mesi constatò che la sua vita mancava di varietà, e
allora disse:
“Ah, come sarà bello quando avremo dei bambini!”
Vennero i
bambini, ed era un’esperienza affascinante, ma piangevano tanto, anche alle due
di notte, e il giovane sospirava: “Crescano in fretta!”
E i figli crebbero, non piangevano più alle due di notte, ma facevano una
stupidaggine dopo l’altra e cominciarono i veri problemi.
E allora l’uomo sognò il momento in cui sarebbe stato di nuovo solo con sua
moglie:
“Staremo così tranquilli!”
Adesso è
vecchio, e ricorda con nostalgia il passato:
“Era così bello!”
29
GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO, GRATUITAMENTE DATE
Alcuni giorni
fa ero in strada con mia nipote, una bambina di circa otto anni.
Stavamo camminando, quando vedemmo sul marciapiede un mucchietto di buste e
cartoni, con un giovane tutto rannicchiato sopra. Quello che tutti chiameremmo
“barbone.”
Il mio occhio,
anche se “cristiano”, ma purtroppo abituato a queste scene, quasi aveva escluso
dall’attenzione questa presenza.
Ma quello della bambina no! Più ci avvicinavamo al povero, più lei lo guardava
con occhio evangelicamente misericordioso.
Accortomi di questo atteggiamento, diedi una moneta alla bambina per metterla
nel cestino, quasi vuoto, del povero.
A questo punto il giovane si alzò e velocemente si allontanò.
“Dove starà
andando?” mi chiesi. Entrò in un bar e quasi subito uscì da lì con un ovetto di
cioccolato in mano e lo donò alla bambina con un sorriso che non dimenticherò
mai!
E subito scomparve, tornando al suo mucchio di povere cose!
Rimasi senza
parole! Anche la nipotina rimase colpita dal dono ricevuto.
Mi ripresi subito e spiegai alla bambina che quello che conta è l’amore!
Noi avevamo donato solo una moneta, lui aveva donato oltre all’uovo di
cioccolato un enorme gesto d’amore!
30
LA CANDELA SPENTA
Nei tempi
remoti, in Giappone, si usavano lanterne di carta e di bambù con le candele
dentro.
Una notte, a un cieco che era andato a trovarlo, un tale offrì una lanterna da
portarsi a casa.
“A me non serve
una lanterna.” disse il cieco, “Buio o luce per me sono la stessa cosa!”
“Lo so che per trovare la strada a te non serve una lanterna,” rispose l’altro,
“ma se non la hai, qualcuno può venirti addosso. Perciò devi prenderla.”
Il cieco se ne andò con la lanterna, ma non era ancora andato molto lontano
quando si sentì urtare con violenza.
“Guarda dove
vai!” esclamò il cieco allo sconosciuto, “Non vedi questa lanterna?”
“La tua candela si è spenta, fratello!” rispose lo sconosciuto.
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I CAVALIERI CORAGGIOSI E DIO
C’erano una
volta due coraggiosi cavalieri. Avevano affrontato battaglie, avventure
rischiose e messo a repentaglio la vita al soldo di molti signori.
Una sera, uno dei due, guardando il sole che tramontava, disse: “Mi resta
un’ultima impresa!”
“Che cosa?”
chiese l’altro. “Voglio salire sulla montagna dove abita Dio!” esclamò il primo.
“Perché?” domandò il secondo.
“Voglio sapere perché ci carica di pesi e fardelli gravosi per tutta la vita e
continua a pretendere sempre di più invece di alleggerire il nostro carico, ogni
tanto almeno!” disse, amareggiato, il primo cavaliere.
“Verrò con te. Ma io penso che Dio sappia quello che fa!” concluse l’altro.
Il viaggio fu lungo e faticoso.
Giunsero al
monte di Dio. Salivano in silenzio accanto ai cavalli poiché il sentiero era
ripido e tormentato. Già si intravedeva la sommità della montagna nella nebbia,
quando una voce tuonò dall’alto: “Prendete con voi tutte le pietre che trovate
sul sentiero!”
“Lo vedi?” protestò il primo cavaliere, “È sempre la stessa storia! Dopo tutta
questa fatica, Dio ci vuole oberare ancora. Io non ci sto più al suo gioco!” E
tornò indietro.
L’altro
cavaliere invece fece quello che la voce aveva ordinato.
Impiegò molto tempo e, inoltre, la salita fu penosa. Ma quando il primo raggio
di sole del giorno le sfiorò le pietre ammassate sul cavallo e sulle braccia del
cavaliere, queste brillarono di una luce limpidissima. Si erano trasformate in
splendidi diamanti di inestimabile valore.