LA CENA DEL SIGNORE




 

 

LA SANTA CENA NELLA BIBBIA

Nella Chiesa cattolica la presenza reale di Cristo nella Santa Cena non è mai stata messa in dubbio, emergendo chiaramente dalle parole di Nostro Signore (Matteo 26,26-28 e 1 Corinzi 11,23-26) che garantì la sua presenza perfino laddove due o più persone fossero riunite nel suo nome (Matteo 18,20). Anche sul carattere sacrificale della Santa Cena non dovrebbero sorgere dubbi, visto che i cristiani sono stati definiti dall’apostolo Pietro un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo (1 Pietro 2,5). Tali sacrifici spirituali sono identificati nell’epistola ai Romani come offerte dei nostri corpi (cioè dei corpi della Chiesa e del suo Capo) come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (Romani 12,1), nonché come atti di lode, di rendimento di grazie, di misericordia e di amore (Salmo 50,4 e Ebrei 13,15-16).

 

 

LA TRADIZIONE CATTOLICA

 La Chiesa, facendo ciò che le fu comandato nell'Ultima Cena, rende presente Cristo e riceve tutti i benefici del suo sacrificio: il pane ed il vino sono pertanto un mezzo attraverso il quale tutta l'opera espiatoria di Cristo viene non solo annunciata e proclamata ma resa presente con tutti i suoi effetti nella vita dei credenti. La lettera agli Ebrei descrive Cristo come il sommo sacerdote, che è mediatore della nuova alleanza mediante il suo sacrificio una volta per tutte (Ebrei IX) ma l'identificazione dell'eucaristia come azione sacrificale è antichissima e risale alla fine del II secolo.

 

Di fatto, il termine sacrificio deriva dal latino "sacer + facere" cioè , "rendere sacro" ed è un gesto rituale con cui alcuni beni (oggetti, cibo, animali o anche esseri umani) vengono tolti dalla condizione profana e consegnati al sacro, venendo offerti a una o più divinità, come atto propiziatorio o di adorazione. Il fatto che, lungo i secoli, il termine "sacrificio" abbia gradualmente perso, nel lessico comune, quest'ampia accezione per intendere, in senso ristretto, soprattutto uno sforzo, una rinuncia o una uccisione cruenta ha contribuito parecchio a complicare le cose.

 

Nell'era della Riforma, abusi ed esagerazioni associati all'Eucaristia, alle indulgenze, al culto delle immagini, delle reliquie, della Vergine e dei Santi provocarono una reazione estrema dei luterani e dei calvinisti. Oggi la Chiesa cattolica, nel tentativo di recuperare il dialogo con i fratelli separati, preferisce non esasperare i toni polemici della diatriba ma questo non vuol dire che la fede cattolica sia cambiata, né tantomeno che i cattolici credano, in qualche modo, che Cristo continui a essere crocifisso fisicamente e a morire di morte fisica in cielo, in terra o sopra qualche altare. Qualche aiuto ci può sicuramente venire da alcuni Padri antichi, al di sopra di ogni sospetto.

 

·       Didaché parla della Santa Cena come di un sacrificio, con un riferimento alla famosa profezia di Malachia (Malachia 1,11), soprattutto dove si dice che: “Nel giorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie, dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro. Questo è infatti il sacrificio di cui il Signore ha detto che in ogni luogo ed in ogni tempo mi offrirete un sacrificio puro, perché io sono un re grande e mirabile è il mio nome tra le genti” (Didaché XIV);

·       Clemente Romano afferma che: “Il nostro peccato non sarà piccolo se espelleremo dall'episcopato coloro che in modo irreprensibile e santo hanno offerto i suoi sacrifici. Beati quei presbiteri che hanno già terminato il loro corso, e che hanno ottenuto una fruttuosa e perfetta liberazione” (Lettera ai Corinzi  44,4–5)

·       Ireneo fa riferimento alla profezia di Malachia (Malachia 1,10-12), parlando dei vecchi sacrifici del giudaismo e dell'offerta eucaristica della Chiesa in tutto il mondo (Ireneo, Contro le Eresie, IV, 17).

·       Giustino Martire caratterizza ripetutamente l'Eucaristia come sacrificio, soprattutto nel dibattito con Trifone, dicendo che: “Dio , attesta in anticipo che gli sono graditi tutti i sacrifici fatti in questo nome, e che Gesù Cristo ci ha trasmesso di fare, quelli cioè nell'Eucaristia del pane e del calice, sacrifici che sono offerti dai cristiani in tutti i luoghi del mondo mondo. (Dialogo con Trifone 117). Lo stesso Giustino, sempre ragionando con Trifone della profezia di Malachia, afferma che: "Egli parla poi di quei pagani, cioè di noi, che in ogni luogo gli offriamo sacrifici, cioè il pane e anche il calice dell'Eucaristia, affermando sia che noi glorifichiamo il suo nome, sia che voi [giudei] lo profanerete (Dialogo con Trifone, XLI);

·       Tertulliano parla chiaramente di “partecipazione eucaristica al sacrificio di Cristo” e rappresenta l'Eucaristia come una attualizzazione del sacrificio di Cristo (La Preghiera, XIX);

·       Cipriano di Cartagine, presenta un resoconto pienamente sviluppato dell'Eucaristia, definendola come “sacramento e sacrificio del Corpo del Signore” (Epistola 62);

·       Agostino, commentando poi l'invito di Paolo a "presentare i nostri corpi come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio, che è il nostro culto razionale" (Romani 12,1) non manca di ricordare che lo stesso Paolo insegna che: "noi, essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e ciascuno è membra gli uni degli altri, avendo doni diversi secondo la grazia che ci è data (Romani 12,3-6). Questo è il sacrificio dei cristiani: noi, essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo. E questo è anche il sacrificio che la Chiesa celebra continuamente nel sacramento dell'altare" (Città di Dio, X, 6);

·       Agostino riflettendo sul valore profetico dei sacrifici dell'Antico Patto e, in particolare, sull'episodio di Melkisedec ricorda, a proposito del sacrificio di Cristo e della Santa Cena, che: "Quel sacrificio è successo a tutti i sacrifici dell'Antico Testamento, che furono uccisi come ombra di ciò che sarebbe accaduto. . . . Perché, invece di tutti questi sacrifici e oblazioni, il suo corpo viene offerto e servito a coloro che ne prendono parte” (Città di Dio  XVII, 20);

·       Agostino insegna anche che: “Cristo non è stato offerto una volta per tutte nella Sua persona in sacrificio? Eppure non viene forse offerto anche nel sacramento come sacrificio, non solo nelle particolari solennità della Pasqua, ma anche quotidianamente tra le nostre congregazioni?” (Epistole XCVIII, 9) e altresì che “Questo sacrificio viene commemorato pure dai cristiani, nella sacra offerta e partecipazione del corpo e del sangue di Cristo”. (Contro Fausto Manicheo, XX, 18)

·       Cirillo di Alessandria ricorda poi: “Dopo esserci santificati con questi inni spirituali, supplichiamo Dio misericordioso che invii il suo Santo Spirito sui doni che gli stanno davanti, affinché faccia del pane il Corpo di Cristo e del vino il Sangue di Cristo, per qualunque cosa Lo Spirito Santo ha toccato è sicuramente santificato e cambiato. Poi, al compimento del sacrificio spirituale, del culto incruento, su quella vittima propiziatoria invochiamo Dio per la pace comune delle Chiese, per il benessere del mondo, per i re, per i soldati e gli alleati, per gli ammalati, per gli afflitti; e in sintesi, tutti preghiamo e offriamo questo sacrificio per tutti coloro che sono nel bisogno» (Lezioni catechetiche  XXIII, 7–8);

·       Ambrogio insegna quindi che "se Cristo non è ora visto come colui che offre il sacrificio, tuttavia è Lui stesso ad essere offerto in sacrificio qui sulla Terra quando viene offerto il corpo di Cristo" (Commentari ai Dodici Salmi di Davide XXXVIII, 25);

·       Fulgenzio di Ruspe testimonia che: "La Santa Chiesa cattolica non cessa nella fede e nell'amore di offrire in tutte le terre del mondo un sacrificio di pane e di vino» (La Regola della fede, 62);

·       Serapione osserva che: "Pieno è il cielo, piena è la terra, della tua magnifica gloria, Signore delle virtù. Pieno è anche questo sacrificio, con la tua forza e la tua comunione; poiché a te offriamo questo sacrificio vivente, questa oblazione incruenta" (Anafora, 38-41).

 

 

RECENTI POLEMICHE CATTOLICHE

Negli ultimi anni, complici alcuni abusi liturgici, è divampata, all’interno della Chiesa Cattolica, una triste polemica sulla liturgia eucaristica. Ricevere la comunione sulla mano è un rito dalle radici antichissime, sospeso nel Medioevo e ripreso dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II come "opzionale" rispetto alla tradizionale ricezione del Corpo di Cristo direttamente sulle labbra. La storia ci insegna come nei primi secoli fosse normale, sia in Oriente, sia in Occidente, ricevere il corpo di Cristo durante la celebrazione eucaristica direttamente sulle mani. Numerose sono le fonti che testimoniano questa prassi.

 

Coloro che contestano il ritorno a questa usanza citano spesso l’enciclica Mediator Dei di Pio XII (1947), affermando che questo equivarrebbe a fare dell’archeologismo, cioè ritornare senza criterio agli antichi riti e costumi, rigettando le novità liturgiche e dogmatiche introdotte nei secoli sotto l’azione della Provvidenza. Evidentemente altra cosa è la detestabile pratica di voler a tutti costi abbattere in blocco tutte le vecchie pratiche liturgiche e dogmatiche introdotte nella Chiesa sotto azione dello Spirito Santo, della riflessione teologica, dei cambiamenti, delle necessità e delle circostanze, altra cosa è riscoprire, sotto azione della Provvidenza, antiche verità e pratiche devote e reintrodurle con prudenza nella liturgia per aumentare la sensibilità religiosa, la partecipazione ai riti e la semplicità delle celebrazioni. Molti tradizionalisti e non pochi novatori sembrano poi non rendersi conto dei rischi igienici e sanitari legati a comportamenti molto diffusi ed imprudenti (contatti ripetuti con le bocche dei fedeli, utilizzo di un calice comune, passaggio del pane consacrato di mano in mano). Anche qui qualche aiuto ci può sicuramente venire da alcuni Padri antichi, al di sopra di ogni sospetto

 

·       Papa Cornelio descrive le violenze usate a Roma da Novaziano, scismatico, sui propri adepti al momento della comunione, spiegando come il pane consacrato venisse ricevuto nelle mani e quindi portato alla bocca dal fedele: “«Infatti, quando [l’eretico Novaziano] ha fatto le offerte eucaristiche e distribuisce la porzione a ciascuno e gliela consegna, costringe gli sventurati a giurare invece di rendere grazie; prende in entrambe le mani quelle di chi ha ricevuto la sua porzione, e non li lascia andare finché non abbiano giurato con queste parole - uso le sue parole -: “Giurami, sul sangue e sul corpo di nostro Signore Gesù Cristo, che non mi abbandonerai mai, né tornerai da Cornelio”.(lettera riportata da Eusebio di Cesarea nella Storia ecclesiastica, VI, 43, 18);

·       Tertulliano osserva che i fabbricanti di idoli che diventano cristiani senza abbandonare il loro mestiere si “avvicinano al corpo di nostro Signore con mani che danno corpi ai demoni» (De idolatria, VII).

·       Cipriano specifica che “se un cristiano, che ha lasciato i sacrifici idolatrici, viene all’altare del Signore e osa, con gli altri, ricevere l’Eucaristia; non può portarla alla bocca perché aprendo le sue mani vi troverà solo della cenere”.(De Lapsis, XXVI)

·       Cirillo di Gerusalemme insegna che: “Accedendo alla sacra Mensa, non ti presentare con le palme distese e le dita disgiunte; ma collocando la sinistra a guisa di trono sotto la destra che deve raccogliere il Re, e tenendo la destra raccolta e concava, ricevi il Corpo di Cristo, rispondendo: Amen. E dopo aver cautamente santificato i tuoi occhi col contatto del sacro Corpo, mangialo, badando attentamente che nessuna parte di essa vada dispersa; chè, se ne lasciassi perire qualche frammento devi reputare d’aver perduto una parte delle tue stesse membra” (Cirillo, Catechesi Mistagogiga, XXI)

·       Teodoro di Mopsuestia, ricorda di porre le mani una sopra l’altra a forma di croce (Omelia VI)

·       Agostino indica che il corpo del Signore va ricevuto a mani giunte “coniunctis manibus” (Contro la Lettera di Parmeniano, II)

·       Cesario di Arles ricorda come nella Gallia ”gli uomini potevano ricevere la comunione a mani nude, mentre alle donne non era permesso accogliere la comunione sulla mano nuda, ma era necessario accoglierla su un velo bianco” (Cesario, Opera I)