LA PERICOPE DELL'ADULTERA











GIOVANNI 7,53-8,11


 



TESTIMONIANZE MANCANTI

La pericope dell'adultera, manca nella Peshitta siriaca (V secolo), in alcuni grandi codici greci del IV secolo (א Sinaitico e B Vaticano), in due papiri antichi molto autorevoli (P⁶⁶ o papiro Bodmer II  e P⁷⁵ o papiro Bodmer XV) e in molte versioni siriache, sahidiche, gotiche, armene, georgiane e copte. Non contengono poi riferimenti all'episodio né il Diatessaron di Taziano (II secolo), né Clemente Alessandrino (150-215), né Tertulliano (155- 230), né Origene di Alessandria (185- 254), né Cipriano (210- 258), né Giovanni Crisostomo (344- 407) nelle sue omelie esegetiche né Cirillo di Alessandria (370- 444) nel suo ampio commentario al Vangelo di Giovanni.

 

TESTIMONIANZE DUBBIE

Il Codice Alessandrino A non fornisce indicazioni sulla presenza o sulla mancanza della pericope dell'adultera, perché manca di un'ampia parte del Vangelo di Giovanni (cioè dal versetto 6,50 al versetto 8,52). Lo stesso si può dire del Codice C di Efrem, perché, oltre alla pericope dell'adultera, sono assenti consistenti parti del Vangelo di Giovanni e soprattutto un ampio brano in cui l'episodio in questione potrebbe essere contenuto (da Giovanni 7,17 a 8,28)

 

TESTIMONIANZE CERTE

È presente in un famoso Codice greco del V secolo (D Beza) ed in numerosi codici greci del VIII-X secolo (F Boreelianus, E Basilensis, G Seidelianus I, H Seidelianus II, K Cyprius, M Campianus, U Nanianus, Γ Tischendorfianus IV, Π Petropolitanus).

È poi riportata da parecchi codici minuscoli (28, 318, 700, 892, 1009, 1010, 1071, 1079, 1195, 1216, 1344, 1365, 1546, 1646, 2148, 2174) ed in vari tipi testuali bizantini, mentre collocano la pericope altrove: la famiglia 1, i minuscoli 20, 37, 135, 207, 301, 347, e quasi tutte le versioni armene che pongono la pericope dopo Giovanni 21,25; la famiglia 13 che la colloca dopo Luca 24,53; i minuscoli 129, 259, 470, 564, 831, e 1356 che collocano i versetti Giovanni 8,3-11 dopo Giovanni 21,25 e il minuscolo 826 che colloca la pericope dopo Luca 21,38.

Si trova quindi in numerosi antichi manoscritti della Vetus Latina (b, c, d, e, ff2, g1, g2, j, r1, r2, aur, gat), della Vulgata (A, C, D, F, G, S) e in alcune versioni siriache, bohariche, armene, georgiane, etiopiche e gotiche.

Per quanto riguarda la Vetus Latina ben quattro antichi e famosi manoscritti contengono tuttora il brano in questione (Codice Palatino del IV-V secolo, Cantabrigense del IV-V secolo, Corbiense II del IV-V secolo e Sarzanense del V-VI secolo), mentre un manoscritto tra i più autorevoli lo conteneva sicuramente, benché il foglio in cui era presente sia andato successivamente perduto (Codice Veronense del V secolo). Nessuna traccia della pericope si trova, invece, in altri quattro importanti codici della Vetus Latina (Bobiense IV secolo, Vercellense IV secolo, Brixiano V-VI secolo e Monacense IV-V secolo), mentre è inclusa in alcuni manoscritti latini occidentali tardivi che spesso non vengono ricordati perché potrebbero aver risentito dell'influenza della Vulgata (Codici Aureus del VII secolo, Usseriano Primo del VII secolo, Usseriano Secondo del VIII secolo, Claromontano del VII secolo, Gatiano del VIII secolo, Holmense del VIII secolo, Fossatense del VIII secolo, Sangermanense Primo del IX secolo, Sangermanense Secondo del X secolo, Colbertino del XII secolo). Alcuni documenti (Codice Complutensis Primo del IX secolo ed Codice Cavensis del IX secolo ) sono costruiti combinando la Vulgata con alcuni manoscritti della Vetus Latina: contengono sia il comma giovanneo che la pericope dell'adultera ma per la loro natura ibrida non godono di grande considerazione tra gli studiosi. L'episodio dell'adultera è infine sempre presente nei più antichi ed autorevoli codici della Vulgata (Codex Fuldensis del V secolo e Codex Amiantinus del VII secolo)

È infine chiaramente citata dalla Didascalia Apostolorum (III secolo), da Didimo Cieco (IV secolo), dall'Ambrosiaster (IV secolo), da Ambrogio di Milano (IV secolo), da Giovanni Crisostomo (IV secolo), da Girolamo (IV secolo), da Agostino d'Ippona (IV secolo), da Paciano di Barcellona (IV secolo), Pietro Crisologo (IV secolo) e da Rufino di Aquileia (IV secolo). A partire dal V secolo esistono quindi citazioni autorevoli di Fausto Africano, Prospero di Aquitania, Vigilio di Tapso, Gelasio Papa, Cassiodoro, Gregorio Magno e Callisto Papa.

 

TESTIMONIANZE DEI CRISTIANI DELL’ANTICHITÀ

Il fatto che molti Padri della Chiesa non abbiano commentato o citato l’episodio dell’adultera non dimostra che ne ignorassero l’esistenza, né tantomeno che ne rifiutassero la canonicità. Esisteva nella chiesa dei primi secoli una certa severità morale che molto probabilmente impediva di mostrare eccessiva indulgenza verso alcuni peccati gravi. Nel II-III secolo, su influenza degli eretici Montano e Novaziano, molte eresie rigoriste ed ascetiche, in chiara polemica con la chiesa cattolica, negavano poi esplicitamente la possibilità di rimettere alcune colpe come l’adulterio, l’omicidio e l’apostasia. 

Secondo alcuni studiosi, la pericope dell’adultera potrebbe essere stata inserita tardivamente in alcuni manoscritti greci, nel codice Beza, nella Vetus latina e nella Volgata su influenza di un antico Vangelo ebraico di Matteo La chiesa cattolica non lo accolse come canonico, perché il vero testo originale andò probabilmente perduto, subendo gravi manipolazioni da parte della setta giudaico-cristiana degli ebioniti e diventando così un vero e proprio "Vangelo Apocrifo degli Ebrei. Altri ricercatori ipotizzano, invece, che la pericope sia sempre esistita nel Vangelo di Giovanni o in qualche altro Vangelo ma sia stata successivamente stralciata per evitarne un uso permissivo e distorto.

Di fatto, nella sua Storia Ecclesiastica, Eusebio di Cesarea (265-340), si dilunga sulla figura di Papia di Gerapoli, discepolo di Giovanni evangelista e gran sostenitore del millenarismo. Papia (70-130) viene ricordato anche per aver tramandato l'esistenza di un Vangelo di Matteo in lingua ebraica e di un Vangelo degli Ebrei nel quale sarebbe narrata la storia di Gesù e di una "donna accusata di molti peccati" [Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 39].

Rufino di Aquileia (345 – 411), fu un monaco, storico e teologo cristiano. È noto sia per la sua Storia ecclesiastica (che è un pregevole ampliamento dell'opera di Eusebio di Cesarea) che per la traduzione in latino delle opere greche di alcuni padri della Chiesa (Eusebio, Origene, Basilio, Gregorio Nazianzeno, ...). Egli così ricorda l'episodio dell'adultera in una lettera inviata a Girolamo "Una donna presa ad adulterio fu portata davanti a nostro Signore dagli ebrei, affinché potessero vedere quale giudizio avrebbe pronunciato secondo la legge. Lui, il Signore misericordioso e pietoso, disse: Colui che è senza peccato in mezzo a te, per primo glielo lanci contro. E poi, si dice, se ne andarono tutti. Gli ebrei, pur essendo empi e increduli, arrossirono per la loro coscienza di colpa, dal momento che erano peccatori [Rufino, Apologia contro Gerolamo, I, 44].

Didimo Cieco (313-398), in un commento al libro di Ecclesiaste, scrisse: "Si narra, in certi Vangeli, che una donna fu condannata dai giudei per un peccato e veniva condotta, per essere lapidata, nel luogo dove ciò soleva avvenire. Il Salvatore, vi si dice, avendola scorta e avendo visto che erano pronti a lapidarla, disse a coloro che stavano per colpirla con pietre: "Chi non ha peccato, sollevi una pietra e la getti. Se qualcuno ha coscienza di non aver peccato, prenda una pietra e la colpisca" E nessuno osò. Conoscendo se stessi e sapendo che anch'essi erano responsabili di qualcosa, non osarono colpirla "[Commento al libro di Quoelet, Capitolo VII].

Nella Didascalia Apostolorum (autorevole trattato cristiano dell'inizio del III secolo) è poi scritto: "Pertanto, o vescovo, per quanto puoi, custodisci quelli che non hanno peccato, affinché possano continuare a non peccare ma guarisci ed accogli quelli che si pentono dei (loro) peccati. Se tu non ricevi colui che si pente, perché sei senza pietà, tu peccherai contro il Signore Dio, perché non ubbidisci al nostro Salvatore e al nostro Dio, non facendo come Gesù ha fatto con colei che aveva peccato, che gli anziani gli avevano posto davanti, lasciando il giudizio nelle sue mani. Lui, il Cercatore dei cuori, le disse: "Gli anziani ti hanno condannato, figlia mia? Lei gli rispose: No, Signore. E lui le disse: neppure io ti condanno, vai e non peccare più". [Didascalia Apostolorum, Cap. VII].

Pietro Crisologo (398 -450) fu nominato vescovo di Ravenna nel 433 e durante il suo ministero curò l'edificazione della prima chiesa a Ravenna. I cattolici lo venerano come santo e lo annoverano tra i dottori della chiesa. Fu stimato da tutti, convertì pagani, atei ed increduli, predicando con bontà, umiltà e sapienza. Grazie alla sue capacità oratorie, alla sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture e alla sua semplice eloquenza fu soprannominato "Crisologo" (parola greca che significa"dalle parole d'oro"). Scrisse ben 176 sermoni che vennero raccolti e conservati accuratamente, prima dai suoi fedeli e poi dai vescovi che presero il suo posto. In una delle sue omelie rivolte al popolo cristiano disse Per queste ragioni, o fratelli, quando nel Vangelo gli scribi ed i dottori della legge accusarono la donna adultera presso il Signore, egli voltò la faccia a terra, per non punire; e preferì, fratelli e sorelle, scrivere nella polvere il perdono piuttosto che dare nella carne un verdetto di morte”[Pietro Crisologo, Sermoni, CXV].

Agostino (354-430), a tal proposito, ricorda come: "Tutto questo è inaccettabile, evidentemente, per l'intelletto dei non credenti: infatti alcuni di fede debole, o piuttosto nemici della fede autentica, per timore, io credo, di concedere alle loro mogli l'impunità di peccare, tolgono dai loro codici il gesto di indulgenza che il Signore compì verso l'adultera, come se colui che disse: d'ora in poi non peccare più avesse concesso il permesso di peccare, o come se la donna non dovesse essere guarita dal Dio risanatore con il perdono del suo peccato, perché non ne venissero offesi degli insensati". [Agostino, Connubi Adulterini, II, 6].

Girolamo (347-420) racconta come la pericope fosse presente in molti manoscritti greci e latini, alla fine del IV secolo: "Nel Vangelo secondo Giovanni, si trova, in molte delle copie greche e latine, la storia dell'adultera che fu accusata dinanzi al Signore." (Gerolamo, Contro Pelagio, II, 17, 4). Inoltre lo stesso Girolamo affermò chiaramente di aver "reso fedele il Nuovo Testamento all’originale greco e di aver tradotto l’Antico Testamento dall’ebraico" [Gli uomini illustri, CXXXV]. Sicuramente egli ebbe modo di consultare molti antichi manoscritti in latino e greco (e non solo codici latini) e l'ipotesi che la pericope dell'adultera sia stata successivamente eliminata è tutt'altro che accademica (l'onestà di Girolamo sembra emergere chiaramente dal rifiuto di inserire il comma giovanneo nella Vulgata, in quanto presente solo in pochissimi manoscritti).

Paciano di Barcellona (301? - 392) - che divenne vescovo nel 365, cioè circa nello stesso periodo in cui veniva prodotto il Codex Sinaiticus - menzionò così l'episodio dell'adultera, accusando i novaziani di averlo rimosso dalla lettura del vangelo: "O Novaziani, perché tardare a chiedere occhio per occhio, dente per dente e chiedere vita per la vita? Perché aspettate di rinnovare ancora una volta la pratica della circoncisione e il sabato? Uccidete il ladro. Stone il petulante. Scegliete di non leggere nel Vangelo che il Signore ha risparmiato perfino l'adultera che ha confessato, quando nessuno l'ha condannata; che assolse la peccattrice che lavò i suoi piedi con le lacrime; che consegnò Raab a Gerico, ... che ha liberato Tamar dalla sentenza del Patriarca; che anche quando i Sodomiti perirono, non distrusse le figlie di Lot .. [Lettera a Symproniano, Lettera III, 39].

La pericope dell’adultera è infine richiamata chiaramente da Ambrogio (339-347) che la attribuisce all’evangelista Giovanni quando ricorda ai suoi contemporanei che: “Una questione molto agitata e molto famosa è stata l'assoluzione di quella donna che nel Vangelo secondo Giovanni fu portata a Cristo accusata di adulterio. Lo stratagemma che gli ebrei equivocati escogitarono fu questo: nel caso in cui il Signore Gesù avesse assolto la donna si sarebbe opposto alla Legge, mentre la sua condanna avrebbe potuto essere criticata, rendendo la grazia di Cristo vuota. E la discussione è ancora più accesa, dal momento in cui i vescovi hanno iniziato ad accusare i colpevoli dei crimini più atroci davanti ai tribunali pubblici, e alcuni persino a spingerli all'uso della spada e della pena capitale, mentre altri ancora approvano questo tipo di crimini macchiati dal sangue del sacerdozio. Poiché quegli uomini dicono esattamente come gli ebrei, che i colpevoli dovrebbero essere puniti dalle leggi pubbliche, e quindi che dovrebbero essere accusati dai sacerdoti di fronte ai tribunali pubblici …. Come possiamo sopportare chi condanna le colpe negli altri e le scusa in se stesso? Quando un uomo condanna in un altro ciò di cui egli stesso si macchia, non pronuncia piuttosto la propria condanna?” [Ambrogio, Lettera XXVI, 2, 3, 13]

L'accettazione della pericope dell'adultera nel canone biblico è pertanto legata, più che all'autorità delle passate decisioni delle varie confessioni cristiane, all'elevato numero di antichi manoscritti latini che la contengono e alla grande quantità di citazioni fatte dagli scrittori cristiani dei primi secoli. Se è vero che per circa mezzo millennio la pericope scomparve dai codici greci più autorevoli, è anche vero che ricomparve in un enorme numero di manoscritti bizantini verso il IX-X secolo. Nella tradizione e nella liturgia occidentale, la pericope sopravvisse comunque grazie all'autorità di Gerolamo (che ne garantì la presenza in molti codici greci del IV secolo), mentre nelle chiese orientali continuò a rimanere nel canone biblico grazie al testus receptus della tradizione koiné.

Molti purtroppo hanno letto e continuano a leggere tale brano in senso dissoluto e permissivo. Nostro Signore però sapeva benissimo che non spettava agli scribi e ai farisei il diritto di fare giustizia sommaria (anche perché Israele era sottoposto alla giurisdizione di Roma) e che la punizione delle adultere non era sempre automatica, nonostante le prescrizioni di Mosé. Considerato poi che nessuno aveva lapidato la donna, neppure Cristo si permise di fare giustizia, senza essere autorizzato legalmente. Anche il consiglio "vai e non peccare più" potrebbe essere ispirato più a realismo e a misericordia che a lassismo morale: forse Gesù voleva semplicemente dire alla donna: "oggi è andata bene perché nessuno era autorizzato a lapidarti e, inoltre, nessuno si è sentito abbastanza giusto da punirti ma domani niente ti potrebbe garantire una uguale fortuna".

 

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L’attribuzione a Luca Per quanto concerne l’attribuzione di questa parabola alla tradizione di Luca, confrontando il linguaggio di questa pericope con gli altri Vangeli, gli studiosi hanno individuato varie espressioni tipiche di Luca nel brano, come ad esempio: a) in Giovanni 8,1 si menziona il “monte degli Ulivi”: questa espressione appare quattro volte in Luca, ma mai in Giovanni se non in questo brano controverso; b) in Giovanni 8,2 troviamo il termine ὄρθρος "all’alba" che ricorre solo in Luca-Atti; c) sempre in Giovanni 8,2 si dice che Gesù "si presentò di nuovo al tempio": il termine greco παρεγένετο però si riscontra solo una volta in Giovanni (3,23) ma si trova ben 28 volte in Luca; d) ancora in Giovanni 8,2 l’espressione πᾶς ὁ λαός "tutto il popolo" ricorre ben 15 volte in Luca-Atti ma mai altrove nel Vangelo Giovanni; e) in Giovanni 8,3 si ha l’espressione "posta in mezzo", che nel greco è letteralmente "ponenti lei in mezzo" (στήσαντες αὐτὴν ἐν μέσῳ) ma l'uso di questo verbo con il dativo non sembra giovanneo: Giovanni avrebbe quasi sicuramente impiegato l’accusativo senza l’en (ἐν, “in”), come in 19,18, in 20,19 e in 20,26; f) in Giovanni 8,6 l’infinito presente attivo κατηγορεῖν "per accusar(lo)» ricorre solo in Luca-Atti e tanto la scena che la costruzione della frase risulta molto simile a Luca 6,7; f) in Giovanni 8,11 la frase ἀπὸ τοῦ νῦν "d’ora in poi" ricorre più volte in Luca-Atti ma mai nel quarto vangelo. 

 

Il Vangelo degli ebrei: realtà o leggenda? Sulla primitiva redazione aramaica del Vangelo di Matteo esistono testimonianze autorevoli. Secondo Origene "Matteo pubblicò il suo scritto in lingua ebraica per i credenti venuti dal giudaismo" (Eusebio, Storia Ecclesiastica, VI, 25). Ireneo poi afferma che "Matteo, fra gli ebrei nella loro lingua, compose un Vangelo scritto, mentre Pietro e Paolo evangelizzavano Roma e fondavano la chiesa" (Ireneo, Contro le eresie, III). Papia di Gerapoli sostiene che "Matteo ordinò i detti del Signore in lingua ebraica" (Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 24).  Secondo Eusebio di Cesarea, “Matteo, dopo aver predicato la buona novella agli ebrei, compose nella lingua patria il proprio Vangelo, prima di andare a predicare presso altri popoli(Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 24). Eusebio di Cesarea riporta anche la testimonianza del filosofo  stoico Panteno che, “convertitosi con grande entusiasmo al cristianesimo, decise di recarsi in India a predicare il Vangelo. Scoprì che il Vangelo di Matteo lo aveva preceduto, grazie all'opera dell'apostolo Bartolomeo che aveva lasciato là l'opera di Matteo scritta in ebraico(Eusebio, Storia Ecclesiastica, V, 10). Degna di nota è infine la testimonianza di Girolamo, secondo il quale "Matteo, detto anche Levi, da pubblicano fattosi apostolo, fu il primo in Giudea a scrivere il Vangelo di Cristo nella lingua degli ebrei per quelli che si erano convertiti provenendo dal giudaismo …..lo stesso originale si trova tuttora nella biblioteca di Cesarea ….I nazarei che fanno uso di quel libro …. permisero anche a me di ricopiarlo" (Girolamo, Gli uomini illustri, III). Epifanio di Salamina distinse, peraltro, chiaramente tra gli ebioniti apostati e filo-giudaici ed alcuni nazareni ancora cattolici (Contro tutte le eresie, XXIX-XXX), sottolineando come i nazarei accettassero tutti i libri del Nuovo Testamento e fossero legati ad un Vangelo di Matteo in lingua ebraica, molto fedele, completo ed accurato, mentre il cosiddetto Vangelo secondo gli Ebrei degli ebioniti altro non fosse che una versione greca, mutilata e falsificata, del Vangelo secondo Matteo (Epifanio, Panarion, XXIX-XXX).

 

Montano (150 circa -?) nacque in Asia Minore e, secondo Girolamo, prima di convertirsi al Cristianesimo, fu sacerdote della dea Cibele. Iniziò a predicare subito dopo la sua conversione al cristianesimo (nel 156 o nel 157) assieme a due profetesse, Massimilla e Priscilla che, come lui, si ritenevano direttamente ispirate dallo Spirito Santo e capaci di visioni profetiche. Convinti che la parusia fosse imminente, i montanisti vi si prepararono con grande entusiasmo e rigoroso ascetismo, condannando senza appello sia i peccati più gravi che le possibilità di perdono offerte dalla chiesa. Il movimento si diffuse ben presto in Occidente e perfino il grande Tertulliano finì per abbandonare la chiesa per aderire al montanismo.  Novaziano (220 circa – 258) fu un presbitero e teologo romano, fondatore del movimento dei Novazianisti, che si proclamò antipapa dal 251 al 258. Egli sosteneva che l'idolatria era un peccato imperdonabile, e che la Chiesa non aveva alcun diritto di riammettere alla comunione coloro che vi erano precipitati. Dopo la persecuzione dell'imperatore romano Decio, egli sostenne la possibilità di pentimento dei cosiddetti “lapsi”, ma affermò che il loro perdono non spettasse alla comunità cristiana ma fosse riservato soltanto a Dio. Tale posizione non era una novità: Tertulliano, in precedenza, aveva duramente criticato la possibilità di perdono dell'adulterio, introdotta da papa Callisto I e lo stesso Ippolito Romano fu sicuramente incline a molta severità. Inoltre, in molti luoghi e in tempi diversi erano state promulgate leggi con le quali si punivano determinati peccati con la scomunica fino all'ora della morte, negando alla chiesa il potere di accordare l'assoluzione alle colpe più gravi

 

Breve Bibliografia G. Colombo, "La critica testuale di fronte alla pericope dell’adultera", in Rivista Biblica Italiana n. 42 (1994), 81-102; Bruce Metzger, The Text of the New Testament: Its Transmission, Corruption, And Restoration (1st ed.). Oxford: Clarendon Press, 1964; Bruce Metzger, The Early Versions of the New Testament: Their Origin, Transmission, and Limitations. Oxford: Clarendon Press, 1977; B.M. Metzger, A Textual Commentary on the Greek New Testament, 2nd edition, NewYork 1994, 187-89; C. Keith, Recent and Previous Research on the Pericope Adulterae (John 7.53-8.11), (2008), Currents in Biblical Research CBR vol. 6.3, pp. 377-404; J. Knust and T. Wasserman, To Cast the First Stone: The Transmission of a Gospel Story, Princeton University Press, 2018.