LA FIGLIA DI JEFTE









SACRIFICIO UMANO O FAVOLA ANTIGIUDAICA?

(Giudici XI)




 

 

 

 

L'antico Commentatore Ebreo Rabbi David Kimchi (1160-1232), biblista, grammatico e filosofo francese, nonché famoso esegeta ebraico medievale, offrì una spiegazione alternativa del sacrificio di Jefte (Giudici XI), non mettendo la parola "voto" in relazione ad un oggetto ma interpretandola come composta di due parti distinte. E tutto ciò perché, in ebraico, la particella connettiva vau ו spesso fu usata in senso disgiuntivo come una "aut" latina (cioè una “o” italiana), soprattutto quando una frase era composta da due parti .[1]

La traduzione più diffusa rende il voto di Iefte come segue:

Iefte fece un voto al Signore e disse: «Se tu mi dai nelle mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalla porta di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vincitore sugli Ammoniti, sarà del Signore e io l’offrirò in olocausto».” (Giudici 11:30-31) ma Rabbi David Kimchi ricordò come la parola Ebraica “vau” fu spesso usata in senso disgiuntivo e quindi un'altra traduzione possibile sarebbe:Iefte fece un voto al Signore e disse: «Se tu mi dai nelle mani i figli di Ammon, chiunque uscirà dalla porta di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vincitore sugli Ammoniti, sarà del Signore o io l’offrirò in olocausto».”

Di fatto, quanto alla figlia di Jefte, è possibile che non ci sia stato un sacrificio cruento, visto che tale pratica era severamente condannata sia da Dio che dalla legge e dai profeti (Genesi 22,12; Levitico 18,21; Geremia 7,31).

Inoltre se Iefte, che operava sotto la potenza dello Spirito di Dio (Giudici 11,29), avesse compiuto un'azione criminale, difficilmente Samuele lo avrebbe considerato come un liberatore mandato da Dio (1 Samuele 12, 11) e Paolo lo avrebbe citato come un testimone eccellente della fede (Ebrei 11,32-34), visto che tutta la Scrittura ribadisce come "lo zelo senza riflessione non è cosa buona" (Proverbi 19,2) e che Dio "vuole misericordia e non sacrificio" (Osea 6,6).

Di fatto, quanto scritto nel Talmud e riportato da Flavio Giuseppe, potrebbe essere stato amplificato dai cristiani, soprattutto nel Medioevo, per screditare il popolo ebraico. Nel Talmud é detto che Iefte offrì effettivamente sua figlia in olocausto e la stessa opinione è riportata dall'autorevole storico ebraico Flavio Giuseppe ("Antichità Giudaiche, V, 264-266). Secondo Agostino, Jefte "meritò gli elogi di Paolo (Ebrei XI) e quelli dello Spirito Santo insieme a tutti i giudici d'Israele (Ecclesiaste XLVI) per la vita buona e fedele nella quale crediamo che morì" ("Questioni sull'Ettoteuco, Questioni sui Giudici), mentre per Gerolamo "il sacrificio di Jefte non piacque a Dio, ma gli fu comunque gradita l'intenzione" (Commentario al profeta Geremia, 7,31). Tommaso d'Acquino scrisse poi che “nel fare il voto Iefte fu stolto, perché mancò di discernimento, e nell’osservarlo fu empio’” (Tommaso d’Acquino, Summa Teologica, II-II, 88, 2). Dante infine ammonì i cristiani dicendo: "Non prendan li mortali il voto a ciancia; siate fedeli, e a ciò far non bieci, come Ieptè a la sua prima mancia; cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, che, servando, far peggio" (Divina Commedia, Paradiso V, 64-68)

In un ebreo ortodosso dei tempi antichi è comunque probabile che si muovessero due desideri opposti o complementari: consacrare al Signore una persona oppure offrire in olocausto un animale. Le due possibilità erano regolate dal Levitico (capitolo XXVII), dove sono considerate in modo molto chiaro ed articolato le possibilità di offrire con voto:

1)     persone (versetti 1-8); 2)

2)     animali (versetti 9-13); 3)

3)     case (versetti 14-15);

4)     campi (versetti 16-25).

 

Il voto per le persone era incruento (si pensi alle offerte a Dio di Samuele e di Sansone narrate in 1 Samuele XXII e in Giudici XIII), mentre per gli animali si trattava di un vero e proprio olocausto.

Quanto all'uso disgiuntivo del vaw, è forse il caso di ricordare alcuni versetti molto interessanti come:

·       Il Signore gli disse: Chi ha dato una bocca all'uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? (Esodo 4,11);

 

·       Chi percuote suo padre o sua madre deve essere messo a morte. (Esodo 21,15);

 

·       Se tuo fratello, figlio di tua madre, o tuo figlio o tua figlia o tua moglie, che riposa sul tuo seno, o l'amico, che è come un altro te stesso, vorranno ingannarti in segreto, dicendo: «Andiamo, serviamo altri dèi», quelli che né tu né i tuoi padri avete mai conosciuto,.....(Deuteronomio 13,6);

 

·       A mezzogiorno Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: «Gridate forte; poiché egli è dio, ma sta meditando, o è indaffarato, o è in viaggio; può anche darsi che si sia addormentato, e si risveglierà.(1 Re 18,17)

Evidentemente il Signore può rendere muto, sordo o cieco, senza che le tre cose debbano avvenire contemporaneamente. Inoltre si veniva messi a morte percuotendo o il padre o la madre e non solo maltrattando tutti e due i genitori. L’invito all’apostasia poteva quindi giungere da un figlio, da una figlia o dalla moglie o da un amico e non per forza da tutti insieme. Quanto a Baal, benché fosse considerato dio, era impossibile, almeno per la concezione antropomorfa dei filistei e dei popoli antichi, che stesse meditando e fosse indaffarato e in viaggio e allo stesso tempo magari addormentato  

 



[1]  Tale tesi è ricordata in: G. Granelli e T. Bettinelli, L'Istoria Santa dell'Antico Testamento, spiegata in lezioni morali, istoriche, critiche, e cronologiche, da Giovanni Granelli della Compagnia di Gesú; tomo quinto de Giudici, e primo de' Re, pag.111, 1780 e più di recente è stata riproposta dall'estroso teologo anglicano: E.W. Bullinger: Great cloud of witnesses in Hebrews XI, 1911, pp. 324-331.

Tutto il pensiero cristiano, fondato sugli scritti di Gerolamo, Agostino, Tommaso d'Aquino e Dante, fu concorde nel considerare cruento il voto di Jefte. L'accostamento in Dante del voto di Jefte con il sacrificio di Ifigenia (Paradiso, V, 69-72), lascia però intravedere la forte influenza che la cultura ellenistica esercitò sul pensiero tardo giudaico e sul cristianesimo del primo millennio. La figura della figlia di Agamennone, sacrificata a Diana per propiziare la partenza della flotta greca verso Troia, appartiene alla mitologia greca e, benché non presente nell'Iliade, fu ampiamente ripresa dalle tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Nelle Bibbie cattoliche l'ipotesi alternativa di Rabbi David Kimchi fu accennata solo dalle note del Martini che la liquidò sbrigativamente come "favola rabbinica". Sul fronte cattolico la dedicazione della verginità della figlia di Jefte al tempio fu invece difesa, in tempi non troppo remoti, dal primo Segretario della Pontificia Commissione Biblica Fulcran Vigouroux nel suo monumentale "Dictionnaire de la Bible", Volume III, colonne 1254-1256, 1912.

Secondo autorevoli commentatori più recenti, il "sacrificio" consistette, invece, in un voto di nubilato finalizzato al servizio presso un santuario di Dio. Secondo alcuni commentatori, offrire in olocausto potrebbe poi avere un significato figurato, nel senso di far salire alla collina di Dio, all'altare del Signore, al tempio dell'Eterno. Prova ne sarebbe il fatto che la figlia di Jefte non pianse per la sua morte, ma per la sua verginità (Giudici 11,37) consacrata, che privava la casa di Jefte di una discendenza, essendo essa l'unica figlia (Giudici 11,34). A ciò va aggiunto il fatto che il verbo ebraico "tanah "è stato spesso tradotto in Giudici 11,40 con "fare lamento" o "piangere" ma potrebbe essere benissimo reso con "lodare", "celebrare", "raccontare" e "proclamare" (come in Giudici 5,11), così che il senso dello stesso versetto diventerebbe: "le giovani israelite andavano a celebrare la figlia di Jefte il galaadita" (American Standard Version, New American Standard Bible, Darby, Revised Version, Riveduta, Nuova Riveduta) invece che "a fare cordoglio su di lei (Vulgata, King James Version, Douay Reims, Diodati, Martini, Revised Version CE, Cei 1973, Cei 2008, New American Bible, New King James Bible, English Standard Version)". Vedansi, ad esempio, i lavori di Solomon Landers "Did Jephthah Kill his Daughter?", Biblical Archaeology Review, 7:4, agosto 1991 e J. James "Jephthah's Daughter", Biblical Horizons, n. 86, June 1996, che riprendono quanto già contenuto nelle opere monumentali di Alan Clark "Bible Commentary, Judges 11.40", 1817 e F. Delitzsch e J.F.K Keil, "Commentary on The Old Testament", Vol II, 1887. La possibilità che la verginità della figlia di Jefte sia stata dedicata al santuario è confermata da tutta la legge mosaica che ammetteva pure le donne all'attività cultuale (Esodo 38,8 e 1 Samuele 2,22) come ricorda chiaramente anche l'autorevole opera di Jemieson, Fausset e Brown, Bible Commentary, 1871