SUL FILIOQUE
PERCHÉ LA FEDE CATTOLICA
SULLO SPIRITO SANTO NON SI OPPONE A QUELLA ORTODOSSA
Nel suo primo rapporto su Il
mistero della chiesa e dell’eucaristia alla luce del mistero della santa
Trinità , approvato all’unanimità a Monaco il 6 luglio 1982, la Commissione
mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica romana e
la Chiesa ortodossa aveva menzionato la difficoltà secolare tra le due chiese a
riguardo dell’origine eterna dello Spirito Santo. La Commissione, non potendo
ancora trattare in quella prima tappa del dialogo l’argomento in sé,
dichiarava: “Senza volere ancora risolvere la difficoltà tra Oriente e
Occidente sulla relazione tra il Figlio e lo Spirito, possiamo già dire insieme
che questo Spirito, che procede dal Padre (Gv 15,26), come dall’unica sorgente
interna alla Trinità, e che è diventato lo Spirito della nostra adozione (Rm
8,15) perché è anche lo Spirito del Figlio (Gal 4,6), ci è comunicato,
soprattutto nell’eucaristia, da questo Figlio su cui riposa, nel tempo e
nell’eternità (Gv 1,32)”. (Per il testo originale francese, cfr. Service
d’Information del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani
16 (1982) 49, 116, I, 6; EO 1/2189).
La chiesa cattolica riconosce il valore
conciliare ed ecumenico, normativo e irrevocabile, quale espressione dell’unica
fede comune della chiesa e di tutti i cristiani, del simbolo professato in
greco dal II concilio ecumenico a Costantinopoli nel 381. Nessuna professione
di fede propria a una tradizione liturgica particolare può contravvenire a tale
espressione di fede insegnata e professata dalla chiesa indivisa.
Tale simbolo confessa
sulla base di Gv 15,26 lo Spirito “tò ek tou Patròs ekporeuomenon” (“che trae
la sua origine dal Padre”). Soltanto il Padre è il principio senza principio
(arxh anarxos) delle due altre persone trinitarie, l’unica fonte (phgh) e del
Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo trae dunque la sua origine
soltanto dal Padre (ek monou tou Patros) in modo principiale, proprio e
immediato.[1]
I Padri greci e tutto l’Oriente
cristiano parlano a questo riguardo della “monarchia del Padre” e anche la
tradizione occidentale confessa, sulla scia di sant’Agostino, che lo Spirito
Santo trae la sua origine dal Padre “principaliter” , cioè a titolo di
principio ( De Trinitate XV, 25, 47, PL 42, 1094-1095). In questo senso
dunque le due tradizioni riconoscono che la “monarchia del Padre” implica che
il Padre sia l’unica causa trinitaria (aitia) o principio ( principium )
del Figlio e dello Spirito Santo. Tale origine dello Spirito Santo a partire
dal solo Padre quale principio di tutta la Trinità è chiamata ekporeusis dalla
tradizione greca sulla scia dei padri cappadoci. In effetti, san Gregorio
Nazianzeno, il Teologo, caratterizza la relazione d’origine dello Spirito a
partire dal Padre con il termine proprio di ekporeusis che egli distingue da
quello di processione (tò proiénai) che lo Spirito ha in comune con il Figlio:
“Lo Spirito è veramente lo Spirito procedente (proion) dal Padre, non per
filiazione, poiché non è per generazione, ma per ekporeusis” ( Discorso
39, 12, Sources Chrétiennes 358, 175). Anche se talvolta accade a san
Cirillo d’Alessandria di applicare il verbo ekporeuesthai alla relazione
d’origine del Figlio a partire dal Padre, egli non l’adopera mai per la
relazione dello Spirito al Figlio (cfr. tra l’altro Commento su san Giovanni
X, 2, PG 74, 910D; Ep. 55, PG 77, 316D). Anche in san
Cirillo il termine ekporeusis a differenza del termine “procedere” (proiénai)
può caratterizzare soltanto una relazione d’origine al principio senza
principio della Trinità: il Padre.
Per questa ragione l’Oriente ortodosso
ha sempre rifiutato la formula tò ek tou Patròs kaì tou Yiou ekporeuomenon e la
chiesa cattolica ha rifiutato che sia aggiunto kaì tou Yiou alla formula ek tou
Patros ekporeuomenon nel testo greco del simbolo di Nicea-Costantinopoli, anche
nel suo uso liturgico da parte dei latini. Con ciò l’Oriente ortodosso
non rifiuta ogni relazione eterna tra il Figlio e lo Spirito Santo nella loro
origine a partire dal Padre. San Gregorio Nazianzeno, grande testimone delle
nostre due tradizioni, contro Macedonius che chiedeva: “Che cosa manca dunque
allo Spirito per essere il Figlio, poiché se non gli mancasse nulla esso
sarebbe il Figlio?”, precisa: “Non diciamo che non gli manca nulla, poiché
nulla manca a Dio; ma è la differenza della manifestazione, se posso dire, o
della relazione tra di loro (ths pròs allhla sxéseos diaforon) che crea anche
la differenza della loro appellazione” ( Discorso 31, 9, SC 250,
290-292).
Tuttavia l’Oriente ortodosso esprime
felicemente tale relazione per mezzo della formula dià tou Yiou ekporeuomenon
(che trae la sua origine dal Padre per mezzo o attraverso il Figlio). Già san
Basilio diceva dello Spirito Santo: “Per mezzo del Figlio (dià tou Yiou), che è
uno, egli si ricongiunge al Padre, che è uno, e completa con se stesso la beata
Trinità degna di ogni lode ( Trattato sullo Spirito Santo , XVIII, 45, SC
17 bis, 408). San Massimo il confessore dice: “Per natura (fusei) lo Spirito
Santo, nel suo essere (kat’ ousian), trae sostanzialmente (ousiodos) la sua
origine (ekporeuomenon) dal Padre per mezzo del Figlio generato ( di’ Yiou
gennhthéntos)” ( Quaestiones ad Thalassium , LXIII, PG 90, 672
C). Ciò si ritrova in san Giovanni Damasceno:”(o Pathr) aeì hn, eon ex eautou
th autou logon, kaì dià tou logou autou ex eautou tò Pneuma autou
ekporeuomenon”, ciò che si traduce con: “Io dico che Dio è sempre Padre avendo
egli sempre a partire da se stesso il suo Verbo e per mezzo del suo Verbo
avendo egli il suo Spirito proveniente a partire da lui” ( Dialogus contra
Manicheos 5, PG 94, 1512B, ed. B. Kotter, Berlino 1981, 354; cf.
anche PG 94, 848-849°). Tale aspetto del mistero trinitario è stato
confessato anche davanti al VII concilio ecumenico, riunito a Nicea nel 787,
dal patriarca di Costantinopoli san Tarasio, che sviluppa il simbolo come
segue: “tò Pneuma tò agion, tò Kurion kaì zoopoion, tò ek tou Patròs di’ Yiou
ekporeuomenon” (Mansi, XII, 1122D).
Tale insieme dottrinale testimonia
della fede trinitaria fondamentale così come l’Oriente e l’Occidente l’hanno
professata insieme durante l’epoca dei padri. Esso è la base che deve servire
alla continuazione del dialogo teologico in corso tra cattolici e ortodossi.
La dottrina del Filioque deve
essere compresa e presentata dalla chiesa cattolica in un modo che essa non
possa sembrare contraddire la monarchia del Padre né il fatto che egli è la
sola origine (arxh, aitia) dell’ekporeusis dello Spirito. Il Filioque si
situa infatti in un contesto teologico e linguistico diverso da quello
dell’affermazione della sola monarchia del Padre, unica origine del Figlio e
dello Spirito. Contro l’arianismo ancora virulento in Occidente, esso era
destinato a mettere in risalto il fatto che lo Spirito Santo è della stessa
natura divina del Figlio, senza mettere in causa l’unica monarchia del Padre.
Presentiamo qui il senso dottrinale
autentico del Filioque sulla base della fede trinitaria del simbolo
professato dal secondo concilio ecumenico a Costantinopoli. Diamo tale
interpretazione autorizzata nella consapevolezza che il linguaggio umano è
inadeguato a esprimere il mistero ineffabile della santa Trinità, Dio unico,
che va al di là delle nostre parole e dei nostri pensieri. La chiesa cattolica
interpreta il Filioque in riferimento al valore conciliare ed ecumenico,
normativo e irrevocabile della confessione di fede sull’origine eterna dello
Spirito Santo così come l’ha definita nel 381 il concilio ecumenico di
Costantinopoli nel suo simbolo. Tale simbolo è stato conosciuto e accolto da
Roma soltanto in occasione del concilio ecumenico di Calcedonia nel 451. Nel
frattempo, sulla base dell’anteriore tradizione teologica latina, i padri della
chiesa d’occidente quali sant’Ilario, sant’Ambrogio, sant’Agostino e san Leone
Magno, avevano confessato che lo Spirito Santo procede ( procedit )
eternamente dal Padre e dal Figlio.[2]
Così come la Bibbia latina (la Volgata
e le traduzioni latine anteriori) aveva tradotto Gv 15,26 (parà tou Patròs
ekporeuetai) con “ qui a Patre procedit “, i latini hanno tradotto l’ek tou
Patròs ekporeuomenon del simbolo di Nicea-Costantinopoli con “ ex Patre
procedentem “ (Mansi VII, 112B). Si creava così involontariamente, circa
l’origine eterna dello Spirito, una falsa equivalenza tra la teologia orientale
dell’ekporeusis e la teologia latina della processio .
L’ekporeusis greca non
significa altro che la relazione d’origine in rapporto al solo Padre in quanto
principio senza principio della Trinità. Per converso, la processio
latina è un termine più comune che significa la comunicazione della divinità
consustanziale del Padre al Figlio e del Padre per mezzo e con il Figlio allo
Spirito Santo.[3]
Confessando lo Spirito Santo “ ex Patre procedentem “, i latini non
potevano dunque fare altro che supporre un Filioque implicito che
sarebbe stato esplicitato più tardi nella loro versione liturgica del simbolo.
Il Filioque è stato confessato
in occidente dal V secolo con il simbolo Quicumque (o “atanasiano”, H.
Denzinger, Enchiridion Symbolorum , edizione bilingue a cura di Peter
Hünermann, EDB, Bologna 1995, n. 75), poi dai concili di Toledo nella Spagna
visigota tra il 589 e il 693 (Denz 470, 485, 490, 527, 568), per affermare la
consustanzialità trinitaria. Anche se tali concili non l’hanno forse inserito
nel simbolo di Nicea-Costantinopoli, il Filioque vi si trova certamente
sin dalla fine dell’VIII secolo, come ne danno testimonianza gli atti del
concilio d’Aquileia-Friuli nel 796 (Mansi XIII, 836Dss) e del concilio di Aquisgrana
dell’809 (Mansi XIV, 17). Nel IX secolo tuttavia, in opposizione a Carlomagno,
papa Leone III, preoccupato di custodire l’unità con l’Oriente nella
confessione di fede, ha resistito a questo sviluppo del simbolo, che si era
spontaneamente diffuso in Occidente, salvaguardando nel contempo la verità che
il Filioque comporta. Roma lo ha ammesso nella versione liturgica latina
del Credo soltanto nel 1014.
Un’analoga teologia si era sviluppata
ad Alessandria all’epoca patristica, e a partire da sant’Atanasio. Come nella
tradizione latina, essa si esprimeva con il termine più comune di processione
(proiénai) designante la comunicazione della divinità allo Spirito Santo a
partire dal Padre e dal Figlio nella loro comunione consustanziale: “Lo Spirito
procede (proeisi) dal Padre e dal Figlio; è evidente che esso è di sostanza
divina, procedendo (proion) sostanzialmente (ousiodos) in essa e da essa (san
Cirillo d’Alessandria, Thesaurus , PG 75, 585°).[4]
Nel VII secolo i Bizantini si
scandalizzarono per una confessione di fede del papa che comportava il Filioque
a proposito della processione dello Spirito Santo, processione che essi
traducevano in modo inesatto con ekporeusis. San Massimo il confessore scrisse
allora da Roma una lettera che articola insieme i due modi di intendere -
cappadoce e latino-alessandrino - l’origine eterna dello Spirito: il Padre è il
solo principio senza principio (in greco aitia) del Figlio e dello Spirito; il
Padre e il Figlio sono fonte consustanziale della processione (tò proiénai) di
quello stesso Spirito. “Sulla processione essi [i romani] si sono appellati
alle testimonianze dei padri latini, oltre naturalmente a quella di san Cirillo
di Alessandria nel sacro studio che egli fece sul vangelo di san Giovanni.
Partendo da tali testimonianze, hanno mostrato che essi stessi non fanno del
Figlio la causa (Aitia dello Spirito _ sanno infatti che il Padre è la causa
unica del Figlio e dello Spirito, dell’uno per generazione e dell’altro per
ekporeusis -, ma essi hanno spiegato che quest’ultimo proviene (proiénai)
attraverso il Figlio e hanno così mostrato l’unità e immutabilità dell’essenza”
( Lettera a Marino di Cipro , PG 91, 136AB). Secondo san Massimo,
che a questo proposito rispecchia il pensiero di Roma, il Filioque non
riguarda l’ekporeusis dello Spirito proveniente dal Padre in quanto sorgente
della Trinità, ma manifesta il suo proiénai ( processio ) nella
comunione consustanziale del Padre e del Figlio, escludendo un’eventuale
interpretazione subordinazionista della monarchia del Padre.
Il fatto che nella teologia latina e
alessandrina lo Spirito Santo proceda (proeisi dal Padre e dal Figlio nella loro
comunione consustanziale non significa che sia l’essenza o la sostanza divina a
procedere nello Spirito Santo, ma piuttosto che essa gli è comunicata a partire
dal Padre e dal Figlio che l’hanno in comune. Questo punto è stato confessato
dogmaticamente nel 1215 dal IV concilio del Laterano: “(La sostanza) non
genera, non è generata, non procede, ma è il Padre che genera, il Figlio che è
generato, lo Spirito che procede; in tale modo le distinzioni sono nelle
persone e l’unità nella natura. Benché dunque “altro ( alius ) sia il
Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo, essi non sono tuttavia realtà
diverse ( aliud )”: ma ciò che è il Padre lo è il Figlio e in modo del
tutto uguale lo è lo Spirito Santo; così secondo la vera fede cattolica, noi
crediamo che essi sono consostanziali. Il Padre, infatti, generando il Figlio
eternamente, gli ha dato la sua sostanza (...). È chiaro, quindi, che il
figlio, nascendo, ha ricevuto senza alcuna diminuzione la sostanza del Padre, e
quindi il Padre e il Figlio hanno la medesima sostanza. Così il Padre e il
Figlio sono la stessa cosa e ugualmente lo Spirito Santo che procede dall’uno e
dall’altro” (Denz 804-805).
Nel 1274 il concilio di Lione ha
confessato che “lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figlio non
come da due principi, ma come da uno solo ( tamquam ex uno principio )”
(Denz 850). È chiaro, alla luce del concilio del Laterano, il quale ha
preceduto il II concilio di Lione, che l’essenza divina non può essere “l’unico
principio” della processione dello Spirito Santo. Il Catechismo della chiesa
cattolica , nel n. 248, interpreta come segue tale formula: “L’ordine
eterno delle persone divine nella loro comunione consustanziale implica che il
Padre sia l’origine prima dello Spirito in quanto “principio senza principio”
(Denz 1331), ma pure che, in quanto Padre del Figlio unigenito egli con lui sia
“l’unico principio dal quale procede lo Spirito Santo” (cf. II concilio di
Lione, Denz 850)”.
Per la chiesa cattolica “la tradizione
orientale mette soprattutto in rilievo che il Padre, in rapporto allo Spirito,
è l’origine prima. Confessando che “lo Spirito procede dal Padre (ek tou Patròs
ekporeuomenon cfr. Gv 15,26)”, afferma che lo Spirito procede dal Padre
attraverso il Filgio. La tradizione occidentale dà maggiore risalto alla
comunione consustanziale tra il Padre e il Figlio affermando che lo Spirito
procede dal Padre e dal Figlio ( Filioque ) (...). Questa legittima
complementarità, se non viene inasprita, non scalfisce l’identità della fede nella
realtà del medesimo mistero confessato” ( CCC 248). Consapevole di ciò,
la chiesa cattolica ha rifiutato che sia aggiunto un kaì tou Yiou alla formula
ek tou Patròs ekporeuomenon del simbolo di Nicea-Costantinopoli nelle chiese,
anche di rito latino, che l’utilizzano in greco; l’uso liturgico di questo
testo originale è in effetti rimasto sempre legittimo nella chiesa cattolica.
Il Filioque della tradizione
latina, se situato in un corretto contesto, non deve condurre a una
subordinazione dello Spirito Santo nella Trinità. Anche se la dottrina
cattolica afferma che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio nella
comunicazione della loro divinità consustanziale, essa riconosce tuttavia la
realtà della relazione originale che lo Spirito Santo intrattiene con il Padre
in quanto persona, relazione che i Padri greci esprimono con il termine
ekporeusis.[5]
Allo stesso modo, anche se nell’ordine trinitario
lo Spirito Santo è consecutivo alla relazione tra il Padre e il Figlio poiché
esso trae la sua origine dal Padre in quanto quest’ultimo è Padre del Figlio
unigenito,[6]
tale relazione tra il Padre e il Figlio raggiunge essa stessa la sua perfezione
trinitaria nello Spirito. Allo stesso modo che il Padre è caratterizzato come
Padre dal Figlio che egli genera, lo Spirito, traendo la sua origine dal Padre,
lo caratterizza in modo trinitario nella sua relazione al Figlio e caratterizza
in modo trinitario il Figlio nella sua relazione al Padre: nella pienezza del
mistero trinitario essi sono Padre e Figlio nello Spirito Santo.[7]
Il Padre genera il Figlio soltanto
spirando (in greco proballein) per mezzo di lui lo Spirito Santo, e il Figlio è
generato dal Padre soltanto nella misura in cui la spirazione (in greco
probolh) passa attraverso di lui. Il Padre è Padre del Figlio unigenito
soltanto essendo per lui e per mezzo di lui l’origine dello Spirito Santo.[8]
Lo Spirito non precede il Figlio,
poiché il Figlio caratterizza come Padre il Padre dal quale lo Spirito trae la
sua origine, ciò che costituisce l’ordine trinitario.[9] Ma la
spirazione dello Spirito a partire dal Padre si fa per mezzo e attraverso (sono
i due sensi di dia’ in greco) la generazione del Figlio che essa caratterizza
in modo trinitario. In questo senso san Giovanni Damasceno dice: “Lo Spirito
Santo è una potenza sostanziale, contemplata nella sua propria ipostasi
distinta, la quale procede dal Padre e riposa nel Verbo” ( Fede ortodossa
I, 7, PG 94, 805B, ed. B. Kotter, Berlino 1973, 16; Dialogus contra
Manicheos 5, PG 94, 1512B, ed. B. Kotter, Berlino 1981, 354).[10]
Qual è questo carattere trinitario che
la persona dello Spirito Santo apporta alla stessa relazione tra il Padre e il
Figlio? Si tratta della funzione originale dello Spirito nell’economia in
rapporto alla missione e all’opera del Figlio. Il Padre è l’amore nella sua
sorgente (cfr. 2Cor 13,13; 1Gv 4,8.16), il Figlio è “il Figlio del suo amore”
(Col 1,14). Cosicché una tradizione risalente a sant’Agostino ha visto nello
“Spirito Santo l’amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori” (Rm 5,5),
l’amore come dono eterno del Padre al suo “Figlio diletto” (Mc 1,9; 9,7; Lc
20,13; Ef 1,6).[11]
L’amore divino che ha
la sua origine nel Padre riposa nel “Figlio del suo amore” per esistere
consustanzialmente per mezzo di questi nella persona dello Spirito, il dono
d’amore. Ciò rende conto del fatto che lo Spirito Santo orienta attraverso
l’amore tutta la vita di Gesù verso il Padre nel compimento della sua volontà.
Il Padre invia il Figlio (Gal 4,4) quando Maria lo concepisce per opera dello
Spirito Santo (cfr. Lc 1,35). Quest’ultimo manifesta Gesù come Figlio del Padre
al battesimo, riposando su di lui (cfr. Lc 3,21-22; Gv 1,33). Sospinge Gesù al
deserto (cfr. Mc 1,12). Gesù ne ritorna “ricolmo di Spirito Santo” (Lc 4,1),
poi inizia il suo ministero “con la potenza dello Spirito” (Lc 4,14). Esulta di
gioia nello Spirito benedicendo il Padre per il suo benevolo disegno (cf. Lc
10,21). Sceglie i suoi apostoli “sotto l’azione dello Spirito Santo” (At 1,2).
Scaccia i demoni per mezzo dello Spirito di Dio (Mt 12,28). Offre se stesso al
Padre “con uno Spirito eterno” (Eb 9,14). Sulla croce egli “rimette il suo
Spirito” nelle mani del Padre (Lc 23,46). “In esso” egli discende agli inferi
(1Pt 3,19) ed è per mezzo suo che è risuscitato (cfr. Rm 8,11) e “costituito
Figlio di Dio con la sua potenza” (Rm 1,4).[12]
Tale funzione dello Spirito, nel più intimo dell’esistenza umana del Figlio di
Dio fatto uomo, deriva da un rapporto trinitario eterno con il quale lo Spirito
caratterizza, nel suo mistero di dono d’amore, la relazione tra il Padre, come
sorgente d’amore, e il Figlio suo diletto.
Il carattere originale della persona
dello Spirito come dono eterno dell’amore del Padre per il Figlio suo diletto
manifesta che lo Spirito, pur derivando dal Figlio nella sua missione, è quello
che introduce gli uomini nella relazione filiale di Cristo a suo Padre, poiché
tale relazione trova soltanto in lui il suo carattere trinitario: “Dio ha inviato
nei nostri cuori lo Spirito di suo Figlio che grida: Abbà, Padre!” (Gal 4,6).
Nel mistero di salvezza e nella vita della chiesa, lo Spirito fa molto di più
che prolungare l’opera del Figlio. Infatti, tutto ciò che Cristo ha istituito -
la rivelazione, la chiesa, i sacramenti, il ministero apostolico e il suo
magistero - richiede la costante invocazione (epiklhsis) dello Spirito Santo e
la sua azione (enérgeia) affinché si manifesti “l’amore che non avrà mai fine”
(1Cor 13,8) nella comunione dei santi alla vita trinitaria.
Note
[1] Si tratta dei termini adoperati da san
Tommaso d’Aquino nella Summa theologica , Ia q. 36 a.3, 1o e
2o
[2] È stato Tertulliano a porre le fondamenta
della teologia trinitaria nella tradizione latina, sulla base della comunicazione
sostanziale del Padre al Figlio e per mezzo del Figlio allo Spirito Santo:
“Cristo dice dello Spirito: “Esso prenderà del mio” (Gv 16,14), come lui dal
Padre. Così la connessione del Padre nel Figlio e del Figlio nel Paraclito
rende i tre coerenti l’uno a partire dall’altro. Essi sono una realtà sola ( unum
) non uno solo ( unus ) a causa dell’unità della sostanza e non della
singolarità numerica” ( Adv. Praxean XXV, 1-2). Tale comunicazione della
consustanzialità divina secondo l’ordine trinitario è espressa da Tertulliano
con il verbo “ procedere “ ( ivi VII, 6). Si ritrova la stessa
teologia in sant’Ilario di Poitiers che dice al Padre: “Che io ottenga il tuo
Spirito che è a partire da te per mezzo del Figlio tuo unigenito” ( De
Trinitate XII, PL 10, 471). Egli fa rilevare: “Se si crede che vi
sia una differenza tra ricevere dal Figlio (Gv 16,15) e procedere ( procedere
) dal Padre (Gv 15,26), è certo che è una sola e stessa cosa ricevere dal
Figlio e ricevere dal Padre” ( ivi , VIII, 20, PL 10, 251°). In
questo senso della comunicazione della divinità per mezzo della processione,
sant’Ambrogio da Milano formula per primo il Filioque : “Lo Spirito
Santo, quando procede ( procedit ) dal Padre e dal Figlio non si separa
dal Padre, non si separa dal Figlio” ( De Spiritu Sancto , I, 11, 120, PL
16, 733° = 762D). Sviluppando la teologia del Filioque , sant’Agostino
prenderà tuttavia la precauzione di salvaguardare la monarchia del Padre in
seno alla comunione consustanziale della Trinità: “Lo Spirito Santo procede dal
Padre a titolo di principio ( principaliter ) e, per mezzo del dono
intemporale di questi al Figlio, dal Padre e dal Figlio in comunione ( communiter
)” ( De Trinitate , XV, 25, 47, PL 42, 1095; san Leone, Sermone
LXXV, 3, PL 54, 402; Sermone LXXVI, 2, ivi , 404).
[3] Tertulliano adopera per primo il verbo procedere
in un senso che è comune al Verbo e allo Spirito in quanto essi ricevono la
divinità dal Padre: “Il Verbo non è stato proferito a partire da qualcosa di
vuoto e di vano e non manca di sostanza, lui che è proceduto ( processit
) da una tale sostanza [divina] e ha fatto tante sostanze [create]” ( Adv.
Praxean , VII, 6). Sant’Agostino, a seguito di sant’Ambrogio, riprende tale
concezione più comune della processione: “Tutto ciò che procede non nasce
affatto, anche se tutto ciò che nasce procede” ( Contra Maximinum , II,
14, 1, PL 42, 770). Molto più tardi, san Tommaso d’Aquino farà notare
che: “la natura divina è comunicata in ogni processione che non è ad extra
( Summa theologica Ia, q. 27, a. 3, 2o ). Per lui, come per
tutta questa teologia latina che adopera il termine processione sia per il
Figlio che per lo Spirito “la generazione è una processione che fa accedere la
persona divina al possesso della natura divina” ( ivi Ia, q. 43, a. 2,
c) poiché “il Figlio procede da tutta l’eternità per essere Dio” ( ivi
). In modo analogo, egli afferma che “con la sua processione, lo Spirito Santo
riceve la natura dal Padre, allo stesso modo del Figlio” ( ivi Ia, q.
35, a. 2, c). “Tra le parole che si riferiscono a una qualsivoglia origine, la
parola processione è la più generale. Noi ne facciamo uso per designare una
qualunque origine; si dice ad esempio che la retta procede dal punto, che il
raggio procede dal sole, il fiume dalla sua sorgente, come in ogni specie di
altri casi. Così, dal fatto che si ammette l’una o l’altra di queste parole che
evocano l’origine, si può concludere che lo Spirito Santo procede dal Figlio” (
ivi , Ia, q. 32, a. 2, c).
[4] San Cirillo testimonia con ciò di una
dottrina trinitaria comune a tutta la scuola d’Alessandria da sant’Atanasio, il
quale scriveva: “Come il Figlio dice “tutto quello che il Padre possiede è mio”
(Gv 16,15), così troveremo che, per mezzo del Figlio, tutto ciò è anche nello
Spirito” ( Lettere a Serapione , III, 1, 33, PG 26, 625B).
Sant’Epifanio di Salamina ( Ancoratus , VIII, PG 43, 29C) e
Didimo il Cieco ( Trattato dello Spirito Santo , CLIII, PG 34,
1064°) coordinano il Padre e il Figlio con la stessa proposizione ek nella
comunicazione allo Spirito Santo della divinità consustanziale.
[5] “Le due relazioni del Figlio al Padre e dello
Spirito Santo al Padre ci obbligano a porre nel Padre due relazioni, riferendo l’una
al Figlio e l’altra allo Spirito Santo” (san Tommaso d’Aquino, Summa
theologica Ia, q. 32, a. 2, c).
[6] Cfr. Catechismo della chiesa cattolica
, n. 248.
[7] San Gregorio Nazianzeno afferma che “lo Spirito
Santo è un termine medio (méson) tra il non generato e il generato” ( Discorso
31, 8, SC 250, 290). Cfr. anche, in una prospettiva tomista, G. Leblond,
“Point de vue sur la procession du Saint-Esprit”, Revue Thomiste
86(1978)78, 293-302).
[8] San Cirillo d’Alessandria dice che “lo
Spirito Santo discende dal Padre nel Figlio (en toi Yioi)” ( Thesaurus ,
XXXIV, PG 75, 577°).
[9] San Gregorio di Nissa scrive: “Lo Spirito
Santo è detto del Padre ed è attestato che esso è del Figlio: “Se qualcuno non
ha lo Spirito di Cristo, dice san Paolo, non gli appartiene” (Rm 8,9). Dunque
lo Spirito che è di Dio [il Padre] è anche lo Spirito di Cristo. Tuttavia il
Figlio che è di Dio [il Padre] non si dice che è dello Spirito: la consecuzione
della relazione non può essere capovolta” (Frammento In orationem dominicam
, citato da san Giovanni Damasceno, PG 46, 1109BC). E san Massimo
afferma nello stesso modo l’ordine trinitario quando scrive: “Come il Pensiero
[il Padre] è principio del Verbo, così esso lo è anche dello Spirito per mezzo
del Verbo. E, come non si può dire che il Verbo [la Parola] è della voce [il
Soffio], così non si può dire che il Verbo è dello Spirito” ( Quaestiones et
dubia , PG 90, 813B).
[10] San Tommaso d’Aquino, che conosceva la Fede
ortodossa , non vede opposizione tra il Filioque e la seguente
espressione di san Giovanni Damasceno: “Dire che lo Spirito Santo riposa o
dimora nel Figlio non esclude che esso proceda da lui; poiché si dice anche che
il Figlio dimora nel Padre, sebbene egli proceda dal Padre” ( Summa
theologica Ia, q. 36, a. 2, 4o ).
[11] Sulla scia di sant’Agostino, san Tommaso
d’Aquino scrive: “Se si dice dello Spirito Santo che esso dimora nel Figlio, è
nel modo in cui l’amore di colui che ama si riposa nell’amato” ( Summa theologica
Ia, q. 36, a. 2, 4o ). Questa dottrina dello Spirito Santo come
amore è stata armoniosamente accolta da san Gregorio Palamas all’interno della
teologia greca dell’ekporeusis a partire dal solo Padre: “Lo Spirito del Verbo
altissimo è come un indicibile amore del Padre per questo Verbo generato
indicibilmente. Amore che questo stesso Verbo e Figlio amato dal Padre usa
(xrhtai) nei confronti del Padre: ma in quanto egli possiede lo Spirito
proveniente con lui (sunproelthonta) dal Padre e che riposa connaturalmente in
lui” ( Capita physica XXXVI, PG 150, 1144B-1145°).
[12] Cf. Giovanni Paolo II, lett. enc. Dominum et vivificantem , nn. 18-24, AAS
78(1986), 826-831; EV 10/487-503. Cf. anche CCC 438, 689, 690, 695, 727.
[13] Il documento, nella versione pubblicata su L’Osservatore
romano , reca questa sigla. La nota che precisa che “ la
chiarificazione... è pubblicata a cura del Pontificio consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani “ compare in un riquadro (ndr).
(DA L'OSSERVATORE
ROMANO 13.9.1995).
Per una critica ortodossa vedansi:
http://digilander.libero.it/ortodossia/FilioqueLarchet1.PDF
http://digilander.libero.it/ortodossia/FilioqueLarchet2.PDF
Per un approfondimento cattolico vedansi:
http://digilander.libero.it/domingo7/Peri.pdf
http://digilander.libero.it/domingo7/GPII.pdf