LA FUNZIONE DI "COORDINAMENTO INFERMIERISTICO" TRA CORSI E RICORSI STORICI.

 

 

Il coordinamento del personale infermieristico nelle aziende pubbliche era in passato regolato dal D.M. 30/1/1982, subordinato ad una specifica esperienza professionale a partire già dai requisiti di accesso ai corsi (almeno due anni di anzianità di servizio), ed al possesso imprescindibile del certificato di abilitazione alle funzioni direttive dell'assistenza infermieristica, di durata annuale, per l'accesso del personale alle aziende del S.S.N..

Precedentemente, risalendo alle origini storiche delle funzioni di coordinamento infermieristico, si rileva un'alternanza di brevi e ripetuti periodi di quasi "sanatoria" in cui si poteva anche prescindere dal titolo di studio di abilitazione alle funzioni direttive qualora il personale possedesse una certa anzianità di servizio; si ritornava poi però, subito dopo, quasi per "furore di popolo", alla re-introduzione del requisito del titolo di abilitazione alle funzioni direttive.

Oggi giorno, con il D.P.R. n°220/01 si è assistito all'abrogazione del D.M. 30/1/1982: niente più certificato di abilitazione per accedere alle funzioni di coordinamento di tale area.

Le ripercussioni conseguenti a questa scelta hanno sicuramente avuto un forte impatto sull'organizzazione dell'assistenza infermieristica nelle aziende sanitarie.

La funzione di coordinamento infermieristico è oggi considerata quasi un fattore opzionale nell'ambito della gestione ed organizzazione dei servizi, la cui sopravvivenza è rimessa al totale potere discrezionale degli enti, ed è assoggettata all'istituto contrattuale dell'incarico a tempo determinato;  la letteratura scientifica, invece, ne avvalora sempre più l'importanza strategica all'interno dei meccanismi operativi aziendali.

Le aziende sanitarie, non potendo più acquisire dal mercato infermieri in possesso del certificato di abilitazione alle funzioni direttive, in assenza di nuove disposizioni, stante in ogni caso l'esigenza palese di dotare le proprie unità operative e i dipartimenti di questa indispensabile funzione, affidano il coordinamento a infermieri totalmente digiuni di qualsiasi necessaria e specifica formazione.

Il D.P.R. n°220/01, creando, di fatto, le premesse per i successivi risvolti contrattuali, ha modificato la normativa precedente a tal punto che, in molte aziende, i caposala precedentemente inquadrati in una categoria superiore rispetto agli infermieri, sono venuti a ritrovarsi in situazioni di reale scavalco da parte di questi ultimi.

La presenza di norme di garanzia ha permesso in molti casi di risanare, con perequazioni economiche, oppure con spostamento di profilo (passaggi interni dei coordinatori al DS; attribuzione di incarichi di posizione organizzativa), quanto avvenuto in seguito al cambiamento legislativo; si ha invece l'impressione che permanga, in alcune realtà, la sensazione di precarietà e di confusione di competenze e ruoli che non permette un vero management coerente e produttivo per chi è deputato al coordinamento e alla direzione infermieristica.

Da un punto di vista di un reale sviluppo professionale della figura infermieristica, il mancato riconoscimento in "forma definitiva" dell'affidamento delle funzioni di coordinamento infermieristico, così come l'introduzione della valutazione periodica, possono essere lette in una chiave di lettura di sprone e incentivo a "fare bene"; parimenti, altri infermieri, sostengono che ci troviamo di fronte ad un ruolo molto critico, e che l'introduzione di una intrinseca instabilità strutturale, la stessa "forma provvisoria" dell'incarico di coordinamento, indeboliscono l'autonomia professionale del coordinatore.

Il recente disegno di legge, in discussione presso la Camera dei Deputati, recepisce alcuni dei suddetti rilievi sostanziali (che sono poi quelli indicati dall'O.M.S.) in merito alla funzione di coordinamento del personale infermieristico, prevedendo come requisito di accesso alla funzione il possesso del titolo di "management per le funzioni di coordinamento", conseguito in ambito universitario, oppure il certificato di abilitazione alle funzioni direttive dell'assistenza infermieristica, cui si aggiunge un'esperienza almeno triennale maturata nel medesimo profilo di base. Il provvedimento prevede anche l'iscrizione dei soggetti in possesso dei requisiti di coordinatore infermieristico presso il Collegio IPASVI.

Dunque, diventa fondamentale, alla luce delle attuali logiche organizzative presenti nella Sanità e che riguardano anche la creazione dei dipartimenti, il possesso di competenze gestionali da parte di un infermiere specificatamente formato, con una più chiara e piena titolarità delle funzioni di coordinamento infermieristico.

In un prossimo futuro, quanto sopra espresso si dovrebbe rendere concreto con la creazione di una vera dirigenza intermedia, anello di congiunzione tra gli obiettivi aziendali e la prassi infermieristica; ci auspichiamo anche punto di arrivo dei tanti, forse troppi, corsi e ricorsi storici, che hanno caratterizzato l'assegnamento della funzione di coordinamento del personale infermieristico.

 

L'ISTITUZIONE DEL PROFILO PROFESSIONALE DI COORDINATORE INFERMIERISTICO: NORMATIVA IN ATTO E IPOTESI LEGISLATIVE.

 

Premessa.

L'attuale figura del coordinatore infermieristico risulta priva di una formazione "ad hoc" essendo terminati i corsi regionali di abilitazione alle funzioni direttive da circa un decennio.

Il D. Lgs. n° 502/92 di abrogazione, in realtà, prevedeva un ripristino dei corsi di coordinamento a livello Universitario.

Con la normativa successiva, C.C.N.L. 2000-01 e D.P.R. n° 220/01, viene, di fatto, abrogato l'antecedente stato giuridico, il profilo del coordinatore e la normativa concorsuale.

La funzione manageriale di coordinamento, descritta nella legge n°229/99, con l'ampliamento del grado di autonomia dei "ruoli intermedi", non trova concreto riscontro nelle funzioni svolte dalle attuali figure di coordinamento soprattutto qualora siano inserite nella categoria "D", corrispondente ad una declaratoria non adeguata al ruolo svolto e sovente declinato all'interno di unità operative complesse. In merito a quanto sopra enunciato, l'O.d.G. della Commissione Sanità del Senato, nell'ambito della legge n° 251/2000, prevedeva che il coordinatore infermieristico fosse considerato dirigente infermieristico nelle U.O.C.: tale O.d.G. e stato disatteso.

 

Ipotesi e prospettive di evoluzione legislativa.

 

La questione inerente alla futura istituzione di un distinto profilo professionale di coordinatore infermieristico si presenta oggi in termini giuridici nuovi dopo la riforma dell'art.117 della Costituzione, approvata con la legge n°3/2001.

Nelle materie di legislazione concorrente - recita il nuovo art. 117 - spetta alle regioni la potestà, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Si aprono dunque diversi scenari in cui è possibile discutere se le Regioni sarebbero - di fatto - autonome nel derivare principi generali dal complesso delle norme statali già vigenti in materia sanitaria, senza dover attendere l'emanazione di specifiche "leggi quadro" di riferimento.

Il primo di due percorsi legislativi evolutivi della disciplina è rappresentato da interventi a livello regionale che s'inseriscono - a prescindere da altri statali - nella scarna cornice legislativa vigente; il secondo, invece, in una nuova disciplina statale "limitata" all'enunciazione di principi di carattere generale. Entrambe le prospettive sono qui di seguito riportate in un quadro sinottico.

 

1.      Il quadro normativo vigente.

 

- l'art. 6 comma 3 del D. Lgs. n° 502/92, in attuazione della delega contenuta nell'art. 1, lett. 0, della Legge n° 421/92, in merito alla formazione del personale sanitario infermieristico, prevede che il Ministro della salute individui tassativamente con proprio decreto le "figure infermieristiche da formare" ed i relativi profili;

- il  D.M. n° 739/94 individua la figura ed il relativo "profilo professionale" dell'infermiere;

- l'art. 6 della legge n° 251/00, recita che il Ministro della salute include le diverse figure professionali esistenti o che "saranno individuate successivamente" in una delle fattispecie di cui agli art. 1, 2, 3 e 4;

- l'art. 1 comma 1 della legge n° 251/00, recita che gli operatori delle "professioni sanitarie infermieristiche" espletano funzioni individuate dalle norme relative ai propri profili;

- il D.M. 29 marzo 2001 include nella fattispecie "professioni sanitarie infermieristiche", di cui all'art.1 della legge n° 251/00, la figura professionale dell'infermiere (e non altre…).

2.  La prospettiva di una nuova disciplina quadro statale.           

 

Lo Stato potrebbe eventualmente ritenere di dover legiferare su alcune (o tutte) le caratteristiche "di principio" nel settore del coordinamento infermieristico:

-          Individuazione, nell'ambito delle professioni sanitarie infermieristiche della figura di "coordinatore", con la posizione di un autonomo profilo che ne individui le "specifiche" funzioni, attualmente non esaustive neppure nella posizione economica DS;

-          Diritto alla denominazione ufficiale di Capo sala invece di "collaboratore" (già  "coordinatore");

-          Obbligo di una formazione manageriale;

-          Garanzia di salvaguardia dei titoli pregressi acquisiti;

-          Apposito elenco nell'albo dei collegi IPASVI

 

COORDINAMENTO INFERMIERISTICO: QUADRO SINOTTICO DI RIFERIMENTO NORMATIVO. 

 

o       R.D.L. 15 agosto 1925, n. 1832

“Istituzione presso le scuole convitto di un  terzo anno di insegnamento per le funzioni direttive”.

 

o       R.D. 21 novembre 1929, n. 2330

“Regolamento per l’esecuzione del R.D.L. n.1832”.

 

o       R.D. (T.U.L.S.) 27 luglio 1934, n. 1265

Art. 134: la direzione delle scuole convitto deve essere affidata ad un’infermiera in possesso del certificato AFD (…).

 

o       Legge 19 Luglio 1940, n. 1098

Si istituiscono le scuole biennali per vigilatrici d’infanzia, con previsione di un terzo anno di corso per AFD.

 

o       D.P.R. 27 marzo 1968, n. 128

“Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”; art. 41: mansionario del capo sala.

 

o       D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130

“Ordinamento del personale degli enti ospedalieri”; art. 120: il caposala può essere un IP che non ha il titolo di AFD ma adeguata anzianità (…); comma 2°: gli IP specializzati dipendono direttamente dai sanitari (…).

 

o       D.M. (Sanità) 8 febbraio 1972

“Modificazioni al programma del Corso AFD” (N.d.A. 920 ore).

 

o       D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225

Il D.P.R. non s’interessa della figura del capo sala non riconoscendolo come a sé stante rispetto all’IP…

 

o       Nelle bozze contrattuali sia del 1974 sia del 1979 la figura del capo sala è prevista ad esaurimento. Nei contratti siglati però viene mantenuta.

o      

         Contratto 1979

Allegato 1: i dipendenti inquadrati al 6° livello (il capo sala era tra questi fino al 1987) hanno “…compiti d’indirizzo, guida, coordinamento e controllo nelle unità operative…”.

 

o       D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761

“Stato giuridico del personale del SSN”; allegato 1: inquadramento del capo sala  nella tabella I – Personale infermieristico come operatore professionale coordinatore – 1^ ctg.

 

o       D.M. 30 gennaio 1982 (modifato il 3 dicembre 1982)

“Regolamento recante  la disciplina concorsuale”. Per la posizione di operatore  professionale coordinatore si richiede il certificato AFD e almeno due anni di anzianità come IP.

 

o       D.P.R. 7 settembre 1984, n. 821

“Attribuzioni del personale sanitario non medico addetto al SSN”; art.20: l’operatore professionale coordinatore svolge le attività di assistenza diretta attinente alla propria competenza professionale. Coordina l’attività del personale nelle posizioni di collaboratore e di operatore professionale di II categoria a livello di unità funzionale ospedaliera e di distretto predisponendone i piani di lavoro (…). Profilo storico del capo sala.

 

o       D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502

“Revisione della disciplina in materia sanitaria a norma dell’art. 1 della Legge         23 ottobre 1992, n. 421”;  art. 6, c. 3: in forza a quest’articolo saranno sospesi dopo un biennio anche i corsi di formazione AFD, includendosi nelle “scuole e corsi disciplinati dal precedente ordinamento”, con previsione del ripristino in ambito universitario…

o       D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626

“Attuazione delle direttive CEE 89/391 (…) riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”. La legge per la sicurezza del lavoro affida un ruolo preminente del preposto – caposala (art. 4).

 

o       D.P.C.M. 19 maggio 1995, G.U. 31 maggio 1995 – Carta dei diritti sanitari

E’ sancito il ruolo fondamentale del capo sala nell’organizzazione della U.O. e nei servizi. Il capo sala deve confrontarsi con la valutazione di qualità fatta dal Cittadino.

 

o       D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220

“Regolamento recante la nuova disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del SSN”; art.56:  (…) è abrogato il  D.M. 30 Gennaio 1982, recante normativa concorsuale del capo sala; art. 39: cancellazione del titolo di AFD per accedere alle funzioni di capo sala e sostituzione con un’anzianità di servizio triennale per l’accesso al ruolo (biennale se in possesso del titolo AFD), ed una formazione “opzionale” aziendale.

 

o       C.C.N.L. S.S.N. 1998-2001 (I biennio economico 1998-1999)

Introduzione della “declaratoria” per individuare la categoria: per quanto riguarda la cat. “D” si rispetta la falsariga  di quanto contenuto nel D.P.R.  n. 821/1984…Si continua a prevedere “ove sia comunque richiesto”, il titolo AFD, abbreviando a due anni, anziché tre, l’esperienza nel profilo cat. C.

Art.19: l’operatore professionale coordinatore già 1^ ctg. dal 7° livello è reinquadrato nella categoria D, come “collaboratore professionale sanitario”. Art. 16:   criteri e procedure per i passaggi tra categorie (…).

Allegato 1: modalità di accesso alla cat. D: dall’esterno, con pubblico concorso; dall’interno, tramite selezione (art. 16). 

 

o       C.C.N.L. S.S.N. 1998-2001 (II biennio economico 2000-2001)

La declaratoria del profilo della cat. D include anche le funzioni della cat. C. E’ istituita, senza un profilo, la “funzione di coordinamento” revocabile e soggetta a valutazione.

Art. 10: solamente per i caposala già in cat. D che esercitano reali funzioni di coordinamento al 31.08.2001, l’indennità di funzione – parte fissa - spetta in prima battuta ed è  permanente.

Art. 5, comma 2: si accede alla funzione di coordinamento con un’anzianità di 5 anni in C e/o D, 4 per chi possiede il titolo AFD, senza formazione, con incarico conferito dall’azienda sulla base di criteri definiti con procedure di concertazione  di cui all’art.6, c. 1 lettera b) C.C.N.L. 7 aprile 1999.

N.d.A.. Coesistenza di una “funzione” di coordinamento per “incarico” (art. 5, comma 2 contratto integrativo) con una già presente nella declaratoria del “profilo”  della cat. D (allegato 1, contratto integrativo).

 

o       D.L. 12 novembre 2001, n. 402

“Disposizioni urgenti in materia di personale sanitario”; O.D.G. G1 e G2 collegati, seduta n. 81 della Camera del 19 dicembre, approvati dal Senato e dalla Camera: “impegnano il governo a riesaminare con atti legislativi i problemi afferenti alle funzioni del capo sala, ad istituirne il profilo, la formazione manageriale obbligatoria e l’equipollenza  del titolo di AFD col nuovo titolo formativo (master in management) organizzato dalle Università ai sensi dell’art. 3, comma 8 del D.M. 3 novembre 1999, n. 509”.

 

 

 

 

L’ISTITUTO DELLE POSIZIONI ORGANIZZATIVE NEL PUBBLICO IMPIEGO

 

 

Tra coordinamento infermieristico e dirigenza il tertium genus della posizione organizzativa nella lettura del C.C.N.L. comparto sanità 1998/2001.

 

 Le posizioni organizzative sono state introdotte come istituto contrattuale nell’ambito della ridefinizione complessiva delle funzioni ex coordinamento ed ex dirigenziali avvenuta con il C.C.N.L. 1999 e in seguito alla privatizzazione del lavoro pubblico. Le parti contraenti non hanno eccelso nella definizione terminologica dell’istituto ed i vari contratti collettivi di comparto hanno dettato delle discipline poco omogenee. Pertanto, per il comparto sanità, si fa riferimento all’art. 20, in cui è specificato che le aziende ed enti, sulla base dei propri ordinamenti e delle leggi regionali di organizzazione ed in relazione alle esigenze di servizio, istituiscono posizioni organizzative che richiedono lo svolgimento di funzioni con assunzione diretta di elevata responsabilità che, a titolo esemplificativo, possono riguardare settori che richiedono lo svolgimento di funzioni di direzione di servizi, dipartimenti, uffici o unità organizzative di particolare complessità, “caratterizzate da un elevato grado di esperienza e autonomia gestionale ed organizzativa o lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione”, quali per esempio i processi assistenziali, oppure lo svolgimento di attività di staff e/o studio, di ricerca e di coordinamento di attività didattica. La graduazione delle funzioni è definita da ciascun’azienda in base a criteri adottati per la valutazione delle posizioni individuate. A titolo esemplificativo, le aziende tengono conto dei seguenti elementi:

1) livello di autonomia e responsabilità della posizione, anche in relazione all’effettiva presenza di posizioni dirigenziali sovraordinate;

2) grado di specializzazione richiesta dai compiti affidati;   

3) valenza strategica della posizione rispetto agli obiettivi aziendali;

4) entità delle risorse direttamente gestite.

Per il conferimento, le aziende tengono conto della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e delle capacità professionali ed esperienza acquisite dal personale, prendendo in considerazione tutti i dipendenti collocati in cat. D e DS (ex coordinatori e dirigenti) nonché, limitatamente al personale del ruolo sanitario e di assistenza sociale – alla cat. C “per tipologie di particolare rilievo professionale coerenti con l’assetto dell’azienda”.

Nella definizione delle invarianti dell’istituto, cioè le disposizioni comuni a tutti i comparti, emerge che l’incarico che forma oggetto di posizione organizzativa è possibile:

a) esclusivamente per situazioni tipizzate, descritte direttamente dal contratto;

b) con incarichi a termine;

c) caratterizzate da specifica retribuzione variabile;

d) sottoposte alla logica del risultato;

e) soggette a valutazione;

f) revocabili.

L’incarico è conferito con provvedimento scritto e motivato e con valutazione almeno annuale (art. 21, comma 4). Al dipendente cui è stato conferito l’incarico di posizione è corrisposta un’indennità annuale di funzione prevista per tutta la durata dell’incarico; per il comparto sanità è prevista dall’art. 36 e finanziata con il fondo art. 39 ed è compresa nel range tra i 6 e i 18 milioni di lire. Tale indennità assorbe i compensi per lavoro straordinario.

In caso di valutazione negativa l’incarico è revocato con corrispondente perdita dell’indennità di funzione da parte del titolare che resta inquadrato nella categoria di appartenenza è restituito alle funzioni del proprio profilo. A tal fine le aziende e gli enti determinano in via preventiva i criteri che informano i predetti sistemi di valutazione da gestire attraverso i servizi CO. IN. o nuclei di valutazione. In caso di valutazione negativa, gli organismi suddetti, acquisiscono in contraddittorio le considerazioni del dipendente anche assistito da un dirigente sindacale di sua fiducia.

L’esito della valutazione periodica è riportato nel fascicolo personale dei dipendenti interessati. Di esso si tiene conto per l’affidamento di altri incarichi (art. 21, comma 7).

Nei casi in cui, invece, per effetto di una diversa organizzazione aziendale, la posizione sia soppressa ed il dipendente ad essa preposto da almeno tre anni abbia sempre ottenuto valutazioni positive con riferimento ai risultati raggiunti, allo stesso è attribuita la fascia economica successiva a quella di inquadramento.

 

Area quadri e middle management: presupposti giuridici e possibili sviluppi contrattuali per l’istituto delle posizioni organizzative.

 

L’istituto della posizione organizzativa s’inserisce nel processo di graduale e tendenziale superamento del modello classico del pubblico impiego e di trasformazione del modello organizzativo della pubblica amministrazione.

Attuato dopo anni di stretto mansionismo, di blocco dei percorsi di carriera, di mortificazione economica delle professionalità necessarie ai processi di innovazione, questo nuovo modello è caratterizzato dall’abbandono della classificazione del personale per livelli e dal reinquadramento dello stesso in categorie e fasce su più livelli economici all’interno delle quali è possibile rispondere alla ratio della flessibilità d’impiego che sottende all’istituzione delle posizioni organizzative. L’istituto nasce perciò dalla consapevolezza che per alcune funzioni più innovative, pur non rientranti tra quelle dirigenziali, ai fini del processo di trasformazione delle pubbliche amministrazioni, sempre maggiormente knowledge based, in cui il requisito della conoscenza ha un ruolo strategico, fosse necessario introdurre elementi di maggiore flessibilità nello svolgimento delle attività e di predominante orientamento al risultato.

L’istituzione delle posizioni deriva dall’art. 45 del D.lgs. n. 29/93 modificato dai D.lgs. n. 396/97, n. 80/98, n. 387/98, il quale recitava testualmente “per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure tecnico scientifici, sono stabilite discipline separate nell’ambito dei contratti collettivi di comparto”. Tale norma, oltre a riconoscere la necessità di disciplinare in modo separato dall’ordinamento del personale delle aree i “professionisti dipendenti”, in altri termini le categorie di dipendenti pubblici che svolgono le funzioni che richiedono iscrizione ad albi professionali e quelle professionalità, necessarie all’amministrazione, di rilevante contenuto professionale per lo svolgimento di funzioni specifiche, si riferisce anche alla necessità di distinguere dal sistema della classificazione del personale per aree quei funzionari che svolgono attività di rilevante responsabilità ai quali sono imputabili una serie d’attività sia pure non autonome, ma di rilevante contenuto professionale.

Una chiave di lettura in merito alla classificazione delle attività alle quali è imputabile il conferimento dell’incarico oggetto di posizione organizzativa potrebbe rispondere alla ratio di limitare nella prassi operativa un eventuale uso distorto dell’istituto da parte della dirigenza, vale a dire di limitare la possibilità di conferimento di incarichi troppo generici, utilizzando la relativa indennità di posizione per motivi unicamente premiali, gratificanti o propriamente fidelizzanti e non connessi allo svolgimento concreto ed effettivo di funzioni di particolare rilevanza.

I contratti prevedono il conferimento di incarichi per:

a) direzione di unità organizzative, con elevata autonomia organizzativo-funzionale.

b) attività con contenuti di alta professionalità correlate al possesso di titoli di studio universitari (nel comparto Enti locali c’è anche un richiamo alle attività connesse all’iscrizione ad albi professionali).

c) attività di studio, ricerca, staff, di vigilanza, di controllo.

Il conferimento di incarico di posizione organizzativa presuppone inoltre – conditio sine qua non -, così dispongono i contratti dei singoli comparti, che le amministrazioni abbiano realizzato effettive innovazioni organizzative strutturali, cioè che abbiano: 1) istituito e attivato dei servizi di controllo interno 2) ridefinito le strutture organizzative e le dotazioni organiche (ad esempio, istituzione del Servizio infermieristico all’interno di un’azienda sanitaria) 3) attuato i principi di razionalizzazione previsti dal D.lgs. n.29/93, le determinazioni organizzative aventi obiettivo di assicurare l’attuazione dei principi di funzionalità, efficienza, efficacia, economicità, flessibilità, imparzialità, trasparenza (artt. 4, 2), la parità di trattamento nella gestione delle risorse umane (art. 7), il controllo della spesa economica (art. 9).

Il dovere da parte delle amministrazioni di prevedere tali condizioni di attribuzione risponde all’esigenza fondamentale di favorire la funzionalità effettiva dell’istituto e l’operabilità pratica del medesimo, all’interno di un sistema organizzativo che deve presentarsi radicalmente innovato e posto in conformità con i principi generali di razionalizzazione delle attività e delle strutture delle pubbliche amministrazioni.

L’incarico oggetto di posizione organizzativa, non pare esserci dubbi, è funzionale alle strategie gestionali del management e, dunque, sottratto a qualsiasi forma di contrattazione: la definizione dei criteri di conferimento e sistemi di valutazione sono solamente oggetto di consultazione sindacale, anche se si registra in sede di contrattazione integrativa la tendenza dominante a rinegoziare tali aspetti a causa delle spinte pancontrattualistiche, con l’effetto pari passo di una riduzione dell’area del potere manageriale-gestionale della dirigenza.

L’atto di conferimento, infatti, può essere classificato come una delle determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione del personale assunte dal dirigente “con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (art, 4, comma 2, del D.lgs. 29/93) ed è riferita alla capacità organizzativa conferita ai dirigenti nell’allocazione delle risorse e nella gestione dei rapporti di lavoro  e al potere di scelta della strategia imprenditoriale più idonea. Di tale scelta, pertanto, il dirigente assume in pieno la responsabilità  e ne risponde in sede di valutazione  dei risultati. All’interno dei criteri e delle procedure per il conferimento degli incarichi, preventivamente determinati, la norma prevede implicitamente una sorta di valutazione di idoneità preventiva, rimessa all’esclusiva discrezionalità del dirigente, sulle capacità del dipendente da scegliere tra le risorse umane a sua disposizione, per svolgere l’incarico che forma oggetto di posizione organizzativa.

L’atto di conferimento è assunto in forma scritta e motivata e deve sicuramente contenere:

a) l’attribuzione di funzioni;

b) il risultato da realizzare;

c) la retribuzione prevista;

d) i termini di esecuzione.

Tuttavia è auspicabile, in ragione della natura performance oriented dell’incarico, che in esso sia precisato anche:

e) il conferimento delle risorse assegnate;

f) la definizione del programma di massima e le relative modalità di esecuzione al fine di renderne oggettivamente valutabile l’attività in itinere.

E’ da notare che, in maniera forse più conforme agli obiettivi ispiratori dell’istituto, il contratto degli enti locali contempla nello specifico sia la retribuzione di posizione sia quella di risultato, la quale varia da un minimo del 10% ad un massimo del 25% della retribuzione di posizione, a ulteriore conferma della logica e della maggiore compiutezza dell’istituto in tale comparto (art. 10, comma 3, CCNL enti locali). La posizione organizzativa cessa in via ordinaria per la scadenza del termine prefissato nell’atto di conferimento ma può essere rinnovata. I contratti prevedono tuttavia casi di cessazione dell’incarico per eventi intervenuti in corsi di attività. Tali eventi sono:

a) la revoca dell’incarico;

b) intercorsi mutamenti organizzativi.

La revoca dell’incarico di posizione comporta la perdita della retribuzione e la restituzione del dipendente alle funzioni del proprio profilo di appartenenza. I contratti parlano correttamente di restituzione alle funzioni proprio a sottolineare che l’incarico non comporta un cambiamento di profilo che rimane immutato, ma determina soltanto una variazione di funzioni che cessano al cessare dell’incarico. L’atto di revoca, assunto dal dirigente con le stesse modalità dell’atto di conferimento, dunque con atto scritto e motivato, è adottato in caso di grave inadempienza in corso di attività con gli obblighi e le responsabilità derivanti dall’incarico. In tal senso possono comportare la revoca:

a) l’inosservanza delle direttive, intesa come scostamento dalle modalità esecutive dettagliatamente preventivate nell’atto di conferimento oppure in applicazione grave delle modalità previste tale da accertare il palese in adeguamento dell’attività svolta al raggiungimento degli obiettivi;

b) l’accertamento di risultati negativi, avvenuto per mezzo delle valutazioni – di norma annuale (art. 19, comma 5, CCNL, comparto Ministeri, art. 9, comma 4, CCNL comparto regioni-enti locali, art. 21, comma 4, 7 CCNL comparto Sanità) – verificati sulla base dei criteri e procedure in ogni caso predeterminate.

La revoca per intervenuti mutamenti organizzativi si ha invece, quando a seguito di ristrutturazioni della struttura dell’ufficio intervenute in corso di attività emerge un nuovo modello organizzativo con la ricollocazione a funzioni (accorpamenti, spostamenti di competenza, divisione di funzioni) che incide direttamente sull’attività che forma oggetto di posizione organizzativa, questa può essere revocata, ferma restando la possibilità di rinegoziare l’incarico adattandolo, laddove ciò sia possibile, al nuovo contesto lavorativo.

E’ nel sistema di valutazione degli incarichi che emergono le più rilevanti differenze tra i vari comparti. Nel comparto regioni enti locali e sanità è previsto, infatti, un sistema di garanzie del dipendente incaricato di posizioni organizzative che ricorda, con le dovute differenze, quello previsto per la valutazione dei dirigenti (D.lgs n. 29/93, art. 21). Il contratto prevede che le amministrazioni prima di procedere alla formalizzazione di una valutazione non positiva acquisiscano in contradditorio le valutazioni del dipendente, anche assistito dall’organizzazione sindacale o da persona di fiducia (art. 9, comma 4, CCNL del compartenti locali). Si tratta ovviamente di una norma più evoluta rispetto a quella degli altri comparti, sicuramente finalizzata a favorire un maggiore peso dell’istituto nel sistema di classificazione e organizzazione del personale.

Risulta evidente che l’incarico di posizione appare un tentativo di introdurre nel sistema di classificazione del personale pubblico non dirigenziale maggiore flessibilità, un sistema di responsabilizzazione performance oriented. In linea di principio potrebbe anche rappresentare un modo per valorizzare le capacità e il merito, soprattutto di quei dipendenti di elevata capacità professionale, si pensi ai knowledge worker, i quali sembrano i veri destinatari dell’istituto visto che le funzioni per le quali è possibile conferire le posizioni presuppongono sempre un elevato grado di conoscenza.

In tale ottica l’istituto sembra guardare nella giusta direzione in quanto pare in sintonia col processo di progressiva acquisizione della risorsa conoscenza come fattore strategico per l’innovazione e il miglioramento del fattore qualità nelle organizzazioni e le amministrazioni potranno attivare nuove competenze basate sulle attività di studio, di ricerca, di comunicazione. Inoltre esso permette di inserire nel sistema organizzativo e gestionale delle risorse umane, secondo i principi della mission, la cultura del lavoro per progetti e del management per obiettivi.

E’ anche un sistema offerto al dirigente per fidelizzare i suoi collaboratori agli obiettivi da raggiungere. Il nuovo sistema della responsabilità della dirigenza pubblica di tipo accountability, ossia rendere conto, per la quale si risponde dei risultati raggiunti nella gestione delle risorse relative all’incarico, non è stato accompagnato dalla previsione di sistemi d’incentivazione del personale delle aree. Allo stato attuale, infatti, il dirigente deve raggiungere i risultati avvalendosi di collaboratori che non sono stati scelti dal suddetto e che sono il più delle volte indifferenti al management – relativamente alla carriera, allo status, all’aggiornamento professionale – rispetto al raggiungimento degli obiettivi. E’ipotizzabile dunque l’uso delle posizioni organizzative anche come strumento incentivante e fidelizzante rispetto agli obiettivi strategici assegnati alla dirigenza.

Nell’istituto delle posizioni – se le funzioni a cui esse si riferiscono sono interpretate come funzioni di stretto supporto alla dirigenza per attività strategiche rispetto al raggiungimento di obiettivi ad essa assegnati – possono, allora ravvisarsi potenzialità superiori rispetto a quelle troppo astrattamente previste con la loro istituzione, come ad esempio la possibilità di trasformare l’incarico di posizione organizzativa in una sorta di middle manager che nel sistema organizzativo funzionale delle amministrazioni pubbliche potrebbe collocarsi in una posizione intermedia tra sistema delle aree e dirigenza. Una siffatta interpretazione consentirebbe di diminuire l’attrito tra un sistema flessibile e orientato ai risultati previsto per i dirigenti con il sistema rigido e indifferente ai risultati previsto per il personale delle aree. La differente natura dei due sistemi, in mancanza di un’area di compensazione e raccordo intermedio, rischia di mantenere ed aggravare la “divisione in due” dell’amministrazione che deve, invece, operare come un corpo unico al cui interno si articolano e si graduano posizioni e funzioni differenti. Un simulacro di tale area di compensazione per metà rigida (in cui l’unità di misura di tale rigidità può essere identificata con il lavoro per tempo standard) per metà flessibile (in cui invece l’unità di misura di tale flessibilità può essere identificata nel lavoro per obiettivo e risultato) si può riconoscere nell’istituto delle posizioni organizzative, soprattutto nella versione prevista per il comparto enti locali e sanità, dove, ad esempio, l’omnicomprensività della retribuzione impedendo la remunerazione del lavoro straordinario determina in concreto il superamento del lavoro “a tempo” essendo, ogni prestazione di lavoro fuori dell’orario ordinario, assorbita nella retribuzione di posizione.

In realtà la questione se nell’istituto delle posizioni organizzative possa identificarsi un’anomala area quadri intermedi è stata più volte posta. Ha trovato notevole impulso a seguito delle recenti ordinanze dei tribunali di Campobasso e Treviso che, chiamati a pronunciarsi con riferimento alla fattispecie dei contratti collettivi che disciplinano le posizioni organizzative e a decidere se tali norme siano sufficienti a costituire la categoria dei quadri nel lavoro pubblico, hanno rimesso all’ARAN ed alle OO.SS. firmatarie, ai sensi dell’art. 68 bis del D.lgs 29 del 1993 (accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi), la questione relativa alla configurabilità nell’ambito del comparto enti locali e dei ministeri della categoria dei quadri.

L’ordinanza in questione solleva dubbi circa la validità degli articoli 8 e 9 del CCNL del comparto enti locali e dell’articolo 13 del CCNL del comparto ministeri in quanto non ottemperanti alla legge n. 190 del 1985, che istituisce la categoria dei quadri nell’impresa privata, applicabile alle pubbliche amministrazioni in forza della privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione disposta dall’articolo 2, comma 2, del D.lgs 29 del 1993.

Sarà perciò il giudice ordinario a dire se nella pubblica amministrazione dovrà essere riconosciuta l’area dei quadri e a dare impulso alla sua istituzione - che eventualmente dovrà seguire la via maestra dello strumento contrattuale, ferma restando l’impraticabilità della via normativa alla soluzione del problema per contrasto con l’art. 2 del D.lgs. 29/93 e con i principi generali della riforma che hanno imputato la materia all’autonomia negoziale delle parti contrattuali.

In ogni caso è difficile sostenere, dal punto di vista organizzativo-funzionale, che le posizioni organizzative possano rappresentare un modo per rispondere a questa eventuale mancanza. Esse pur avendo alcune caratteristiche imputabili alla vicedirigenza restano dei meri incarichi temporanei e non corrispondono all’assunzione di una posizione consolidata e a tempo indeterminato all’interno del sistema organizzativo dell’amministrazione come si chiede per la categoria di quadro. Il conferimento di posizione organizzativa è transitoria, revocabile e non continuativa; non ha, inoltre, natura generalizzabile o, quanto meno, estensibile ad una buona parte del personale appartenente alla carriera dei quadri direttivi, in quanto connessa a ben specifiche funzioni. L’intrinseca temporaneità e provvisorietà dell’incarico e la non corrispondenza ad una posizione consolidata all’interno del sistema organizzativo-funzionale dell’amministrazione, negano la stabilità dell’inquadramento come middle management che è invece presupposta per la categoria di quadro “la categoria dei quadri è costituita dai prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza (art. 2, comma 1, legge n. 190/1985).

In ogni caso, a prescindere dall’istituzione o meno dell’area dei quadri, l’istituto delle posizioni organizzative merita senz’altro di essere potenziato soprattutto in quei comparti (aziende sanitarie, enti pubblici) in cui non è compiutamente regolamentato e adeguatamente utilizzato. Nella prospettiva di una migliore implementazione è opportuno allora valutare se sia possibile delineare una precisa strategia contrattuale di parte pubblica, volta ad una maggiore valorizzazione, nel prossimo futuro, dei knowledge worker attraverso tale istituto contrattuale da tradurre in specifici atti di indirizzi all’ARAN.

 

ISTITUZIONE DELLE FUNZIONI DI COORDINAMENTO per le professioni infermieristiche

 

Art. 1

(Istituzione della funzione di coordinamento)

1. E’ istituita la funzione di coordinamento per il profilo professionale dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico.

2. Con decreto del Ministro della sanità, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è attivata la funzione di coordinamento e reso operativo il suo esercizio in tutte le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private.

Art. 2

(Definizione)

1. Per funzione di coordinamento di cui all’articolo 1, si intende:

a) l’organizzazione, gestione e valutazione dei professionisti infermieri o infermieri pediatrici e degli operatori che li coadiuvano;

b) la pianificazione, gestione e valutazione dei diversi processi a valenza sanitaria e socio sanitaria afferenti alla funzione infermieristica e alla funzione alberghiera;

c) la gestione delle risorse tecnico-strumentali, dei presidi sanitari e tecnologici.

Art. 3

(Titolare della funzione di coordinamento)

1. L’esercizio della funzione di coordinamento è espletato da coloro che siano in possesso contestuale dei seguenti requisiti:

a) di un master di primo livello in management per le funzioni di coordinamento nell’infermieristica rilasciato dall’università ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509.

b) di esperienza triennale nel profilo di appartenenza.

2. Il certificato di abilitazione alle funzioni direttive nell’assistenza infermieristica e nell’assistenza infermieristica pediatrica è valido per l’esercizio professionale dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico.

3. Gli abilitati alle funzioni direttive nell’assistenza infermieristica in base alla pregressa normativa sono considerati a tutti gli effetti coordinatori infermieristici.

Art. 4

(Registri)

1. Il Collegio infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d’infanzia tiene, in corrispondenza del relativo albo, l’elenco degli infermieri e degli infermieri pediatrici in possesso del master di primo livello in management per le funzioni di coordinamento nell’infermieristica e nell’assistenza infermieristica pediatrica.

… (omissis)

   

 IL COORDINAMENTO INFERMIERISTICO DI DIPARTIMENTO

 

La funzione di coordinamento infermieristico di dipartimento ha una storia recente e strettamente connessa al processo di aziendalizzazione avvenuto nella sanità. Il coordinatore infermieristico di dipartimento è una figura nuova, che si va creando sulla base delle caratteristiche e finalità del management presente nelle singole realtà in cui è nominato, piuttosto che per una reale volontà normativa innovativa del legislatore.

La possibilità di poter disporre di ruoli di coordinamento infermieristico di area omogenea o di unità operativa complessa, dunque non solamente di unità operativa semplice, è ritornata oggi in auge, pur disattesi gli O.d.G. collegati alla legge 251/2001 che prevedevano, espressamente, la dirigenza infermieristica “intermedia” e di dipartimento.

Oggigiorno, grazie all’implementazione dell’organizzazione di tipo dipartimentale, prevista a suo tempo dalla legge 421/92 e dalla legge 549, si richiedono nuovi modelli gestionali rispondenti allo scopo di assicurare il massimo impulso allo sviluppo di una logica organizzativa su base fiduciaria, imperniata sulla funzione di coordinamento di compiti e risorse e sulla valutazione del personale, per il miglioramento dell’efficienza operativa, dell’economia di gestione e del progresso tecnico scientifico.

 

Il coordinatore infermieristico di dipartimento

 

Queste premesse hanno posto le basi per la creazione della figura del coordinatore infermieristico di dipartimento all’interno delle realtà aziendali, professionalità idonea a svolgere una più ampia e autonoma funzione manageriale rispetto al coordinatore di unità operativa semplice; a tal fine si è reso opportuno programmare dei percorsi specifici di selezione e di formazione.

A seguito di quanto previsto dagli artt. 20 e 21 del CCNL 07/04/1999 Comparto Sanità, le aziende possono assegnare l’incarico di posizione a coloro i quali sono nominati per ricoprire il ruolo di coordinatore infermieristico di dipartimento. Tramite l’approccio del marketing interno, come modalità per avere le domande dei candidati alla selezione, si procede all’emissione di un bando, esplicitando il profilo ed i prerequisiti richiesti ai candidati. Il direttore del servizio infermieristico (o il responsabile dell’ufficio) è la figura titolare deputata a fornire tutte le informazioni e i chiarimenti relativi alla descrizione del ruolo che si va ricoprire.

Certamente, l’eventualità di poter ricoprire tale incarico di funzione è interessante, motiva e gratifica i caposala di unità operativa, ma affinché sia poi funzionale al dipartimento stesso è necessario che chi va a ricoprire l’incarico possegga le competenze e le attitudini per svolgerlo.

 

Requisiti richiesti per la scelta dei coordinatori di dipartimento

 

A tal fine, la finora scarsa letteratura, rimanda agli artt. 20 e 21 del CCNL 07/04/1999 Comparto Sanità. Oltre all’assegnazione dell’“incarico di posizione”, successivo – e non preventivo - alla “nomina” vera e propria, al fine di poter ricoprire il ruolo di coordinatore infermieristico di dipartimento è necessaria una specifica graduatoria, formulata a seguito di un procedimento selettivo di valutazione. Quest’ultimo, in teoria, si ritiene che dovrebbe essere almeno pari, se non più articolato e complesso rispetto a quello per l’assegnazione delle funzioni di coordinamento di unità operativa semplice (ufficio o reparto).

Dai dati emersi in un’apposita ricerca, i requisiti emanati sui bandi interni di selezione, ritenuti imprescindibili per la presentazione delle domande, contemplano il possesso dei seguenti titoli: a) esperienza di cinque anni come CPSI in categoria D, di cui almeno due presso il dipartimento interessato b) possesso del certificato AFD o diploma universitario di scuola diretta ai fini speciali o Master in management. I successivi punti che concorrono ad una valutazione complessiva ai fini dell’assegnazione dell’incarico di funzione, prendono poi in considerazione altri items oggettivabili, inerenti all’area delle conoscenze (titoli di studio), dell’insegnamento (docenze/tutorship), della ricerca scientifica (pubblicazioni), dell’esperienze di coordinamento (curriculum vitae) nonché della formazione (partecipazione a corsi attinenti alle funzioni e allo specifico ambito del dipartimento, anche come relatore).

Inoltre il curriculum vitae è uno strumento importante per la selezione in quanto permette di evidenziare competenze relazionali e sulle motivazioni, ma anche sull’impegno individuale del candidato nella vita professionale.

 

Ipotesi di attribuzione di funzioni aggiuntive al coordinatore di dipartimento.

 

L’attribuzione dell’incarico di coordinatore infermieristico di dipartimento può aggiungersi alle funzioni già ricoperte dal candidato come coordinatore di unità operativa semplice oppure, in altri casi, lasciando la precedente funzione ad un collega di nuova nomina; inoltre, risponde gerarchicamente al direttore di dipartimento per le funzioni specifiche all’attività dipartimentale attribuitigli e funzionalmente al direttore del servizio infermieristico (oppure, se mancante, all’ufficio ìnfermieristico).

Il coordinatore infermieristico di dipartimento, oltre alle funzioni proprie del profilo di appartenenza definite dalla normativa, ha la responsabilità della gestione infermieristica complessiva del dipartimento, del coordinamento tra processi trasversali e unità operative afferenti al dipartimento e del mantenimento dei rapporti di rete con gli altri dipartimenti e servizi aziendali. Si rileva che, l’attribuzione di ipotetiche funzioni aggiuntive a questa figura, nel panorama delle aziende sanitarie che finora sono state interessate al processo di implementazione del coordinamento infermieristico di dipartimento, ha riguardato alcune prevalenti attività:

- rappresentare il personale infermieristico del dipartimento nei rapporti con i vertici di direzione;

- contribuire alla gestione del budget per quanto di propria competenza;

- promuovere lo sviluppo di nuovi modelli organizzativi;

- definire gli standard assistenziali, gli indici di complessità e individuare gli indicatori di verifica

della qualità delle prestazioni;

- gestire le risorse umane del dipartimento;

- collaborare alla valutazione e alla stesura di un sistema incentivante il personale infermieristico;

- ripartire il personale infermieristico e di supporto del dipartimento nelle diverse unità operative tenendo conto dei carichi di lavoro in accordo con i caposala delle unità operative semplici;

- contribuire alla stesura di protocolli e linee guida operative del dipartimento;

- contribuire alle iniziative di aggiornamento del personale;

- verificare e valutare il fabbisogno infermieristico;

- controllare le attività e i comportamenti del personale, anche da un punto di vista deontologico, di concerto con i caposala delle unità operative semplici.

Ai fini di un reale integrazione nei singoli dipartimenti tra le diverse componenti professionali e tra le unità operative afferenti, è fondamentale che il candidato nominato possa esercitare un concreto potere organizzativo, con una forte responsabilizzazione del ruolo di coordinamento, derivante sia dai vertici aziendali sia dal direttore del dipartimento e dal direttore del servizio infermieristico.

 

Le relazioni funzionali tra il coordinatore infermieristico di dipartimento, il servizio infermieristico e i coordinatori delle unità operative. 

Al fine dell’efficace esplicitazione delle proprie funzioni, il coordinatore infermieristico di dipartimento deve poter contare su una perfetta collaborazione dei caposala di unità operativa; se la prima figura deve essere attenta a non entrare troppo in merito alle decisioni clinico assistenziali e sui carichi di lavoro, questi ultimi devono invece essere preparati a fornire un supporto continuo, preciso e puntuale e dei report mensili in merito all’attività gestionale della propria struttura. 

I coordinatori infermieristici di dipartimento sono generalmente posizionati in “line” gerarchica e funzionale con il direttore del servizio infermieristico: quest’ultimo, riunisce a cadenza programmata tutti i coordinatori infermieristici di dipartimento per promuovere e verificare l’attinenza dei modelli gestionali e di lavoro con gli obiettivi aziendali. Inoltre, specifiche riunioni sono indette per verificare l’andamento dei programmi di aggiornamento professionale, di ECM e per il controllo dei processi di accreditamento e di verifica della qualità assistenziale.

Estemporaneamente sono previsti degli incontri con il direttore generale, tanto più necessari oggi, nel frangente attuale, in cui s’inizia a delineare anche l’attività libero professionale intra-moenia (legge 1/2002).

 

Punti di forza e di debolezza del coordinamento infermieristico di Dipartimento.

 

Partendo dal presupposto che il concetto di fidelizzazione sia fondamentale nell’ottica manageriale aziendalistica, così come il risparmio di risorse per mezzo di una migliore integrazione e flessibilità operativa, allora si può concludere che l’opportunità di implementare la funzione di coordinamento infermieristico di dipartimento diventa una “conditio sine qua non” per raggiungere l’obiettivo. Al momento, le esperienze in atto hanno dato risultati lusinghieri, garantendo qualità, continuità e uniformità dell’assistenza infermieristica, anche in situazione di carenza, migliorando la comunicazione tra servizi, reparti e uffici che, diversamente, rimarrebbero a “tenuta stagna”, sempre più orientati verso pericolose spirali operative autopoietiche e autoreferenziali.

Certamente, la nuova figura del coordinatore infermieristico di dipartimento ha avuto un avvio difficile, scarso riconoscimento formale da parte dei colleghi e, talvolta, un insufficiente supporto da parte dei superiori gerarchici. In alcune realtà, l’aspetto incentivante e valutativo non sempre è stato all’altezza richiesta. Ciò ha comportato distorsioni nelle aspettative di ruolo e, a volte, anche conflitti intra ruolo e tra ruoli di coordinamento.

Per questo motivo, parimenti alla pubblicazione di articoli che menzionano delle sperimentazioni organizzative molto positive, si è a conoscenza di caposala di dipartimento che hanno rassegnato l’incarico, oppure che hanno intrapreso delle scelte professionali diverse.

 

 

 

LA FUNZIONE DI "COORDINAMENTO INFERMIERISTICO" TRA CORSI E RICORSI STORICI.

 

 

Il coordinamento del personale infermieristico nelle aziende pubbliche era in passato regolato dal D.M. 30/1/1982, subordinato ad una specifica esperienza professionale a partire già dai requisiti di accesso ai corsi (almeno due anni di anzianità di servizio), ed al possesso imprescindibile del certificato di abilitazione alle funzioni direttive dell'assistenza infermieristica, di durata annuale, per l'accesso del personale alle aziende del S.S.N..

Precedentemente, risalendo alle origini storiche delle funzioni di coordinamento infermieristico, si rileva un'alternanza di brevi e ripetuti periodi di quasi "sanatoria" in cui si poteva anche prescindere dal titolo di studio di abilitazione alle funzioni direttive qualora il personale possedesse una certa anzianità di servizio; si ritornava poi però, subito dopo, quasi per "furore di popolo", alla re-introduzione del requisito del titolo di abilitazione alle funzioni direttive.

Oggi giorno, con il D.P.R. n°220/01 si è assistito all'abrogazione del D.M. 30/1/1982: niente più certificato di abilitazione per accedere alle funzioni di coordinamento di tale area.

Le ripercussioni conseguenti a questa scelta hanno sicuramente avuto un forte impatto sull'organizzazione dell'assistenza infermieristica nelle aziende sanitarie.

La funzione di coordinamento infermieristico è oggi considerata quasi un fattore opzionale nell'ambito della gestione ed organizzazione dei servizi, la cui sopravvivenza è rimessa al totale potere discrezionale degli enti, ed è assoggettata all'istituto contrattuale dell'incarico a tempo determinato;  la letteratura scientifica, invece, ne avvalora sempre più l'importanza strategica all'interno dei meccanismi operativi aziendali.

Le aziende sanitarie, non potendo più acquisire dal mercato infermieri in possesso del certificato di abilitazione alle funzioni direttive, in assenza di nuove disposizioni, stante in ogni caso l'esigenza palese di dotare le proprie unità operative e i dipartimenti di questa indispensabile funzione, affidano il coordinamento a infermieri totalmente digiuni di qualsiasi necessaria e specifica formazione.

Il D.P.R. n°220/01, creando, di fatto, le premesse per i successivi risvolti contrattuali, ha modificato la normativa precedente a tal punto che, in molte aziende, i caposala precedentemente inquadrati in una categoria superiore rispetto agli infermieri, sono venuti a ritrovarsi in situazioni di reale scavalco da parte di questi ultimi.

La presenza di norme di garanzia ha permesso in molti casi di risanare, con perequazioni economiche, oppure con spostamento di profilo (passaggi interni dei coordinatori al DS; attribuzione di incarichi di posizione organizzativa), quanto avvenuto in seguito al cambiamento legislativo; si ha invece l'impressione che permanga, in alcune realtà, la sensazione di precarietà e di confusione di competenze e ruoli che non permette un vero management coerente e produttivo per chi è deputato al coordinamento e alla direzione infermieristica.

Da un punto di vista di un reale sviluppo professionale della figura infermieristica, il mancato riconoscimento in "forma definitiva" dell'affidamento delle funzioni di coordinamento infermieristico, così come l'introduzione della valutazione periodica, possono essere lette in una chiave di lettura di sprone e incentivo a "fare bene"; parimenti, altri infermieri, sostengono che ci troviamo di fronte ad un ruolo molto critico, e che l'introduzione di una intrinseca instabilità strutturale, la stessa "forma provvisoria" dell'incarico di coordinamento, indeboliscono l'autonomia professionale del coordinatore.

Il recente disegno di legge, in discussione presso la Camera dei Deputati, recepisce alcuni dei suddetti rilievi sostanziali (che sono poi quelli indicati dall'O.M.S.) in merito alla funzione di coordinamento del personale infermieristico, prevedendo come requisito di accesso alla funzione il possesso del titolo di "management per le funzioni di coordinamento", conseguito in ambito universitario, oppure il certificato di abilitazione alle funzioni direttive dell'assistenza infermieristica, cui si aggiunge un'esperienza almeno triennale maturata nel medesimo profilo di base. Il provvedimento prevede anche l'iscrizione dei soggetti in possesso dei requisiti di coordinatore infermieristico presso il Collegio IPASVI.

Dunque, diventa fondamentale, alla luce delle attuali logiche organizzative presenti nella Sanità e che riguardano anche la creazione dei dipartimenti, il possesso di competenze gestionali da parte di un infermiere specificatamente formato, con una più chiara e piena titolarità delle funzioni di coordinamento infermieristico.

In un prossimo futuro, quanto sopra espresso si dovrebbe rendere concreto con la creazione di una vera dirigenza intermedia, anello di congiunzione tra gli obiettivi aziendali e la prassi infermieristica; ci auspichiamo anche punto di arrivo dei tanti, forse troppi, corsi e ricorsi storici, che hanno caratterizzato l'assegnamento della funzione di coordinamento del personale infermieristico.

 

L'ISTITUZIONE DEL PROFILO PROFESSIONALE DI COORDINATORE INFERMIERISTICO: NORMATIVA IN ATTO E IPOTESI LEGISLATIVE.

 

Premessa.

L'attuale figura del coordinatore infermieristico risulta priva di una formazione "ad hoc" essendo terminati i corsi regionali di abilitazione alle funzioni direttive da circa un decennio.

Il D. Lgs. n° 502/92 di abrogazione, in realtà, prevedeva un ripristino dei corsi di coordinamento a livello Universitario.

Con la normativa successiva, C.C.N.L. 2000-01 e D.P.R. n° 220/01, viene, di fatto, abrogato l'antecedente stato giuridico, il profilo del coordinatore e la normativa concorsuale.

La funzione manageriale di coordinamento, descritta nella legge n°229/99, con l'ampliamento del grado di autonomia dei "ruoli intermedi", non trova concreto riscontro nelle funzioni svolte dalle attuali figure di coordinamento soprattutto qualora siano inserite nella categoria "D", corrispondente ad una declaratoria non adeguata al ruolo svolto e sovente declinato all'interno di unità operative complesse. In merito a quanto sopra enunciato, l'O.d.G. della Commissione Sanità del Senato, nell'ambito della legge n° 251/2000, prevedeva che il coordinatore infermieristico fosse considerato dirigente infermieristico nelle U.O.C.: tale O.d.G. e stato disatteso.

 

Ipotesi e prospettive di evoluzione legislativa.

 

La questione inerente alla futura istituzione di un distinto profilo professionale di coordinatore infermieristico si presenta oggi in termini giuridici nuovi dopo la riforma dell'art.117 della Costituzione, approvata con la legge n°3/2001.

Nelle materie di legislazione concorrente - recita il nuovo art. 117 - spetta alle regioni la potestà, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Si aprono dunque diversi scenari in cui è possibile discutere se le Regioni sarebbero - di fatto - autonome nel derivare principi generali dal complesso delle norme statali già vigenti in materia sanitaria, senza dover attendere l'emanazione di specifiche "leggi quadro" di riferimento.

Il primo di due percorsi legislativi evolutivi della disciplina è rappresentato da interventi a livello regionale che s'inseriscono - a prescindere da altri statali - nella scarna cornice legislativa vigente; il secondo, invece, in una nuova disciplina statale "limitata" all'enunciazione di principi di carattere generale. Entrambe le prospettive sono qui di seguito riportate in un quadro sinottico.

 

1.      Il quadro normativo vigente.

 

- l'art. 6 comma 3 del D. Lgs. n° 502/92, in attuazione della delega contenuta nell'art. 1, lett. 0, della Legge n° 421/92, in merito alla formazione del personale sanitario infermieristico, prevede che il Ministro della salute individui tassativamente con proprio decreto le "figure infermieristiche da formare" ed i relativi profili;

- il  D.M. n° 739/94 individua la figura ed il relativo "profilo professionale" dell'infermiere;

- l'art. 6 della legge n° 251/00, recita che il Ministro della salute include le diverse figure professionali esistenti o che "saranno individuate successivamente" in una delle fattispecie di cui agli art. 1, 2, 3 e 4;

- l'art. 1 comma 1 della legge n° 251/00, recita che gli operatori delle "professioni sanitarie infermieristiche" espletano funzioni individuate dalle norme relative ai propri profili;

- il D.M. 29 marzo 2001 include nella fattispecie "professioni sanitarie infermieristiche", di cui all'art.1 della legge n° 251/00, la figura professionale dell'infermiere (e non altre…).

2.  La prospettiva di una nuova disciplina quadro statale.           

 

Lo Stato potrebbe eventualmente ritenere di dover legiferare su alcune (o tutte) le caratteristiche "di principio" nel settore del coordinamento infermieristico:

-          Individuazione, nell'ambito delle professioni sanitarie infermieristiche della figura di "coordinatore", con la posizione di un autonomo profilo che ne individui le "specifiche" funzioni, attualmente non esaustive neppure nella posizione economica DS;

-          Diritto alla denominazione ufficiale di Capo sala invece di "collaboratore" (già  "coordinatore");

-          Obbligo di una formazione manageriale;

-          Garanzia di salvaguardia dei titoli pregressi acquisiti;

-          Apposito elenco nell'albo dei collegi IPASVI

 

COORDINAMENTO INFERMIERISTICO: QUADRO SINOTTICO DI RIFERIMENTO NORMATIVO. 

 

o       R.D.L. 15 agosto 1925, n. 1832

“Istituzione presso le scuole convitto di un  terzo anno di insegnamento per le funzioni direttive”.

 

o       R.D. 21 novembre 1929, n. 2330

“Regolamento per l’esecuzione del R.D.L. n.1832”.

 

o       R.D. (T.U.L.S.) 27 luglio 1934, n. 1265

Art. 134: la direzione delle scuole convitto deve essere affidata ad un’infermiera in possesso del certificato AFD (…).

 

o       Legge 19 Luglio 1940, n. 1098

Si istituiscono le scuole biennali per vigilatrici d’infanzia, con previsione di un terzo anno di corso per AFD.

 

o       D.P.R. 27 marzo 1968, n. 128

“Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”; art. 41: mansionario del capo sala.

 

o       D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130

“Ordinamento del personale degli enti ospedalieri”; art. 120: il caposala può essere un IP che non ha il titolo di AFD ma adeguata anzianità (…); comma 2°: gli IP specializzati dipendono direttamente dai sanitari (…).

 

o       D.M. (Sanità) 8 febbraio 1972

“Modificazioni al programma del Corso AFD” (N.d.A. 920 ore).

 

o       D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225

Il D.P.R. non s’interessa della figura del capo sala non riconoscendolo come a sé stante rispetto all’IP…

 

o       Nelle bozze contrattuali sia del 1974 sia del 1979 la figura del capo sala è prevista ad esaurimento. Nei contratti siglati però viene mantenuta.

o      

         Contratto 1979

Allegato 1: i dipendenti inquadrati al 6° livello (il capo sala era tra questi fino al 1987) hanno “…compiti d’indirizzo, guida, coordinamento e controllo nelle unità operative…”.

 

o       D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761

“Stato giuridico del personale del SSN”; allegato 1: inquadramento del capo sala  nella tabella I – Personale infermieristico come operatore professionale coordinatore – 1^ ctg.

 

o       D.M. 30 gennaio 1982 (modifato il 3 dicembre 1982)

“Regolamento recante  la disciplina concorsuale”. Per la posizione di operatore  professionale coordinatore si richiede il certificato AFD e almeno due anni di anzianità come IP.

 

o       D.P.R. 7 settembre 1984, n. 821

“Attribuzioni del personale sanitario non medico addetto al SSN”; art.20: l’operatore professionale coordinatore svolge le attività di assistenza diretta attinente alla propria competenza professionale. Coordina l’attività del personale nelle posizioni di collaboratore e di operatore professionale di II categoria a livello di unità funzionale ospedaliera e di distretto predisponendone i piani di lavoro (…). Profilo storico del capo sala.

 

o       D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502

“Revisione della disciplina in materia sanitaria a norma dell’art. 1 della Legge         23 ottobre 1992, n. 421”;  art. 6, c. 3: in forza a quest’articolo saranno sospesi dopo un biennio anche i corsi di formazione AFD, includendosi nelle “scuole e corsi disciplinati dal precedente ordinamento”, con previsione del ripristino in ambito universitario…

o       D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626

“Attuazione delle direttive CEE 89/391 (…) riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”. La legge per la sicurezza del lavoro affida un ruolo preminente del preposto – caposala (art. 4).

 

o       D.P.C.M. 19 maggio 1995, G.U. 31 maggio 1995 – Carta dei diritti sanitari

E’ sancito il ruolo fondamentale del capo sala nell’organizzazione della U.O. e nei servizi. Il capo sala deve confrontarsi con la valutazione di qualità fatta dal Cittadino.

 

o       D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220

“Regolamento recante la nuova disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del SSN”; art.56:  (…) è abrogato il  D.M. 30 Gennaio 1982, recante normativa concorsuale del capo sala; art. 39: cancellazione del titolo di AFD per accedere alle funzioni di capo sala e sostituzione con un’anzianità di servizio triennale per l’accesso al ruolo (biennale se in possesso del titolo AFD), ed una formazione “opzionale” aziendale.

 

o       C.C.N.L. S.S.N. 1998-2001 (I biennio economico 1998-1999)

Introduzione della “declaratoria” per individuare la categoria: per quanto riguarda la cat. “D” si rispetta la falsariga  di quanto contenuto nel D.P.R.  n. 821/1984…Si continua a prevedere “ove sia comunque richiesto”, il titolo AFD, abbreviando a due anni, anziché tre, l’esperienza nel profilo cat. C.

Art.19: l’operatore professionale coordinatore già 1^ ctg. dal 7° livello è reinquadrato nella categoria D, come “collaboratore professionale sanitario”. Art. 16:   criteri e procedure per i passaggi tra categorie (…).

Allegato 1: modalità di accesso alla cat. D: dall’esterno, con pubblico concorso; dall’interno, tramite selezione (art. 16). 

 

o       C.C.N.L. S.S.N. 1998-2001 (II biennio economico 2000-2001)

La declaratoria del profilo della cat. D include anche le funzioni della cat. C. E’ istituita, senza un profilo, la “funzione di coordinamento” revocabile e soggetta a valutazione.

Art. 10: solamente per i caposala già in cat. D che esercitano reali funzioni di coordinamento al 31.08.2001, l’indennità di funzione – parte fissa - spetta in prima battuta ed è  permanente.

Art. 5, comma 2: si accede alla funzione di coordinamento con un’anzianità di 5 anni in C e/o D, 4 per chi possiede il titolo AFD, senza formazione, con incarico conferito dall’azienda sulla base di criteri definiti con procedure di concertazione  di cui all’art.6, c. 1 lettera b) C.C.N.L. 7 aprile 1999.

N.d.A.. Coesistenza di una “funzione” di coordinamento per “incarico” (art. 5, comma 2 contratto integrativo) con una già presente nella declaratoria del “profilo”  della cat. D (allegato 1, contratto integrativo).

 

o       D.L. 12 novembre 2001, n. 402

“Disposizioni urgenti in materia di personale sanitario”; O.D.G. G1 e G2 collegati, seduta n. 81 della Camera del 19 dicembre, approvati dal Senato e dalla Camera: “impegnano il governo a riesaminare con atti legislativi i problemi afferenti alle funzioni del capo sala, ad istituirne il profilo, la formazione manageriale obbligatoria e l’equipollenza  del titolo di AFD col nuovo titolo formativo (master in management) organizzato dalle Università ai sensi dell’art. 3, comma 8 del D.M. 3 novembre 1999, n. 509”.

 

 

 

 

L’ISTITUTO DELLE POSIZIONI ORGANIZZATIVE NEL PUBBLICO IMPIEGO

 

 

Tra coordinamento infermieristico e dirigenza il tertium genus della posizione organizzativa nella lettura del C.C.N.L. comparto sanità 1998/2001.

 

 Le posizioni organizzative sono state introdotte come istituto contrattuale nell’ambito della ridefinizione complessiva delle funzioni ex coordinamento ed ex dirigenziali avvenuta con il C.C.N.L. 1999 e in seguito alla privatizzazione del lavoro pubblico. Le parti contraenti non hanno eccelso nella definizione terminologica dell’istituto ed i vari contratti collettivi di comparto hanno dettato delle discipline poco omogenee. Pertanto, per il comparto sanità, si fa riferimento all’art. 20, in cui è specificato che le aziende ed enti, sulla base dei propri ordinamenti e delle leggi regionali di organizzazione ed in relazione alle esigenze di servizio, istituiscono posizioni organizzative che richiedono lo svolgimento di funzioni con assunzione diretta di elevata responsabilità che, a titolo esemplificativo, possono riguardare settori che richiedono lo svolgimento di funzioni di direzione di servizi, dipartimenti, uffici o unità organizzative di particolare complessità, “caratterizzate da un elevato grado di esperienza e autonomia gestionale ed organizzativa o lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione”, quali per esempio i processi assistenziali, oppure lo svolgimento di attività di staff e/o studio, di ricerca e di coordinamento di attività didattica. La graduazione delle funzioni è definita da ciascun’azienda in base a criteri adottati per la valutazione delle posizioni individuate. A titolo esemplificativo, le aziende tengono conto dei seguenti elementi:

1) livello di autonomia e responsabilità della posizione, anche in relazione all’effettiva presenza di posizioni dirigenziali sovraordinate;

2) grado di specializzazione richiesta dai compiti affidati;   

3) valenza strategica della posizione rispetto agli obiettivi aziendali;

4) entità delle risorse direttamente gestite.

Per il conferimento, le aziende tengono conto della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e delle capacità professionali ed esperienza acquisite dal personale, prendendo in considerazione tutti i dipendenti collocati in cat. D e DS (ex coordinatori e dirigenti) nonché, limitatamente al personale del ruolo sanitario e di assistenza sociale – alla cat. C “per tipologie di particolare rilievo professionale coerenti con l’assetto dell’azienda”.

Nella definizione delle invarianti dell’istituto, cioè le disposizioni comuni a tutti i comparti, emerge che l’incarico che forma oggetto di posizione organizzativa è possibile:

a) esclusivamente per situazioni tipizzate, descritte direttamente dal contratto;

b) con incarichi a termine;

c) caratterizzate da specifica retribuzione variabile;

d) sottoposte alla logica del risultato;

e) soggette a valutazione;

f) revocabili.

L’incarico è conferito con provvedimento scritto e motivato e con valutazione almeno annuale (art. 21, comma 4). Al dipendente cui è stato conferito l’incarico di posizione è corrisposta un’indennità annuale di funzione prevista per tutta la durata dell’incarico; per il comparto sanità è prevista dall’art. 36 e finanziata con il fondo art. 39 ed è compresa nel range tra i 6 e i 18 milioni di lire. Tale indennità assorbe i compensi per lavoro straordinario.

In caso di valutazione negativa l’incarico è revocato con corrispondente perdita dell’indennità di funzione da parte del titolare che resta inquadrato nella categoria di appartenenza è restituito alle funzioni del proprio profilo. A tal fine le aziende e gli enti determinano in via preventiva i criteri che informano i predetti sistemi di valutazione da gestire attraverso i servizi CO. IN. o nuclei di valutazione. In caso di valutazione negativa, gli organismi suddetti, acquisiscono in contraddittorio le considerazioni del dipendente anche assistito da un dirigente sindacale di sua fiducia.

L’esito della valutazione periodica è riportato nel fascicolo personale dei dipendenti interessati. Di esso si tiene conto per l’affidamento di altri incarichi (art. 21, comma 7).

Nei casi in cui, invece, per effetto di una diversa organizzazione aziendale, la posizione sia soppressa ed il dipendente ad essa preposto da almeno tre anni abbia sempre ottenuto valutazioni positive con riferimento ai risultati raggiunti, allo stesso è attribuita la fascia economica successiva a quella di inquadramento.

 

Area quadri e middle management: presupposti giuridici e possibili sviluppi contrattuali per l’istituto delle posizioni organizzative.

 

L’istituto della posizione organizzativa s’inserisce nel processo di graduale e tendenziale superamento del modello classico del pubblico impiego e di trasformazione del modello organizzativo della pubblica amministrazione.

Attuato dopo anni di stretto mansionismo, di blocco dei percorsi di carriera, di mortificazione economica delle professionalità necessarie ai processi di innovazione, questo nuovo modello è caratterizzato dall’abbandono della classificazione del personale per livelli e dal reinquadramento dello stesso in categorie e fasce su più livelli economici all’interno delle quali è possibile rispondere alla ratio della flessibilità d’impiego che sottende all’istituzione delle posizioni organizzative. L’istituto nasce perciò dalla consapevolezza che per alcune funzioni più innovative, pur non rientranti tra quelle dirigenziali, ai fini del processo di trasformazione delle pubbliche amministrazioni, sempre maggiormente knowledge based, in cui il requisito della conoscenza ha un ruolo strategico, fosse necessario introdurre elementi di maggiore flessibilità nello svolgimento delle attività e di predominante orientamento al risultato.

L’istituzione delle posizioni deriva dall’art. 45 del D.lgs. n. 29/93 modificato dai D.lgs. n. 396/97, n. 80/98, n. 387/98, il quale recitava testualmente “per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure tecnico scientifici, sono stabilite discipline separate nell’ambito dei contratti collettivi di comparto”. Tale norma, oltre a riconoscere la necessità di disciplinare in modo separato dall’ordinamento del personale delle aree i “professionisti dipendenti”, in altri termini le categorie di dipendenti pubblici che svolgono le funzioni che richiedono iscrizione ad albi professionali e quelle professionalità, necessarie all’amministrazione, di rilevante contenuto professionale per lo svolgimento di funzioni specifiche, si riferisce anche alla necessità di distinguere dal sistema della classificazione del personale per aree quei funzionari che svolgono attività di rilevante responsabilità ai quali sono imputabili una serie d’attività sia pure non autonome, ma di rilevante contenuto professionale.

Una chiave di lettura in merito alla classificazione delle attività alle quali è imputabile il conferimento dell’incarico oggetto di posizione organizzativa potrebbe rispondere alla ratio di limitare nella prassi operativa un eventuale uso distorto dell’istituto da parte della dirigenza, vale a dire di limitare la possibilità di conferimento di incarichi troppo generici, utilizzando la relativa indennità di posizione per motivi unicamente premiali, gratificanti o propriamente fidelizzanti e non connessi allo svolgimento concreto ed effettivo di funzioni di particolare rilevanza.

I contratti prevedono il conferimento di incarichi per:

a) direzione di unità organizzative, con elevata autonomia organizzativo-funzionale.

b) attività con contenuti di alta professionalità correlate al possesso di titoli di studio universitari (nel comparto Enti locali c’è anche un richiamo alle attività connesse all’iscrizione ad albi professionali).

c) attività di studio, ricerca, staff, di vigilanza, di controllo.

Il conferimento di incarico di posizione organizzativa presuppone inoltre – conditio sine qua non -, così dispongono i contratti dei singoli comparti, che le amministrazioni abbiano realizzato effettive innovazioni organizzative strutturali, cioè che abbiano: 1) istituito e attivato dei servizi di controllo interno 2) ridefinito le strutture organizzative e le dotazioni organiche (ad esempio, istituzione del Servizio infermieristico all’interno di un’azienda sanitaria) 3) attuato i principi di razionalizzazione previsti dal D.lgs. n.29/93, le determinazioni organizzative aventi obiettivo di assicurare l’attuazione dei principi di funzionalità, efficienza, efficacia, economicità, flessibilità, imparzialità, trasparenza (artt. 4, 2), la parità di trattamento nella gestione delle risorse umane (art. 7), il controllo della spesa economica (art. 9).

Il dovere da parte delle amministrazioni di prevedere tali condizioni di attribuzione risponde all’esigenza fondamentale di favorire la funzionalità effettiva dell’istituto e l’operabilità pratica del medesimo, all’interno di un sistema organizzativo che deve presentarsi radicalmente innovato e posto in conformità con i principi generali di razionalizzazione delle attività e delle strutture delle pubbliche amministrazioni.

L’incarico oggetto di posizione organizzativa, non pare esserci dubbi, è funzionale alle strategie gestionali del management e, dunque, sottratto a qualsiasi forma di contrattazione: la definizione dei criteri di conferimento e sistemi di valutazione sono solamente oggetto di consultazione sindacale, anche se si registra in sede di contrattazione integrativa la tendenza dominante a rinegoziare tali aspetti a causa delle spinte pancontrattualistiche, con l’effetto pari passo di una riduzione dell’area del potere manageriale-gestionale della dirigenza.

L’atto di conferimento, infatti, può essere classificato come una delle determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione del personale assunte dal dirigente “con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (art, 4, comma 2, del D.lgs. 29/93) ed è riferita alla capacità organizzativa conferita ai dirigenti nell’allocazione delle risorse e nella gestione dei rapporti di lavoro  e al potere di scelta della strategia imprenditoriale più idonea. Di tale scelta, pertanto, il dirigente assume in pieno la responsabilità  e ne risponde in sede di valutazione  dei risultati. All’interno dei criteri e delle procedure per il conferimento degli incarichi, preventivamente determinati, la norma prevede implicitamente una sorta di valutazione di idoneità preventiva, rimessa all’esclusiva discrezionalità del dirigente, sulle capacità del dipendente da scegliere tra le risorse umane a sua disposizione, per svolgere l’incarico che forma oggetto di posizione organizzativa.

L’atto di conferimento è assunto in forma scritta e motivata e deve sicuramente contenere:

a) l’attribuzione di funzioni;

b) il risultato da realizzare;

c) la retribuzione prevista;

d) i termini di esecuzione.

Tuttavia è auspicabile, in ragione della natura performance oriented dell’incarico, che in esso sia precisato anche:

e) il conferimento delle risorse assegnate;

f) la definizione del programma di massima e le relative modalità di esecuzione al fine di renderne oggettivamente valutabile l’attività in itinere.

E’ da notare che, in maniera forse più conforme agli obiettivi ispiratori dell’istituto, il contratto degli enti locali contempla nello specifico sia la retribuzione di posizione sia quella di risultato, la quale varia da un minimo del 10% ad un massimo del 25% della retribuzione di posizione, a ulteriore conferma della logica e della maggiore compiutezza dell’istituto in tale comparto (art. 10, comma 3, CCNL enti locali). La posizione organizzativa cessa in via ordinaria per la scadenza del termine prefissato nell’atto di conferimento ma può essere rinnovata. I contratti prevedono tuttavia casi di cessazione dell’incarico per eventi intervenuti in corsi di attività. Tali eventi sono:

a) la revoca dell’incarico;

b) intercorsi mutamenti organizzativi.

La revoca dell’incarico di posizione comporta la perdita della retribuzione e la restituzione del dipendente alle funzioni del proprio profilo di appartenenza. I contratti parlano correttamente di restituzione alle funzioni proprio a sottolineare che l’incarico non comporta un cambiamento di profilo che rimane immutato, ma determina soltanto una variazione di funzioni che cessano al cessare dell’incarico. L’atto di revoca, assunto dal dirigente con le stesse modalità dell’atto di conferimento, dunque con atto scritto e motivato, è adottato in caso di grave inadempienza in corso di attività con gli obblighi e le responsabilità derivanti dall’incarico. In tal senso possono comportare la revoca:

a) l’inosservanza delle direttive, intesa come scostamento dalle modalità esecutive dettagliatamente preventivate nell’atto di conferimento oppure in applicazione grave delle modalità previste tale da accertare il palese in adeguamento dell’attività svolta al raggiungimento degli obiettivi;

b) l’accertamento di risultati negativi, avvenuto per mezzo delle valutazioni – di norma annuale (art. 19, comma 5, CCNL, comparto Ministeri, art. 9, comma 4, CCNL comparto regioni-enti locali, art. 21, comma 4, 7 CCNL comparto Sanità) – verificati sulla base dei criteri e procedure in ogni caso predeterminate.

La revoca per intervenuti mutamenti organizzativi si ha invece, quando a seguito di ristrutturazioni della struttura dell’ufficio intervenute in corso di attività emerge un nuovo modello organizzativo con la ricollocazione a funzioni (accorpamenti, spostamenti di competenza, divisione di funzioni) che incide direttamente sull’attività che forma oggetto di posizione organizzativa, questa può essere revocata, ferma restando la possibilità di rinegoziare l’incarico adattandolo, laddove ciò sia possibile, al nuovo contesto lavorativo.

E’ nel sistema di valutazione degli incarichi che emergono le più rilevanti differenze tra i vari comparti. Nel comparto regioni enti locali e sanità è previsto, infatti, un sistema di garanzie del dipendente incaricato di posizioni organizzative che ricorda, con le dovute differenze, quello previsto per la valutazione dei dirigenti (D.lgs n. 29/93, art. 21). Il contratto prevede che le amministrazioni prima di procedere alla formalizzazione di una valutazione non positiva acquisiscano in contradditorio le valutazioni del dipendente, anche assistito dall’organizzazione sindacale o da persona di fiducia (art. 9, comma 4, CCNL del compartenti locali). Si tratta ovviamente di una norma più evoluta rispetto a quella degli altri comparti, sicuramente finalizzata a favorire un maggiore peso dell’istituto nel sistema di classificazione e organizzazione del personale.

Risulta evidente che l’incarico di posizione appare un tentativo di introdurre nel sistema di classificazione del personale pubblico non dirigenziale maggiore flessibilità, un sistema di responsabilizzazione performance oriented. In linea di principio potrebbe anche rappresentare un modo per valorizzare le capacità e il merito, soprattutto di quei dipendenti di elevata capacità professionale, si pensi ai knowledge worker, i quali sembrano i veri destinatari dell’istituto visto che le funzioni per le quali è possibile conferire le posizioni presuppongono sempre un elevato grado di conoscenza.

In tale ottica l’istituto sembra guardare nella giusta direzione in quanto pare in sintonia col processo di progressiva acquisizione della risorsa conoscenza come fattore strategico per l’innovazione e il miglioramento del fattore qualità nelle organizzazioni e le amministrazioni potranno attivare nuove competenze basate sulle attività di studio, di ricerca, di comunicazione. Inoltre esso permette di inserire nel sistema organizzativo e gestionale delle risorse umane, secondo i principi della mission, la cultura del lavoro per progetti e del management per obiettivi.

E’ anche un sistema offerto al dirigente per fidelizzare i suoi collaboratori agli obiettivi da raggiungere. Il nuovo sistema della responsabilità della dirigenza pubblica di tipo accountability, ossia rendere conto, per la quale si risponde dei risultati raggiunti nella gestione delle risorse relative all’incarico, non è stato accompagnato dalla previsione di sistemi d’incentivazione del personale delle aree. Allo stato attuale, infatti, il dirigente deve raggiungere i risultati avvalendosi di collaboratori che non sono stati scelti dal suddetto e che sono il più delle volte indifferenti al management – relativamente alla carriera, allo status, all’aggiornamento professionale – rispetto al raggiungimento degli obiettivi. E’ipotizzabile dunque l’uso delle posizioni organizzative anche come strumento incentivante e fidelizzante rispetto agli obiettivi strategici assegnati alla dirigenza.

Nell’istituto delle posizioni – se le funzioni a cui esse si riferiscono sono interpretate come funzioni di stretto supporto alla dirigenza per attività strategiche rispetto al raggiungimento di obiettivi ad essa assegnati – possono, allora ravvisarsi potenzialità superiori rispetto a quelle troppo astrattamente previste con la loro istituzione, come ad esempio la possibilità di trasformare l’incarico di posizione organizzativa in una sorta di middle manager che nel sistema organizzativo funzionale delle amministrazioni pubbliche potrebbe collocarsi in una posizione intermedia tra sistema delle aree e dirigenza. Una siffatta interpretazione consentirebbe di diminuire l’attrito tra un sistema flessibile e orientato ai risultati previsto per i dirigenti con il sistema rigido e indifferente ai risultati previsto per il personale delle aree. La differente natura dei due sistemi, in mancanza di un’area di compensazione e raccordo intermedio, rischia di mantenere ed aggravare la “divisione in due” dell’amministrazione che deve, invece, operare come un corpo unico al cui interno si articolano e si graduano posizioni e funzioni differenti. Un simulacro di tale area di compensazione per metà rigida (in cui l’unità di misura di tale rigidità può essere identificata con il lavoro per tempo standard) per metà flessibile (in cui invece l’unità di misura di tale flessibilità può essere identificata nel lavoro per obiettivo e risultato) si può riconoscere nell’istituto delle posizioni organizzative, soprattutto nella versione prevista per il comparto enti locali e sanità, dove, ad esempio, l’omnicomprensività della retribuzione impedendo la remunerazione del lavoro straordinario determina in concreto il superamento del lavoro “a tempo” essendo, ogni prestazione di lavoro fuori dell’orario ordinario, assorbita nella retribuzione di posizione.

In realtà la questione se nell’istituto delle posizioni organizzative possa identificarsi un’anomala area quadri intermedi è stata più volte posta. Ha trovato notevole impulso a seguito delle recenti ordinanze dei tribunali di Campobasso e Treviso che, chiamati a pronunciarsi con riferimento alla fattispecie dei contratti collettivi che disciplinano le posizioni organizzative e a decidere se tali norme siano sufficienti a costituire la categoria dei quadri nel lavoro pubblico, hanno rimesso all’ARAN ed alle OO.SS. firmatarie, ai sensi dell’art. 68 bis del D.lgs 29 del 1993 (accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi), la questione relativa alla configurabilità nell’ambito del comparto enti locali e dei ministeri della categoria dei quadri.

L’ordinanza in questione solleva dubbi circa la validità degli articoli 8 e 9 del CCNL del comparto enti locali e dell’articolo 13 del CCNL del comparto ministeri in quanto non ottemperanti alla legge n. 190 del 1985, che istituisce la categoria dei quadri nell’impresa privata, applicabile alle pubbliche amministrazioni in forza della privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione disposta dall’articolo 2, comma 2, del D.lgs 29 del 1993.

Sarà perciò il giudice ordinario a dire se nella pubblica amministrazione dovrà essere riconosciuta l’area dei quadri e a dare impulso alla sua istituzione - che eventualmente dovrà seguire la via maestra dello strumento contrattuale, ferma restando l’impraticabilità della via normativa alla soluzione del problema per contrasto con l’art. 2 del D.lgs. 29/93 e con i principi generali della riforma che hanno imputato la materia all’autonomia negoziale delle parti contrattuali.

In ogni caso è difficile sostenere, dal punto di vista organizzativo-funzionale, che le posizioni organizzative possano rappresentare un modo per rispondere a questa eventuale mancanza. Esse pur avendo alcune caratteristiche imputabili alla vicedirigenza restano dei meri incarichi temporanei e non corrispondono all’assunzione di una posizione consolidata e a tempo indeterminato all’interno del sistema organizzativo dell’amministrazione come si chiede per la categoria di quadro. Il conferimento di posizione organizzativa è transitoria, revocabile e non continuativa; non ha, inoltre, natura generalizzabile o, quanto meno, estensibile ad una buona parte del personale appartenente alla carriera dei quadri direttivi, in quanto connessa a ben specifiche funzioni. L’intrinseca temporaneità e provvisorietà dell’incarico e la non corrispondenza ad una posizione consolidata all’interno del sistema organizzativo-funzionale dell’amministrazione, negano la stabilità dell’inquadramento come middle management che è invece presupposta per la categoria di quadro “la categoria dei quadri è costituita dai prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza (art. 2, comma 1, legge n. 190/1985).

In ogni caso, a prescindere dall’istituzione o meno dell’area dei quadri, l’istituto delle posizioni organizzative merita senz’altro di essere potenziato soprattutto in quei comparti (aziende sanitarie, enti pubblici) in cui non è compiutamente regolamentato e adeguatamente utilizzato. Nella prospettiva di una migliore implementazione è opportuno allora valutare se sia possibile delineare una precisa strategia contrattuale di parte pubblica, volta ad una maggiore valorizzazione, nel prossimo futuro, dei knowledge worker attraverso tale istituto contrattuale da tradurre in specifici atti di indirizzi all’ARAN.

 

ISTITUZIONE DELLE FUNZIONI DI COORDINAMENTO per le professioni infermieristiche

 

Art. 1

(Istituzione della funzione di coordinamento)

1. E’ istituita la funzione di coordinamento per il profilo professionale dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico.

2. Con decreto del Ministro della sanità, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è attivata la funzione di coordinamento e reso operativo il suo esercizio in tutte le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private.

Art. 2

(Definizione)

1. Per funzione di coordinamento di cui all’articolo 1, si intende:

a) l’organizzazione, gestione e valutazione dei professionisti infermieri o infermieri pediatrici e degli operatori che li coadiuvano;

b) la pianificazione, gestione e valutazione dei diversi processi a valenza sanitaria e socio sanitaria afferenti alla funzione infermieristica e alla funzione alberghiera;

c) la gestione delle risorse tecnico-strumentali, dei presidi sanitari e tecnologici.

Art. 3

(Titolare della funzione di coordinamento)

1. L’esercizio della funzione di coordinamento è espletato da coloro che siano in possesso contestuale dei seguenti requisiti:

a) di un master di primo livello in management per le funzioni di coordinamento nell’infermieristica rilasciato dall’università ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509.

b) di esperienza triennale nel profilo di appartenenza.

2. Il certificato di abilitazione alle funzioni direttive nell’assistenza infermieristica e nell’assistenza infermieristica pediatrica è valido per l’esercizio professionale dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico.

3. Gli abilitati alle funzioni direttive nell’assistenza infermieristica in base alla pregressa normativa sono considerati a tutti gli effetti coordinatori infermieristici.

Art. 4

(Registri)

1. Il Collegio infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d’infanzia tiene, in corrispondenza del relativo albo, l’elenco degli infermieri e degli infermieri pediatrici in possesso del master di primo livello in management per le funzioni di coordinamento nell’infermieristica e nell’assistenza infermieristica pediatrica.

… (omissis)

   

 IL COORDINAMENTO INFERMIERISTICO DI DIPARTIMENTO

 

La funzione di coordinamento infermieristico di dipartimento ha una storia recente e strettamente connessa al processo di aziendalizzazione avvenuto nella sanità. Il coordinatore infermieristico di dipartimento è una figura nuova, che si va creando sulla base delle caratteristiche e finalità del management presente nelle singole realtà in cui è nominato, piuttosto che per una reale volontà normativa innovativa del legislatore.

La possibilità di poter disporre di ruoli di coordinamento infermieristico di area omogenea o di unità operativa complessa, dunque non solamente di unità operativa semplice, è ritornata oggi in auge, pur disattesi gli O.d.G. collegati alla legge 251/2001 che prevedevano, espressamente, la dirigenza infermieristica “intermedia” e di dipartimento.

Oggigiorno, grazie all’implementazione dell’organizzazione di tipo dipartimentale, prevista a suo tempo dalla legge 421/92 e dalla legge 549, si richiedono nuovi modelli gestionali rispondenti allo scopo di assicurare il massimo impulso allo sviluppo di una logica organizzativa su base fiduciaria, imperniata sulla funzione di coordinamento di compiti e risorse e sulla valutazione del personale, per il miglioramento dell’efficienza operativa, dell’economia di gestione e del progresso tecnico scientifico.

 

Il coordinatore infermieristico di dipartimento

 

Queste premesse hanno posto le basi per la creazione della figura del coordinatore infermieristico di dipartimento all’interno delle realtà aziendali, professionalità idonea a svolgere una più ampia e autonoma funzione manageriale rispetto al coordinatore di unità operativa semplice; a tal fine si è reso opportuno programmare dei percorsi specifici di selezione e di formazione.

A seguito di quanto previsto dagli artt. 20 e 21 del CCNL 07/04/1999 Comparto Sanità, le aziende possono assegnare l’incarico di posizione a coloro i quali sono nominati per ricoprire il ruolo di coordinatore infermieristico di dipartimento. Tramite l’approccio del marketing interno, come modalità per avere le domande dei candidati alla selezione, si procede all’emissione di un bando, esplicitando il profilo ed i prerequisiti richiesti ai candidati. Il direttore del servizio infermieristico (o il responsabile dell’ufficio) è la figura titolare deputata a fornire tutte le informazioni e i chiarimenti relativi alla descrizione del ruolo che si va ricoprire.

Certamente, l’eventualità di poter ricoprire tale incarico di funzione è interessante, motiva e gratifica i caposala di unità operativa, ma affinché sia poi funzionale al dipartimento stesso è necessario che chi va a ricoprire l’incarico possegga le competenze e le attitudini per svolgerlo.

 

Requisiti richiesti per la scelta dei coordinatori di dipartimento

 

A tal fine, la finora scarsa letteratura, rimanda agli artt. 20 e 21 del CCNL 07/04/1999 Comparto Sanità. Oltre all’assegnazione dell’“incarico di posizione”, successivo – e non preventivo - alla “nomina” vera e propria, al fine di poter ricoprire il ruolo di coordinatore infermieristico di dipartimento è necessaria una specifica graduatoria, formulata a seguito di un procedimento selettivo di valutazione. Quest’ultimo, in teoria, si ritiene che dovrebbe essere almeno pari, se non più articolato e complesso rispetto a quello per l’assegnazione delle funzioni di coordinamento di unità operativa semplice (ufficio o reparto).

Dai dati emersi in un’apposita ricerca, i requisiti emanati sui bandi interni di selezione, ritenuti imprescindibili per la presentazione delle domande, contemplano il possesso dei seguenti titoli: a) esperienza di cinque anni come CPSI in categoria D, di cui almeno due presso il dipartimento interessato b) possesso del certificato AFD o diploma universitario di scuola diretta ai fini speciali o Master in management. I successivi punti che concorrono ad una valutazione complessiva ai fini dell’assegnazione dell’incarico di funzione, prendono poi in considerazione altri items oggettivabili, inerenti all’area delle conoscenze (titoli di studio), dell’insegnamento (docenze/tutorship), della ricerca scientifica (pubblicazioni), dell’esperienze di coordinamento (curriculum vitae) nonché della formazione (partecipazione a corsi attinenti alle funzioni e allo specifico ambito del dipartimento, anche come relatore).

Inoltre il curriculum vitae è uno strumento importante per la selezione in quanto permette di evidenziare competenze relazionali e sulle motivazioni, ma anche sull’impegno individuale del candidato nella vita professionale.

 

Ipotesi di attribuzione di funzioni aggiuntive al coordinatore di dipartimento.

 

L’attribuzione dell’incarico di coordinatore infermieristico di dipartimento può aggiungersi alle funzioni già ricoperte dal candidato come coordinatore di unità operativa semplice oppure, in altri casi, lasciando la precedente funzione ad un collega di nuova nomina; inoltre, risponde gerarchicamente al direttore di dipartimento per le funzioni specifiche all’attività dipartimentale attribuitigli e funzionalmente al direttore del servizio infermieristico (oppure, se mancante, all’ufficio ìnfermieristico).

Il coordinatore infermieristico di dipartimento, oltre alle funzioni proprie del profilo di appartenenza definite dalla normativa, ha la responsabilità della gestione infermieristica complessiva del dipartimento, del coordinamento tra processi trasversali e unità operative afferenti al dipartimento e del mantenimento dei rapporti di rete con gli altri dipartimenti e servizi aziendali. Si rileva che, l’attribuzione di ipotetiche funzioni aggiuntive a questa figura, nel panorama delle aziende sanitarie che finora sono state interessate al processo di implementazione del coordinamento infermieristico di dipartimento, ha riguardato alcune prevalenti attività:

- rappresentare il personale infermieristico del dipartimento nei rapporti con i vertici di direzione;

- contribuire alla gestione del budget per quanto di propria competenza;

- promuovere lo sviluppo di nuovi modelli organizzativi;

- definire gli standard assistenziali, gli indici di complessità e individuare gli indicatori di verifica

della qualità delle prestazioni;

- gestire le risorse umane del dipartimento;

- collaborare alla valutazione e alla stesura di un sistema incentivante il personale infermieristico;

- ripartire il personale infermieristico e di supporto del dipartimento nelle diverse unità operative tenendo conto dei carichi di lavoro in accordo con i caposala delle unità operative semplici;

- contribuire alla stesura di protocolli e linee guida operative del dipartimento;

- contribuire alle iniziative di aggiornamento del personale;

- verificare e valutare il fabbisogno infermieristico;

- controllare le attività e i comportamenti del personale, anche da un punto di vista deontologico, di concerto con i caposala delle unità operative semplici.

Ai fini di un reale integrazione nei singoli dipartimenti tra le diverse componenti professionali e tra le unità operative afferenti, è fondamentale che il candidato nominato possa esercitare un concreto potere organizzativo, con una forte responsabilizzazione del ruolo di coordinamento, derivante sia dai vertici aziendali sia dal direttore del dipartimento e dal direttore del servizio infermieristico.

 

Le relazioni funzionali tra il coordinatore infermieristico di dipartimento, il servizio infermieristico e i coordinatori delle unità operative. 

Al fine dell’efficace esplicitazione delle proprie funzioni, il coordinatore infermieristico di dipartimento deve poter contare su una perfetta collaborazione dei caposala di unità operativa; se la prima figura deve essere attenta a non entrare troppo in merito alle decisioni clinico assistenziali e sui carichi di lavoro, questi ultimi devono invece essere preparati a fornire un supporto continuo, preciso e puntuale e dei report mensili in merito all’attività gestionale della propria struttura. 

I coordinatori infermieristici di dipartimento sono generalmente posizionati in “line” gerarchica e funzionale con il direttore del servizio infermieristico: quest’ultimo, riunisce a cadenza programmata tutti i coordinatori infermieristici di dipartimento per promuovere e verificare l’attinenza dei modelli gestionali e di lavoro con gli obiettivi aziendali. Inoltre, specifiche riunioni sono indette per verificare l’andamento dei programmi di aggiornamento professionale, di ECM e per il controllo dei processi di accreditamento e di verifica della qualità assistenziale.

Estemporaneamente sono previsti degli incontri con il direttore generale, tanto più necessari oggi, nel frangente attuale, in cui s’inizia a delineare anche l’attività libero professionale intra-moenia (legge 1/2002).

 

Punti di forza e di debolezza del coordinamento infermieristico di Dipartimento.

 

Partendo dal presupposto che il concetto di fidelizzazione sia fondamentale nell’ottica manageriale aziendalistica, così come il risparmio di risorse per mezzo di una migliore integrazione e flessibilità operativa, allora si può concludere che l’opportunità di implementare la funzione di coordinamento infermieristico di dipartimento diventa una “conditio sine qua non” per raggiungere l’obiettivo. Al momento, le esperienze in atto hanno dato risultati lusinghieri, garantendo qualità, continuità e uniformità dell’assistenza infermieristica, anche in situazione di carenza, migliorando la comunicazione tra servizi, reparti e uffici che, diversamente, rimarrebbero a “tenuta stagna”, sempre più orientati verso pericolose spirali operative autopoietiche e autoreferenziali.

Certamente, la nuova figura del coordinatore infermieristico di dipartimento ha avuto un avvio difficile, scarso riconoscimento formale da parte dei colleghi e, talvolta, un insufficiente supporto da parte dei superiori gerarchici. In alcune realtà, l’aspetto incentivante e valutativo non sempre è stato all’altezza richiesta. Ciò ha comportato distorsioni nelle aspettative di ruolo e, a volte, anche conflitti intra ruolo e tra ruoli di coordinamento.

Per questo motivo, parimenti alla pubblicazione di articoli che menzionano delle sperimentazioni organizzative molto positive, si è a conoscenza di caposala di dipartimento che hanno rassegnato l’incarico, oppure che hanno intrapreso delle scelte professionali diverse.

 

 

 

LA FUNZIONE DI "COORDINAMENTO INFERMIERISTICO" TRA CORSI E RICORSI STORICI.

 

 

Il coordinamento del personale infermieristico nelle aziende pubbliche era in passato regolato dal D.M. 30/1/1982, subordinato ad una specifica esperienza professionale a partire già dai requisiti di accesso ai corsi (almeno due anni di anzianità di servizio), ed al possesso imprescindibile del certificato di abilitazione alle funzioni direttive dell'assistenza infermieristica, di durata annuale, per l'accesso del personale alle aziende del S.S.N..

Precedentemente, risalendo alle origini storiche delle funzioni di coordinamento infermieristico, si rileva un'alternanza di brevi e ripetuti periodi di quasi "sanatoria" in cui si poteva anche prescindere dal titolo di studio di abilitazione alle funzioni direttive qualora il personale possedesse una certa anzianità di servizio; si ritornava poi però, subito dopo, quasi per "furore di popolo", alla re-introduzione del requisito del titolo di abilitazione alle funzioni direttive.

Oggi giorno, con il D.P.R. n°220/01 si è assistito all'abrogazione del D.M. 30/1/1982: niente più certificato di abilitazione per accedere alle funzioni di coordinamento di tale area.

Le ripercussioni conseguenti a questa scelta hanno sicuramente avuto un forte impatto sull'organizzazione dell'assistenza infermieristica nelle aziende sanitarie.

La funzione di coordinamento infermieristico è oggi considerata quasi un fattore opzionale nell'ambito della gestione ed organizzazione dei servizi, la cui sopravvivenza è rimessa al totale potere discrezionale degli enti, ed è assoggettata all'istituto contrattuale dell'incarico a tempo determinato;  la letteratura scientifica, invece, ne avvalora sempre più l'importanza strategica all'interno dei meccanismi operativi aziendali.

Le aziende sanitarie, non potendo più acquisire dal mercato infermieri in possesso del certificato di abilitazione alle funzioni direttive, in assenza di nuove disposizioni, stante in ogni caso l'esigenza palese di dotare le proprie unità operative e i dipartimenti di questa indispensabile funzione, affidano il coordinamento a infermieri totalmente digiuni di qualsiasi necessaria e specifica formazione.

Il D.P.R. n°220/01, creando, di fatto, le premesse per i successivi risvolti contrattuali, ha modificato la normativa precedente a tal punto che, in molte aziende, i caposala precedentemente inquadrati in una categoria superiore rispetto agli infermieri, sono venuti a ritrovarsi in situazioni di reale scavalco da parte di questi ultimi.

La presenza di norme di garanzia ha permesso in molti casi di risanare, con perequazioni economiche, oppure con spostamento di profilo (passaggi interni dei coordinatori al DS; attribuzione di incarichi di posizione organizzativa), quanto avvenuto in seguito al cambiamento legislativo; si ha invece l'impressione che permanga, in alcune realtà, la sensazione di precarietà e di confusione di competenze e ruoli che non permette un vero management coerente e produttivo per chi è deputato al coordinamento e alla direzione infermieristica.

Da un punto di vista di un reale sviluppo professionale della figura infermieristica, il mancato riconoscimento in "forma definitiva" dell'affidamento delle funzioni di coordinamento infermieristico, così come l'introduzione della valutazione periodica, possono essere lette in una chiave di lettura di sprone e incentivo a "fare bene"; parimenti, altri infermieri, sostengono che ci troviamo di fronte ad un ruolo molto critico, e che l'introduzione di una intrinseca instabilità strutturale, la stessa "forma provvisoria" dell'incarico di coordinamento, indeboliscono l'autonomia professionale del coordinatore.

Il recente disegno di legge, in discussione presso la Camera dei Deputati, recepisce alcuni dei suddetti rilievi sostanziali (che sono poi quelli indicati dall'O.M.S.) in merito alla funzione di coordinamento del personale infermieristico, prevedendo come requisito di accesso alla funzione il possesso del titolo di "management per le funzioni di coordinamento", conseguito in ambito universitario, oppure il certificato di abilitazione alle funzioni direttive dell'assistenza infermieristica, cui si aggiunge un'esperienza almeno triennale maturata nel medesimo profilo di base. Il provvedimento prevede anche l'iscrizione dei soggetti in possesso dei requisiti di coordinatore infermieristico presso il Collegio IPASVI.

Dunque, diventa fondamentale, alla luce delle attuali logiche organizzative presenti nella Sanità e che riguardano anche la creazione dei dipartimenti, il possesso di competenze gestionali da parte di un infermiere specificatamente formato, con una più chiara e piena titolarità delle funzioni di coordinamento infermieristico.

In un prossimo futuro, quanto sopra espresso si dovrebbe rendere concreto con la creazione di una vera dirigenza intermedia, anello di congiunzione tra gli obiettivi aziendali e la prassi infermieristica; ci auspichiamo anche punto di arrivo dei tanti, forse troppi, corsi e ricorsi storici, che hanno caratterizzato l'assegnamento della funzione di coordinamento del personale infermieristico.

 

L'ISTITUZIONE DEL PROFILO PROFESSIONALE DI COORDINATORE INFERMIERISTICO: NORMATIVA IN ATTO E IPOTESI LEGISLATIVE.

 

Premessa.

L'attuale figura del coordinatore infermieristico risulta priva di una formazione "ad hoc" essendo terminati i corsi regionali di abilitazione alle funzioni direttive da circa un decennio.

Il D. Lgs. n° 502/92 di abrogazione, in realtà, prevedeva un ripristino dei corsi di coordinamento a livello Universitario.

Con la normativa successiva, C.C.N.L. 2000-01 e D.P.R. n° 220/01, viene, di fatto, abrogato l'antecedente stato giuridico, il profilo del coordinatore e la normativa concorsuale.

La funzione manageriale di coordinamento, descritta nella legge n°229/99, con l'ampliamento del grado di autonomia dei "ruoli intermedi", non trova concreto riscontro nelle funzioni svolte dalle attuali figure di coordinamento soprattutto qualora siano inserite nella categoria "D", corrispondente ad una declaratoria non adeguata al ruolo svolto e sovente declinato all'interno di unità operative complesse. In merito a quanto sopra enunciato, l'O.d.G. della Commissione Sanità del Senato, nell'ambito della legge n° 251/2000, prevedeva che il coordinatore infermieristico fosse considerato dirigente infermieristico nelle U.O.C.: tale O.d.G. e stato disatteso.

 

Ipotesi e prospettive di evoluzione legislativa.

 

La questione inerente alla futura istituzione di un distinto profilo professionale di coordinatore infermieristico si presenta oggi in termini giuridici nuovi dopo la riforma dell'art.117 della Costituzione, approvata con la legge n°3/2001.

Nelle materie di legislazione concorrente - recita il nuovo art. 117 - spetta alle regioni la potestà, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Si aprono dunque diversi scenari in cui è possibile discutere se le Regioni sarebbero - di fatto - autonome nel derivare principi generali dal complesso delle norme statali già vigenti in materia sanitaria, senza dover attendere l'emanazione di specifiche "leggi quadro" di riferimento.

Il primo di due percorsi legislativi evolutivi della disciplina è rappresentato da interventi a livello regionale che s'inseriscono - a prescindere da altri statali - nella scarna cornice legislativa vigente; il secondo, invece, in una nuova disciplina statale "limitata" all'enunciazione di principi di carattere generale. Entrambe le prospettive sono qui di seguito riportate in un quadro sinottico.

 

1.      Il quadro normativo vigente.

 

- l'art. 6 comma 3 del D. Lgs. n° 502/92, in attuazione della delega contenuta nell'art. 1, lett. 0, della Legge n° 421/92, in merito alla formazione del personale sanitario infermieristico, prevede che il Ministro della salute individui tassativamente con proprio decreto le "figure infermieristiche da formare" ed i relativi profili;

- il  D.M. n° 739/94 individua la figura ed il relativo "profilo professionale" dell'infermiere;

- l'art. 6 della legge n° 251/00, recita che il Ministro della salute include le diverse figure professionali esistenti o che "saranno individuate successivamente" in una delle fattispecie di cui agli art. 1, 2, 3 e 4;

- l'art. 1 comma 1 della legge n° 251/00, recita che gli operatori delle "professioni sanitarie infermieristiche" espletano funzioni individuate dalle norme relative ai propri profili;

- il D.M. 29 marzo 2001 include nella fattispecie "professioni sanitarie infermieristiche", di cui all'art.1 della legge n° 251/00, la figura professionale dell'infermiere (e non altre…).

2.  La prospettiva di una nuova disciplina quadro statale.           

 

Lo Stato potrebbe eventualmente ritenere di dover legiferare su alcune (o tutte) le caratteristiche "di principio" nel settore del coordinamento infermieristico:

-          Individuazione, nell'ambito delle professioni sanitarie infermieristiche della figura di "coordinatore", con la posizione di un autonomo profilo che ne individui le "specifiche" funzioni, attualmente non esaustive neppure nella posizione economica DS;

-          Diritto alla denominazione ufficiale di Capo sala invece di "collaboratore" (già  "coordinatore");

-          Obbligo di una formazione manageriale;

-          Garanzia di salvaguardia dei titoli pregressi acquisiti;

-          Apposito elenco nell'albo dei collegi IPASVI

 

COORDINAMENTO INFERMIERISTICO: QUADRO SINOTTICO DI RIFERIMENTO NORMATIVO. 

 

o       R.D.L. 15 agosto 1925, n. 1832

“Istituzione presso le scuole convitto di un  terzo anno di insegnamento per le funzioni direttive”.

 

o       R.D. 21 novembre 1929, n. 2330

“Regolamento per l’esecuzione del R.D.L. n.1832”.

 

o       R.D. (T.U.L.S.) 27 luglio 1934, n. 1265

Art. 134: la direzione delle scuole convitto deve essere affidata ad un’infermiera in possesso del certificato AFD (…).

 

o       Legge 19 Luglio 1940, n. 1098

Si istituiscono le scuole biennali per vigilatrici d’infanzia, con previsione di un terzo anno di corso per AFD.

 

o       D.P.R. 27 marzo 1968, n. 128

“Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”; art. 41: mansionario del capo sala.

 

o       D.P.R. 27 marzo 1969, n. 130

“Ordinamento del personale degli enti ospedalieri”; art. 120: il caposala può essere un IP che non ha il titolo di AFD ma adeguata anzianità (…); comma 2°: gli IP specializzati dipendono direttamente dai sanitari (…).

 

o       D.M. (Sanità) 8 febbraio 1972

“Modificazioni al programma del Corso AFD” (N.d.A. 920 ore).

 

o       D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225

Il D.P.R. non s’interessa della figura del capo sala non riconoscendolo come a sé stante rispetto all’IP…

 

o       Nelle bozze contrattuali sia del 1974 sia del 1979 la figura del capo sala è prevista ad esaurimento. Nei contratti siglati però viene mantenuta.

o      

         Contratto 1979

Allegato 1: i dipendenti inquadrati al 6° livello (il capo sala era tra questi fino al 1987) hanno “…compiti d’indirizzo, guida, coordinamento e controllo nelle unità operative…”.

 

o       D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761

“Stato giuridico del personale del SSN”; allegato 1: inquadramento del capo sala  nella tabella I – Personale infermieristico come operatore professionale coordinatore – 1^ ctg.

 

o       D.M. 30 gennaio 1982 (modifato il 3 dicembre 1982)

“Regolamento recante  la disciplina concorsuale”. Per la posizione di operatore  professionale coordinatore si richiede il certificato AFD e almeno due anni di anzianità come IP.

 

o       D.P.R. 7 settembre 1984, n. 821

“Attribuzioni del personale sanitario non medico addetto al SSN”; art.20: l’operatore professionale coordinatore svolge le attività di assistenza diretta attinente alla propria competenza professionale. Coordina l’attività del personale nelle posizioni di collaboratore e di operatore professionale di II categoria a livello di unità funzionale ospedaliera e di distretto predisponendone i piani di lavoro (…). Profilo storico del capo sala.

 

o       D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502

“Revisione della disciplina in materia sanitaria a norma dell’art. 1 della Legge         23 ottobre 1992, n. 421”;  art. 6, c. 3: in forza a quest’articolo saranno sospesi dopo un biennio anche i corsi di formazione AFD, includendosi nelle “scuole e corsi disciplinati dal precedente ordinamento”, con previsione del ripristino in ambito universitario…

o       D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626

“Attuazione delle direttive CEE 89/391 (…) riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro”. La legge per la sicurezza del lavoro affida un ruolo preminente del preposto – caposala (art. 4).

 

o       D.P.C.M. 19 maggio 1995, G.U. 31 maggio 1995 – Carta dei diritti sanitari

E’ sancito il ruolo fondamentale del capo sala nell’organizzazione della U.O. e nei servizi. Il capo sala deve confrontarsi con la valutazione di qualità fatta dal Cittadino.

 

o       D.P.R. 27 marzo 2001, n. 220

“Regolamento recante la nuova disciplina concorsuale del personale non dirigenziale del SSN”; art.56:  (…) è abrogato il  D.M. 30 Gennaio 1982, recante normativa concorsuale del capo sala; art. 39: cancellazione del titolo di AFD per accedere alle funzioni di capo sala e sostituzione con un’anzianità di servizio triennale per l’accesso al ruolo (biennale se in possesso del titolo AFD), ed una formazione “opzionale” aziendale.

 

o       C.C.N.L. S.S.N. 1998-2001 (I biennio economico 1998-1999)

Introduzione della “declaratoria” per individuare la categoria: per quanto riguarda la cat. “D” si rispetta la falsariga  di quanto contenuto nel D.P.R.  n. 821/1984…Si continua a prevedere “ove sia comunque richiesto”, il titolo AFD, abbreviando a due anni, anziché tre, l’esperienza nel profilo cat. C.

Art.19: l’operatore professionale coordinatore già 1^ ctg. dal 7° livello è reinquadrato nella categoria D, come “collaboratore professionale sanitario”. Art. 16:   criteri e procedure per i passaggi tra categorie (…).

Allegato 1: modalità di accesso alla cat. D: dall’esterno, con pubblico concorso; dall’interno, tramite selezione (art. 16). 

 

o       C.C.N.L. S.S.N. 1998-2001 (II biennio economico 2000-2001)

La declaratoria del profilo della cat. D include anche le funzioni della cat. C. E’ istituita, senza un profilo, la “funzione di coordinamento” revocabile e soggetta a valutazione.

Art. 10: solamente per i caposala già in cat. D che esercitano reali funzioni di coordinamento al 31.08.2001, l’indennità di funzione – parte fissa - spetta in prima battuta ed è  permanente.

Art. 5, comma 2: si accede alla funzione di coordinamento con un’anzianità di 5 anni in C e/o D, 4 per chi possiede il titolo AFD, senza formazione, con incarico conferito dall’azienda sulla base di criteri definiti con procedure di concertazione  di cui all’art.6, c. 1 lettera b) C.C.N.L. 7 aprile 1999.

N.d.A.. Coesistenza di una “funzione” di coordinamento per “incarico” (art. 5, comma 2 contratto integrativo) con una già presente nella declaratoria del “profilo”  della cat. D (allegato 1, contratto integrativo).

 

o       D.L. 12 novembre 2001, n. 402

“Disposizioni urgenti in materia di personale sanitario”; O.D.G. G1 e G2 collegati, seduta n. 81 della Camera del 19 dicembre, approvati dal Senato e dalla Camera: “impegnano il governo a riesaminare con atti legislativi i problemi afferenti alle funzioni del capo sala, ad istituirne il profilo, la formazione manageriale obbligatoria e l’equipollenza  del titolo di AFD col nuovo titolo formativo (master in management) organizzato dalle Università ai sensi dell’art. 3, comma 8 del D.M. 3 novembre 1999, n. 509”.

 

 

 

 

L’ISTITUTO DELLE POSIZIONI ORGANIZZATIVE NEL PUBBLICO IMPIEGO

 

 

Tra coordinamento infermieristico e dirigenza il tertium genus della posizione organizzativa nella lettura del C.C.N.L. comparto sanità 1998/2001.

 

 Le posizioni organizzative sono state introdotte come istituto contrattuale nell’ambito della ridefinizione complessiva delle funzioni ex coordinamento ed ex dirigenziali avvenuta con il C.C.N.L. 1999 e in seguito alla privatizzazione del lavoro pubblico. Le parti contraenti non hanno eccelso nella definizione terminologica dell’istituto ed i vari contratti collettivi di comparto hanno dettato delle discipline poco omogenee. Pertanto, per il comparto sanità, si fa riferimento all’art. 20, in cui è specificato che le aziende ed enti, sulla base dei propri ordinamenti e delle leggi regionali di organizzazione ed in relazione alle esigenze di servizio, istituiscono posizioni organizzative che richiedono lo svolgimento di funzioni con assunzione diretta di elevata responsabilità che, a titolo esemplificativo, possono riguardare settori che richiedono lo svolgimento di funzioni di direzione di servizi, dipartimenti, uffici o unità organizzative di particolare complessità, “caratterizzate da un elevato grado di esperienza e autonomia gestionale ed organizzativa o lo svolgimento di attività con contenuti di alta professionalità e specializzazione”, quali per esempio i processi assistenziali, oppure lo svolgimento di attività di staff e/o studio, di ricerca e di coordinamento di attività didattica. La graduazione delle funzioni è definita da ciascun’azienda in base a criteri adottati per la valutazione delle posizioni individuate. A titolo esemplificativo, le aziende tengono conto dei seguenti elementi:

1) livello di autonomia e responsabilità della posizione, anche in relazione all’effettiva presenza di posizioni dirigenziali sovraordinate;

2) grado di specializzazione richiesta dai compiti affidati;   

3) valenza strategica della posizione rispetto agli obiettivi aziendali;

4) entità delle risorse direttamente gestite.

Per il conferimento, le aziende tengono conto della natura e caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini e delle capacità professionali ed esperienza acquisite dal personale, prendendo in considerazione tutti i dipendenti collocati in cat. D e DS (ex coordinatori e dirigenti) nonché, limitatamente al personale del ruolo sanitario e di assistenza sociale – alla cat. C “per tipologie di particolare rilievo professionale coerenti con l’assetto dell’azienda”.

Nella definizione delle invarianti dell’istituto, cioè le disposizioni comuni a tutti i comparti, emerge che l’incarico che forma oggetto di posizione organizzativa è possibile:

a) esclusivamente per situazioni tipizzate, descritte direttamente dal contratto;

b) con incarichi a termine;

c) caratterizzate da specifica retribuzione variabile;

d) sottoposte alla logica del risultato;

e) soggette a valutazione;

f) revocabili.

L’incarico è conferito con provvedimento scritto e motivato e con valutazione almeno annuale (art. 21, comma 4). Al dipendente cui è stato conferito l’incarico di posizione è corrisposta un’indennità annuale di funzione prevista per tutta la durata dell’incarico; per il comparto sanità è prevista dall’art. 36 e finanziata con il fondo art. 39 ed è compresa nel range tra i 6 e i 18 milioni di lire. Tale indennità assorbe i compensi per lavoro straordinario.

In caso di valutazione negativa l’incarico è revocato con corrispondente perdita dell’indennità di funzione da parte del titolare che resta inquadrato nella categoria di appartenenza è restituito alle funzioni del proprio profilo. A tal fine le aziende e gli enti determinano in via preventiva i criteri che informano i predetti sistemi di valutazione da gestire attraverso i servizi CO. IN. o nuclei di valutazione. In caso di valutazione negativa, gli organismi suddetti, acquisiscono in contraddittorio le considerazioni del dipendente anche assistito da un dirigente sindacale di sua fiducia.

L’esito della valutazione periodica è riportato nel fascicolo personale dei dipendenti interessati. Di esso si tiene conto per l’affidamento di altri incarichi (art. 21, comma 7).

Nei casi in cui, invece, per effetto di una diversa organizzazione aziendale, la posizione sia soppressa ed il dipendente ad essa preposto da almeno tre anni abbia sempre ottenuto valutazioni positive con riferimento ai risultati raggiunti, allo stesso è attribuita la fascia economica successiva a quella di inquadramento.

 

Area quadri e middle management: presupposti giuridici e possibili sviluppi contrattuali per l’istituto delle posizioni organizzative.

 

L’istituto della posizione organizzativa s’inserisce nel processo di graduale e tendenziale superamento del modello classico del pubblico impiego e di trasformazione del modello organizzativo della pubblica amministrazione.

Attuato dopo anni di stretto mansionismo, di blocco dei percorsi di carriera, di mortificazione economica delle professionalità necessarie ai processi di innovazione, questo nuovo modello è caratterizzato dall’abbandono della classificazione del personale per livelli e dal reinquadramento dello stesso in categorie e fasce su più livelli economici all’interno delle quali è possibile rispondere alla ratio della flessibilità d’impiego che sottende all’istituzione delle posizioni organizzative. L’istituto nasce perciò dalla consapevolezza che per alcune funzioni più innovative, pur non rientranti tra quelle dirigenziali, ai fini del processo di trasformazione delle pubbliche amministrazioni, sempre maggiormente knowledge based, in cui il requisito della conoscenza ha un ruolo strategico, fosse necessario introdurre elementi di maggiore flessibilità nello svolgimento delle attività e di predominante orientamento al risultato.

L’istituzione delle posizioni deriva dall’art. 45 del D.lgs. n. 29/93 modificato dai D.lgs. n. 396/97, n. 80/98, n. 387/98, il quale recitava testualmente “per le figure professionali che, in posizione di elevata responsabilità, svolgono compiti di direzione o che comportano iscrizione ad albi oppure tecnico scientifici, sono stabilite discipline separate nell’ambito dei contratti collettivi di comparto”. Tale norma, oltre a riconoscere la necessità di disciplinare in modo separato dall’ordinamento del personale delle aree i “professionisti dipendenti”, in altri termini le categorie di dipendenti pubblici che svolgono le funzioni che richiedono iscrizione ad albi professionali e quelle professionalità, necessarie all’amministrazione, di rilevante contenuto professionale per lo svolgimento di funzioni specifiche, si riferisce anche alla necessità di distinguere dal sistema della classificazione del personale per aree quei funzionari che svolgono attività di rilevante responsabilità ai quali sono imputabili una serie d’attività sia pure non autonome, ma di rilevante contenuto professionale.

Una chiave di lettura in merito alla classificazione delle attività alle quali è imputabile il conferimento dell’incarico oggetto di posizione organizzativa potrebbe rispondere alla ratio di limitare nella prassi operativa un eventuale uso distorto dell’istituto da parte della dirigenza, vale a dire di limitare la possibilità di conferimento di incarichi troppo generici, utilizzando la relativa indennità di posizione per motivi unicamente premiali, gratificanti o propriamente fidelizzanti e non connessi allo svolgimento concreto ed effettivo di funzioni di particolare rilevanza.

I contratti prevedono il conferimento di incarichi per:

a) direzione di unità organizzative, con elevata autonomia organizzativo-funzionale.

b) attività con contenuti di alta professionalità correlate al possesso di titoli di studio universitari (nel comparto Enti locali c’è anche un richiamo alle attività connesse all’iscrizione ad albi professionali).

c) attività di studio, ricerca, staff, di vigilanza, di controllo.

Il conferimento di incarico di posizione organizzativa presuppone inoltre – conditio sine qua non -, così dispongono i contratti dei singoli comparti, che le amministrazioni abbiano realizzato effettive innovazioni organizzative strutturali, cioè che abbiano: 1) istituito e attivato dei servizi di controllo interno 2) ridefinito le strutture organizzative e le dotazioni organiche (ad esempio, istituzione del Servizio infermieristico all’interno di un’azienda sanitaria) 3) attuato i principi di razionalizzazione previsti dal D.lgs. n.29/93, le determinazioni organizzative aventi obiettivo di assicurare l’attuazione dei principi di funzionalità, efficienza, efficacia, economicità, flessibilità, imparzialità, trasparenza (artt. 4, 2), la parità di trattamento nella gestione delle risorse umane (art. 7), il controllo della spesa economica (art. 9).

Il dovere da parte delle amministrazioni di prevedere tali condizioni di attribuzione risponde all’esigenza fondamentale di favorire la funzionalità effettiva dell’istituto e l’operabilità pratica del medesimo, all’interno di un sistema organizzativo che deve presentarsi radicalmente innovato e posto in conformità con i principi generali di razionalizzazione delle attività e delle strutture delle pubbliche amministrazioni.

L’incarico oggetto di posizione organizzativa, non pare esserci dubbi, è funzionale alle strategie gestionali del management e, dunque, sottratto a qualsiasi forma di contrattazione: la definizione dei criteri di conferimento e sistemi di valutazione sono solamente oggetto di consultazione sindacale, anche se si registra in sede di contrattazione integrativa la tendenza dominante a rinegoziare tali aspetti a causa delle spinte pancontrattualistiche, con l’effetto pari passo di una riduzione dell’area del potere manageriale-gestionale della dirigenza.

L’atto di conferimento, infatti, può essere classificato come una delle determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione del personale assunte dal dirigente “con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro” (art, 4, comma 2, del D.lgs. 29/93) ed è riferita alla capacità organizzativa conferita ai dirigenti nell’allocazione delle risorse e nella gestione dei rapporti di lavoro  e al potere di scelta della strategia imprenditoriale più idonea. Di tale scelta, pertanto, il dirigente assume in pieno la responsabilità  e ne risponde in sede di valutazione  dei risultati. All’interno dei criteri e delle procedure per il conferimento degli incarichi, preventivamente determinati, la norma prevede implicitamente una sorta di valutazione di idoneità preventiva, rimessa all’esclusiva discrezionalità del dirigente, sulle capacità del dipendente da scegliere tra le risorse umane a sua disposizione, per svolgere l’incarico che forma oggetto di posizione organizzativa.

L’atto di conferimento è assunto in forma scritta e motivata e deve sicuramente contenere:

a) l’attribuzione di funzioni;

b) il risultato da realizzare;

c) la retribuzione prevista;

d) i termini di esecuzione.

Tuttavia è auspicabile, in ragione della natura performance oriented dell’incarico, che in esso sia precisato anche:

e) il conferimento delle risorse assegnate;

f) la definizione del programma di massima e le relative modalità di esecuzione al fine di renderne oggettivamente valutabile l’attività in itinere.

E’ da notare che, in maniera forse più conforme agli obiettivi ispiratori dell’istituto, il contratto degli enti locali contempla nello specifico sia la retribuzione di posizione sia quella di risultato, la quale varia da un minimo del 10% ad un massimo del 25% della retribuzione di posizione, a ulteriore conferma della logica e della maggiore compiutezza dell’istituto in tale comparto (art. 10, comma 3, CCNL enti locali). La posizione organizzativa cessa in via ordinaria per la scadenza del termine prefissato nell’atto di conferimento ma può essere rinnovata. I contratti prevedono tuttavia casi di cessazione dell’incarico per eventi intervenuti in corsi di attività. Tali eventi sono:

a) la revoca dell’incarico;

b) intercorsi mutamenti organizzativi.

La revoca dell’incarico di posizione comporta la perdita della retribuzione e la restituzione del dipendente alle funzioni del proprio profilo di appartenenza. I contratti parlano correttamente di restituzione alle funzioni proprio a sottolineare che l’incarico non comporta un cambiamento di profilo che rimane immutato, ma determina soltanto una variazione di funzioni che cessano al cessare dell’incarico. L’atto di revoca, assunto dal dirigente con le stesse modalità dell’atto di conferimento, dunque con atto scritto e motivato, è adottato in caso di grave inadempienza in corso di attività con gli obblighi e le responsabilità derivanti dall’incarico. In tal senso possono comportare la revoca:

a) l’inosservanza delle direttive, intesa come scostamento dalle modalità esecutive dettagliatamente preventivate nell’atto di conferimento oppure in applicazione grave delle modalità previste tale da accertare il palese in adeguamento dell’attività svolta al raggiungimento degli obiettivi;

b) l’accertamento di risultati negativi, avvenuto per mezzo delle valutazioni – di norma annuale (art. 19, comma 5, CCNL, comparto Ministeri, art. 9, comma 4, CCNL comparto regioni-enti locali, art. 21, comma 4, 7 CCNL comparto Sanità) – verificati sulla base dei criteri e procedure in ogni caso predeterminate.

La revoca per intervenuti mutamenti organizzativi si ha invece, quando a seguito di ristrutturazioni della struttura dell’ufficio intervenute in corso di attività emerge un nuovo modello organizzativo con la ricollocazione a funzioni (accorpamenti, spostamenti di competenza, divisione di funzioni) che incide direttamente sull’attività che forma oggetto di posizione organizzativa, questa può essere revocata, ferma restando la possibilità di rinegoziare l’incarico adattandolo, laddove ciò sia possibile, al nuovo contesto lavorativo.

E’ nel sistema di valutazione degli incarichi che emergono le più rilevanti differenze tra i vari comparti. Nel comparto regioni enti locali e sanità è previsto, infatti, un sistema di garanzie del dipendente incaricato di posizioni organizzative che ricorda, con le dovute differenze, quello previsto per la valutazione dei dirigenti (D.lgs n. 29/93, art. 21). Il contratto prevede che le amministrazioni prima di procedere alla formalizzazione di una valutazione non positiva acquisiscano in contradditorio le valutazioni del dipendente, anche assistito dall’organizzazione sindacale o da persona di fiducia (art. 9, comma 4, CCNL del compartenti locali). Si tratta ovviamente di una norma più evoluta rispetto a quella degli altri comparti, sicuramente finalizzata a favorire un maggiore peso dell’istituto nel sistema di classificazione e organizzazione del personale.

Risulta evidente che l’incarico di posizione appare un tentativo di introdurre nel sistema di classificazione del personale pubblico non dirigenziale maggiore flessibilità, un sistema di responsabilizzazione performance oriented. In linea di principio potrebbe anche rappresentare un modo per valorizzare le capacità e il merito, soprattutto di quei dipendenti di elevata capacità professionale, si pensi ai knowledge worker, i quali sembrano i veri destinatari dell’istituto visto che le funzioni per le quali è possibile conferire le posizioni presuppongono sempre un elevato grado di conoscenza.

In tale ottica l’istituto sembra guardare nella giusta direzione in quanto pare in sintonia col processo di progressiva acquisizione della risorsa conoscenza come fattore strategico per l’innovazione e il miglioramento del fattore qualità nelle organizzazioni e le amministrazioni potranno attivare nuove competenze basate sulle attività di studio, di ricerca, di comunicazione. Inoltre esso permette di inserire nel sistema organizzativo e gestionale delle risorse umane, secondo i principi della mission, la cultura del lavoro per progetti e del management per obiettivi.

E’ anche un sistema offerto al dirigente per fidelizzare i suoi collaboratori agli obiettivi da raggiungere. Il nuovo sistema della responsabilità della dirigenza pubblica di tipo accountability, ossia rendere conto, per la quale si risponde dei risultati raggiunti nella gestione delle risorse relative all’incarico, non è stato accompagnato dalla previsione di sistemi d’incentivazione del personale delle aree. Allo stato attuale, infatti, il dirigente deve raggiungere i risultati avvalendosi di collaboratori che non sono stati scelti dal suddetto e che sono il più delle volte indifferenti al management – relativamente alla carriera, allo status, all’aggiornamento professionale – rispetto al raggiungimento degli obiettivi. E’ipotizzabile dunque l’uso delle posizioni organizzative anche come strumento incentivante e fidelizzante rispetto agli obiettivi strategici assegnati alla dirigenza.

Nell’istituto delle posizioni – se le funzioni a cui esse si riferiscono sono interpretate come funzioni di stretto supporto alla dirigenza per attività strategiche rispetto al raggiungimento di obiettivi ad essa assegnati – possono, allora ravvisarsi potenzialità superiori rispetto a quelle troppo astrattamente previste con la loro istituzione, come ad esempio la possibilità di trasformare l’incarico di posizione organizzativa in una sorta di middle manager che nel sistema organizzativo funzionale delle amministrazioni pubbliche potrebbe collocarsi in una posizione intermedia tra sistema delle aree e dirigenza. Una siffatta interpretazione consentirebbe di diminuire l’attrito tra un sistema flessibile e orientato ai risultati previsto per i dirigenti con il sistema rigido e indifferente ai risultati previsto per il personale delle aree. La differente natura dei due sistemi, in mancanza di un’area di compensazione e raccordo intermedio, rischia di mantenere ed aggravare la “divisione in due” dell’amministrazione che deve, invece, operare come un corpo unico al cui interno si articolano e si graduano posizioni e funzioni differenti. Un simulacro di tale area di compensazione per metà rigida (in cui l’unità di misura di tale rigidità può essere identificata con il lavoro per tempo standard) per metà flessibile (in cui invece l’unità di misura di tale flessibilità può essere identificata nel lavoro per obiettivo e risultato) si può riconoscere nell’istituto delle posizioni organizzative, soprattutto nella versione prevista per il comparto enti locali e sanità, dove, ad esempio, l’omnicomprensività della retribuzione impedendo la remunerazione del lavoro straordinario determina in concreto il superamento del lavoro “a tempo” essendo, ogni prestazione di lavoro fuori dell’orario ordinario, assorbita nella retribuzione di posizione.

In realtà la questione se nell’istituto delle posizioni organizzative possa identificarsi un’anomala area quadri intermedi è stata più volte posta. Ha trovato notevole impulso a seguito delle recenti ordinanze dei tribunali di Campobasso e Treviso che, chiamati a pronunciarsi con riferimento alla fattispecie dei contratti collettivi che disciplinano le posizioni organizzative e a decidere se tali norme siano sufficienti a costituire la categoria dei quadri nel lavoro pubblico, hanno rimesso all’ARAN ed alle OO.SS. firmatarie, ai sensi dell’art. 68 bis del D.lgs 29 del 1993 (accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi), la questione relativa alla configurabilità nell’ambito del comparto enti locali e dei ministeri della categoria dei quadri.

L’ordinanza in questione solleva dubbi circa la validità degli articoli 8 e 9 del CCNL del comparto enti locali e dell’articolo 13 del CCNL del comparto ministeri in quanto non ottemperanti alla legge n. 190 del 1985, che istituisce la categoria dei quadri nell’impresa privata, applicabile alle pubbliche amministrazioni in forza della privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione disposta dall’articolo 2, comma 2, del D.lgs 29 del 1993.

Sarà perciò il giudice ordinario a dire se nella pubblica amministrazione dovrà essere riconosciuta l’area dei quadri e a dare impulso alla sua istituzione - che eventualmente dovrà seguire la via maestra dello strumento contrattuale, ferma restando l’impraticabilità della via normativa alla soluzione del problema per contrasto con l’art. 2 del D.lgs. 29/93 e con i principi generali della riforma che hanno imputato la materia all’autonomia negoziale delle parti contrattuali.

In ogni caso è difficile sostenere, dal punto di vista organizzativo-funzionale, che le posizioni organizzative possano rappresentare un modo per rispondere a questa eventuale mancanza. Esse pur avendo alcune caratteristiche imputabili alla vicedirigenza restano dei meri incarichi temporanei e non corrispondono all’assunzione di una posizione consolidata e a tempo indeterminato all’interno del sistema organizzativo dell’amministrazione come si chiede per la categoria di quadro. Il conferimento di posizione organizzativa è transitoria, revocabile e non continuativa; non ha, inoltre, natura generalizzabile o, quanto meno, estensibile ad una buona parte del personale appartenente alla carriera dei quadri direttivi, in quanto connessa a ben specifiche funzioni. L’intrinseca temporaneità e provvisorietà dell’incarico e la non corrispondenza ad una posizione consolidata all’interno del sistema organizzativo-funzionale dell’amministrazione, negano la stabilità dell’inquadramento come middle management che è invece presupposta per la categoria di quadro “la categoria dei quadri è costituita dai prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza (art. 2, comma 1, legge n. 190/1985).

In ogni caso, a prescindere dall’istituzione o meno dell’area dei quadri, l’istituto delle posizioni organizzative merita senz’altro di essere potenziato soprattutto in quei comparti (aziende sanitarie, enti pubblici) in cui non è compiutamente regolamentato e adeguatamente utilizzato. Nella prospettiva di una migliore implementazione è opportuno allora valutare se sia possibile delineare una precisa strategia contrattuale di parte pubblica, volta ad una maggiore valorizzazione, nel prossimo futuro, dei knowledge worker attraverso tale istituto contrattuale da tradurre in specifici atti di indirizzi all’ARAN.

 

ISTITUZIONE DELLE FUNZIONI DI COORDINAMENTO per le professioni infermieristiche

 

Art. 1

(Istituzione della funzione di coordinamento)

1. E’ istituita la funzione di coordinamento per il profilo professionale dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico.

2. Con decreto del Ministro della sanità, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è attivata la funzione di coordinamento e reso operativo il suo esercizio in tutte le organizzazioni sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private.

Art. 2

(Definizione)

1. Per funzione di coordinamento di cui all’articolo 1, si intende:

a) l’organizzazione, gestione e valutazione dei professionisti infermieri o infermieri pediatrici e degli operatori che li coadiuvano;

b) la pianificazione, gestione e valutazione dei diversi processi a valenza sanitaria e socio sanitaria afferenti alla funzione infermieristica e alla funzione alberghiera;

c) la gestione delle risorse tecnico-strumentali, dei presidi sanitari e tecnologici.

Art. 3

(Titolare della funzione di coordinamento)

1. L’esercizio della funzione di coordinamento è espletato da coloro che siano in possesso contestuale dei seguenti requisiti:

a) di un master di primo livello in management per le funzioni di coordinamento nell’infermieristica rilasciato dall’università ai sensi dell’articolo 3, comma 8, del regolamento di cui al decreto del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509.

b) di esperienza triennale nel profilo di appartenenza.

2. Il certificato di abilitazione alle funzioni direttive nell’assistenza infermieristica e nell’assistenza infermieristica pediatrica è valido per l’esercizio professionale dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico.

3. Gli abilitati alle funzioni direttive nell’assistenza infermieristica in base alla pregressa normativa sono considerati a tutti gli effetti coordinatori infermieristici.

Art. 4

(Registri)

1. Il Collegio infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d’infanzia tiene, in corrispondenza del relativo albo, l’elenco degli infermieri e degli infermieri pediatrici in possesso del master di primo livello in management per le funzioni di coordinamento nell’infermieristica e nell’assistenza infermieristica pediatrica.

… (omissis)

   

 IL COORDINAMENTO INFERMIERISTICO DI DIPARTIMENTO

 

La funzione di coordinamento infermieristico di dipartimento ha una storia recente e strettamente connessa al processo di aziendalizzazione avvenuto nella sanità. Il coordinatore infermieristico di dipartimento è una figura nuova, che si va creando sulla base delle caratteristiche e finalità del management presente nelle singole realtà in cui è nominato, piuttosto che per una reale volontà normativa innovativa del legislatore.

La possibilità di poter disporre di ruoli di coordinamento infermieristico di area omogenea o di unità operativa complessa, dunque non solamente di unità operativa semplice, è ritornata oggi in auge, pur disattesi gli O.d.G. collegati alla legge 251/2001 che prevedevano, espressamente, la dirigenza infermieristica “intermedia” e di dipartimento.

Oggigiorno, grazie all’implementazione dell’organizzazione di tipo dipartimentale, prevista a suo tempo dalla legge 421/92 e dalla legge 549, si richiedono nuovi modelli gestionali rispondenti allo scopo di assicurare il massimo impulso allo sviluppo di una logica organizzativa su base fiduciaria, imperniata sulla funzione di coordinamento di compiti e risorse e sulla valutazione del personale, per il miglioramento dell’efficienza operativa, dell’economia di gestione e del progresso tecnico scientifico.

 

Il coordinatore infermieristico di dipartimento

 

Queste premesse hanno posto le basi per la creazione della figura del coordinatore infermieristico di dipartimento all’interno delle realtà aziendali, professionalità idonea a svolgere una più ampia e autonoma funzione manageriale rispetto al coordinatore di unità operativa semplice; a tal fine si è reso opportuno programmare dei percorsi specifici di selezione e di formazione.

A seguito di quanto previsto dagli artt. 20 e 21 del CCNL 07/04/1999 Comparto Sanità, le aziende possono assegnare l’incarico di posizione a coloro i quali sono nominati per ricoprire il ruolo di coordinatore infermieristico di dipartimento. Tramite l’approccio del marketing interno, come modalità per avere le domande dei candidati alla selezione, si procede all’emissione di un bando, esplicitando il profilo ed i prerequisiti richiesti ai candidati. Il direttore del servizio infermieristico (o il responsabile dell’ufficio) è la figura titolare deputata a fornire tutte le informazioni e i chiarimenti relativi alla descrizione del ruolo che si va ricoprire.

Certamente, l’eventualità di poter ricoprire tale incarico di funzione è interessante, motiva e gratifica i caposala di unità operativa, ma affinché sia poi funzionale al dipartimento stesso è necessario che chi va a ricoprire l’incarico possegga le competenze e le attitudini per svolgerlo.

 

Requisiti richiesti per la scelta dei coordinatori di dipartimento

 

A tal fine, la finora scarsa letteratura, rimanda agli artt. 20 e 21 del CCNL 07/04/1999 Comparto Sanità. Oltre all’assegnazione dell’“incarico di posizione”, successivo – e non preventivo - alla “nomina” vera e propria, al fine di poter ricoprire il ruolo di coordinatore infermieristico di dipartimento è necessaria una specifica graduatoria, formulata a seguito di un procedimento selettivo di valutazione. Quest’ultimo, in teoria, si ritiene che dovrebbe essere almeno pari, se non più articolato e complesso rispetto a quello per l’assegnazione delle funzioni di coordinamento di unità operativa semplice (ufficio o reparto).

Dai dati emersi in un’apposita ricerca, i requisiti emanati sui bandi interni di selezione, ritenuti imprescindibili per la presentazione delle domande, contemplano il possesso dei seguenti titoli: a) esperienza di cinque anni come CPSI in categoria D, di cui almeno due presso il dipartimento interessato b) possesso del certificato AFD o diploma universitario di scuola diretta ai fini speciali o Master in management. I successivi punti che concorrono ad una valutazione complessiva ai fini dell’assegnazione dell’incarico di funzione, prendono poi in considerazione altri items oggettivabili, inerenti all’area delle conoscenze (titoli di studio), dell’insegnamento (docenze/tutorship), della ricerca scientifica (pubblicazioni), dell’esperienze di coordinamento (curriculum vitae) nonché della formazione (partecipazione a corsi attinenti alle funzioni e allo specifico ambito del dipartimento, anche come relatore).

Inoltre il curriculum vitae è uno strumento importante per la selezione in quanto permette di evidenziare competenze relazionali e sulle motivazioni, ma anche sull’impegno individuale del candidato nella vita professionale.

 

Ipotesi di attribuzione di funzioni aggiuntive al coordinatore di dipartimento.

 

L’attribuzione dell’incarico di coordinatore infermieristico di dipartimento può aggiungersi alle funzioni già ricoperte dal candidato come coordinatore di unità operativa semplice oppure, in altri casi, lasciando la precedente funzione ad un collega di nuova nomina; inoltre, risponde gerarchicamente al direttore di dipartimento per le funzioni specifiche all’attività dipartimentale attribuitigli e funzionalmente al direttore del servizio infermieristico (oppure, se mancante, all’ufficio ìnfermieristico).

Il coordinatore infermieristico di dipartimento, oltre alle funzioni proprie del profilo di appartenenza definite dalla normativa, ha la responsabilità della gestione infermieristica complessiva del dipartimento, del coordinamento tra processi trasversali e unità operative afferenti al dipartimento e del mantenimento dei rapporti di rete con gli altri dipartimenti e servizi aziendali. Si rileva che, l’attribuzione di ipotetiche funzioni aggiuntive a questa figura, nel panorama delle aziende sanitarie che finora sono state interessate al processo di implementazione del coordinamento infermieristico di dipartimento, ha riguardato alcune prevalenti attività:

- rappresentare il personale infermieristico del dipartimento nei rapporti con i vertici di direzione;

- contribuire alla gestione del budget per quanto di propria competenza;

- promuovere lo sviluppo di nuovi modelli organizzativi;

- definire gli standard assistenziali, gli indici di complessità e individuare gli indicatori di verifica

della qualità delle prestazioni;

- gestire le risorse umane del dipartimento;

- collaborare alla valutazione e alla stesura di un sistema incentivante il personale infermieristico;

- ripartire il personale infermieristico e di supporto del dipartimento nelle diverse unità operative tenendo conto dei carichi di lavoro in accordo con i caposala delle unità operative semplici;

- contribuire alla stesura di protocolli e linee guida operative del dipartimento;

- contribuire alle iniziative di aggiornamento del personale;

- verificare e valutare il fabbisogno infermieristico;

- controllare le attività e i comportamenti del personale, anche da un punto di vista deontologico, di concerto con i caposala delle unità operative semplici.

Ai fini di un reale integrazione nei singoli dipartimenti tra le diverse componenti professionali e tra le unità operative afferenti, è fondamentale che il candidato nominato possa esercitare un concreto potere organizzativo, con una forte responsabilizzazione del ruolo di coordinamento, derivante sia dai vertici aziendali sia dal direttore del dipartimento e dal direttore del servizio infermieristico.

 

Le relazioni funzionali tra il coordinatore infermieristico di dipartimento, il servizio infermieristico e i coordinatori delle unità operative. 

Al fine dell’efficace esplicitazione delle proprie funzioni, il coordinatore infermieristico di dipartimento deve poter contare su una perfetta collaborazione dei caposala di unità operativa; se la prima figura deve essere attenta a non entrare troppo in merito alle decisioni clinico assistenziali e sui carichi di lavoro, questi ultimi devono invece essere preparati a fornire un supporto continuo, preciso e puntuale e dei report mensili in merito all’attività gestionale della propria struttura. 

I coordinatori infermieristici di dipartimento sono generalmente posizionati in “line” gerarchica e funzionale con il direttore del servizio infermieristico: quest’ultimo, riunisce a cadenza programmata tutti i coordinatori infermieristici di dipartimento per promuovere e verificare l’attinenza dei modelli gestionali e di lavoro con gli obiettivi aziendali. Inoltre, specifiche riunioni sono indette per verificare l’andamento dei programmi di aggiornamento professionale, di ECM e per il controllo dei processi di accreditamento e di verifica della qualità assistenziale.

Estemporaneamente sono previsti degli incontri con il direttore generale, tanto più necessari oggi, nel frangente attuale, in cui s’inizia a delineare anche l’attività libero professionale intra-moenia (legge 1/2002).

 

Punti di forza e di debolezza del coordinamento infermieristico di Dipartimento.

 

Partendo dal presupposto che il concetto di fidelizzazione sia fondamentale nell’ottica manageriale aziendalistica, così come il risparmio di risorse per mezzo di una migliore integrazione e flessibilità operativa, allora si può concludere che l’opportunità di implementare la funzione di coordinamento infermieristico di dipartimento diventa una “conditio sine qua non” per raggiungere l’obiettivo. Al momento, le esperienze in atto hanno dato risultati lusinghieri, garantendo qualità, continuità e uniformità dell’assistenza infermieristica, anche in situazione di carenza, migliorando la comunicazione tra servizi, reparti e uffici che, diversamente, rimarrebbero a “tenuta stagna”, sempre più orientati verso pericolose spirali operative autopoietiche e autoreferenziali.

Certamente, la nuova figura del coordinatore infermieristico di dipartimento ha avuto un avvio difficile, scarso riconoscimento formale da parte dei colleghi e, talvolta, un insufficiente supporto da parte dei superiori gerarchici. In alcune realtà, l’aspetto incentivante e valutativo non sempre è stato all’altezza richiesta. Ciò ha comportato distorsioni nelle aspettative di ruolo e, a volte, anche conflitti intra ruolo e tra ruoli di coordinamento.

Per questo motivo, parimenti alla pubblicazione di articoli che menzionano delle sperimentazioni organizzative molto positive, si è a conoscenza di caposala di dipartimento che hanno rassegnato l’incarico, oppure che hanno intrapreso delle scelte professionali diverse.