Gregucci rappresenta il
simbolo della ricostruzione dalle ceneri di se stessa di una
Lazio che, nell'estate del 1986, azzerò la propria storia
recente per ricominciare tutto da capo. L'intuizione dei fratelli
Calleri fu geniale, e al tempo stesso resa necessaria dalle
catastrofiche condizioni patrimoniali della società: portarono
alla Lazio alcuni giovani ignoti al grande pubblico, a condizione
che avessero capacità, ambizione e voglia di lottare. Gregucci,
così, faceva parte di un gruppeto costituito da perfetti
sconosciuti come Camolese, Sgarbossa o Esposito. Sono nomi che
fanno sorridere, se rapportati alle campagne-trasferimenti della
Lazio di oggi, ma in quel momento la situazione finanziaria della
società non permetteva molto di meglio.
Di questo manipolo di ragazzotti (che fecero comunque per intero
il loro dovere) Gregucci fu l'unico che riusci a emergere ad alti
livelli e a restare alla Lazio per più anni, fino a diventarne
il capitano.
E' stato il classico difensore da destinare alla marcatura del
centravanti avversario (oggi lo si definirebbe sinteticamente un
"centrale"), forte fisicamente e molto abile di testa,
tanto da sfruttare questa sua caratteristica anche in zona-gol.
Fascetti credette in lui quasi immediatamente, assegnandogli
senza timore il posto di titolare a differenza di quanto fece con
gli altri giovani nuovi arrivati che ebbero sempre la necessità
di sudarsi un posto in squadra. Diventò, così, un titolare
inamovibile della Lazio per alcuni anni.
Il fatto che abbia preso parte alla rinascita della Lazio (dalla
serie C che sembrava oramai quasi inevitabile, alla serie A
perfino con qualche speranza europea) ha fatto in modo che i
tifosi laziali abbiano stretto con lui un legame davvero
fortissimo. E' assai probabile che a cementare ancora di più il
rapporto tra giocatore e tifoseria abbia contribuito anche (o forse
soprattutto) l'atteggiamento di grande attaccamento alla maglia (come
un po' retoricamente amano dire i tifosi) dimostrato nel corso
degli anni. Il pianto irrefrenabile appena terminata la partita
con il Campobasso nello spareggio di Napoli resterà sempre negli
occhi di tutti i laziali che negli anni '80 hanno vissuto i
momenti più difficili della Lazio.
Quando fu ceduto, perché era chiaro che ormai era in fase
discendente, lasciò tra i tifosi il classico rimpianto dovuto
all'affetto e all'emotività e non dettato da considerazioni di
carattere tecnico. Riuscì a dare ai tifosi un grande dispiacere
quando, tornando all'Olimpico da avversario con la maglia del
Torino, segnò un gol a pochi minuti dalla fine che condannò la
Lazio alla sconfitta. Come spesso accade in questi casi evitò di
esultare, e i tifosi (sempre sensibili a queste manifestazioni,
anch'esse probabilmente eccessivamente cariche di retorica)
apprezzarono non poco il gesto del vecchio capitano.