Pensione di reversibilità e/ai figli inabili
I
familiari del lavoratore hanno diritto, al momento della morte di questo e in
presenza di determinati requisiti, ad un trattamento economico.
Nel caso di figli, questi hanno diritto alla pensione di reversibilità (detta
anche pensione ai superstiti) sempre quando sono minori di età, o se
maggiorenni non oltre il 21mo anno se studenti di scuola media o professionale o
il 26mo anno nel caso siano studenti universitari. Per i maggiorenni è sempre
richiesta la “vivenza a carico” del genitore al momento del decesso.
I figli riconosciuti &à147;inabili al lavoro” hanno diritto alla pensione
di reversibilità senza limiti di età, purché al momento del decesso del
genitore siano a carico di questo.
È
importante chiarire cosa la legge intende per “inabile” e per “vivenza a
carico”.
L’inabilità è un concetto diverso dall’invalidità civile, pertanto coloro
che hanno già un riconoscimento di invalidità, anche se del 100% o del “100%
con necessità di assistenza continua”, non hanno diritto automaticamente alla
pensione di reversibilità così come chi ha il 75% non ne è automaticamente
escluso, ma devono essere riconosciuti “inabili al lavoro” dall’ente
erogatore della prestazione (l’INPS per quanto riguarda i dipendenti privati,
il Ministero del Tesoro in generale per i pubblici -ogni comparto ha poi il
proprio ente di riferimento).
Il concetto di inabilità viene citato dalla legge n. 222 del 12 giugno 1984
(art. 2): “si considera inabile [... colui] il quale, a causa di infermità o
difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità
di svolgere qualsiasi attività lavorativa”. Già precedentemente tale
concetto era stato introdotto addirittura con il DPR n. 818 del 1957.
Per quanto riguarda invece il concetto della vivenza a carico per i figli
inabili la circolare INPS n. 198, 29/11/2000 stabilisce che al momento del
decesso, il figlio inabile non risulti titolare di un reddito annuo pari a
quello stabilito per l’erogazione della pensione per gli invalidi civili; se
poi il figlio inabile è riconosciuto #147;nella impossibilità di deambulare
senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di
compiere gli atti quotidiani della vita, necessiti di una assistenza
continua”, quel limite viene aumentato dell’importo dell’indennità di
accompagnamento (per il 2003 è di 431,19 euro mensili; il limite di reddito in
questo caso è di 18.277,48 euro).
I redditi da considerare sono i soli assoggettabili all’IRPEF (non vanno
quindi conteggiate le provvidenze economiche di invalidità civile). Tali
criteri per l’individuazione del reddito sono adottati per i decessi
intervenuti successivamente alla data del 31 ottobre 2000, data della Delibera
del Consiglio di Amministrazione dell’INPS n. 478, che ha appunto definito i
nuovi parametri (prima di questa data venivano seguiti gli stessi criteri
adottati per l’individuazione del limite di reddito in materia di assegni
familiari, e quindi si considerava il trattamento minimo di pensione aumentato
del 30%).
Sia per
stabilire l’inabilità al lavoro che per la vivenza a carico del figlio,
l’ente erogatore prende come riferimento il momento del decesso del genitore.
Però se una persona viene riconosciuta titolare del diritto alla pensione di
reversibilità perché in quel momento ricorrono i requisiti necessari, questo
stesso diritto viene meno se, successivamente, uno di questi viene a
modificarsi.
Se quindi, una persona giudicata “inabile al lavoro”, viene poi assunta e
svolge una qualche attività lavorativa, anche part-time, e conseguentemente
risulta titolare di reddito da lavoro, perde il diritto alla pensione di
reversibilità; attenzione: la perdita del diritto alla pensione di reversibilità
è definitiva, cioè viene esclusa la possibilità di ripristino anche nel caso
in cui intervengano successivamente le dimissioni o il licenziamento -circolare
INPS n. 289, 24/12/91). La circolare INPS n. 137, 10/7/01 ha però introdotto
una eccezione specificando che le persone che svolgono attività lavorativa con
finalità terapeutiche presso cooperative sociali (cooperative di tipo B, legge
n. 381/91) hanno diritto alla pensione di reversibilità.
Decorrenza
e quote
La pensione di reversibilità decorre dal primo giorno del mese successivo a
quello del decesso del genitore e spetta in una quota percentuale della pensione
già liquidata o che sarebbe spettata allo stesso. Per ottenerla occorre
presentare domanda all’INPS, se il lavoratore era iscritto a questo ente, o al
proprio ente di riferimento.
Per le
pensioni decorrenti dal 1 settembre 1995 (Legge n. 335, 8/8/95, art. 1, comma
41; Circolare INPS n. 234, 25/8/95):
- se i superstiti aventi diritto sono il coniuge e un figlio, questi
percepiranno l’80%; se è il coniuge e due figli: il 100%;
- se i superstiti sono solo i figli: per un figlio si percepirà il 70%, per due
figli l’80%, per tre o più figli il 100%.
In sintesi: nel caso di figlio inabile, a questi spetta la pensione di
reversibilità solo se:
- il disabile viene valutato “inabile al lavoro” dal medico INPS;
- è a carico del genitore al momento del suo decesso e non ha un reddito
personale superiore a quello indicato per l’erogazione della pensione di
inabilità (o, se titolare di indennità di accompagnamento di un reddito pari a
quello suddetto aumentato dell’importo dell’indennità stessa).
Copyright @ Norberto.
Sito creato da: |