Prefazione

L'Autore di questa pubblicazione scrive che potrebbe "essere considerato una pecora nera della famiglia, per aver interrotto la gloriosa tradizione degli Stroppa "ferrovieri". Io, invece, posso essere senz'altro considerato una "pecora bianco/nera". E mi spiego.

Facendo felice mio padre, Operaio di 1A classe della Squadra Rialzo di Fabriano, partecipai e vinsi un concorso per Segretario Amministrativo delle F.S. nel 1939, ma solo 60 mesi più tardi (di cui 30 in zona di Operazioni) presi servizio alla Direzione Generale, a Roma, dove - per oltre 42 anni - ho fatto il Ferroviere "a tempo pieno"', e "fuori servizio", lo Scrittore.

Ritengo, quindi, di avere - come ferroviere/scrittore - sufficienti titoli per presentare questa nuova "fatica" storico/letteraria di Luciano Stroppa ed esprimere un obiettivo giudizio sui suoi "contenuti".

Il giudizio è sostanzialmente positivo, in quanto lo scrupolo posto nella ricerca e reperimento di nuovi documenti, dati e testimonianze, e il loro funzionale assemblaggio con quelli già esistenti, consente di integrare e completare l'iter dell'ideazione, realizzazione e sviluppo delle "Strade ferrate nel fabrianese". Non solo.

Stroppa è un attento - e ampiamente documentato - cronista delle vicissitudini, sia belliche che di "politica governativo/aziendale", che hanno via ridotto le capacità (e possibilità) operative di due linee "interne" a suo tempo progettate e realizzate in vista non soltanto di eventuali (e, purtroppo, verificatesi) esigenze belliche, ma anche di funzionali collegamenti socio/economici - incentrati in Fabriano - della direttrice Roma/Falconara/Ancona: precisamente, la linea Fabriano/Urbino/Fano di cui - attualmente - è in funzione solo la breve tratta Fabriano/Pergola (sulla quale, peraltro, incombe la minaccia di soppres­sione), e la Fabriano/Macerata/Civitanova Marche, la cui soppressione è stata progettata e momentaneamente accantonata. Scrive Stroppa: "Ancora oggi viviamo la sorte di queste due linee come la "Spada di Damocle" sospesa sulla testa con un crine di cavallo". Quanto resisterà quel crine?

Personalmente, sono molto pessimista. L'avvenire "privato" delle Ferrovie italiane è molto oscuro. E quello delle linee "improduttive" addirittura nero. La privatizzazione dell'intero comparto ferroviario (viaggiatori e merci) è finalizzato a sgravare lo Stato da pesanti oneri, che sicuramente non vorranno essere assunti dai gruppi privati. Verranno, quindi, privilegiate le linee "produttive"; quelle "improduttive", soppresse. Alla faccia della conclamata - e più volte ribadita - utilità non solo "sociale" del trasporto ferroviario (v. quello "pendolare"), ma anche "ecologica".

Smetto con la polemica, per riprendere il discorso sul libro di Stroppa. Che ha anche il merito di proporre all'attenzione dei lettori - e al ricordo di quelli più anziani, come me - tante vicende (e i relativi protagonisti) del Centro ferroviario di Fabriano. I documenti e le testimonianze raccolte hanno un'eccezionale valenza: non solo "attuale", ma anche a "futura memoria".

E' un libro, questo di Stroppa, che - come ha scritto Pino Falzetti ne L'APPUNTAMENTO, il Periodico del rinnovato D.L.F. di Fabriano -"... rianima personaggi ed episodi che meritavano di essere ricordati".

Episodi festosi, ma anche tragici: che hanno avuto come testimoni/ protagonisti diverse generazioni di Ferrovieri, i quali - come è avvenuto per i Cartai - sono stati per quasi un secolo elementi portanti del contesto socio/economico della nostra Fabriano. Adesso che le Cartiere sono in crisi e i Ferrovieri demotivati (molto demotivati), la funzione di elemento socio/economico trainante è esercitata dalle Industrie Merloni.

Come in passato, però, si continua a evidenziare - come faccio io - il ruolo determinante delle Ferrovie nello sviluppo dell'Economia del nostro Paese, alla cui prosperità esse possono continuare a contribuire. Le Ferrovie sono state - e debbono essere ancora - al servizio della Comunità nazionale.

Pendolari, trasporti merci, Sud: sono aspettative da non deludere, problemi da risolvere. Con l'ammodernamento e il miglioramento dei mezzi e degli impianti e, in definitiva, col potenziamento della Rete nazionale si potranno raggiungere ancora molti traguardi. E la consape­volezza del ruolo principale che compete alle Ferrovie per gli anni avvenire può essere - com'è stato sempre in passato - di stimolo al lavoro dei ferrovieri.

Un lavoro - una presenza, quella dei ferrovieri - di cui non si può fare a meno. Dietro alle macchine più sofisticate; malgrado le tecniche più moderne e progredite - l'elettronica, la cibernetica, i computers -sono pur sempre gli uomini della rotaia i protagonisti dell'esercizio ferroviario. Uomini al servizio di altri uomini.

Chi viaggia in ferrovia li vede, questi uomini: dietro lo sportello di una biglietteria o nell'interno di un ufficio; ne ode la voce che annuncia l'arrivo di un treno; o li vede agganciare e sganciare i vagoni; manovrare gli scambi; percorrere i corridoi dei convogli per controllare i biglietti; alla guida non più di locomotive a vapore ma di elettromotrici, di locomotori e di avveniristici "pendolini". Insieme ai capistazione (ma anche agli operai, ai manovali, ai guardialinee, etc.) hanno il compito di dare, ogni volta, il "movimento" al complesso meccanismo necessario a portare uno, cento, mille passeggeri da Palermo a Roma, a Milano, Torino, Trieste (per citare solo alcune delle oltre duemila stazioni della Rete).

Un meccanismo che non si ferma mai, perché i ferrovieri sono in servizio ventiquattro ore su ventiquattro; in tutte le stazioni, durante tutte le festività. Nessuna esclusa.

Un meccanismo mosso da personale di ordine ed estrazione sociale diversi: in possesso sia di modesti titoli di studio, come di altissime qualificazioni professionali.

Da qualche tempo al servizio di questo meccanismo ci sono anche molte donne. Intendiamoci: le appartenenti al gentil sesso facevano parte da parecchi anni dell'Amministrazione ferroviaria; ma solo come Perso­nale degli uffici. Adesso, invece, sono anche Capi stazione, Capi Gestione; perfino Macchinisti.

Io auspico ed auguro a tutti i ferrovieri di oggi di poter ritrovare le "motivazioni" di affetto (ma anche di soddisfazioni morali ed economiche) che ricreino quella che - da me e da tantissimi altri - è stata considerata (e lo era effettivamente) la "grande famiglia ferroviaria".

Dicendo questo, non vorrei essere tacciato come un "esaltatore del paternalismo". Lo dico per l'orgoglio di aver fatto parte di quella "grande famiglia" che - dopo la disastrosa conclusione di una guerra non voluta - ha ricostruito in pochi anni, con le proprie mani (spesso con le sole mani), la Rete distrutta per oltre il 70%, in uno sforzo generoso che ha accomunato tutti i ferrovieri: dal Manovale al Direttore Generale. Per l'affetto che continuo a nutrire per la ferrovia e per i tantissimi ferrovieri che mi sono divenuti amici leggendo il Periodico VOCI DELLA ROTAIA, di cui sono stato Direttore per lunghi anni. E anche perché sono figlio di un Ferroviere che non era uno dei "musi neri" che guidavano i carducciani "belli e orribili mostri", ma un Operaio che, per molti anni, li ha riparati al Deposito Locomotive di Fabriano, dove anch'io mi recavo spesso ad ammirare le possenti, splendide macchine a vapore: delle quali i "musi neri" erano gelosissimi. Più che delle loro mogli.

Ricordo che una volta ...

No, in questo libro i ricordi sono quelli raccolti da Stroppa. Forse un giorno, quando smetterò di scrivere con una penna ... "gialla", li raccoglierò anch'io a "futura memoria".

Adesso, devo concludere questa "Prefazione". Lo faccio, esprimendo un desiderio personale. Un desiderio che mi porto dietro - inesaudito - fin dall'infanzia, oltre a quello - più recente - di un sollecito ripristino del collegamento con Urbino: la splendida città d'Arte che non merita l'isolamento a cui è stata vergognosamente condannata.

Il desiderio è di vedere completato - prima di quell'ultimo appuntamento a cui, come tutti gli umani, non mi sarà possibile mancare - l'intero raddoppio, sempre promesso e sempre rinviato, del percorso ferroviario che da Roma mi porta - molto di frequente, ora - fino ad Ancona, con soste sempre più lunghe a Fabriano. La città dove sono nato 80 anni fa e che - durante i 60 che il lavoro me ne ha tenuto lontano - è stata costantemente nei miei pensieri e nel mio affetto.

Alberto Ciambricco

 

Alberto Ciambricco (Fabriano, 12 aprile 1920 – Roma, 27 febbraio 2008) è stato uno sceneggiatore italiano attivo in cinema e televisione fra la fine degli anni cinquanta e gli anni settanta.

È ricordato per essere stato, assieme al collega Mario Casacci, il creatore della figura del Tenente Sheridan (impersonato sul piccolo schermo dall'attore Ubaldo Lay) e l'ideatore, nel 1959, sempre assieme a Casacci, della trasmissione televisiva Giallo club. Invito al poliziesco.

Autore anche di testi per colonne sonore, ha firmato talvolta i suoi lavori concernenti il Tenente Sheridan anche con altri autori, come Anton Giulio Majano e Giuseppe Aldo Rossi.

La sua attività di sceneggiatore ha riguardato essenzialmente film per la televisione o miniserie televisive.

Filmografia

  • Giallo club. Invito al poliziesco (1959-1961, miniserie televisiva)
  • La donna di fiori (1965, miniserie televisiva)
  • Tenente Sheridan: Soltanto una voce (1967, film per la televisione)
  • Tenente Sheridan: Paura delle bambole (1967, film per la televisione)
  • Tenente Sheridan: Recita a soggetto (1967, film per la televisione)
  • Sheridana: Squadra omicidi (1967, miniserie televisiva)
  • La donna di quadri (1968, miniserie televisiva)
  • La donna di cuori (1969, miniserie televisiva)
  • La donna di picche (1972, miniserie televisiva)
  • Serata al gatto nero (1973, miniserie televisiva)
  • Così per gioco (1979, miniserie televisiva)

Colonne sonore

  • La donna di picche (1972, miniserie televisiva, brano: Good Wishes, Good Kisses)
  • La donna della domenica (1975, brani: Centomila violoncelli, Whisky)

Da Wikipedia