Liberta’ di
espressione e di
propaganda sindacale in azienda: condizioni e
limiti
Sommario:
1.
L’art.
21 della Costituzione e l’art. 1 dello Statuto dei lavoratori
2.
Condizioni
e limiti dell’esercizio del diritto individuale di libertà di espressione in
azienda
3.
L’ampiezza
del diritto individuale di espressione
4.
La
propaganda a fini sindacali
5.
Il
volantinaggio
1. L’art. 21 della Costituzione e
l’art. 1 dello Statuto dei lavoratori
La
libertà di espressione è un diritto che la Costituzione repubblicana e
democratica ha solennemente riconosciuto all’art. 21, con la formula per cui: “tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il loro pensiero con la parola, lo
scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”.
Titolare
di questo diritto soggettivo “astrattamente” contemplato - e che il legislatore
ordinario ha concretizzato nelle modalità e condizioni, per quanto attiene al
suo esercizio nei luoghi di lavoro - è pertanto ciascun cittadino-lavoratore a
prescindere dalla veste o carica (sindacale o politica) dallo stesso rivestita.
Le
condizioni apposte dall’art. 1 dello Statuto dei lavoratori, in vista di
mantenere il diritto in un ambito di rispetto delle esigenze funzionali
dell’attività produttiva, sono esplicitate in modo piuttosto generico per
effetto di un iter formativo contrastato.
Genericità
che si compendia nell’attuale dizione, ovvia e giuridicamente superflua, che,
sorta per arginare iniziative volte
alla maggiore trasparenza ed inequivocità, incontrò il consenso dell’Assemblea
per la sua sola funzione politicamente compromissoria e giuridicamente inerte,
all’insegna del “quod abundat non deficit”, come acutamente il Sen.
Bermani qualificò l’emendamento attuale recepito in formulazione legislativa.
La dizione in questione è costituita dalla condizione per cui la manifestazione del pensiero nei luoghi di
lavoro da parte dei lavoratori - senza distinzione di opinioni politiche,
sindacali e di fede religiosa - deve avvenire “nel rispetto dei principi
della Costituzione e delle norme della presente legge”, per tale intendendosi
lo Statuto dei lavoratori.
Comunque,
pur con i suesposti difetti e la sua appendice di ovvietà, l’art. 1 dello
Statuto assurge ad un elevato livello di significatività poiché, suo tramite,
si affermò - emblematicamente ed in contrapposizione alla concezione
riassumibile nella formula per cui “in azienda si viene solo per lavorare” -
che nella tipica “ formazione sociale”, costituita dalla comunità di lavoro
aziendale, il lavoratore, lungi dall’abdicare alla propria personalità deve
trovare le condizioni per realizzarla pienamente, in conformità all’art. 2
Cost., fruendo del diritto assoluto di libertà espressiva, tuttavia, in modo da
non trasformarlo in “abusus, id est corruptela”.
Mosso
da questo intento, il legislatore, sia pure con la generica disposizione sopra
citata (con la quale l’art. 1 operò un richiamo al rispetto dei principi
costituzionali), intese: a) salvaguardare i diritti datoriali di autonomia ed
ordinata organizzazione dell’attività d’impresa; b) riconfermare le immanenti
obbligazioni del rapporto di lavoro, nonchè: c) correlare l’esercizio del
diritto di libertà espressiva a quelle condizioni o limitazioni di agibilità
discendenti dalle successive disposizioni della legge stessa, tra cui si
colloca l’art. 26, relativo al proselitismo a favore delle OO.SS. all’interno
dei luoghi di lavoro, notoriamente legittimato a condizione di assenza di “pregiudizio
del normale svolgimento dell’attività aziendale”.
2.Condizioni e limiti
dell’esercizio del diritto individuale di libertà espressiva in azienda
Pertanto,
sulla base dell’art. 1 L. n. 300/’70, ciascun lavoratore in azienda può
manifestare il proprio pensiero - nelle forme più idonee a realizzare lo scopo
prefissosi -, cointeressare i compagni in proprie iniziative, portare a
conoscenze degli stessi le proprie opinioni, prendere posizione aperta nei
confronti di (o in replica ad)
iniziative del datore di lavoro o delle OO.SS. e simili. Tra queste forme si
colloca il dialogo, il dibattito, lo scritto, il volantinaggio di stampati o
comunicati propri o - se di altri - fatti propri per una interiorizzazione
contenutistica ed una identificazione di posizioni ed interessi, senza
peraltro, per questa via, porre in essere un’attività di propaganda. Propaganda
che, secondo la Corte costituzionale sarebbe - dubbiosamente - coperta dalla
libertà di espressione ex art. 21 Cost. (1).
Gli
unici limiti che anche il singolo - a prescindere dalla sua appartenenza a
struttura sindacali, politiche o associative - incontra nell’attività di
manifestazione del pensiero sono quelli discendenti:
a)
dalla legge penale (norme a tutela dell’onorabilità delle persone), talché la
violazione - attraverso la denigrazione o calunnia - occasiona la reazione
legalmente disposta;
b)
dagli obblighi di esecuzione della prestazione (ex art. 2104 c.c.) che non può
essere sospesa o interrotta per esercitare lo specifico diritto (2), talché
l’interessato potrà operare nelle pause, nei riposi, negli intervalli di mensa,
agli ingressi - prima dell’inizio del lavoro - o all’uscita, a fine orario;
c)
dal divieto - desunto ex art. 1, sulla base dell’iter formativo e
rintracciabile nell’art. 26, 1° comma, che, nella specifica tematica è
immanente per il suo aprioristico richiamo da parte dello stesso art. 1 (3)- di
intralciare l’organizzazione del lavoro; situazione che si concretizza
pacificamente qualora l’attività manifestativa induca gli altri lavoratori al
disimpegno (anche temporaneo), all’interruzione della loro prestazione o a similari disservizi.
La
dottrina e la giurisprudenza prevalente hanno oramai raggiunto soluzioni
concordi sulla sussistenza dei limiti sopra esposti (4).
3.L’ampiezza del diritto individuale di espressione
Chiaramente
non opera - a proposito della libertà di opinione e di espressione - il limite
che il legislatore ha apposto alle materie oggetto dell’assemblea ( ex art. 20)
e al diritto di affissione delle RSA (ex art. 25) per il quale, peraltro, ha
accordato la cooperazione datoriale della predisposizione di spazi ed albi, in
luoghi accessibili a tutti i lavoratori: limite di natura contenutistica per
cui il materie di discussione ed i testi e/o comunicati per l’affissione
debbono essere di “carattere sindacale e del lavoro”. Ne consegue che il
diritto dei singoli potrà investire sia gli aspetti sindacali, sia gli aspetti
ideologico-politici, sia quelli religiosi, sia quelli di natura socio-economica
generale o inerenti all’organizzazione e alla gestione aziendale. Il tutto nei
confini del penalmente lecito e senza lesione della proprietà o dei beni del datore
di lavoro (situazione che potrebbe, invece, concretizzarsi per effetto di
particolari e vietate modalità, quali: l’affissione sui cancelli o sui muri di
striscioni o comunicati, la scritta imbrattante sulle pareti, ecc.).
4. La propaganda a fini sindacali
La
propaganda sindacale nei luoghi di lavoro è una manifestazione della libertà di
espressione del pensiero ex art. 21 Cost., finalizzata ad interessare i
lavoratori, ad orientarli su certe posizioni ideologiche (in senso lato) e di
solidarietà professionale con l’intento della loro aggregazione in seno
all’Organizzazione sindacale.
E’ la
forma eletta di proselitismo e si estrinseca nelle modalità più varie: nella
riunione (assemblea ex art. 20 L.n.300/’70), nell’informativa mediante
affissione (nelle bacheche, albi o spazi ex art. 25), nel dialogo di
convincimento accompagnato sovente dalla consegna di stampati che, qualora
assuma carattere intensivo, viene designata - nell’uso comune e nella prassi
sindacale - come “volantinaggio”.
Interessa,
nella dinamica del rapporto di lavoro, conoscere le condizioni di legittimità
di tale forma strumentale di manifestazione del pensiero che ha occasionato -
sia in dottrina sia in giurisprudenza - orientamenti difformi: taluni nel senso
dell’insussistenza di vincoli, altri (più esattamente) nel senso che
l’iniziativa manifestativa incontra sia
i limiti discendenti dall’ordinato
svolgimento della produzione (in aderenza all’obbligo di rispetto
dell’iniziativa privata, ex art.41 Cost.), sia dalle obbligazioni contrattuali
(e legali) di diligente esecuzione della prestazione lavorativa da parte del
lavoratore in quanto tale (o in veste di attivista sindacale) come da parte
degli altri dipendenti dallo stesso avvicinati.
L’opera
dell’attivista sindacale, qualificata e finalizzata a favore delle OO.SS., è
stata sottoposta dall’art. 26 - apertis verbis - alla condizione
dell’assenza di “pregiudizio del normale svolgimento dell’attività
aziendale”. Tale previsione, non palesemente esplicitata a proposito delle
manifestazioni del pensiero non specificamente finalizzate ex art. 1 L.
n.300/’70, ha indotto taluno ad asserire - erroneamente - che il suddetto
vincolo atterrebbe esclusivamente alla propaganda sindacale. L’erroneità della
tesi è palese quando solo si pensi che la stessa legittimerebbe una tutela
dilatata a favore delle manifestazioni “generiche” del pensiero in
contrapposizione a quelle sindacalmente finalizzate, nella presunzione inverosimile
che una legge quale lo Statuto - notoriamente promozionale dell’attivismo
sindacale - avesse in tal senso inteso disporre, attuando nei fatti una
situazione discriminatoria di segno opposto alla ratio che interamente
la permea.
A
differenza ed in più del singolo lavoratore, l’attivista sindacale rivestente
la qualifica di dirigente di RSA beneficia - nell’opera propagandistica - della
prerogativa di inesecuzione della prestazione, fruendo dei permessi
retribuiti ex art. 23 Stat. lav. e
quindi di condizioni di agibilità maggiori per una finalità associativa e di
tutela, considerata dal legislatore più meritevole.
E’
pertanto inesatto ritenere che lo
Statuto dei lavoratori abbia conferito una situazione di monopolio espressivo
alle sole OO.SS. o ai lavoratori sindacalmente associati o membri di RSA, anche
se è fuori dubbio che queste - attraverso il diritto di affissione - fruiscono
di una condizione di favore pienamente giustificata, a nostro avviso, dalla
natura collettiva degli interessi rappresentati e tutelati.
Per
inciso va sottolineato che spesso il Sindacato o le RSA prediligono
all’affissione il “volantinaggio”, in quanto la distribuzione dello stampato -
effettuata nei punti strategici di accesso o di uscita dal lavoro - supera
quelle situazioni di pigrizia individuale, quelle difficoltà logistiche o
quelle remore psicologiche che, ancora, in diversi ambienti, impediscono al
lavoratore di sostare, in lettura, presso gli albi sindacali.
5. Il volantinaggio
Il
volantinaggio, per la maggiore fruttuosità potenziale - allo stesso modo delle
iniziative pubblicitarie o commerciali della tentata vendita “porta a porta”,
rivelatesi più incisive e penetranti dei sistemi tradizionali di acquisto
affidati all’iniziativa dell’utente/consumatore - sta, pertanto, quasi ovunque
soppiantando il metodo dell’affissione. Ciò, per le sue caratteristiche di
capillare introduzione ed al tempo stesso per l’essere sistema meno petulante
ed anacronistico della propaganda a mezzo sistemi di amplificazione (megafoni,
altoparlanti, ecc.), suscettibili - tra l’altro - di imbattersi per i loro
effetti sonori nel divieto di pregiudicare il normale svolgimento dell’attività
lavorativa, di cui al 1° comma dell’art. 26 dello Statuto. Possono, infatti,
introdurre elementi di distrazione dell’attenzione - particolarmente pericolosi
per l’incolumità fisica degli addetti a macchinari o dei lavoratori impegnati
in delicati processi chimici – e, in ogni caso, negativamente interferire
sull’attività concettuale, che richiede condizioni per una serena
concentrazione e riflessione.
E’
stato osservato, condivisibilmente, in dottrina ed in giurisprudenza, come
l’enunciazione del limite all’attività di propaganda e proselitismo nelle sedi
di lavoro, in termini di inesistente turbativa al normale svolgimento
dell’attività, già di per sé escluda la compatibilità dell’esplicazione in
orario di lavoro delle iniziative individuali e/o sindacali di “relazione”
in molteplici attività lavorative
caratterizzate da impegno assiduo o di
estrema concentrazione (operazioni di addetti a catene di montaggio, ad
impianti a ciclo continuo, ad es. nel settore siderurgico o chimico, in
attività di analisi e combinazione di fattori chimici e simili), ove la
distrazione ingenerata dall’iniziativa, oltre a risultare pregiudizievole in
termini di produttività aziendale, può concretizzare reali rischi alla
sicurezza personale o dei terzi. E’ stato anche detto, più elasticamente, che
una flessione minima della produttività aziendale conseguente al coinvolgimento
dei destinatari, inevitabilmente indotti a trascurare per qualche momento il
dovere di prestazione per intrattenersi e dialogare con l’attivista,
commentare, eventualmente replicare (o leggere lo stampato distribuito, in caso
di volantinaggio), non configurerebbe lesione del limite - specie in realtà
aziendali di esplicazione di lavoro intellettuale quali sono gli uffici - in
quanto la legge avrebbe indirizzato la sua attenzione su una nozione di
“normale” attività lavorativa e, conseguenzialmente, avrebbe salvaguardato solo
l’aspetto della “media” produttività aziendale.
Va
comunque sottolineato che, in alcuni casi concreti, sia di interruzione della
prestazione per compiere attività sindacale di relazione con i compagni di
lavoro sia di volantinaggio vero e proprio, la Cassazione ha ritenuto - nel
primo caso - pertinente il richiamo alla ripresa lavorativa rivolto da un capo
reparto ad un sindacalista “in quanto il diritto dei lavoratori di espletare
attività sindacale nei luoghi di lavoro e durante l’orario di lavoro, non si
traduce nell’indiscriminata autorizzazione del singolo dipendente, ancorché
rappresentante sindacale aziendale, ad interrompere, di propria iniziativa, il
lavoro per svolgere attività sindacale anche se queste non si concretizzino in
discussioni vere e proprie, ma implichino tempi minori, come nel caso di
comunicazioni al personale o di espressione di determinate doglianze, dovendo
tali interruzioni trovare giustificazione e legittimazione nell’ambito della
disciplina della L. n. 300 che implicano il ricorso all’utilizzo, con le
relative modalità della richiesta scritta e del preavviso, dei permessi
sindacali ex art. 23 e 24” (5). Nel caso del volantinaggio effettuato in
uffici (locali di una Cassa di risparmio e azienda finanziaria), la S. corte ha
statuito il principio per cui “ la distribuzione di comunicati di contenuto
sindacale all’interno dei luoghi di lavoro (c.d. volantinaggio), assimilabile
all’attività di proselitismo, incontra il limite segnato dall’art. 26, 1°
comma, statuto dei lavoratori, sicché è da ritenersi consentita soltanto se
effettuata ‘senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale’.
Il limite costituito dall’assenza di detto pregiudizio risulta stabilito non
tanto nei confronti di coloro che sono soggetti alla situazione giuridica
tutelata, per confermare il persistente loro dovere di prestazione lavorativa,
che non può venir meno se non in virtù di regolare permesso, quando per
contenere gli effetti dell’indicata iniziativa sindacale sull’attività
lavorativa dei destinatari, suscettibile di essere pregiudicata per la
potenziale idoneità dell’iniziativa stessa a distoglierli dall’esecuzione
normale dei loro compiti di lavoro.
L’esistenza
di siffatto limite non significa però che l’attività di volantinaggio sia a priori preclusa durante l’orario di lavoro, in difetto
di un espresso divieto di legge, ove, non solo sia compiuta da lavoratori in
regolare permesso quali dirigenti di rappresentanza sindacale aziendale, ma
soprattutto quando, avuto riguardo alle caratteristiche organizzative
dell’impresa ed al tipo di lavoro cui siano addetti i destinatari della
distribuzione dei volantini, risulti di fatto non pregiudicato l’ordinato
svolgimento della vita aziendale, sotto il profilo funzionale e produttivo. E’
onere del rappresentante sindacale, in caso di divieto datoriale al volantinaggio
in orario di lavoro ed in caso di ricorso ex art. 28 per attività
antisindacale, provare che le modalità del volantinaggio non sono tali da
pregiudicare il normale svolgimento dell’attività aziendale” (6).
Sul
tema, per mera connessione, va fatto cenno ad una relativamente recente
decisione pretorile (7) che ha legittimato il diritto delle RSA di
pubblicizzare e veicolare le proprie comunicazioni sindacali - secondo una
lettura evolutiva dell’art. 25 L. n. 300’70 - attraverso lo spazio virtuale
della posta elettronica (utilizzato abitualmente dall’azienda per iniziative di
informazione al personale, ivi incluse quelle di contro informazione
sindacale), attivabile nei computers in rete, operando così
un’interpretazione del diritto statutario di affissione in “appositi spazi”,
allineata alle nuove tecnologie utilizzate per la circolazione e diffusione
delle informazioni tra i dipendenti aziendali.
M. Meucci
(pubblicato in Notiziario del
lavoro e Previdenza, De Lillo ed., n.22-23 del 5/15 agosto 1998)
NOTE
(1)Vedi, in senso negativo, Corte cost. 6 luglio 1966, n. 87;
in positivo Corte. cost. n. 84/1969.
(2) Conf. Cass. n. 1066/1978, in Mass. giur. lav.
1978, 466
(3) Conf. Cass. n. 1325/1983, in Mass. giur. lav.
1983,210.
(4) In tal senso si sono espresse, tra le molte, Cass.
n.1325/’83, cit., nonchè Cass. n.1066/ 1978, cit.
(5) Così Cass.
n.5711/1984, in Not. giurisp. lav. 1985,116 e Cass n. 1066/1978, in Mass.
giur. lav. 1978, 466.
(6) Così Cass. 19.8.1986, n. 5089
in Not. giurisp. lav. 1986, 556; cfr. anche Cass. 22.2. 1983, n. 1325,
in Mass. giur. lav. 1983, 210.
(7) Pret. Milano 3. 4. 1995 , Flm
c. IBM Semea, in D&L, Riv.
crit. dir. lav. 1995, 545 e in Or. giur. lav. 1995, 2.
(Ritorna all'elenco Articoli presenti nel sito)