Indebita introduzione giurisprudenziale di valori di esposizione all’amianto per fruire dei benefici contributivi

1.          L’arbitrarietà e l’erroneità del nuovo orientamento della Cassazione (affermato, prima, nella decisione n. 4913/2001 e, poi, nella successiva conforme n. 8859/2001 (1), tramite cui i giudici hanno suppostamente presupposto ricorrente  - nelle intenzioni del legislatore estensore dell’art. 13, 8 comma, della  L. n. 257/1992, attinente al beneficio di una supervalutazione contributiva del periodo ultradecennale di esposizione ad amianto - oltre all’unico requisito costituito dall’arco “ultradecennale di esposizione” (espressamente individuato dal predetto art. 13, 8° comma), quello della c.d. “esposizione quantitativamente qualificata” per effetto del superamento dei limiti di “soglia d’allarme” previsti, per soli fini prevenzionali, dagli artt. 24 e 31 dell’antecedente d.lgs. n. 277/1991, si può  comprendere in tutta la sua pienezza solo rileggendo, con spirito scevro da impostazioni precostituite tese al reperimento di accorgimenti finalizzati esclusivamente a circoscrivere quantitativamente il novero dei possibili beneficiari, la decisione della Corte costituzionale n. 5 del 2000 (2).

Nonostante la Cassazione ritenga il richiamo al requisito dei “limiti di soglia”, ex artt. 24 e 31 d. lgs. n. 277/1991, presupposto e sommessamente indicato dalla stessa Corte costituzionale, una corretta lettura della decisione n. 5/2000 porta ad opposte conclusioni.

Innanzi tutto la Corte costituzionale designa correttamente ed esaustivamente la finalità  dell’art. 13, comma 8, della L. n. 257/1992 – tanto da non poter essere più messa in discussione e quindi caducando implicitamente il vecchio orientamento della Cassazione espresso nelle decisioni n. 6605/1998 (3), n. 6620/1998 (4), n. 7407/1998 (5) e n. 10722/1998 (6) facente perno sul diverso scopo di tutela del bene/occupazione –  finalità individuata nella volontà legislativa di risarcire un danno potenziale (o effettivo) arrecabile al bene della salute. A tal fine espressamente afferma: “Lo scopo della disposizione censurata (art. 13, 8 comma, L. n. 257/92, n.d.r.) secondo quanto si evince  dalla accennata ricostruzione della relativa vicenda normativa, va rinvenuto nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene. Il criterio dell’esposizione decennale costituisce un dato di riferimento tutt’altro che indeterminato, specie se si considera il suo collegamento, contemplato nello stesso articolo 13, comma 8, al sistema generale di assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, gestito dall’Inail. Nell’ambito di tale correlazione, il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale (articoli 1 e 3 del d.p.r. n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio, e, più precisamente, di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza questa, tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure a fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativo, che segna la soglia limite del rischio di esposizione (decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277 e successive modifiche). La disposizione denunciata poggia, quindi, su un sicuro fondamento, rappresentato sia dal dato di riferimento temporale sia dalla nozione di rischio che, com’è noto, caratterizza il sistema delle assicurazioni sociali”.

Nel sopra riferito  passo viene poi indicata esplicitamente la natura e la finalità  - tramite la locuzione  sia pure a fini di prevenzione” – del richiamo del decreto legislativo n. 277/1991, fissativo di "soglie d’allarme", non già di valori scriminanti “l’innocuo dal nocivo”, al disotto dei quali si versa nel campo dell’innocuo e del sopportabile senza rischio, giacchè tali valori una volta superati fanno scattare un complesso di doveri datoriali volti alla sospensione dell’attività lavorativa ed all’azzeramento, tramite bonifica, della situazione di rischio morbigeno e solo  nel caso in cui i locali bonificati rivelino una concentrazione d’amianto (in misura almeno 100 volte inferiore alle "soglie d'allarme" di cui all'art. 24 d.lgs. n. 277/91) non superiore a 2 fibre/litro (sancita dal D.M. 6 settembre 1994 ed omologhi conformi che ad esso fanno espresso richiamo), la restituibilità alla funzione originaria può essere disposta senza apprezzabile rischio morbigeno. Ne consegue che se un valore limite si vuole proprio individuare,  quello fissato dal d.m. 6 settembre 1994 (7) è l’unico esclusivamente compatibile, secondo la volontà del legislatore, con la salvaguardia del bene-salute, non già le “soglie d’allarme” (di cui agli artt. 24 e 31 d.lgs. n. 277/91) fissate legislativamente a soli fini prevenzionali e dalla stessa Corte costituzionale individuate per tale esclusiva e specifica finalità.

In effetti non si rinviene nel pensiero della Corte costituzionale – e tanto meno, ed è questo quello che più conta, nella lettera dell’art. 13, comma 8, della L. n. 257/1992 -  nessun esplicito intento di elevare i limiti di “soglia d’allarme” (di cui agli artt. 24 e 31 d.lgs. n. 277/91) a requisito addizionale  e congiunto con quello dell’esposizione ultradecennale che è l’unico legislativamente contemplato dalla precitata normativa sull’amianto ed espressamente tipizzato quale condizione per la fruizione del beneficio della supervalutazione contributiva. Ed è del tutto logico e naturale che la Corte costituzionale non  sia incorsa in tale errore, né involontariamente né intenzionalmente, giacché non poteva ignorare – come invece fa la Corte di cassazione (ed in questo risiedono i vizi del nuovo orientamento su cui si appuntano le nostre critiche) -  che se per determinate patologie (quali l’asbestosi) il limite di soglia può essere, allo stato delle maturate cognizioni medico/scientifiche, necessario e predeterminabile, tutta la dottrina medica ha concordemente evidenziato l’assoluta refrattarietà della patologia cancerogena indotta dall’esposizione ad amianto (in particolare il mesotelioma pleurico) a qualsiasi, sia pur minimo, limite di inalazione, sufficiente risultando al limite una sola fibra inalata a scatenare, a distanza e dopo latenza più o meno lunga, la degenerazione tumorale ad esito normalmente mortale.

Una volta affermato, come correttamente fa la Corte costituzionale nella decisione n. 5/2000, che la finalità del legislatore estensore dell’art. 13, 8 comma, della L. n. 257/1992, risiedeva  nell’approntare misure di ristoro e di indennizzo nei confronti degli irrimediabili pregiudizi alla salute suscettibili di risolversi in un accorciamento della vita dei lavoratori, l’operazione di introduzione del requisito del superamento di certi “valori di soglia” (contrabbandando come tali quelli delle “soglie d’allarme” prevenzionali) – effettuato dalla Cassazione pressata dall’esigenza”metagiuridica” di circoscrivere la platea suppostamente indeterminata dei beneficiari e tamponare la falla  del rischio di sforamento della copertura finanziaria – è del tutto  inconciliabile con la dichiarata e condivisa finalità legislativa, per le ragioni che  delineeremo di seguito.

 

2.          La soluzione individuata dal nuovo orientamento della Cassazione non ha soddisfatto neppure un attento annotatore (8) della rivista giuslavoristica della Confindustria (il “Massimario di giurisprudenza del lavoro”), il quale condividendo quanto innanzi da noi sottolineato, riscontra ed evidenzia la (supposta) contraddittorietà dell’orientamento della Cassazione con la tutela del bene/salute e si duole che la Suprema corte si sia discostata da quelli   che l’autore ritiene  i più affidabili (quanto a nostro avviso più restrittivi) precedenti giurisprudenziali (menzionati nelle note da 3 a 6) che identificavano il beneficio della supervalutazione contributiva in una misura legislativa di tutela compensativa per i lavoratori (dipendenti da aziende costrette ex lege a dismettere l’utilizzo dell’amianto come materia prima) che si fossero trovati privi dell’occupazione e non avessero potuto ricorrere agli altri strumenti approntati dall’art. 13 (cioè cigs, prepensionamenti, ecc.). Questo autore – di cui si condividono le sole considerazioni portanti ed obiettive, non già l’uso strumentale teso a sostenere la fondatezza della tesi (non  supportata dal testo di legge ed ora sconfessata dalla stessa Corte costituzionale) secondo cui i benefici di supervalutazione contributiva erano finalizzati a compensare la perdita del bene/occupazione e non già a risarcire i pregiudizi potenziali al bene/salute -  così illustra quanto già ampiamente noto alla dottrina medica e cioè che: “ Il mesotelioma – tra le più terribili patologie connesse con l’aerodispersione di fibre di amianto – presenta…le caratteristiche di dose-indipendenza (cioè si attiva anche per esposizione ad infinitesime quantità di amianto, al limite anche ad una sola fibra) e di autosufficienza del meccanismo patogenetico (cioè di irrilevanza  delle esposizioni successive a quella che ha ingenerato l’avvio del processo degenerativo), con l’ulteriore peculiarità che il più alto livello di mortalità si riferisce ai primi due o tre anni di esposizione, con crescita modesta, al più, fino a 10 anni, e quindi con l’eliminazione del rischio dopo tale periodo” (9)

Nell’ottica di resuscitare la diversa tesi – caducata dalla Corte costituzionale -  di finalizzazione della L. n. 257/1992 alla tutela del bene/occupazione, sempre il sopracitato autore si impegna nell’evidenziazione delle contraddizioni del nuovo (insoddisfacente) orientamento della Cassazione (inaugurato con la decisione n. 4913/2001 e confermato nella successiva n. 8859/2001) con la tutela indennitaria o risarcitoria del bene/salute, affermando: “Tale irrazionalità (del nuovo orientamento della Suprema corte, n.d.r.) emerge sia quanto al rischio correlato alla possibile comparsa dell’asbestosi (e dei tumori polmonari che ne costituiscono una degenerazione), poiché per l’insorgenza di tale patologia nell’arco di 10 anni la scienza medica richiede un’esposizione non inferiore a 2,5 fibre/cm3 sulla media ponderata delle 8 ore giornaliere, dunque una concentrazione 25 volte superiore alla soglia individuata nell’art. 24 del d. lgs. n. 277/1991 (come dire, cioè, che la durata decennale, a tali livelli di concentrazione è assolutamente irrilevante, dal momento che non vi è nessuna possibilità che possa insorgere asbestosi), sia quanto alla possibile insorgenza del mesiotelioma, dove al contrario non esiste una soglia di sicurezza ed il rischio è massimo nel primo triennio di esposizione, per poi diminuire al decimo anno e cessare dopo tale termine”…”E’ di tutta evidenza, dunque, che movendo dai presupposti accolti dai giudici di legittimità…e percorrendo un iter interpretativo coerente si approda a conclusioni inique e irrazionali, proprio con riferimento allo stesso bene/salute che si assume destinatario di tutela nelle intenzioni del legislatore del 1992”…cosicchè… “in una logica di tutela della salute, il limite decennale sarebbe talmente irrazionale da dubitare della compatibilità della norma con il precetto di cui all’art. 3 Cost”, giacchè per contrarre  il mesotelioma sarebbe anche sufficiente  sia un lasso di tempo infradecennale sia un limite di soglia ampiamente inferiore a quello individuato (a fini prevenzionali, quale “soglia d’allarme” e d’intervento)  dall’art. 24 d.lgs. n. 277/1991. Invero quello che si acquisisce come dato scientifico inconfutabile (e che per noi rileva)  è che di tumore (mesiotelioma e simili) si muore nell’ambiente di lavoro ove è presente l’amianto, indipendentemente dalla inalazione di fibre oltre un determinato limite di soglia (ed il dato scientifico inconfutabile non può essere impunemente sottovalutato!).

Tornando alla doglianza o addebito di conflitto con l’art. 3 Cost.  a causa della scelta legislativa dell’unico criterio tipizzato selettivamente – rappresentato dalla sola “esposizione ultradecennale” alla sostanza amianto –  va rilevato, peraltro, come essa sia stata già respinta dalla Corte costituzionale nella suindicata decisione n. 5 del 2000, attraverso la  convincente premessa argomentativa, prima di entrare nel merito, secondo cui “non essendo consentito  al controllo di costituzionalità di travalicare in apprezzamenti che sconfinino nel merito delle opzioni legislative, non può ovviamente venire in considerazione, agli effetti di un ipotetico contrasto con il canone di eguaglianza, qualsiasi incoerenza, disarmonia o contraddittorietà che una determinata previsione normativa possa, sotto alcuni profili e  per talune conseguenze, lasciar trasparire”.

Da quanto sopra discende l’irrilevanza  - ai fini di caducare la scelta legislativa del requisito della “esposizione ultradecennale” in se e per se, senza alcuna addizionale integrazione di “limiti di soglia” effettuata, invece, arbitrariamente dalla Cassazione – delle eventuali contraddittorietà o disarmonie conseguenti alla scelta discrezionale, nella misura in cui questa non travalichi o trasmodi nella totale irragionevolezza. Orbene, la scelta od opzione legislativa di condizionare al solo requisito della “esposizione temporale ultradecennale” ad una sostanza ad innegabile rischio morbigeno, la spettanza del beneficio della supervalutazione contributiva del periodo di esposizione medesima, rappresenta di per se un valido e ragionevole criterio selettivo a fini indennitario/risarcitori della platea dei beneficiari e le disarmonie di trattamento  che tale scelta può occasionare costituiscono l’immanente, ineliminabile, conseguenza del carattere di generalità o compromissorietà del requisito selettivo (la durata ultradecennale), assunto dal legislatore quale parametro rivelatore del rischio morbigeno  all’interno dell’ampio ed indefinito panorama delle patologie che l’amianto può ingenerare, a prescindere dal fatto della sufficienza per talune forme tumorali di un lasso di tempo di latenza anche inferiore al decennio (ciò evidenziando semmai e soltanto come l’opzione legislativa si sottragga ad addebiti di “favor” verso i prestatori di lavoro). E giustappunto la Corte costituzionale si premura di affermare – a scanso di equivoci e precludendo di entrare nel merito della tipicità di singole patologie – che “ il concetto di esposizione ultradecennale, coniugando l’elemento temporale con quello di attività lavorativa soggetta al richiamato sistema di tutela previdenziale (art. 1 e 3 dpr n. 1124 del 1965), viene ad implicare, necessariamente, quello di rischio, e, più precisamente di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano,  che l’amianto è capace di generare per la presenza nell’ambiente di lavoro”, senza  richiamo alcuno al superamento di “valori di soglia”, oggetto di introduzione o di presupposizione  tanto creativa  quanto indebita  da parte della Corte di cassazione.

 

3.          Ne consegue che le conclusioni più convincenti, fondate e da noi pienamente condivise per affrontare  la specifica tematica  più che con modernità di vedute con il giusto senso del rispetto della salvaguardia del bene primario della salute – in armonia con la rilevanza costituzionale dello stesso che non sopporta condizionamenti di tipo economicistico - risultano essere quelle che si leggono nell’approfondita ed esaustiva sentenza del Tribunale di Ravenna del 13 aprile 2001 (cit. in nota 7) ove la questione è esaminata “funditus” con dovizia di argomentazioni  (sorprendentemente trascurate dalla Cassazione), il cui rigoroso estensore  si è espresso nel senso che: “In base alla L. n. 257/1992, secondo l'interpretazione della Corte costituzionale resa con la sentenza 12 gennaio 2000, n. 5, i benefici per l'esposizione all'amianto non sono limitati a chi era soggetto al premio per l'asbestosi, né solamente a chi ha perso il posto nel settore amianto, ma sono dovuti a tutti i lavoratori esposti per oltre dieci anni all'amianto - in funzione compensativa/risarcitoria - senza che sia necessario raggiungere una soglia di esposizione, nella logica che è giusto accorciare i requisiti contribuitivi necessari per la pensione a favore di chi ha avuto accorciata presumibilmente la vita per l'esposizione all'amianto e che è soggetto dopo un periodo lunghissimo al sopraggiungere improvviso e imprevedibile di malattie gravissime o della morte.

Le soglie di esposizione all'amianto indicate dal D.Lgs. n. 277/1991 sono irrilevanti ai fini dei benefici previsti dalla L. n. 257/1992 che sono previsti per la semplice esposizione, in via diretta o indiretta, all'amianto, mentre le soglie di esposizione ex D.Lgs. n. 277/1991 non costituiscono «valori limite», perché non hanno la funzione di demarcare in modo rigido l'innocuo dal nocivo, ma hanno solo la funzione di indicare soglie d'allarme, al di sopra del quale deve attivarsi un complesso e adeguato sistema di informazione e controllo; le soglie di esposizione previste dal D.Lgs. n. 277/1991 costituiscono un limite massimo, al di sotto del quale rimane comunque la nocività dell'amianto.

I benefici per l'amianto disposti dalla L. n. 257/1992 sono riconosciuti solo in rapporto al rischio morbigeno ultradecennale, individuato nella legge nella semplice esposizione, senza indicare limiti o standards; la L. n. 257/1992 non indica la necessità di tali limiti e la Corte costituzionale, con la sentenza 12 gennaio 2000, n. 5, ha confermato la legittimità della scelta, mentre i limiti vari e non uniformi previsti in rapporto a specifici fini prevenzionistici non possono valere, per necessità logica e per espressa disposizione di legge, ai diversi fini dei benefici previdenziali; in ogni caso l'unico limite utilizzabile non potrebbe essere che quello previsto dal D.M. 6 settembre 1995 (rectius, 1994, n.d.r.), per cui è prevista la restituibilità dei locali bonificati solo in caso di concentrazione dell'amianto non superiore a 2 fibre/litro (a fronte delle 100 o 200 previste quali "soglia d'allarme" dagli art. 24  e 31 d.lgs. n. 277/91)".  

 

Roma, 24 ottobre 2001

 

Mario Meucci

 

NOTE

(1)         Rispettivamente pubblicate in Lav. prev. Oggi, 2001, 604 e 1361.

(2)         In Riv. crit. dir. lav. 2000, 318 con nota di Giometti.

(3)         In Lav. prev. Oggi 1998, 2037.

(4)         In Dir. lav. 1999, II, 55.

(5)         In Mass. giur. lav. 1998, 896.

(6)         In Foro it. Rep. 1998, voce Previdenza sociale, n. 529.

(7)         Trattasi del D.M. sanità del 6/9/1994 (in S.o. G.U. n. 288 del 10/12/1994 – ripubblicazione – titolato “Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, dell’art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) ove al punto 6b (attinente ai “Criteri per la certificazione di restituibilità” dei locali oggetti di bonifica da amianto, la riconsegna è condizionata a certificazione  delle competenti strutture sanitarie attestante che “è presente, nei locali stessi, una concentrazione media di fibre aerodisperse non superiore alle 2 fibre/litro”. Nello stesso senso, espressamente Trib. Ravenna 13 aprile 2000 (ove peraltro per errore materiale il d.m. in questione viene designato con l’anno 1995 in luogo del 1994), in Lav. prev. Oggi, 2001, 617 ed in Lav. giur. 2000, 651 con commento di Miscione; conf. Trib. Bari (sez.lav.) n. 9848/2000, riportata nel sito: http://www.pensionilex.kataweb.it/Article/0,2562,15070|219,00.html .

(8)         Tofacchi,  Benefici contributivi per amianto: la Corte di cassazione  legge la Consulta e ripensa la ratio della norma, in Mass. giur. lav. 2001, 730 e ss.

(9)         Sull’argomento specifico e più in generale, si vedano: Conti L., A come amianto, Edizioni Ediesse s.r.l. 1986; B.E.E.F. & A.E.A & i Verdi al parlamento europeo, Il libro nero dell'amianto, I Verdi al parlamento europeo, 1993; Bertagna A.; Ceccarelli G., Monitoraggio ambientale inerente l'amianto, Atti del Convegno Nazionale Mesoteliomi Maligni ed Esposizioni Professionali ed Extraprofessionali ad Amianto, Pisa 13-14/11/1990, Edigrafica snc, 1992; Bruno C.; De Santis M.; Bagnato R.; Comba P., La mortalità per tumore maligno del peritoneo in Italia: ricerca di correlazioni con l'esposizione ad amianto, Epidemiologia e Prevenzione, 45: 39-47, 1990; AA.VV., Rischio amianto in ambienti di vita e di lavoro, Regione Lazio-Ass.rato Sanità Igiene Ambientale, 1991;Guariniello R., Demolizione e rimozione dell'amianto, in Diritto & Pratica del lavoro, IPSOA, Milano 1996, n.33, pag. 2385 ss.; Guariniello R., L'amianto nel D.Lgs. n. 277/1991, in Diritto & Pratica del lavoro, IPSOA , Milano 1995, n.8, pag. 579 ss.; Guariniello R., Valutazione e controllo dell'esposizione lavorativa ad amianto, in Diritto & Pratica del lavoro, IPSOA, Milano 1996, n.9, pag. 572 ss.; Foà, Colosio, Amianto:aspetti medici con storia degli impieghi industriali ed evoluzione dei livelli espositivi e degli aspetti normativi, in L. Sagnuolo Vigorita (a cura di), Rischio amianto, Milano 1997, 33 e ss, particolarmente 39; nonché Chiappino, Nicoli, Mesotelioma: aspetti medico-legali, in L’amianto: dall’ambiente di lavoro all’ambiente di vita. Nuovi indicatori per futuri effetti, Fondazione Maugeri, Pavia 1997.

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