IL  TRASFERIMENTO  D’AZIENDA  TRA  LEGGE, CONTRATTO E PATTO PER L’ITALIA

 

Sommario:

1. Nozione di trasferimento d’azienda

2. Contenuto dell’art. 47 L. n. 428/1990 nelle modifiche ex art. 2 D.Lgs.n. 18/01

3. Il coinvolgimento sindacale

4. Il concorso della procedura legale con quella (eventualmente) diversa, di natura contrattuale

5. Il trasferimento del ramo azienda nel Patto per l’Italia del 5 luglio 2002

 

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1. Nozione di trasferimento d’azienda

         La disciplina legale del trasferimento d’azienda  risiedeva esclusivamente nel vecchio art. 2112 c.c., prima delle innovazioni  apportate al suo testo dall’art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428, recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee” (c.d. legge comunitaria per il 1990), seguito dal D.Lgs. 2 febbraio 2001 n. 18 (“Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti).

Quest’ultima normativa ha ridefinito l’art. 2112 c.c. che risulta ora, dall’art. 1  d.lgs.n.18/01, nella seguente formulazione: «Art. 2112 (Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda). - In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.

Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma.

Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento e' attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità».

Le innovazioni sono incisive ed attengono: a) alla nuova nozione di trasferimento d’azienda, nel quale rientrano non solo i mutamenti di titolarità dell’intera azienda ma di singoli rami, autonomi preesistentemente al trasferimento; b) l’affermazione secondo cui il trasferimento non costituisce motivo di licenziamento; c) la (invero virtuale) possibilità per il lavoratore  - le cui condizioni di lavoro subiscono per effetto del trasferimento una sostanziale modifica (es. logistica, organizzativa, contrattuale, ecc.) - di dimettersi per giusta causa (con percezione cioè del preavviso); d) la sostituzione automatica (ed immediata) dei contratti collettivi (di vario livello, nazionale, territoriale, aziendale, ecc.) in atto presso l’acquirente al posto di quelli – di pari livello – applicati dal cedente. 

La nuova normativa ha recepito il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui si ha trasferimento d’azienda “ogniqualvolta, ferma rimanendo l’organizzazione del complesso dei beni destinati all’esercizio dell’impresa - e quindi immutato il suo oggetto e la sua attività obbiettiva - vi sia soltanto sostituzione della persona del suo titolare, quale che sia il mezzo tecnico giuridico, consensuale o meno, mediante il quale tale sostituzione si attui, restando aldifuori del campo di applicazione del disposto dell’art. 2112 c.c. le ipotesi di semplice successione cronologica di aziende economicamente e giuridicamente diverse ed essendo, per contro, irrilevante, ai fini di precludere o realizzare il trasferimento d’azienda, la circostanza che alcuni beni rimangano in proprietà del cedente, o che il cessionario integri il complesso aziendale con altri beni o lo impieghi, nell’ambito dell’identico settore imprenditoriale, in uno specifico ramo dello stesso” ( così Cass. n. 1921/1981; Cass. n. 7338/1986; Cass. n. 3167/1990).

Parimenti è stato recepito l’addizionale orientamento giurisprudenziale, per cui “la disciplina dell’art. 2112 c.c. può trovare applicazione anche nel caso di trasferimento non già dell’intera azienda, ma anche di singole unità  produttive della stessa, e cioè di quelle autonome articolazioni aziendali, funzionalmente idonee ad espletare in tutto o in parte l’attività di produzione di beni o servizi dell’impresa, della quale costituiscono elementi organizzativi; in tal caso gli effetti di detta normativa restano circoscritti ai lavoratori addetti al settore ceduto” (così Cass. 18.5.1995, n. 5483, in Not. giurisp. lav. 1995, 912; conf. Cass. 5.5.1995, n. 4873, ibidem 1995, 599; Cass. n.67/1991; Cass. n. 4845/1988).

Secondo tale orientamento giurisprudenziale - maturato sotto la precedente formulazione dell’art. 2112 c.c. (ora innovata) - si ha, pertanto: a) trasferimento di un “ramo d’azienda”- riconducibile all’art. 2112 c.c. - nel caso in cui il trasferimento attenga a singole unità produttive, suscettibili di costituire idoneo e compiuto strumento d’impresa, e sia quando dette unità acquistino autonomia organizzativa sia quando si inseriscano con la loro capacità produttiva nel più ampio contesto dell’impresa cessionaria (o acquirente), dando luogo al c.d. fenomeno di incorporazione di unità autonome in precedenza scorporate dall’azienda alienante.

Dallo stesso orientamento giurisprudenziale (antecedente alla nuova formulazione), è stato invece escluso: b) il trasferimento d’azienda, sia:

b1) in caso di trasformazione dell’assetto societario, come:

b2) in caso di cessione della maggioranza del pacchetto azionario.

Nel primo caso (fusione o incorporazione, di cui sub a) è stato tuttavia  asserito (v. Cass. n. 1963/1990; Cass. 4812/1986) che la società risultante dalla fusione subentra nei rapporti di lavoro dei dipendenti delle società  o unità produttive estinte - e delle obbligazioni ad esse inerenti - più  per effetto di successione  a titolo universale (art. 2504, ult. co. c.c.) che per effetto della normativa ex art. 2112 c.c. sul trasferimento d’azienda.

Nel secondo caso (trasformazione d’assetto di cui sub b1), si è detto che la trasformazione di una società da uno ad altro tipo (anche se si tratti di trasformazione di una società di persone in società di capitali) non è considerata dalla legge come creazione di una nuova società, ma come modificazione dell’atto costitutivo della società trasformata, che continua ad esistere in un’altra veste, restando aldifuori della portata dell’art. 2112 c.c. (v. Cass. n.2697/1986).

Nel caso sub b2) - consistente nel mutamento proprietario del pacchetto azionario – la pregressa giurisprudenza ha asserito (oramai in maniera prevalente, anche se piuttosto formalisticamente) che “l’acquisto, da parte di una società per azioni, delle azioni di un’altra società - o di quote di esse - in numero tale da consentire alla prima il controllo della seconda non configura, di per se solo, trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c., in quanto l’operazione traslativa delle azioni non esclude il permanere della distinta soggettività giuridica delle due società” (v. Cass. 3.7.1992, n. 8145, in Not. giurisp. lav. 1992, 868; Cass. 2.4.1992, n. 4012, ibidem 1993, 427; Cass. 15.7.1993, n. 7825, ibidem 1993, 778, 39 (m); Cass. 15.10.1991, n. 10829, ibidem 1992, 345).

Quest’ultima esclusione -  a nostro avviso, ma non è detto che la giurisprudenza continui a pensarla diversamente -  non è più attuale né conforme alla nuova normativa che conferisce rilevo a «qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento e' attuato», dovendosi considerare incluso, ai fini della fattispecie del mutamento di titolarità dell’azienda anche il passaggio finanziario del pacchetto azionario da uno ad altro imprenditore. L’ipotesi che ci viene, per prima in mente, è quella dell’acquisto del pacchetto azionario di Telecom SpA da parte di Tronchetti Provera (Pirelli) con sostituzione gestionale e finanziaria del cedente Colaninno (Olivetti). Solo una impostazione formalistica potrebbe inibire i diritti di informazione e consultazione sindacale, adducendo che non si sarebbe “giuridicamente” realizzata l’ipotesi del “trasferimento d’azienda”.

Si è, invece, sostenuto (dalla pregressa giurisprudenza) - con immutata validità a tutt’oggi - che l’ipotesi della continuazione dell’attività aziendale, a seguito di successione ereditaria, rientra nella lata nozione   di trasferimento d’azienda, inteso come sostituzione nella titolarità dell’impresa, che sia rimasta immutata nella sua destinazione e nella sua entità economica (v. Cass. n. 4585/1984).

Gli aspetti di rilevo del (nuovo) art. 2112 c.c. risultano sia sotto il profilo privatistico del rapporto di lavoro sia sotto il profilo del coinvolgimento sindacale.

Sotto il primo profilo, la novità più importante è l’asserita continuità del rapporto di lavoro dei dipendenti  addetti all’azienda o ramo d’azienda trasferita. Il vecchio art. 2112 c.c., consentiva la risoluzione del rapporto tramite “disdetta in tempo utile” (cioè intimazione di preavviso), mentre ora l’art. 2112 c.c. stabilisce espressamente un principio già acquisito interpretativamente ex lege n. 604/1966: quello per cui  il mero fatto del trasferimento d’azienda non costituisce di per se motivo di licenziamento.

Addizionalmente  il  nuovo art. 2112 c.c. stabilisce che la continuità del rapporto di lavoro con l’acquirente avviene con la conservazione di tutti i diritti che alla continuità si accompagnano. Diritti che non sono solo quelli connessi all’anzianità di servizio, ma includono quello della invarianza delle mansioni, della categoria o qualifica, della sede di lavoro (salvo il caso di trasferimento ex art. 2103 c.c., per comprovate esigenze aziendali), oltre al diritto alla continuità o “unicità” del periodo di ferie, di comporto e simili (nel caso in cui il ccnl ricolleghi la misura di tali periodi alla  anzianità di servizio maturata).

L’art. 2112 c.c., naturalmente, non limita la risoluzione del rapporto che sia  altrimenti fondata sulla ricorrenza  di giustificato motivo soggettivo o oggettivo, di giusta causa o di riduzione di personale, al ricorrere dei presupposti individuati dalla consolidata giurisprudenza per tali fattispecie estintive del rapporto.

Ancora nel solco del primo profilo innovatore rientra l’asserita responsabilità dell’acquirente, prevista in solido con quella dell’alienante, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. L’innovazione sostanziale, al riguardo, risiede nel fatto che tale responsabilità è sganciata dalla nuova legge dal fatto che dei crediti l’acquirente abbia avuto conoscenza diretta o indiretta,  per risultare essi stessi dai libri aziendali o dal libretto di lavoro. Tale condizione - prevista nel vecchio art. 2112 c.c. - risulta ora caducata nell’interesse dei lavoratori.

Resta salva la possibilità del lavoratore di liberare l’alienante dalle sue obbligazioni, ricorrendo alle procedure di conciliazione amministrativa e sindacale di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c.

La circostanza che la nuova legge conceda la possibilità di liberare il datore di lavoro al solo lavoratore - e con particolari procedure - impedisce di ritenere che tale liberazione possa avvenire per accordo transattivo sindacale, valevole anche per i dissenzienti. Ciò preclude quindi l’applicabilità in futuro di una contraria giurisprudenza della Cassazione (cfr. Cass. n. 6861/1987) che aveva - sia pure per motivi occupazionali - legittimato l’accordo sindacale transattivo, statuente in maniera generalizzata il frazionamento dell’anzianità di servizio nel trasferimento d’azienda.

Inoltre il 3° comma dell’art. 2112 c.c. stabilisce che: «Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello».

Questa disposizione appare tesa a risolvere il problema dei “diritti quesiti” nel caso in cui il nuovo  - e diverso - contratto collettivo sia meno favorevole per i lavoratori trasferiti. La nuova formulazione ci induce ad evidenziare il fatto che, siccome la sostituzione avviene tra contratti collettivi del medesimo livello (precisazione non contenuta nel precedente art. 2112 c.c.), si potrà benissimo verificare l’ipotesi di un’immediata sostituzione tra i contratti nazionali (eventualmente diversi) dell’acquirente e del cedente, con permanenza “fino alla scadenza” (per i lavoratori trasferiti) dell’eventuale contratto collettivo aziendale in atto per i lavoratori del cedente, semprechè sia assente o carente presso l’acquirente un corrispondente contratto aziendale. Dopo la scadenza il CIA potrebbe essere rinegoziato (nella migliore delle ipotesi e  a seconda della forza detenuta dalle OO.SS.) ovvero disapplicato dall’acquirente per intervenuta caducazione temporale.

La norma è ispirata alla Direttiva comunitaria del 14.2.1977, n.77/187 ed è finalizzata ad operare un contemperamento di due distinte esigenze: da un lato quella di assicurare, per quanto possibile, la stabilità del rapporto di lavoro nei suoi contenuti originari complessivi, evitando traumatici mutamenti del medesimo, dall’altra, quella di consentire un allineamento del medesimo rapporto al regime collettivo vigente all’interno della nuova compagine aziendale, e, quindi, ad una (progressiva) parificazione di trattamento del lavoratore ceduto ai trattamenti riservati agli altri dipendenti del cessionario (o acquirente), a parità di posizioni di lavoro, trattamento che può risolversi anche in peggiorativo rispetto al precedente, secondo la regola della pacifica modificabilità anche in peius dei ccnl, nella loro successione temporale.

 

2. Contenuto dell’art. 47 L. n. 428/1990 nelle modifiche ex art. 2 D.Lgs.n. 18/01

      L’art. 47 nel testo modificato dall’art. 2 del D.Lgs. n. 18/2001 risulta essere il seguente:

«Art. 2. Modifiche all'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 - 1. All'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, i commi 1, 2, 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti:

"1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d'azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.

2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo.

3. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

4. Gli obblighi d'informazione e di esame congiunto previsti dal presente articolo devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata trasmissione da parte di quest'ultima delle informazioni necessarie non giustifica l'inadempimento dei predetti obblighi.».

 

3. Il coinvolgimento sindacale

      Le novità del nuovo art. 47 sotto il profilo del coinvolgimento sindacale  afferiscono – a differenza delle prerogative generali per il trasferimento d’azienda assicurate dall’art. 2112 c.c. a tutte le  aziende di qualsiasi consistenza occupazionale - solo alle aziende, o rami di esse,  occupanti più di 15 dipendenti.

Il 1° e 2° comma stabiliscono, infatti, che l’alienante e l’acquirente, “quando si intenda effettuare un trasferimento d’azienda…”(e quindi preventivamente all’attuazione), devono darne comunicazione  per iscritto, almeno 25 giorni prima:

- alle rispettive R.S.A. unitariamente costituite o alle singole R.S.A., nonchè alle rispettive associazioni di categoria e, in caso di mancanza delle R.S.A., alle associazioni di categoria comparativamente più rappresentative.

La comunicazione deve avere per oggetto: a) i motivi del programmato trasferimento; b) le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; c) le eventuali misure previste nei confronti dei lavoratori stessi.

L’inosservanza di tale procedura dà luogo all’applicazione dell’art. 28 stat.lav., essendo considerata comportamento ostativo al libero spiegamento dell’attività sindacale (in perfetta consonanza con quell’orientamento consolidato che considera condotta antisindacale la mancata informativa sindacale contrattualmente o legislativamente prevista sugli straordinari, appalti, innovazioni tecnologiche, e simili).

In relazione al dettagliato e precettivo contenuto della comunicazione scritta alle strutture sindacali, appare – pertanto -  del tutto non condivisibile Pret. Brindisi (ord.) 5 ottobre 1995 (in Not. giurisp. lav. 1995, 670) che ha ritenuto non antisindacale il comportamento di una Banca di credito cooperativo che aveva trasmesso alle R.S.A. “l’integrale progetto di fusione, anche se in esso non era presente una parte dedicata all’organizzazione del personale”.

Il Pretore ha escluso l’antisindacalità, adducendo che “il legislatore avrebbe previsto, in caso di trasferimento d’azienda, una serie di meccanismi di tutela per i lavoratori che operano automaticamente” e che dovevano, pertanto, tranquillizzare il sindacato ricorrente (Sinadi, nella specie) sull’inesistenza di ricadute sul personale direttivo. Secondo noi avrebbe potuto, invero, pretendere dall’azienda lo sforzo minimale di contemplare, nel progetto di fusione, una sezione afferente alle condizioni ed al trattamento del personale eventualmente ripetitiva delle disposizioni o garanzie legali, sanzionando così la deplorevole  trascuratezza che la banca convenuta (come del resto l’intero settore credito che ora lamenta esuberi e scarsa produttività) ha concludentemente confermato di nutrire nei confronti delle risorse umane.

Atteso che l’informativa attiene anche ai “motivi” del trasferimento, è stato espresso l’avviso che essa si estenda anche alle valutazioni di ordine economico/finanziario, esclusion fatta per quelle notizie di carattere riservato la cui divulgazione possa risultare pregiudizievole per l’azienda in ragione della concorrenza e salva sempre l’insindacabilità dei “motivi” da parte del sindacato antagonista, in quanto riposanti sul diritto costituzionale, ex art. 41, di iniziativa economica.

E’ previsto, poi, al 2° comma, l’obbligo - sanzionato, in caso di omissione, dalla procedura ex art. 28 stat. lav. - di un esame congiunto con le R.S.A. o con i sindacati di categoria, se quest’ultimi lo richiedono entro 7 giorni successivi al ricevimento della predetta richiesta di valutazione congiunta. La consultazione si intende esaurita, qualora decorsi 10 giorni dal suo inizio non sia stato raggiunto alcun accordo.

 

4.  Il concorso della procedura legale con quella (eventualmente) diversa, di natura contrattuale

      Chiaramente la soprariferita procedura, attinente al trasferimento d’azienda,  ha natura precettiva e risulta sostitutiva - nei casi in cui sia di miglior favore - di quella (sia preesistente sia posteriore) posta in essere dalla parti a livello contrattuale, in tema di trasferimento d’azienda per scorpori, concentrazioni e simili.

Mentre si può, dubitativamente ed in un certo qual modo convenire che la dizione legale impositiva della informazione e consultazione sindacale al cessionario (o acquirente) “quando si intenda effettuare un trasferimento d’azienda… ”(quindi preventivamente all’attuazione), possa non essere in contrasto con (e quindi prevalente su) la restrizione contrattuale reperibile, esemplificativamente,  al 1° comma dell’art. 14 dell’articolato contrattuale del 23 marzo 2001 (steso in applicazione e per la strutturazione del ccnl 11 luglio 1999 del settore credito) - che  esplicitamente circoscrive l’obbligo di informazione e consultazione in fase «successiva alla fase decisionale» (ma, ripetiamo noi, sempre antecedentemente alla fase attuativa o concretamente applicativa) - palese collisione deve riscontrarsi tra la disciplina legale e quella sempre prevista nell’art. 14 del citato articolato contrattuale che addirittura contempla, all’ultimo comma, che, per tutta la durata della procedura stessa, “i sindacati si asterranno da ogni iniziativa unilaterale e da ogni azione diretta” (cioè dall’esercizio del diritto di autotutela a mezzo dello sciopero e simili).

La prevalenza della disposizione di cui all’art. 47 L. n. 428/’90 (nel vecchio e nuovo testo) sul precitato art. 14 (che reitera il vecchio testo dell’art. 102 ccnl 22. 6 .1990 per i direttivi del credito e dell’art. 147 ccnl 19.12.1994 per il restante personale), discende pacificamente dal principio della gerarchia delle fonti (legge, prevalente sui ccnl) e da quello concorrente di successione temporale in identica materia (L. n. 428/’90 del 29.12.1990, posteriore ai ccnl 22 e 23 11.1990 nei quali per primi venne introdotta la deteriore previsione pattizia, ora tralatiziamente riprodotta nei successivi).

Ciononostante è stata avanzata da parte imprenditoriale la tesi - comprensibile per l’affezionato operatore sindacale che, obnubilato, antepone i propri risultati pattizi, giuridicamente inconsistenti, a quelli di maggiore cogenza e generalità della legge (vedi Relazione del Direttore Generale della disciolta Assicredito, Dr. Capo, al Convegno ITA del 18 e 19 febbraio 1991) - della prevalenza della disciplina contrattuale su quella legale, di minor latitudine. Sostenenendo allo scopo che «del resto Assicredito ed i sindacati ben conoscevano, fin dall’avvio delle trattative per il rinnovo, il ricordato disegno di legge (sfociato nella L. n. 428/’90, n.d.r.) e che, ciò nondimeno hanno concordemente ritenuto di adottare una disciplina più articolata e ‘globale’ ».

Conseguentemente e reiteratamente il predetto Direttore della disciolta Assicredito ebbe così  a  concludere  – in maniera del tutto errata giuridicamente - che «la normativa contrattuale può ritenersi prevalente, per gli aspetti dalla medesima disciplinati, rispetto alla previsione legale, nel senso che le parti hanno inteso disciplinare la materia in modo più articolato ed aderente alla peculiarità del settore, adottando una disciplina ‘su misura’ delle caratteristiche del comparto».

Va sottolineato come la «disciplina su misura» e l’asserita (quanto inesistente) «peculiarità» del settore creditizio sembrano essere - oramai da oltre un ventennio - la giustificazione e il vizio (o vezzo) delle Associazioni imprenditoriali del settore credito, tese ad introdurre normative pattizie divergenti da (quando non contrastanti con) quelle che il legislatore appronta per la generalità delle aziende e dei lavoratori dei restanti settori produttivi. La verità è che - grazie a taluni sindacati di settore da sempre orientati  a conferire prevalenza all’aspetto economico su quello normativo dei ccnl - queste Associazioni datoriali perseguono e talora realizzano (complice spesso una disattenta giurisprudenza di Cassazione che enfatizza oltre misura e senza i necessari «distinguo» l’autonomia contrattuale) recuperi al tavolo contrattuale sulle generali prescrizioni legali.

 

5. Il trasferimento del ramo azienda nel Patto per l’Italia del 5 luglio 2002

Un sostanzioso tentativo di manomissione delle garanzie dell’art. 2112 c.c. (parzialmente riuscito) è avvenuto recentissimamente – ad iniziativa dell’attuale governo di centro/destra – tramite la tentata soppressione, per il trasferimento di rami d’azienda, del requisito della loro “autonomia funzionale” (intesa consolidatamente come idoneità di per se all’esercizio di un’attività economica), nell’ottica della massima “esternalizzazione” di spezzoni d’impresa, comunque configurati o assemblati, cioè nell’intento del massimo utilizzo del c.d. “outsourcing”  applicato a qualsiasi nucleo aziendale non facente parte del “core business” dell’azienda. Nucleo o reparto suscettibile di essere confezionato anche ad arte dall’impresa, cioè fraudolentemente, riempiendolo di professionalità pertinenti a lavoratori sgraditi, in modo da espellerli dall’azienda, tramite la tecnica del trasferimento verso imprese al disotto dei 15 dipendenti (o imprese di nuova costituzione) non soggette all’art. 18 Stat. lav. e così poterli liberare sul mercato con la penale della sola monetizzazione per la perdita del posto di lavoro da licenziamento ingiustificato.

Le OO.SS. firmatarie, il 5 luglio 2002,  di quel patto “scellerato” (per usare incisive e condivise parole di altri) hanno arginato la manovra governativa più radicale della integrale eliminazione  - per i trasferimenti dei rami d’azienda – del requisito della “autonomia funzionale” (rispondente all’esigenza della non fittizietà del ramo) ma hanno subito (e convenuto con l’all. n. 3, su) una sostanziale modifica: quella per cui l’autonomia del ramo trasferito non deve  più essere  riscontrabile – come dice l’art. 2112 c.c. –  quale “preesistente” al trasferimento, ma è sufficiente che sussista “all’epoca del trasferimento”.

La conseguenza che se ne trae – e che hanno tratto attenti giuristi – è  quella che delinea incisivamente  il giuslavorista Prof. Roccella (in “Lavoro: le carte truccate del governo”, nel nostro sito www.clik.to/dirittolavoro, sezione Articoli, n.142 ) quando dice che: «Quanto all’allegato n. 3 (del Patto per l’Italia, n.d.r.), ciò che si prospetta con riguardo alla disciplina del trasferimento d’impresa è non meno stupefacente. E’ noto, ed è stato ampiamente ricordato prima della firma del Patto, che la legislazione vigente, approvata nel 2001 dal governo di centrosinistra per dare attuazione alla seconda direttiva comunitaria in materia, richiede, perché possano applicarsi le regole relative al trasferimento d’impresa anche al trasferimento di un ramo aziendale, che quest’ultimo costituisca un’articolazione funzionalmente autonoma di un’impresa, “preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”. Il testo attuale dell’art. 2112 del codice civile, nel quale si rintraccia l’indicazione in parola, è frutto della riforma del 2001 e rispecchia puntualmente i contenuti della direttiva comunitaria e della giurisprudenza della Corte di giustizia. Con la consueta disinvoltura nei confronti delle regole europee, il governo vorrebbe adesso intervenire sulla disciplina vigente e modificarla nel senso che il requisito dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda dovrebbe sussistere solo “nel momento del suo trasferimento”: un banale escamotage linguistico, dietro il quale non è difficile scorgere l’intenzione di legittimare la costituzione di fittizi rami d’azienda, mai esistiti prima dell’operazione di trasferimento, al solo scopo di consentire l’espulsione dei lavoratori addetti al preteso ramo aggirando qualsiasi regola in materia di licenziamento» (ugualmente, Bellavista, “Il Patto per l’Italia e la disciplina dei licenziamenti”, sempre in www.clik.to/dirittolavoro, sezione Articoli, n. 138).

Nello stesso senso si è espresso anche  Fezzi (in “Patto per l’Italia: prime valutazioni”, in www.clik.to/dirittolavoro, sezione Articoli,  n. 136) secondo cui: «…attualmente la legge prevede che la cessione dell'azienda, o di un suo ramo autonomo, possa avvenire (con conseguente cessione di tutti i relativi rapporti di lavoro) solo a condizione che la stessa azienda (o il ramo autonomo) preesista al trasferimento. La riforma concordata nel Patto prevede invece che l'autonomia funzionale del ramo d'azienda sussista anche solo nel momento in cui viene attuato il trasferimento. Ciò evidentemente vuol dire che il datore di lavoro può organizzare una pluralità di lavoratori, che nulla hanno a che fare tra di loro, in un unico ufficio o reparto, costituito solo in vista della cessione e al momento della stessa: questi lavoratori saranno quindi automaticamente ceduti all'esterno, anche se, prima della cessione, non facevano parte di un ramo autonomo dell'azienda».

 

Roma 26 settembre 2002

Mario Meucci

 

Post-scritptum: Per effetto dell'art. 32 d.lgs. n. 276 del 10.9.2003 applicativo della L. n. 30 (cd. legge Biagi) - che ha modificato il 5 comma dell'art. 2112 c.c. ed introdotto il 6 co. - l'art. 2112 c.c. risulta essere il seguente:

«Art. 2112 (Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda)

In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.

Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.

Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma.

Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento é attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.

Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 1676».

 

Roma, 30 gennaio 2006

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