IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA TRA LEGGE, CONTRATTO E PATTO PER L’ITALIA
Sommario:
1. Nozione
di trasferimento d’azienda
2. Contenuto
dell’art. 47 L. n. 428/1990 nelle modifiche ex art. 2 D.Lgs.n. 18/01
3. Il
coinvolgimento sindacale
4. Il concorso della procedura legale con quella
(eventualmente) diversa, di natura contrattuale
5. Il trasferimento del
ramo azienda nel Patto per l’Italia del 5 luglio 2002
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1. Nozione
di trasferimento d’azienda
La disciplina legale del trasferimento d’azienda risiedeva esclusivamente nel vecchio art.
2112 c.c., prima delle innovazioni
apportate al suo testo dall’art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428,
recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee” (c.d. legge
comunitaria per il 1990), seguito dal D.Lgs. 2 febbraio 2001 n. 18 (“Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al
mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di
stabilimenti o di parti di stabilimenti”).
Quest’ultima
normativa ha ridefinito l’art. 2112 c.c. che risulta ora, dall’art. 1 d.lgs.n.18/01, nella seguente formulazione:
«Art. 2112 (Mantenimento dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimento d'azienda). - In caso di
trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed
il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Il
cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il
lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli
articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire
la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il
cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti
dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data
del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri
contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di
sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo
livello.
Ferma restando la facoltà di
esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il
trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il
lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei
tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie
dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma.
Ai fini
e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento
d'azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di
un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento
e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla
tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento
e' attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda. Le disposizioni del
presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda,
intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica
organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al
trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità».
Le innovazioni sono incisive ed attengono: a) alla nuova nozione di
trasferimento d’azienda, nel quale rientrano non solo i mutamenti di titolarità
dell’intera azienda ma di singoli rami, autonomi preesistentemente al
trasferimento; b) l’affermazione secondo cui il trasferimento non costituisce
motivo di licenziamento; c) la (invero virtuale) possibilità per il
lavoratore - le cui condizioni di
lavoro subiscono per effetto del trasferimento una sostanziale modifica (es.
logistica, organizzativa, contrattuale, ecc.) - di dimettersi per giusta causa
(con percezione cioè del preavviso); d) la sostituzione automatica (ed
immediata) dei contratti collettivi (di vario livello, nazionale, territoriale,
aziendale, ecc.) in atto presso l’acquirente al posto di quelli – di pari
livello – applicati dal cedente.
La nuova normativa ha recepito il consolidato orientamento
giurisprudenziale, secondo cui si ha trasferimento d’azienda “ogniqualvolta,
ferma rimanendo l’organizzazione del complesso dei beni destinati all’esercizio
dell’impresa - e quindi immutato il suo oggetto e la sua attività obbiettiva -
vi sia soltanto sostituzione della persona del suo titolare, quale che sia il
mezzo tecnico giuridico, consensuale o meno, mediante il quale tale
sostituzione si attui, restando aldifuori del campo di applicazione del
disposto dell’art. 2112 c.c. le ipotesi di semplice successione cronologica di
aziende economicamente e giuridicamente diverse ed essendo, per contro,
irrilevante, ai fini di precludere o realizzare il trasferimento d’azienda, la
circostanza che alcuni beni rimangano in proprietà del cedente, o che il
cessionario integri il complesso aziendale con altri beni o lo impieghi,
nell’ambito dell’identico settore imprenditoriale, in uno specifico ramo dello
stesso” ( così Cass. n. 1921/1981; Cass. n. 7338/1986; Cass. n. 3167/1990).
Parimenti è stato recepito l’addizionale orientamento
giurisprudenziale, per cui “la disciplina dell’art. 2112 c.c. può trovare
applicazione anche nel caso di trasferimento non già dell’intera azienda,
ma anche di singole unità produttive
della stessa, e cioè di quelle autonome articolazioni aziendali, funzionalmente
idonee ad espletare in tutto o in parte l’attività di produzione di beni o
servizi dell’impresa, della quale costituiscono elementi organizzativi; in tal
caso gli effetti di detta normativa restano circoscritti ai lavoratori addetti
al settore ceduto” (così Cass. 18.5.1995, n. 5483, in Not. giurisp. lav.
1995, 912; conf. Cass. 5.5.1995, n. 4873, ibidem
1995, 599; Cass. n.67/1991; Cass. n. 4845/1988).
Secondo tale orientamento giurisprudenziale - maturato sotto la
precedente formulazione dell’art. 2112 c.c. (ora innovata) - si ha, pertanto:
a) trasferimento di un “ramo d’azienda”- riconducibile all’art. 2112
c.c. - nel caso in cui il trasferimento attenga a singole unità produttive,
suscettibili di costituire idoneo e compiuto strumento d’impresa, e sia quando
dette unità acquistino autonomia organizzativa sia quando si inseriscano con la
loro capacità produttiva nel più ampio contesto dell’impresa cessionaria (o
acquirente), dando luogo al c.d. fenomeno di incorporazione di unità autonome
in precedenza scorporate dall’azienda alienante.
Dallo stesso orientamento giurisprudenziale (antecedente alla nuova
formulazione), è stato invece escluso: b) il trasferimento d’azienda, sia:
b1) in
caso di trasformazione dell’assetto societario, come:
b2) in
caso di cessione della maggioranza del pacchetto azionario.
Nel primo caso (fusione o incorporazione, di cui sub a) è stato
tuttavia asserito (v. Cass. n.
1963/1990; Cass. 4812/1986) che la società risultante dalla fusione subentra
nei rapporti di lavoro dei dipendenti delle società o unità produttive estinte - e delle obbligazioni ad esse
inerenti - più per effetto di successione a titolo universale (art. 2504, ult. co.
c.c.) che per effetto della normativa ex art. 2112 c.c. sul trasferimento
d’azienda.
Nel secondo caso (trasformazione d’assetto di cui sub b1), si è detto
che la trasformazione di una società da uno ad altro tipo (anche se si tratti
di trasformazione di una società di persone in società di capitali) non è
considerata dalla legge come creazione di una nuova società, ma come
modificazione dell’atto costitutivo della società trasformata, che continua ad
esistere in un’altra veste, restando aldifuori della portata dell’art. 2112
c.c. (v. Cass. n.2697/1986).
Nel caso sub b2) - consistente nel mutamento proprietario del
pacchetto azionario – la pregressa giurisprudenza ha asserito (oramai in
maniera prevalente, anche se piuttosto formalisticamente) che “l’acquisto,
da parte di una società per azioni, delle azioni di un’altra società - o di
quote di esse - in numero tale da consentire alla prima il controllo della
seconda non configura, di per se solo, trasferimento d’azienda ex art. 2112
c.c., in quanto l’operazione traslativa delle azioni non esclude il permanere
della distinta soggettività giuridica delle due società” (v. Cass.
3.7.1992, n. 8145, in Not. giurisp. lav. 1992, 868; Cass. 2.4.1992, n.
4012, ibidem 1993, 427; Cass. 15.7.1993, n. 7825, ibidem 1993,
778, 39 (m); Cass. 15.10.1991, n. 10829, ibidem 1992, 345).
Quest’ultima esclusione - a
nostro avviso, ma non è detto che la giurisprudenza continui a pensarla
diversamente - non è più attuale né
conforme alla nuova normativa che conferisce rilevo a «qualsiasi operazione
che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica
organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello
scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel
trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o
dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento e' attuato»,
dovendosi considerare incluso, ai fini della fattispecie del mutamento di
titolarità dell’azienda anche il passaggio finanziario del pacchetto azionario
da uno ad altro imprenditore. L’ipotesi che ci viene, per prima in mente, è
quella dell’acquisto del pacchetto azionario di Telecom SpA da parte di
Tronchetti Provera (Pirelli) con sostituzione gestionale e finanziaria del
cedente Colaninno (Olivetti). Solo una impostazione formalistica potrebbe
inibire i diritti di informazione e consultazione sindacale, adducendo che non
si sarebbe “giuridicamente” realizzata l’ipotesi del “trasferimento d’azienda”.
Si è, invece, sostenuto (dalla pregressa giurisprudenza) - con
immutata validità a tutt’oggi - che l’ipotesi della continuazione dell’attività
aziendale, a seguito di successione ereditaria, rientra nella lata nozione di trasferimento d’azienda, inteso come
sostituzione nella titolarità dell’impresa, che sia rimasta immutata nella sua
destinazione e nella sua entità economica (v. Cass. n. 4585/1984).
Gli aspetti di rilevo del (nuovo) art. 2112 c.c. risultano sia sotto
il profilo privatistico del rapporto di lavoro sia sotto il profilo del
coinvolgimento sindacale.
Sotto il primo profilo, la novità più importante è l’asserita continuità
del rapporto di lavoro dei dipendenti
addetti all’azienda o ramo d’azienda trasferita. Il vecchio art. 2112
c.c., consentiva la risoluzione del rapporto tramite “disdetta in tempo utile”
(cioè intimazione di preavviso), mentre ora l’art. 2112 c.c. stabilisce
espressamente un principio già acquisito interpretativamente ex lege n.
604/1966: quello per cui il mero fatto
del trasferimento d’azienda non costituisce di per se motivo di licenziamento.
Addizionalmente il nuovo art. 2112 c.c. stabilisce che la
continuità del rapporto di lavoro con l’acquirente avviene con la conservazione
di tutti i diritti che alla continuità si accompagnano. Diritti che non
sono solo quelli connessi all’anzianità di servizio, ma includono quello della
invarianza delle mansioni, della categoria o qualifica, della sede di lavoro
(salvo il caso di trasferimento ex art. 2103 c.c., per comprovate esigenze
aziendali), oltre al diritto alla continuità o “unicità” del periodo di ferie,
di comporto e simili (nel caso in cui il ccnl ricolleghi la misura di tali
periodi alla anzianità di servizio
maturata).
L’art. 2112 c.c., naturalmente, non limita la risoluzione del rapporto
che sia altrimenti fondata sulla
ricorrenza di giustificato motivo
soggettivo o oggettivo, di giusta causa o di riduzione di personale, al
ricorrere dei presupposti individuati dalla consolidata giurisprudenza per tali
fattispecie estintive del rapporto.
Ancora nel solco del primo profilo innovatore rientra l’asserita
responsabilità dell’acquirente, prevista in solido con quella
dell’alienante, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo
del trasferimento. L’innovazione sostanziale, al riguardo, risiede nel fatto
che tale responsabilità è sganciata dalla nuova legge dal fatto che dei crediti
l’acquirente abbia avuto conoscenza diretta o indiretta, per risultare essi stessi dai libri
aziendali o dal libretto di lavoro. Tale condizione - prevista nel vecchio art.
2112 c.c. - risulta ora caducata nell’interesse dei lavoratori.
Resta
salva la possibilità del lavoratore di liberare l’alienante dalle sue
obbligazioni, ricorrendo alle procedure di conciliazione amministrativa e
sindacale di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c.
La circostanza che la nuova legge conceda la possibilità di liberare
il datore di lavoro al solo lavoratore - e con particolari
procedure - impedisce di ritenere che tale liberazione possa avvenire per
accordo transattivo sindacale, valevole anche per i dissenzienti. Ciò preclude
quindi l’applicabilità in futuro di una contraria giurisprudenza della
Cassazione (cfr. Cass. n. 6861/1987) che aveva - sia pure per motivi
occupazionali - legittimato l’accordo sindacale transattivo, statuente in
maniera generalizzata il frazionamento dell’anzianità di servizio nel
trasferimento d’azienda.
Inoltre il 3° comma dell’art. 2112 c.c. stabilisce che: «Il
cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti
dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data
del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri
contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di
sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo
livello».
Questa disposizione appare tesa a risolvere il problema dei “diritti
quesiti” nel caso in cui il nuovo - e
diverso - contratto collettivo sia meno favorevole per i lavoratori trasferiti.
La nuova formulazione ci induce ad evidenziare il fatto che, siccome la
sostituzione avviene tra contratti collettivi del medesimo livello
(precisazione non contenuta nel precedente art. 2112 c.c.), si potrà benissimo
verificare l’ipotesi di un’immediata sostituzione tra i contratti nazionali
(eventualmente diversi) dell’acquirente e del cedente, con permanenza “fino
alla scadenza” (per i lavoratori trasferiti) dell’eventuale contratto
collettivo aziendale in atto per i lavoratori del cedente, semprechè sia
assente o carente presso l’acquirente un corrispondente contratto aziendale.
Dopo la scadenza il CIA potrebbe essere rinegoziato (nella migliore delle
ipotesi e a seconda della forza
detenuta dalle OO.SS.) ovvero disapplicato dall’acquirente per intervenuta
caducazione temporale.
La norma è ispirata alla Direttiva comunitaria del 14.2.1977, n.77/187
ed è finalizzata ad operare un contemperamento di due distinte esigenze: da un
lato quella di assicurare, per quanto possibile, la stabilità del rapporto di
lavoro nei suoi contenuti originari complessivi, evitando traumatici mutamenti
del medesimo, dall’altra, quella di consentire un allineamento del medesimo
rapporto al regime collettivo vigente all’interno della nuova compagine
aziendale, e, quindi, ad una (progressiva) parificazione di trattamento del
lavoratore ceduto ai trattamenti riservati agli altri dipendenti del
cessionario (o acquirente), a parità di posizioni di lavoro, trattamento che
può risolversi anche in peggiorativo rispetto al precedente, secondo la regola
della pacifica modificabilità anche in peius dei ccnl, nella loro
successione temporale.
2. Contenuto
dell’art. 47 L. n. 428/1990 nelle modifiche ex art. 2 D.Lgs.n. 18/01
L’art. 47 nel testo modificato dall’art. 2
del D.Lgs. n. 18/2001 risulta essere il seguente:
«Art. 2.
Modifiche all'articolo 47 della legge 29 dicembre
1990, n. 428 - 1. All'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990,
n. 428, i commi 1, 2, 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti:
"1.
Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un
trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici
lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte
d'azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario
devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia
perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta
un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive
rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali
aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n.
300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che
hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al
trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo
l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria
comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal
cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o
conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare: a) la data o la data
proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento
d'azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i
lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi.
2. Su richiesta scritta delle
rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette
giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il
cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della
predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La
consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio,
non sia stato raggiunto un accordo.
3. Il
mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi
previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi
dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
4. Gli
obblighi d'informazione e di esame congiunto previsti dal presente articolo
devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al
trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata
trasmissione da parte di quest'ultima delle informazioni necessarie non
giustifica l'inadempimento dei predetti obblighi.».
3. Il
coinvolgimento sindacale
Le novità del nuovo art. 47
sotto il profilo del coinvolgimento sindacale
afferiscono – a differenza delle prerogative generali per il
trasferimento d’azienda assicurate dall’art. 2112 c.c. a tutte le aziende di qualsiasi consistenza
occupazionale - solo alle aziende, o rami di esse, occupanti più di 15 dipendenti.
Il 1° e 2° comma stabiliscono, infatti, che l’alienante e l’acquirente,
“quando si intenda effettuare un trasferimento d’azienda…”(e quindi preventivamente
all’attuazione), devono darne comunicazione per iscritto, almeno 25 giorni prima:
- alle
rispettive R.S.A. unitariamente costituite o alle singole R.S.A., nonchè alle
rispettive associazioni di categoria e, in caso di mancanza delle R.S.A., alle
associazioni di categoria comparativamente più rappresentative.
La comunicazione deve avere per oggetto: a) i motivi del programmato
trasferimento; b) le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i
lavoratori; c) le eventuali misure previste nei confronti dei lavoratori
stessi.
L’inosservanza di tale procedura dà luogo all’applicazione dell’art.
28 stat.lav., essendo considerata comportamento ostativo al libero spiegamento
dell’attività sindacale (in perfetta consonanza con quell’orientamento
consolidato che considera condotta antisindacale la mancata informativa
sindacale contrattualmente o legislativamente prevista sugli straordinari,
appalti, innovazioni tecnologiche, e simili).
In relazione al dettagliato e precettivo contenuto della comunicazione
scritta alle strutture sindacali, appare – pertanto - del tutto non condivisibile Pret. Brindisi (ord.) 5 ottobre 1995
(in Not. giurisp. lav. 1995, 670) che ha ritenuto non antisindacale il
comportamento di una Banca di credito cooperativo che aveva trasmesso alle
R.S.A. “l’integrale progetto di fusione, anche se in esso non era presente una
parte dedicata all’organizzazione del personale”.
Il Pretore ha escluso l’antisindacalità, adducendo che “il legislatore
avrebbe previsto, in caso di trasferimento d’azienda, una serie di meccanismi
di tutela per i lavoratori che operano automaticamente” e che dovevano,
pertanto, tranquillizzare il sindacato ricorrente (Sinadi, nella specie)
sull’inesistenza di ricadute sul personale direttivo. Secondo noi avrebbe
potuto, invero, pretendere dall’azienda lo sforzo minimale di contemplare, nel
progetto di fusione, una sezione afferente alle condizioni ed al trattamento
del personale eventualmente ripetitiva delle disposizioni o garanzie legali,
sanzionando così la deplorevole
trascuratezza che la banca convenuta (come del resto l’intero settore
credito che ora lamenta esuberi e scarsa produttività) ha concludentemente
confermato di nutrire nei confronti delle risorse umane.
Atteso che l’informativa attiene anche ai “motivi” del trasferimento,
è stato espresso l’avviso che essa si estenda anche alle valutazioni di ordine
economico/finanziario, esclusion fatta per quelle notizie di carattere
riservato la cui divulgazione possa risultare pregiudizievole per l’azienda in
ragione della concorrenza e salva sempre l’insindacabilità dei “motivi” da
parte del sindacato antagonista, in quanto riposanti sul diritto
costituzionale, ex art. 41, di iniziativa economica.
E’ previsto, poi, al 2° comma, l’obbligo - sanzionato, in caso di
omissione, dalla procedura ex art. 28 stat. lav. - di un esame congiunto con le
R.S.A. o con i sindacati di categoria, se quest’ultimi lo richiedono entro 7
giorni successivi al ricevimento della predetta richiesta di valutazione
congiunta. La consultazione si intende esaurita, qualora decorsi 10 giorni dal
suo inizio non sia stato raggiunto alcun accordo.
4. Il concorso della procedura legale con quella
(eventualmente) diversa, di natura contrattuale
Chiaramente la soprariferita procedura,
attinente al trasferimento d’azienda,
ha natura precettiva e risulta sostitutiva - nei casi in cui sia di
miglior favore - di quella (sia preesistente sia posteriore) posta in essere
dalla parti a livello contrattuale, in tema di trasferimento d’azienda per scorpori,
concentrazioni e simili.
Mentre
si può, dubitativamente ed in un certo qual modo convenire che la dizione
legale impositiva della informazione e consultazione sindacale al cessionario
(o acquirente) “quando si intenda effettuare un trasferimento
d’azienda… ”(quindi preventivamente all’attuazione), possa non essere in
contrasto con (e quindi prevalente su) la restrizione contrattuale reperibile,
esemplificativamente, al 1° comma
dell’art. 14 dell’articolato contrattuale del 23 marzo 2001 (steso in
applicazione e per la strutturazione del ccnl 11 luglio 1999 del settore
credito) - che esplicitamente
circoscrive l’obbligo di informazione e consultazione in fase «successiva alla
fase decisionale» (ma, ripetiamo noi, sempre antecedentemente alla fase
attuativa o concretamente applicativa) - palese collisione deve riscontrarsi
tra la disciplina legale e quella sempre prevista nell’art. 14 del citato
articolato contrattuale che addirittura contempla, all’ultimo comma, che, per
tutta la durata della procedura stessa, “i sindacati si asterranno da ogni
iniziativa unilaterale e da ogni azione diretta” (cioè dall’esercizio del
diritto di autotutela a mezzo dello sciopero e simili).
La prevalenza della disposizione di cui all’art. 47 L. n. 428/’90 (nel
vecchio e nuovo testo) sul precitato art. 14 (che reitera il vecchio testo
dell’art. 102 ccnl 22. 6 .1990 per i direttivi del credito e dell’art. 147 ccnl
19.12.1994 per il restante personale), discende pacificamente dal principio
della gerarchia delle fonti (legge, prevalente sui ccnl) e da quello
concorrente di successione temporale in identica materia (L. n. 428/’90 del
29.12.1990, posteriore ai ccnl 22 e 23 11.1990 nei quali per primi venne
introdotta la deteriore previsione pattizia, ora tralatiziamente riprodotta nei
successivi).
Ciononostante è stata avanzata da parte imprenditoriale la tesi -
comprensibile per l’affezionato operatore sindacale che, obnubilato, antepone i
propri risultati pattizi, giuridicamente inconsistenti, a quelli di maggiore
cogenza e generalità della legge (vedi Relazione del Direttore Generale della
disciolta Assicredito, Dr. Capo, al Convegno ITA del 18 e 19 febbraio 1991) -
della prevalenza della disciplina contrattuale su quella legale, di minor
latitudine. Sostenenendo allo scopo che «del resto Assicredito ed i
sindacati ben conoscevano, fin dall’avvio delle trattative per il rinnovo, il
ricordato disegno di legge (sfociato nella L. n. 428/’90, n.d.r.) e
che, ciò nondimeno hanno concordemente ritenuto di adottare una disciplina più
articolata e ‘globale’ ».
Conseguentemente e reiteratamente il predetto Direttore della
disciolta Assicredito ebbe così a concludere
– in maniera del tutto errata giuridicamente - che «la normativa
contrattuale può ritenersi prevalente, per gli aspetti dalla medesima
disciplinati, rispetto alla previsione legale, nel senso che le parti hanno
inteso disciplinare la materia in modo più articolato ed aderente alla peculiarità
del settore, adottando una disciplina ‘su misura’ delle caratteristiche
del comparto».
Va sottolineato come la «disciplina su misura» e l’asserita
(quanto inesistente) «peculiarità» del settore creditizio sembrano
essere - oramai da oltre un ventennio - la giustificazione e il vizio (o vezzo)
delle Associazioni imprenditoriali del settore credito, tese ad introdurre
normative pattizie divergenti da (quando non contrastanti con) quelle che il
legislatore appronta per la generalità delle aziende e dei lavoratori dei
restanti settori produttivi. La verità è che - grazie a taluni sindacati di
settore da sempre orientati a conferire
prevalenza all’aspetto economico su quello normativo dei ccnl - queste
Associazioni datoriali perseguono e talora realizzano (complice spesso una
disattenta giurisprudenza di Cassazione che enfatizza oltre misura e senza i
necessari «distinguo» l’autonomia contrattuale) recuperi al tavolo
contrattuale sulle generali prescrizioni legali.
5. Il trasferimento del
ramo azienda nel Patto per l’Italia del 5 luglio 2002
Un
sostanzioso tentativo di manomissione delle garanzie dell’art. 2112 c.c.
(parzialmente riuscito) è avvenuto recentissimamente – ad iniziativa
dell’attuale governo di centro/destra – tramite la tentata soppressione, per il
trasferimento di rami d’azienda, del requisito della loro “autonomia funzionale”
(intesa consolidatamente come idoneità di per se all’esercizio di un’attività
economica), nell’ottica della massima “esternalizzazione” di spezzoni
d’impresa, comunque configurati o assemblati, cioè nell’intento del massimo
utilizzo del c.d. “outsourcing”
applicato a qualsiasi nucleo aziendale non facente parte del “core
business” dell’azienda. Nucleo o reparto suscettibile di essere confezionato
anche ad arte dall’impresa, cioè fraudolentemente, riempiendolo di professionalità
pertinenti a lavoratori sgraditi, in modo da espellerli dall’azienda, tramite
la tecnica del trasferimento verso imprese al disotto dei 15 dipendenti (o
imprese di nuova costituzione) non soggette all’art. 18 Stat. lav. e così
poterli liberare sul mercato con la penale della sola monetizzazione per la
perdita del posto di lavoro da licenziamento ingiustificato.
Le
OO.SS. firmatarie, il 5 luglio 2002, di
quel patto “scellerato” (per usare incisive e condivise parole di altri) hanno
arginato la manovra governativa più radicale della integrale eliminazione - per i trasferimenti dei rami d’azienda –
del requisito della “autonomia funzionale” (rispondente all’esigenza della non
fittizietà del ramo) ma hanno subito (e convenuto con l’all. n. 3, su) una
sostanziale modifica: quella per cui l’autonomia del ramo trasferito non
deve più essere riscontrabile – come dice l’art. 2112 c.c.
– quale “preesistente” al trasferimento,
ma è sufficiente che sussista “all’epoca del trasferimento”.
La
conseguenza che se ne trae – e che hanno tratto attenti giuristi – è quella che delinea incisivamente il giuslavorista Prof. Roccella (in “Lavoro:
le carte truccate del governo”, nel nostro sito www.clik.to/dirittolavoro,
sezione Articoli, n.142 ) quando dice che: «Quanto all’allegato n. 3 (del Patto per
l’Italia, n.d.r.), ciò che si prospetta con riguardo alla disciplina del
trasferimento d’impresa è non meno stupefacente. E’ noto, ed è stato ampiamente
ricordato prima della firma del Patto, che la legislazione vigente, approvata
nel 2001 dal governo di centrosinistra per dare attuazione alla seconda
direttiva comunitaria in materia, richiede, perché possano applicarsi le regole
relative al trasferimento d’impresa anche al trasferimento di un ramo
aziendale, che quest’ultimo costituisca un’articolazione funzionalmente
autonoma di un’impresa, “preesistente come tale al trasferimento e che
conserva nel trasferimento la propria identità”. Il testo attuale dell’art.
2112 del codice civile, nel quale si rintraccia l’indicazione in parola, è
frutto della riforma del 2001 e rispecchia puntualmente i contenuti della
direttiva comunitaria e della giurisprudenza della Corte di giustizia. Con la
consueta disinvoltura nei confronti delle regole europee, il governo vorrebbe
adesso intervenire sulla disciplina vigente e modificarla nel senso che il
requisito dell’autonomia funzionale del ramo d’azienda dovrebbe sussistere solo
“nel momento del suo trasferimento”: un banale escamotage
linguistico, dietro il quale non è difficile scorgere l’intenzione di
legittimare la costituzione di fittizi rami d’azienda, mai esistiti prima
dell’operazione di trasferimento, al solo scopo di consentire l’espulsione dei
lavoratori addetti al preteso ramo aggirando qualsiasi regola in materia di
licenziamento» (ugualmente, Bellavista, “Il Patto per l’Italia e la
disciplina dei licenziamenti”, sempre in www.clik.to/dirittolavoro, sezione
Articoli, n. 138).
Nello stesso senso si
è espresso anche Fezzi (in “Patto
per l’Italia: prime valutazioni”, in www.clik.to/dirittolavoro, sezione
Articoli, n. 136) secondo cui:
«…attualmente la legge prevede che la cessione dell'azienda,
o di un suo ramo autonomo, possa avvenire (con conseguente cessione di tutti i
relativi rapporti di lavoro) solo a condizione che la stessa azienda (o il ramo
autonomo) preesista al trasferimento. La riforma concordata nel Patto prevede
invece che l'autonomia funzionale del ramo d'azienda sussista anche solo nel
momento in cui viene attuato il trasferimento. Ciò evidentemente vuol dire che
il datore di lavoro può organizzare una pluralità di lavoratori, che nulla
hanno a che fare tra di loro, in un unico ufficio o reparto, costituito solo in
vista della cessione e al momento della stessa: questi lavoratori saranno
quindi automaticamente ceduti all'esterno, anche se, prima della cessione, non
facevano parte di un ramo autonomo dell'azienda».
Roma 26 settembre 2002
Mario Meucci
Post-scritptum: Per effetto dell'art. 32 d.lgs. n. 276 del 10.9.2003 applicativo della L. n. 30 (cd. legge Biagi) - che ha modificato il 5 comma dell'art. 2112 c.c. ed introdotto il 6 co. - l'art. 2112 c.c. risulta essere il seguente:
«Art. 2112 (Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda)
In caso di
trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed
il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano.
Il
cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il
lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli
articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire
la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.
Il
cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti
dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data
del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri
contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di
sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo
livello.
Ferma restando la facoltà di
esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il
trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il
lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei
tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie
dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma.
Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento é attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.
Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 1676».
Roma, 30 gennaio 2006
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