Il meccanismo di “assorbimento” dei superminimi

1. Nozione  e  fondamento del meccanismo di “assorbimento”

2.Le vicende dei superminimi in caso di rinnovo contrattuale e di passaggio di categoria

2.1.) concorso di superminimi e aumenti da rinnovo contrattuale

2.2.)  superminimi (o “ad personam”) e passaggio di categoria

3. Sintesi  delle conclusioni  raggiunte in  giurisprudenza e  dottrina

4. Il rispetto del principio di invarianza retributiva ex art. 2103 c.c.

5. Conclusioni

 

1. Nozione  e  fondamento del meccanismo di “assorbimento”

Il principio di operatività dell’assorbimento - o, come diversamente definito, dell’automatismo negativo o di recupero - di eccedenze retributive (conferite in un determinato momento per contratto individuale) al sopravvenire di miglioramenti economici discendenti da pattuizioni collettive aziendali o di categoria, trova il suo fondamento sia in una lettura ragionata dell’art. 2077 c.c. (dalla quale emerge chiaramente una reciproca autonomia delle fonti normative) sia dai criteri di unitarietà delle stesse, di alternatività degli istituti e di inscindibilità delle clausole contrattuali. Tali criteri sono di norma codificati – pattiziamente nei CCNL - nella c.d. “clausola di inscindibilità” e salvaguardia - fino a concorrenza - dei trattamenti più favorevoli, di norma così formulata: «Le disposizioni del presente contratto, nell’ambito di ciascun istituto, sono correlative ed inscindibili tra di loro e non sono cumulabili con alcun altro trattamento.

Agli effetti del presente comma si considerano costituenti un unico istituto il complesso degli istituti di carattere regolamentare (norme generali disciplinari, ferie preavviso ed indennità di anzianità, malattia ed infortunio, puerperio).

Ferma restando l’inscindibilità di cui sopra, le parti, col presente contratto, non hanno inteso sostituire le condizioni, anche di fatto, più favorevoli al lavoratore attualmente in servizio non derivanti da accordi nazionali, le quali continueranno ad essere mantenute ad personam» (clausola desunta dall’art. 35, D.G., parte III, del normativamente ancora vigente contratto pilota dei metalmeccanici dell’ 8.6.1999 - e precedenti -, ma non dissimilmente dispone l’art. 24, 1 e 2 comma del Cap. 3° - Rapporti tra il contratto nazionale e le normative preesistenti - del vigente ccnl 12.2.2005 per il personale delle aziende di credito e l’art. 35 del ccnl 19.4.2005 per i dirigenti di aziende di credito).

La predetta clausola ha fatto sì che, dottrinalmente[1] e giurisprudenzialmente, s’imponesse il criterio dell’alternatività in toto delle fonti normative o contrattuali, o degli istituti analoghi delle diverse fonti, al posto del concorso o cumulo[2] delle singole migliorie reperibili qua e là.

Tale alternatività delle fonti, con prevalenza del trattamento individuale più favorevole fino al suo raggiungimento e superamento (momento nel quale al trattamento individuale si sostituisce integralmente il collettivo) costituisce il fondamento dell’assorbimento (fino a scomparsa) dei differenziali individuali da parte della fonte collettiva, la quale - attraverso un procedimento di recupero direttamente conseguente al divieto di cumulo - finisce per porsi quale unica normativa del rapporto di lavoro.

Ormai prevalente va considerato quell’orientamento dottrinario e giurisprudenziale che, in base ai principi suesposti, afferma l’operatività (in via normale) del principio dell’assorbimento  da parte del nuovo trattamento retributivo (conseguente a miglioramenti da rinnovo contrattuale) dei pregressi superminimi percepiti in misura superiore ai minimi contrattuali nazionali e di categoria, in assenza di contraria, esplicita, previsione.

In tal senso si sono espresse da tempo numerose decisioni giurisprudenziali[3] secondo le quali: «sussiste nell’ordinamento un generale principio di assorbimento della maggiore retribuzione individuale, globalmente considerata, in quella successivamente spettante per contrattazione collettiva, del pari globalmente considerata (né a tale principio osta il disposto dell’art. 2103 c.c., che garantisce al lavoratore la non regressione economica ma non anche la progressione sicura[4]); ne consegue che ogni patto di non assorbimento concernente particolari istituti retributivi deve essere esplicitamente convenuto tra le parti».

 

2.Le vicende dei superminimi in caso di rinnovo contrattuale e di passaggio di categoria

A fini operativi, le risultanze dottrinali e giurisprudenziali prevalenti possono così sintetizzarsi a secondo delle varie fattispecie (o situazioni):

 

2.1.) situazione di concorso di superminimi e aumenti da rinnovo contrattuale

2.1.a) i “superminimi generici” sono sempre assorbibili (cioè non si cumulano con sopraggiunti benefici economici a livello nazionale), fintanto che il nuovo livello retributivo fissato nel ccnl assicuri ancora un trattamento superiore alle globali competenze individualmente o aziendalmente pattuite, sempreché le parti stipulanti il rinnovato contratto, apportante miglioramenti economici, non abbiano fatto - come normalmente avviene non venga fatta - alcuna espressa previsione di cumulabilità, cioè a dire non abbiano espresso alcuna manifestazione di volontà. A maggior ragione, vige l’assorbimento quando le parti, ad abundantiam (e per prevenire un ipotetico contenzioso), abbiano riconfermato espressamente il divieto di cumulo, legittimando per converso l’assorbimento; il che può essere convenuto sia nei confronti dei superminimi di gruppo, sia per quelli generici, sia per quelli conferiti intuitu personae[5] (senza alcuna contraddizione con la regola generale della loro conservazione espressa al punto 2.1.b), in quanto risulta sovrana la volontà pattizia espressa in senso contrario dagli agenti contrattuali nazionali;

2.1.b) gli emolumenti convenuti individualmente in misura addizionale ai minimi contrattuali si cumulano, invece, con i miglioramenti discendenti dal rinnovo contrattuale collettivo, solo qualora il ccnl faccia espressa eccezione al principio dell’assorbimento; si cumulano altresì ai benefici apportati da quest’ultimo - salva espressa previsione contraria disposta al momento del conferimento (sede individuale) o nel sopravvenuto contratto nazionale - quegli emolumenti che poggiano su una causale remunerativa autonoma rispetto all’ intervenuto incremento dei minimi tabellari (es. premio di rendimento o di operosità individuale[6]), tali da occasionare la fattispecie dell’attribuzione intuitu personae[7]. A tale scopo, è necessario tuttavia dar corso ad una approfondita opera di ricognizione della reale volontà che ha spinto le parti alla loro assegnazione ed accettazione[8] ed il cui onere probatorio grava sul lavoratore che intenda opporsi all’assorbimento in ragione dell’asserito carattere meritocratico dell’attribuzione originaria.

Nel caso di attribuzione di compensi suppletivi intuitu personae (c.d. “ad personam”) sono stati ritenuti, esattamente, ininfluenti -  e quindi inidonei ad attivare il meccanismo del loro assorbimento  - quei miglioramenti successivi e generalizzati da contratto nazionale che nessuna correlazione rivestono con le causali che hanno determinato i differenziali ad personam, normalmente premianti la maggiore qualità od onerosità della prestazione. Pertanto, in tal caso, gli uni si cumulano agli altri qualora siano rimaste inalterate,  per i beneficiari, le condizioni iniziali di attribuzione (mansioni, posizione categoriale e professionale, rendimento qualitativo o quantitativo, dislocazione o trasferimento, ecc.).

 

2.2.) situazione  di superminimi ( o “ad personam”) e passaggio di categoria

In linea con l’asserita conservazione dei superminimi ad personam, nel solo caso di invarianza della causa e della situazione in cui e per cui si è concretizzata l’attribuzione intuitu personae, si mantiene pertanto quell’orientamento giurisprudenziale che asserisce la legittimità dell’assorbimento (non solo) dei superminimi generici ma anche dei superminimi intuitu personae:

2.2.a) sia in caso di normale passaggio di categoria (cioè al modificarsi della situazione alla quale era - in qualche modo - correlato il conferimento),

2.2.b) sia in ipotesi di riconoscimento giudiziale[9] della stessa, per esercizio (datorialmente disconosciuto) di mansioni superiori.

Le argomentazioni della giurisprudenza si riassumono - per il primo caso sub 2.2.a) - nell’affermazione secondo cui i superminimi intuitu personae erano  stati realisticamente conferiti - nella categoria sottostante - per premiare quelle doti di abilità e competenza (superiori alla media) le quali, una volta completatesi con l’inserimento e la permanenza in azienda, hanno occasionato l’attribuzione della categoria superiore. Conseguentemente, è stata ritenuta impropria e negata la pretesa di mantenimento dell’assegno ad personam acquisito nell’iniziale categoria, che, se si fosse cumulato alla superiore retribuzione della successiva e più elevata categoria, avrebbe dato vita ad una duplicazione di benefici del tutto ingiustificata per l’unicità della causale inerente sia al beneficio economico personalizzato sia alla progressione di carriera (e, conseguentemente, per la non autonomia genetica dell’uno rispetto all’altra). Nel caso sub 2.2.b) di riconoscimento giudiziale del diritto alla categoria superiore, è stata egualmente asserita l’assorbibilità degli “ad personam”, in quanto considerati dalla giurisprudenza quali parziali riconoscimenti di un diritto più completo, sotto il profilo economico. Sostanzialmente si sostiene che, se il datore di lavoro avesse avuto la consapevolezza della spettanza (o la volontà di conferimento) della categoria superiore e del correlativo trattamento economico, avrebbe operato unilateralmente l’assorbimento[10]. Poiché la pronuncia giudiziale ha lo scopo di accertare la regolarità o meno di una situazione e di rimuovere d’ufficio gli ostacoli che si frappongono allo svolgersi della stessa secondo normalità ed equità, gli effetti della decisione non si possono, pertanto, concretizzare in soluzioni difformi da quelle che si sarebbero normalmente realizzate, in assenza di impedimenti soggettivi e/o obiettivi.

 

3. Sintesi  delle conclusioni  raggiunte in  giurisprudenza e  dottrina

Per esigenze di razionalizzazione della materia, il nostro pensiero in precedenza esplicitato, può essere riassunto - per mera comodità di comprensione del lettore - con riferimento a due situazioni:

3.1.a) a quella “statica”, caratterizzata dalla invarianza della posizione professionale e categoriale;

3.1.b) a quella “dinamica”, conseguente al passaggio di categoria che dà luogo ad una novazione tale da spezzare il nesso di continuità con la valutazione di equivalenza corrispettiva compiuta all’atto della costituzione o nel corso del rapporto di lavoro.

 

Nella situazione “statica” di cui al punto 3.1.a), l’assorbimento intercorre tra i miglioramenti sopravvenuti per rinnovo di ccnl ed i trattamenti conferiti genericamente (cioè a dire non personalizzati in funzione di particolari meriti o qualità del lavoratore, ma ad es. occasionati da situazioni momentanee del mercato del lavoro e simili); nonché nei confronti dei trattamenti addizionali pattuiti a livello individuale, intuitu personae, alla condizione – per quest’ultimi – che ricorra:

x) una esplicita previsione di assorbibilità (in luogo della conservazione) espressa nella fonte normativa (ccnl) apportante i miglioramenti; y) ovvero qualora nella lettera di concessione iniziale del superminimo ad personam sia stata inserita dall’azienda una clausola espressa di assorbibilità ad opera dei futuri benefici economici per variazione dei minimi contrattuali; z) oppure, in mancanza  di esplicita previsione, nel caso in cui la ratio del conferimento del superminimo risulti oggettivamente comune a quella dell’altro beneficio sopravvenuto (es. entrambe corrisposte in funzione di premio di operosità o di rendimento, di indennità di disagio o di rischio, di sottosuolo e simili).

Sempre nella situazione “statica” (ipotesi sub 3.1.a), il beneficio conseguente ad es., agli ex scatti di contingenza (quando erano vigenti) o agli attuali aumenti per recupero d’inflazione, non è compensabile (cioè non è assorbibile) con il superminimo sia generico sia intuitu personae, in quanto la ex contingenza o quanto pattuito sia a fronte di recupero d’inflazione pregressa sia a fronte di concordata inflazione programmata futura che matura a favore del lavoratore hanno una ratio del tutto autonoma e diversa dalla causale attributiva dei superminimi: quella di assicurare, nel corso del tempo, una invarianza del potere reale delle retribuzioni in correlazione al costo vita. Sono cioè finalizzati ad assolvere ad una funzione ricostitutiva, in termini reali, del valore nominale delle precedenti, pattuite competenze corrispettive della prestazione di lavoro. Naturalmente per statuire una simile inassorbibilità occorre che le parti convengano sulla effettiva misura di lievitazione salariale imputabile a tali meccanismi (in percentuale sui minimi tabellari) di salvaguardia del solo potere reale del salario e che, per un eventuale contenzioso, il giudice ne riscontri esplicitata in contratto la misura da salvaguardare, distintamente enucleata. Altrimenti l’indifferenziata ed indistinta somma da incremento contrattuale finisce per assorbire fino a concorrenza l’intera misura dei superminimi. Spetta quindi alle OO.SS. avere l’accortezza di far risaltare nel testo contrattuale quanto erogato per effettivo incremento salariale/stipendiale e quanto (in percentuale) per garantire la mera invarianza, in termini reali, della retribuzione nominale.

 

In ipotesi “dinamica” sub 3.1.b) o di progressione di carriera - in considerazione della novazione  della situazione rispetto a quella iniziale di assunzione (cui è di norma correlata l’eventuale corresponsione di assegni ad personam) - i diritti economici  del lavoratore  si sostanziano, ex art. 13 L. n. 300/’70, esclusivamente nel fatto che siano garantite le condizioni economiche di base pertinenti alla nuova categoria, tenuto conto dell’anzianità raggiunta, cioè nel “diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta” (e... senza alcuna diminuzione della retribuzione, per dirla con le parole del legislatore).

Quando è assolta la prima condizione, il mantenimento della retribuzione globalmente più favorevole goduta nella categoria inferiore per effetto dei superminimi, consegue prevalentemente da un principio di logica organizzativa - giuridicamente recepito nel precitato art. 13 SL- secondo cui il lavoratore investito di responsabilità superiori non può percepire meno di quanto percepiva in precedenza, ma - al limite - l’eguale (in fase iniziale).

Una volta rispettate le condizioni della nuova categoria - nonché il principio dell’invarianza economica globale ex art. 13 SL - nelle varie componenti del trattamento economico (nuova misura dei minimi, degli scatti di anzianità in percentuale o in cifra fissa, ecc.) il superminimo intuitu personae fruito nella sottostante categoria può legittimamente essere assorbito, fino ad estinzione, dall’incremento retributivo risultante dalla differenza dei minimi delle due categorie, come pure dall’analogo incremento retributivo derivante dalla differenza fra la nuova (e superiore) misura e la vecchia (inferiore) misura degli scatti di anzianità[11].

Il superminimo sia generico sia “intuitu personae” non è invece - come già detto - assorbibile dallo scarto di valore della  ex contingenza tra una categoria e l’altra  o da similare meccanismo di garanzia del valore reale della retribuzione nominale, poiché tali meccanismi non hanno una funzione retributiva autonoma ma, quali fattore “ombra” dei minimi tabellari nominali, assolvono ad una funzione indennitaria o risarcitoria volta a garantire il potere d’acquisto reale di ciascun livello dei minimi tabellari categoriali. Cosicché, attribuire, ad es. al vecchio e superato scarto di valore della contingenza o all’attuale recupero dell’inflazione pregressa ovvero all’erogazione per inflazione programmata, idoneità a fungere da “fattore assorbente” dei superminimi equivarrebbe a corrispondere tali somme indennitarie in misura inferiore a quanto necessario ad assicurare, in una certa misura, il potere reale del nuovo minimo tabellare e, quindi, sostanzialmente - anche se non in termini di aritmetica nominale - occasionare una reformatio in peius della retribuzione reale del lavoratore promosso alla categoria superiore, rispetto a quella fruita in precedenza nella categoria o livello inferiore.

E’ noto che dopo l’abolizione del meccanismo di scala mobile, da anni i rinnovi contrattuali avvengono attraverso due componenti (o calcoli) addizionali e congiunti: la percentuale di recupero e garanzia del potere d’acquisto dei salari e gli incrementi della scala parametrale. Ad es. nella piattaforma per il rinnovo del ccnl 12.2.2005 per il settore del credito (ma uguale metodologia viene praticata, ad es., nella piattaforma del 4.2.2007 per il rinnovo del ccnl metalmeccanici e di altri settori), le OO.SS. hanno quantificato una richiesta  per recupero e a garanzia (in corso di vigenza d’accordo) del potere d’acquisto delle retribuzioni in misura del 3,8% (1,8% per recupero inflazione 2006 e 2% per inflazione attesa nel 2007) cui si aggiunge un 3,5% medio discendente dalla crescita della nuova scala parametrale. Se le OO.SS. avranno l’accortezza (che finora è loro mancata) di quantificare congiuntamente – una volta raggiunta l’intesa sull’incremento retributivo complessivo - quanto è la misura (percentuale) imputabile a salvaguardia del potere  reale della retribuzioni e quanto è la differenza (in percentuale) ascrivibile ad effettivo miglioramento economico, la prima non potrà entrare quale fattore assorbente nel meccanismo di recupero dei superminimi, residuando questa funzione solo all’altra componente effettivamente incrementativa delle retribuzioni.

 

4. Il rispetto del principio di invarianza retributiva ex art. 2103 c.c.

Da parte di taluno si è correttamente eccepito che sussiste un limite al meccanismo di recupero delle eccedenze retributive i minimi contrattuali, rinvenibile e stabilito dall’art. 2103 c.c. secondo il quale non può determinarsi - nel corso dello svolgimento del rapporto - una diminuzione della retribuzione (intesa nel senso di corrispettivo base delle qualità professionali dispiegate nel conferimento della prestazione, ed escluse dalla garanzia dell’intangibilità quelle indennità che trovano causa in particolari modalità estrinseche scollegate dalla professionalità, quali le indennità compensative del rischio, disagio, rumore, calore, sottosuolo e simili che ben possono venire meno con la scomparsa della causale esterna che le ha originate).

Si è sostenuto che la legittimazione dell’assorbimento - in caso di passaggio di categoria, cioè di progressione di carriera - avrebbe potuto, in un raffronto che non si fermasse al momento del passaggio ma si proiettasse in una comparazione evolutiva nel corso degli anni futuri, occasionare una lesione del principio affermante il divieto di “reformatio in peius” del trattamento retributivo professionale.

Giunta in Cassazione la problematica è stata risolta nel senso che il requisito (intangibilità o invarianza retributiva) di cui all’art. 2103 c.c. deve ritenersi soddisfatto dietro un raffronto istantaneo della posizione reale goduta anteriormente e immediatamente dopo la promozione,  senza necessità che l’invarianza sia perseguita con un raffronto comparativo proiettato lungo l’intero arco temporale della vita residua del lavoratore. Il principio in questione è stato esplicitato dalla Suprema corte[12] in questi termini: «Il meccanismo di salvaguardia (leggi: di invarianza retributiva, n.d.r.) tanto nel testo legislativo (art. 2103 c.c., n.d.r.) che contrattuale, opera istantaneamente - ed esaurisce la propria funzione - nel raffronto tra la retribuzione ultima raggiunta prima della promozione e quella immediatamente successiva, senza proiettarsi nel tempo in termini di comparatività tra la dinamica retributiva propria del nuovo inquadramento e quella del vecchio. In altre parole né la legge né il contratto collettivo garantiscono al lavoratore promosso una retribuzione superiore, in ogni momento temporale successivo alla promozione, a quella che gli sarebbe spettata col precedente inquadramento, ma si limitano ad assicurargli dopo la promozione una retribuzione non inferiore a quella di prima goduta, impregiudicata la possibilità di rallentarne le future lievitazioni che devono “scontare” gli eventuali “surplus” personali, senza di che non si produrrebbe l’allineamento tra contratto individuale e contratto collettivo, si trasmetterebbe l’assegno personale, sommandolo alla retribuzione tabellare nuova, in uno stipendio minimo superiore a quello previsto per la categoria di assegnazione».

 

5. Conclusioni

Possiamo, a conclusione, asserire che il principio dell’assorbimento (o automatismo di recupero) sorregge ed alimenta il “dinamismo retributivo” ed oltre ad essere unilateralmente azionabile[13] (il che non significa immotivatamente, sotto il profilo dell’equità sociale) è strumento spesso attivato dalle direzioni aziendali al suddetto specifico fine.

Esso si atteggia a meccanismo finalizzato alla riaffermazione (in fase di rinnovo contrattuale o di novazione della situazione individuale per passaggio di categoria) del principio basilare del contratto collettivo di lavoro, costituito dalla uniformità delle condizioni economiche; ed opera, non tramite revocazione, ma attraverso il prosciugamento, sino al drenaggio completo, di benefici precedentemente accordati al contemporaneo sopravvenire di altri sorretti dalla stessa ratio.

L’individualismo spiccato, volto alla massimizzazione ed alla capitalizzazione dei benefici, fa sì che ogniqualvolta l’assorbimento viene attivato – nella concreta realtà aziendale – si inneschi una reazione psicologica di opposizione o comunque di carattere ostile, con riflessi negativi sul piano della produttività individuale.

Il meccanismo dell’assorbimento è invece – in mani coscienti e responsabili – una valvola di sicurezza che meriterebbe da parte degli operatori sindacali e dei lavoratori un diverso e più positivo atteggiamento. È uno strumento salutare e rivitalizzante, idoneo ad evitare stratificazioni e consolidazioni immotivate di benefici che, oltre un certo tempo, rifluirebbero sotto veste di rendite parassitarie.

L’impresa non deve privilegiarlo (o auspicarlo) solo perché gli conferisce la momentanea utilità della riduzione del costo del lavoro, ammortizzando gli impatti più o meno onerosi dei rinnovi contrattuali, ma perché è il mezzo accordato legalmente e pattiziamente per ricostruire – passando per la temporanea egualizzazione dei trattamenti corrispettivi a fronte di diversificate capacità – le condizioni di base per un  sempre aggiornato sistema di riconoscimento del merito.

Anche il lavoratore, culturalmente evoluto, non dovrebbe essere maldisposto nei confronti del meccanismo stesso. Mentre il meccanismo dell’assorbimento annulla i benefici acquisiti (in quanto meritati in un certo periodo) di fasce di lavoratori, taluni dei quali possono essersi nel frattempo adagiati nell’apatia o involontariamente precipitati (per ridotta capacità fisiologica) in una contrazione di rendimento, libera al tempo stesso l’azienda da oneri e gli lascia più ampi spazi per una politica meritocratica. L’assorbimento trova quindi tutta la sua valenza nell’essere strumento di egualizzazione “transitoria”; cioè mezzo non volto a fare dell’egualizzazione l’alternativa alla diversificazione salariale ma per consentire, all’opposto, il rinnovarsi di strumenti concretamente stimolanti e realmente compensativi - secondo criteri di equità, obiettività e trasparenza - di più elevate capacità, attitudini ed impegno.

Naturalmente l’attivazione di una politica del merito deve trovare, a monte, una convergenza di posizioni delle controparti sociali sulla nozione di “merito” e sull’opportunità della sua contrattualizzazione. In omaggio a questo difficile compito, le direzioni aziendali – che ancora detengono le chiavi della politica meritocratica ed incentivante - dovrebbero sacrificare (ed abbandonare) valutazioni secondo criteri da confraternita, oramai culturalmente e socialmente superati (quali disponibilità, accondiscendenza, gregarietà, affidabilità soggettiva o per segnalazione clientelare), per lasciare spazio a requisiti oggettivi direttamente collegati alla qualità e professionalità della prestazione, che i sindacati dovrebbero pretendere ed impegnarsi a codificare nei contratti di lavoro, con formulazioni stringenti e tutt’altro che generiche (come, invece si presentano quelle reperibili, ad esempio, nel contratto del credito, relativamente all’omologa materia dei fattori o criteri di valutazione per le promozioni per merito comparativo).

 

Mario Meucci

Roma, 13 ottobre 2007 (pubblicato in Consulenza, Buffetti ed., n. 39/2007)


 

[1] Sulla tematica del riassorbimento  dei superminimi, si rinvia a P.G. Alleva, Automatismi e riassorbimenti salariali, in  RGL 1979,I,59; L. Galantino, Sui trattamenti retributivi individuali più favorevoli, in RIDL 1980, I, 129 e ss.; R. Regazzo, L’assorbimento del superminimo individuale ed i suoi limiti, in L80, 1985,739 e ss. In precedenza, v. M. Meucci, Le condizioni e i limiti per l’assorbimento dei superminimi, in LPO, n.1/1978, 115 (nota a Trib. Monza 17.9.1977), cui adde, Superminimi e meccanismo di assorbimento, ivi  n.1/1998, 1 e ss.

[2] Afferma essere consolidato il principio del raffronto - ai fini dell’individuazione del trattamento più favorevole - delle intere discipline contrattuali nel complesso delle clausole costitutive (o quantomeno per singoli “istituti” delle stesse discipline), escludendo effetti di cumulo: Cass. 11.2.1984, n.1065 (inedita) nonché Cass. 16.6.1977, n. 2516 in MGL 1978,12 e 457 con nota di G. Pera.

[3] Così espressamente Cass. 20.3.1998, n. 2984, in NGL 1998, 376, 20 (m.); conf. Cass.7.8.1999 n. 8498, ivi 1999, 631; Cass. 13.3.1996, n. 2058, ivi 1996, 305, 17 (m.); Cass. 16.8.1993,n. 8711, ivi 1993, 851; Cass. 21.10.1991, n. 11139; Cass., 25 agosto 1986, n. 5192; Cass. n. 4122/1979; Cass. n.491/1979; Pret. Torino 2.3.1981, in MGL 1982, 195.

[4] Esplicita tale convincimento espressamente Cass., 22 febbraio 1985, n. 1600, in FI, 1985, I, c. 1316, secondo cui l'assorbimento del superminimo non viola l'art. 2103 c.c., in quanto il meccanismo del trattamento globale più favorevole esaurisce la sua funzione nel confronto tra la retribuzione raggiunta prima della promozione e quella immediatamente successiva, senza garantire al lavoratore promosso una retribuzione superiore - in ogni momento temporale successivo alla promozione — a quella che gli sarebbe spettata secondo il precedente inquadramento.

[5] Conf. App. Milano 16.11.1973, in OGL 1973, 152.

[6] Cfr. Cass. 12.4.1980, n. 2376 in RGL 1980, II, 583.

[7] Cfr. Cass. 16.8.1993, n. 8711, cit.; Cass. 11.10.1989, n. 4064, in DPL 1989, 44, 2957.

[8] Cfr. Cass. 23.12.1986, n. 7868, in DPL 1987, 9, 634.

[9] Espressamente in fattispecie, Cass. 26 ottobre 1982, n. 5597, in GC , 1983, I, p. 1551, secondo cui, in caso di riconoscimento giudiziale della qualifica superiore, il calcolo delle differenze retributive va effettuato determinando in astratto il compenso che al lavoratore sarebbe spettato sulla base del trattamento minimo convenzionale previsto per tale qualifica, con gli aumenti ed emolumenti di carattere generale concessi medio termine, ma senza ricomprendere nella nuova retribuzione globale i superminimi riconosciuti nel periodo in cui il dipendente era inquadrato con una qualifica inferiore.

[10] Così Cass. 28.1.1978, n. 429, in MGL 1979, 24.

[11] Una particolare problematica approdata all’esame della Cassazione, in tema di scatti (e che si segnala per contiguità di tematica) è stata quella – non implicante invero problematiche di assorbimento – occasionata dall’azzeramento nella superiore e distinta categoria dei funzionari direttivi dell’importo  e numero degli scatti maturati nella categoria impiegatizia inferiore, e loro ridecorrenza ex novo nell’ambito della superiore categoria cui erano stati promossi. Operazione che ha implicato secondo alcuni funzionari di un Istituto di credito (che hanno focalizzato l’attenzione solo alla singola voce degli scatti d’anzianità all’interno del complesso istituto retributivo, non operando un raffronto retributivo di carattere globale) una presunta lesione del trattamento retributivo proporzionale alla professionalità, in quanto in alcuni casi inferiore a quello fruito dagli impiegati.

Cass. 24 maggio 1999 n. 5056  (in NGL 1999, 631) ha rigettato il ricorso in questione in quanto ha osservato che non essendo applicabile il preteso principio della conservazione di quanto maturato a titolo di scatti d’anzianità in azienda (stante che il principio dell'infrazionabilità del periodo di servizio è vigente solo per l'indennità di anzianità ex art. 2120 c.c. e non per la progressione di carriera nelle varie qualifiche), gli scatti non potevano essere riportati in cifra o conservati per intero, né rilevava l'anzianità nella precedente categoria o livello, a meno che non esistesse un'espressa clausola di salvaguardia, non essendo sufficiente il semplice silenzio tenuto in proposito dalle parti collettive. Gli scatti d’anzianità – ha ancora osservato la S.C. – sono soggetti, secondo la volontà contrattuale, al principio dell’assorbimento (rectius, dell’azzeramento o ridecorrenza) nella nuova categoria, «atteso che l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere un elemento aggiuntivo della retribuzione in ragione dell’anzianità di servizio del lavoratore non può che fare riferimento alla durata della permanenza dello stesso nella categoria o livello corrispondente alla retribuzione che costituisce base di calcolo degli scatti stessi» (conf. Cass., 28 novembre 1992, n. 12751, in NGL, 1993, p. 1).

[12] Cass. 14 maggio 1979 n. 2783, in GI,1979, I, 1, 1436.

[13]  La dismissione da parte del datore di lavoro – per proprie insindacabili scelte (motivanti verso il personale ovvero per non necessità di fruire della riduzione del costo del lavoro e simili) dall’avvalersi dell’assorbimento nel corso di vigenza di un determinato ccnl che lo legittima, non dà luogo ad alcun uso o prassi aziendale  più favorevole, vincolante; né preclude che nel periodo di vigenza di un nuovo contratto - che parimenti contempli l’assorbimento - egli non possa modificare il pregresso atteggiamento e legittimamente operare in tal senso: così si è espressa, rigettando un ricorso dei lavoratori, Cass. sez. lav., 24 luglio 2006 n. 16862, in MGL 2007, CD-Rom.

       

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Cass. sez. lav., 24 luglio 2006, n. 16862 - Pres. Senese - Est. Cuoco - P.M. Gaeta (concl. conf.) - Cavallara ed altri c. Soc. Metro Italia Cash and Carry.
 
Contratto collettivo - Successione di contratti collettivi - Criteri - Poteri del datore di lavoro -Nuova norma collettiva - Aumenti retributivi - Assorbimento - Comportamento del datore di lavoro rispetto a precedenti contratti collettivi - Effetti - Prassi aziendale - Inconfìgurabilità.
 
Poiché ogni norma del contratto collettivo è una nuova norma, nei confronti della - pur simile - norma contenuta nel precedente contratto (e, nell'ipotesi di attribuzione al datore di disporre l'assorbimento di preesistenti assegni nei disposti aumenti contrattuali, il contratto conferisce un nuovo potere, indipendente da quello precedentemente riconosciutogli), il comportamento del datore di lavoro in relazione all'esercizio del potere di disporre (o non disporre) l'assorbimento di preesistenti assegni personali nei miglioramenti recati dal singolo contratto, essendo indipendente dal comportamento del datore in relazione al riconoscimento di analogo potere in un successivo contratto, non costituisce una idonea base per formare, nei confronti di tale contratto, una vincolante prassi aziendale.
 
Fatto. — Con sentenza del 7 marzo 2001 il Tribunale di Roma respinse la domanda con cui Alberto Cavallara ed altri dipendenti della Metro Italia Cash and Carry s.p.a. avevano chiesto che si dichiarasse l'illegittimità dell'assorbimento dei superminimi retributivi, attuato dalla Società dal luglio 1992 in relazione agli aumenti introdotti con i contratti collettivi del 14 dicembre 1990 e del 3 novembre 1994. Con sentenza del 10 dicembre 2002 la Corte d'Appello di Roma respinse l'impugnazione. Premette il giudicante che l'eccedenza della retribuzione - o superminimo - è di norma (come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità) assorbibile nei miglioramenti retributivi, a meno che pattuizione collettiva ed individuale diversamente dispongano, come per i superminimi di merito (per doti del lavoratore o qualità delle mansioni).
Nel caso in esame (aggiunge la sentenza) l'art. 113 del contratto collettivo del 14 dicembre 1990, dopo aver disciplinato gli aumenti salariali introdotti dal contratto stesso, dispone che «gli aumenti salariali di cui al presente articolo possono essere assorbiti da eventuali elementi retributivi concessi con clausole espresse ovvero a titolo di acconto o di anticipazione sul presente contratto»; nel contempo, l'art. 117, con disciplina generale, dispone che in caso di aumenti di tabelle, gli aumenti — non di merito né di anzianità — possono essere assorbiti solo se l'assorbimento sia previsto da eventuali accordi sindacali oppure espressamente stabiliti con la concessione. Espressamente applicando l'art. 1367 c. c., il giudicante ritiene che, nella coesistenza delle due disposizioni, l'art. 113 del contratto collettivo costituisce una disciplina speciale relativa all'assorbimento degli aumenti introdotti dallo stesso contratto (e previsti nel primo comma dell'articolo). Di ciò il giudicante trova conferma nella soppressione di questa specifica disposizione (sull'assorbimento) nel successivo contratto collettivo del 1994.
Nei caso in esame, poi (ove non erano stati indicati i ricorrenti per i quali mancherebbe la prova documentale dell'assorbimento, né erano stati indicati gii importi erogati), la documentazione in atti prevede espressamente, e per tutti i ricorrenti (nella comunicazione o nella lettera di assunzione), l'assorbibilità. In tal modo, la prova testimoniale richiesta dai ricorrenti, essendo in contrasto con la prova scritta, è inammissibile. In relazione all'invocata prassi aziendale, per cui la Società per lungo tempo non aveva assorbito gli aumenti ed aveva iniziato a farlo solo dal 1992, l'assorbimento costituisce l'esercizio d'una facoltà del datore, e non l'effetto automatico dell'aumento contrattuale; e l'iniziale scelta datoriale (di non esercitare la facoltà) non è irreversibile.
Per la cassazione di questa sentenza gli iniziali ricorrenti propongono ricorso per cassazione, articolato in tre motivi; la Metro Italia Cash and Carry s.p.a. resiste con controricorso, coltivato con memoria.
Diritto. - 1. Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c. c., nonché errata, insufficiente, contraddittoria motivazione, i ricorrenti sostengono che i superminimi sono assorbibili ove sussistano congiuntamente due condizioni: che siano espressamente configurati come tali e non costituiscano aumenti di merito. Di conseguenza, il giudicante avrebbe dovuto accertare l'eventuale presenza della clausola di assorbibilità, e poi, eventualmente (in presenza di questa clausola), accertare se il beneficio non fosse aumento di merito.
Erroneamente il giudicante aveva ritenuto probante la scarna e parziale documentazione aziendale, non afferente né alla totalità dei lavoratori ricorrenti né all'intero ammontare degli aumenti. Ed erroneamente il giudicante aveva ritenuto generica la doglianza degli appellanti per omessa specificazione dell'assunta mancanza della clausola di riassorbibilità: l'onere probatorio della sussistenza della clausola incombeva non sui ricorrenti bensì sulla Società.
2. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c. c. nonché errata insufficiente e contraddittoria motivazione, i ricorrenti sostengono che, poiché la norma contrattuale (art. 117 del contratto collettivo) vieta l'assorbimento degli aumenti di merito, ed in tale ipotesi l'espressa clausola di riassorbibilità sarebbe illegittima, era necessario (per ritenere l'assorbibilità) escludere che l'assegno avesse questa natura.
3. Con il terzo motivo, denunciando omessa motivazione, i ricorrenti sostengono che la prassi aziendale è integrata dall'attribuzione spontanea del miglioramento, in assenza della convinzione dell'obbligatorietà dello stesso. E pertanto, nel momento in cui, in presenza di miglioramenti contrattuali, la Società ha conservato l'assegno, ha manifestato la volontà di concedere il miglioramento nella consapevolezza dell'assenza dell'obbligo.
Ed il comportamento è stato reiterato nel tempo, in presenza di tre rinnovi contrattuali, contenenti nove aumenti tabellari.
4. I motivi del ricorso, che essendo interconnessi devono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
5. La decisione (con cui si ritiene la riassorbibilità degli assegni) è fondata su due elementi (relativi all'oggetto e - simmetricamente - allo strumento del riassorbimento): la clausola (di riassorbibilità) con cui il singolo assegno è stato concesso, e la norma collettiva (art. 113 del contratto collettivo) che (secondo l'interpretazione data dal giudicante) prevede il riassorbimento dell'assegno negli aumenti salariali disposti con il contratto (ed è principio della giurisprudenza di legittimità che l'interpretazione del contratto collettivo data dal giudice di merito, ove priva di vizi giuridici o logici, in sede di legittimità è insindacabile: ex plurimis, Cass., 12 novembre 2004, n. 12555).
6. I ricorrenti non censurano in alcun modo il primo elemento della decisione: l'accettata assorbibilità dei singoli assegni («la documentazione versata in atti prevede espressamente, per tutti gli appellanti, nella comunicazione o nella lettera di assunzione, l'assorbibilità»).
In tal modo, l'argomentazione del ricorso, per cui sarebbe onere della Società provare l'assorbibilità del­l'assegno, resta inconferente.
7. Assumendo che, in base all'art. 117 del contratto collettivo 14 dicembre 1990, l'assegno di merito non è riassorbibile, i ricorrenti sostengono che per ritenere l'assorbibilità sarebbe stato necessario escludere nell'assegno tale natura.
La decisione è tuttavia fondata sull'interpretazione dell'art. 113 del predetto contratto, quale norma speciale (disposizione che, anche come interpretata in sentenza, non limita l'assorbibilità); e questa interpretazione non è in alcun modo censurata. Per esigenza di completezza è da aggiungere che l'argomentazione del ricorso, non specificando come l'espressa generale assorbibilità non consenta di escludere la sua natura di merito e non presupponga comunque che la prova di questa natura sia a carico di colui che tale natura invochi, è priva di decisività.
8. Poiché ogni norma del contratto collettivo è una nuova norma, nei confronti della (pur simile) norma contenuta nel precedente contratto (e, nell'ipotesi di attribuzione al datore di disporre l'assorbimento di preesistenti assegni nei disposti aumenti contrattuali, il contratto attribuisce un nuovo potere, indipendente da quello precedentemente riconosciutogli), il comportamento del datore in relazione all'esercizio del potere di disporre (o non disporre) l'assorbimento di preesistenti assegni personali nei miglioramenti recati dal singolo contratto, essendo indipendente dal comportamento del datore in relazione al riconoscimento di analogo potere in un successivo contratto, non è idonea base per costituire, nei confronti di tale contratto, una vincolante prassi aziendale. Anche all'interno del tempo di vigenza del singolo contratto, poi, l'esercizio del potere datoriale di assorbimento non è soggetto ad un termine (ciò il ricorrente non deduce né dimostra); né l'iniziale non esercizio sarebbe di per sé idoneo a costituire una «prassi»; e pertanto il comportamento del datore, che inizialmente non disponga il riassorbimento, non è irreversibile.
9. Il ricorso deve essere respinto. (Omissis).
Nota redazionale (di Not. giurisp. lav.)
Con la sentenza in epigrafe, la S.C. precisa che in presenza di una norma del contratto collettivo che autorizza l'assorbimento di precedenti assegni nei nuovi aumenti contrattuali, il comportamento del datore di lavoro, che non abbia fatto valere la stessa disposizione contenuta in precedenti contratti collettivi, non è idoneo a configurare una vincolante prassi aziendale che impedisca l'applicazione della norma; infatti, essendo ogni norma collettiva una norma nuova, quella che consente l'assorbimento attribuisce un potere nuovo e indipendente da quello analogo scaturente dai previgenti contratti, per cui il mancato esercizio di tale potere in precedenti assetti contrattuali non interferisce sul potere da ultimo riconosciuto, men che meno per l'operatività di una prassi aziendale vincolante.
È noto che i comportamenti tenuti in fatto dal datore di lavoro con apprezzabile continuità o reiterazione nei confronti dell'intero personale o di settori più o meno ampi dello stesso possono produrre l'effetto di modificare stabilmente la regolamentazione dei rapporti di lavoro della generalità degli appartenenti alla categoria favorita dall'uso aziendale, compresi coloro che ne entrano a far parte in un tempo successivo (v. Cass., Sez. Un., 30 marzo 1994, n. 3134, in Foro it., 1994, I, e. 2114; Cass., Sez. Un., 17 marzo 1995, n. 3101, ibidem, 1995, I, c. 1143).
Gli indirizzi espressi in tema di uso o prassi aziendale hanno precisato che la modifica migliorativa stabile trova la sua origine soltanto in un comportamento spontaneo dell'imprenditore, che attribuisca ai dipendenti, senza esservi obbligato, un trattamento economico o normativo non previsto né dal contratto individuale né dal contratto collettivo. In particolare, il requisito della spontaneità sussiste a prescindere dall'atteggiamento psicologico o dall'intento del datore di lavoro riferiti a ciascuno degli atti di cui la prassi si compone, essendo sufficiente accertare l'inesistenza oggettiva di un obbligo, reale o putativo che sia. È altresì necessario che l'attribuzione sia generalizzata, perché se riguardasse solo alcuni lavoratori precisamente individuati non sorgerebbe un uso aziendale, ma semmai un trattamento di fatto, che potrebbe essere configurato come un mutamento unilaterale delle condizioni contrattuali tacitamente accettato dal beneficiario. Il comportamento spontaneo, infine, non deve essere isolato, poiché è certo che se il datore di lavoro erogasse per una sola volta a tutti i suoi dipendenti un beneficio non previsto dal contratto individuale o collettivo, al verificarsi della medesima situazione, nessun diritto potrebbe sorgere alla reiterazione del beneficio. È la ripetizione del comportamento per un certo periodo di tempo a rendere il beneficio «usuale», facendo nascere l'obbligo di compensare con esso il lavoro svolto in una determinata azienda.
Appare, quindi, delineata nettamente la distinzione tra uso aziendale e patto negoziale modificativo, ancorché stipulato mediante comportamenti concludenti o secondo lo schema della proposta, previsto dall'art. 1333 c.c. È, peraltro, evidente che se una determinata attribuzione patrimoniale dipendesse da un accordo stipulato con ciascuno dei lavoratori interessati, la corresponsione di tale trattamento, anche se generalizzato, non farebbe sorgere un uso aziendale, in quanto il comportamento del datore di lavoro costituirebbe adempimento di un obbligo contrattuale, assunto solo nei confronti di quei lavoratori, pochi o molti che siano, che tale patto abbiano stipulato.
Interesse non minore presenta l'istituto dell' «assorbimento», che trova il suo campo di applicazione più frequente con riferimento ai cd. superminimi, cioè alle eccedenze della retribuzione rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuite, in ordine alle quali si ritiene esistente una presunzione semplice di assorbibilità, superabile con la prova o dell'esistenza di un'espressa previsione pattizia contraria, o del collegamento causale dell'erogazione con i particolari meriti del dipendente (cfr. Cass., 16 agosto 1993, n. 8711, in questa Rivista, 1993, p. 851 ed ivi riferimenti).
In particolare, i superminimi si distinguono in generici, quando corrisposti per motivazioni estranee alle qualità personali del lavoratore, per esempio, come incentivo o in vista di futuri incrementi del trattamento economico collettivo, e di merito o intuitu personae, se riconosciuti in considerazione di peculiari doti individuali del lavoratore, che si traducono in un maggior valore della prestazione, ovvero in relazione alle particolari qualità o alla maggiore onerosità delle mansioni svolte, cosi da essere sorretti da un titolo autonomo e specifico.
Stabilire la natura del superminimo costituisce operazione fondamentale, in quanto quello generico è soggetto al principio generale dell'assorbibilità in futuri miglioramenti, quale che sia la ragione che determina l'aumento della paga base (rinnovo del contratto collettivo, promozione o progressione automatica in carriera, riconoscimento giudiziale del diritto ad un inquadramento superiore, ecc.), a meno che il contratto collettivo o la clausola individuale non stabiliscano diversamente; viceversa, al superminimo di merito si applica il criterio del cumulo, cioè l'erogazione deve essere conservata ed aggiunta al minimo tabellare più favorevole, dovuto per uno dei richiamati eventi, salva, anche in tal caso, la previsione contrattuale contraria (Cass., 9 luglio 2004, n. 12788, in questa Rivista, 2005, p. 97; Cass., 7 agosto 1999, n. 8498, ibidem, 1999, p. 631; Cass., 21 ottobre 1991, n. 11139, inedita per quanto consta). L'onere di provare in giudizio la natura del superminimo quale compenso aggiuntivo speciale per particolari meriti del dipendente grava sul lavoratore (Cass., 9 luglio 2004, n. 12788, cit.; Cass., 20 marzo 1998, n. 2984, in questa Rivista, 1998, p. 376, n. 20; Cass., 16 agosto 1993, n. 8711, ibidem, 1993, p. 851); a sua volta, il giudice del merito deve compiere l'indagine probatoria sull'esistenza di una particolare pattuizione e quella ermeneutica sulla effettiva portata derogatoria della stessa alla regola generale dell'assorbimento, ed è tenuto a fornire congrua motivazione dell'apprezzamento che sostiene la decisione (Cass., 20 marzo 1998, n. 2984, cit., che richiama in senso conforme, Cass., 24 febbraio 1984, n. 1347, inedita per quanto consta).
Notevole interesse presentano le seguenti pronunce, che hanno chiarito la tecnica di computo cui, in presenza di un superminimo generico, devono attenersi le parti del rapporto di lavoro: a) Cass., 20 marzo 1998, n. 2984, cit., secondo cui per stabilire, in ipotesi di retrodatazione giudiziale della qualifica superiore, se il trattamento retributivo percepito sia stato o meno inferiore a quello che sarebbe spettato, il superminimo, in quanto destinato ad integrare la retribuzione stabilita dalle parti e non già la retribuzione dovuta ex lege per effetto del riconoscimento giudiziale, deve essere computato nel perceptum e non nel percipiendum, b) Cass., 25 agosto 1986, n. 5192, cit., secondo cui, in ipotesi di utilizzazione in mansioni superiori disposta dal datore di lavoro, con conseguente aumento del minimo tabellare, la retribuzione garantita dal superminimo deve essere ricondotta al criterio del trattamento globale più favorevole e non a quello del cumulo del nuovo minimo retributivo con il superminimo; c) Cass., 22 febbraio 1985, n. 1600, in Foro it., 1985, I, e. 1316, secondo cui l'assorbimento del superminimo non viola l'art. 2103 c.c., in quanto il meccanismo del trattamento globale più favorevole esaurisce la sua funzione nel confronto tra la retribuzione raggiunta prima della promozione e quella immediatamente successiva, senza garantire al lavoratore promosso una retribuzione superiore - in ogni momento temporale successivo alla promozione — a quella che gli sarebbe spettata secondo il precedente inquadramento; d) Cass., 26 ottobre 1982, n. 5597, sul punto, in Giust. civ., 1983, I, p. 1551, secondo cui, in caso di riconoscimento giudiziale della qualifica superiore, il calcolo delle differenze retributive va effettuato determinando in astratto il compenso che al lavoratore sarebbe spettato sulla base del trattamento minimo convenzionale previsto per tale qualifica, con gli aumenti ed emolumenti di carattere generale concessi medio termine, ma senza ricomprendere nella nuova retribuzione globale i superminimi riconosciuti nel periodo in cui il dipendente era inquadrato con una qualifica inferiore.
Altro istituto nei cui confronti opera il principio dell'assorbimento è quello degli scatti di anzianità, allorché si verifichi il passaggio del lavoratore ad una categoria o livello superiore, non essendo applicabile, in luogo di quello in esame, il principio dell'infrazionabilità del periodo di servizio, vigente solo per l'indennità di anzianità; pertanto, gli scatti non possono essere riportati in cifra o conservati per intero, né rileva l'anzianità nella precedente categoria o livello, a meno che non esista un'espressa clausola di salvaguardia, non essendo sufficiente il semplice silenzio tenuto in proposito dalle parti collettive (v. Cass., 4 maggio 1999, n. 5046, in questa Rivista, 1999, p. 631; Cass., 28 novembre 1992, n. 12751, ibidem, 1993, p. 1). Invero, posto che la disciplina degli scatti è rimessa alla volontà delle parti ed esula dalla tutela della retribuzione garantita dall'art. 36 Cost., l'obbligo datoriale di corrispondere un elemento aggiuntivo ragguagliato all'anzianità del dipendente non può che far riferimento alla durata della permanenza nella categoria corrispondente alla retribuzione che costituisce base di calcolo degli scatti. La mancata considerazione della pregressa anzianità può, dunque, produrre l'effetto della percezione di un corrispettivo economico inferiore a quello corrisposto, in ragione di elementi contingenti, a taluni dipendenti esercitanti mansioni inferiori; nondimeno, non si verifica violazione del principio di proporzionalità della retribuzione, garantito dall'art. 36 Cost., quando il lavoratore che svolge l'attività qualitativamente superiore comunque goda di una retribuzione base e di un trattamento complessivo superiori a quello spettante al lavoratore impegnato in mansioni inferiori.
Infine, il principio dell'assorbimento trova applicazione anche allorché, emersa in giudizio la natura subordinata del rapporto, sia in discussione la determinazione dei trattamento economico dovuto; infatti, occorre considerare quanto il lavoratore ha percepito in qualità di prestatore d'opera ed individuare il trattamento globale più favorevole tra quello di fatto goduto, comprensivo di ogni compenso pattuito, e quello spettante sulla base dei minimi tabellari (Cass., 4 novembre 1997, n. 10824, in questa Rivista, 1997, p. 722, in una fattispecie in cui era in contestazione la liquidazione delle mensilità aggiuntive; Cass., 7 marzo 1986, n. 1532, inedita per quanto consta).
Il principio dell'assorbimento non opera, tuttavia, con riferimento all'indennità di fine lavoro, in quanto il diritto alla percezione sorge al momento della risoluzione del rapporto ed il relativo ammontare va determinato tenendo conto dell'ultima retribuzione, per l'indennità di anzianità, e mediante gli accantonamenti ragguagliati alla retribuzione annua, per il t.f.r. (Cass., 4 novembre 1997, n. 10824, cit.).
Per eventuali connessioni con la questione dei «diritti quesiti», cfr. explurimis, Cass,, 24 luglio 1994, n. 6845, in questa Rivista, 1994, p. 705 ed ivi riferimenti.
 
(fonte: Not. giurisp. lav. 2007, p.1 e ss.)

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