ARTICOLO 18 - Gli ultimi argini del diritto

La proposta Fazio sulla liberalizzazione dei licenziamenti significa partire dalla soluzione più estrema (tornare al codice civile del 1942) perché in sede politico parlamentare si arrivi alla soluzione voluta da Confindustria: via l'art 18 dello Statuto dei lavoratori, sostituire il diritto alla reintegra, che rappresenta la continuità del lavoro, cioè delle più elementari esigenze di vita, con una manciata di soldi, che nel linguaggio di questi ipocriti, si chiama "avviare" il lavoratore verso la mobilità.

Cosa si vuole con questo disegno padronale:

A)     Non è un disegno nuovo perché già nella scorsa legislatura pendevano proposte del genere, ma è grandemente significativo del carattere autoritario e dispotico di questo governo che propone una modifica legislativa, da poco tempo, già nettamente respinta dalla volontà popolare. L'ultima consultazione referendaria è di appena un anno fa (26 maggio 2000), tra i quesiti sottoposti agli elettori vi era anche quello della eventuale abrogazione dell'art. 18 dello Statuto, gli elettori con una netta maggioranza (66,02% dei votanti) risposero no.

Poi c'è la questione, non meno importante, della effettività della tutela dai licenziamenti illegittimi, che Giugni, nella sua intervista alla Stampa del 22 agosto, affronta indicando la necessità di strumenti nuovi. Questa intervista, rilasciata da chi può dirsi è stato "anima e corpo" dello Statuto, merita un momento di riflessione per l'uso fazioso che ne è stato fatto dai vari giornali di destra: come si può tacere che, ad onor del vero, Giugni ha fatto due affermazioni molto nette, l'una "lo Statuto dei lavoratori in generale, e l'art. 18 in particolare, hanno funzionato assai bene", l'altra, "assolutamente no", rispondendo a chi gli chiedeva se la liberalizzazione dei licenziamenti avrebbe favorito l'occupazione.

Semmai, con Giugni si può non essere d'accordo quando pensa che l'arbitrato possa sostituire il processo del lavoro: nella valutazione della legittimità o meno di un licenziamento, che coinvolge interessi non solo economici di un lavoratore, occorre una formazione professionale solida e specifica, della quale il privato componente del collegio arbitrale non darebbe alcuna sicurezza, ma ancor più occorre che il giudizio provenga da chi ha un habitus decidendi strutturato sulla obiettività dei dati processuali, che per il giudice è un imperativo e non lo è per il privato, inevitabilmente abituato alla cura degli interessi dell'una e dell'altra parte.

Il processo del lavoro è un ottimo strumento di tutela, se con coraggio si porrà mano ad una riforma che ne recuperi quell'efficienza (nei primi anni una sentenza si aveva in due mesi) che è stata sacrificata dagli interessi corporativi, neanche da quelli dell'impresa che ad una rapida decisione mira non meno del lavoratore. E, infine, da un'altra parte, che la smettano di strumentalizzare il nome del Prof. D'Antona: certo non hanno rispetto nemmeno dei morti, ma ricordino che D'Antona è stato un compagno fedele, iscritto alla Cgil, che non ha mai dimenticato, nella sua opera di studioso e di tecnico, la sua scelta di campo.

B)     Per rispondere ancora allo stesso interrogativo - che senso ha? - è evidente che nelle attese del padronato sta quella di voler abbattere uno degli ultimi argini alle libertà costituzionali nei luoghi di lavoro, che poi è quella di poter svolgere, senza il rischio del ricatto infame, il licenziamento, le attività, non solo sindacali, consentite dalla legge, ma anche ogni altra tutela direttamente attribuita dalla legge ai lavoratori per la salvezza di beni primari insiti nel lavoro.

Per fare un esempio: al rappresentante sindacale per la sicurezza, con l'art. 19 del d.lgs n. 626/94 sono state attribuite funzioni di iniziativa e di controllo della organizzazione del lavoro, per la prevenzione degli infortuni sul lavoro: sufficienti o meno che siano questi strumenti, quale effettività potranno avere se nello svolgere il proprio ruolo i rappresentanti per la sicurezza si dovessero trovare permanentemente sotto la spada di Damocle del licenziamento?

Perché, nella sostanza, liberalizzare il licenziamento altro non vuoi dire che un licenziamento ora illegittimo, perché intimato senza giusta causa o giustificato motivo, verrebbe tratto dalla legge come un atto lecito, tranne che per una sanzione economica la cui entità è in ogni caso indifferente per il datore di lavoro.

C)    Il padronato, con il sostegno del governo Fini-Berlusconi, sta tentando di arrivare all'ultimo traguardo. E' un padronato fagocitante: da tempo ha avuto la libertà per i licenziamenti di massa conseguenti a ristrutturazioni aziendali, salvo limiti procedurali più di forma che di sostanza; ha avuto in continuità e sempre più a pioggia benefici economici, costantemente ripetuti, anche dal passato governo di centro-sinistra, quali sgravi contributivi, fiscalizzazione di oneri sociali, benefici tributari, dati con la consapevole illusione che questo pubblico denaro avrebbe avuto come contropartita un responsabile reinvestimento produttivo, con il conseguente incremento dell'occupazione:

ormai da troppo tempo si vede che non è così, l'impresa le sue prosperità le usa per i suoi padroni e azionisti, ai lavoratori elargisce le briciole, cioè i salari tra i più bassi a livello europeo. Come dimostra anche la vicenda, tuttora aperta, del rinnovo contrattuale dei metalmeccanici: ai lavoratori della Fiom non saremo mai sufficientemente grati per il valore di deterrente sul piano democratico della loro lotta.

D)    E' probabile che il disegno del governo e di Confindustria passi per l'ampia maggioranza a livello parlamentare di cui dispongono, ma non sarà difficile raccogliere le firme per un nuovo referendum abrogativo che riporti in vigore, come oggi è, l'art. 18 dello Statuto.

Sarà divertente vedere, allora, da che parte sta davvero l'Ugl, il sindacato di An che oggi, a parole, dice di stare dalla parte dei lavoratori.

GUGLIELMO SIMONESCHI

(Giudice sezione lavoro della Corte di Cassazione)

 

 

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