NOTA SINTETICA SUI LICENZIAMENTI PER RIDUZIONE DI PERSONALE IN GENERALE E NEL CREDITO

 

Sommario:

1. La nozione di licenziamento collettivo.

2. Le procedure imposte dall'art. 4 L. n. 223/1991.

3 - 3.1. I criteri di individuazione dei dipendenti licenziabili, ex art. 5 L. n. 223 e ex art. 8 D.M. n. 158/2000 per il Fondo esuberi del credito.

3.2. I criteri di scelta; la pubblicità della ponderazione, la pluralità delle graduatorie.

4. Le comunicazioni agli Organi amministrativi ed ai lavoratori licenziati.

5. Il regime delle sanzioni.

6. La misura delle prestazioni economiche a sostegno del reddito.

 

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1.      La nozione di licenziamento collettivo in generale e nel settore credito (ex artt. 17 e 73 ccnl 11.7.1999).

Esaminiamo, in via sintetica, il contenuto della legge n. 223/91 che costituisce la normativa base per i licenziamenti collettivi o per riduzione di personale, sia in generale sia nel settore del credito che – pur carente dell’ammortizzatore sociale della Cassa integrazione - da essa non può prescindere come concludentemente conferma la recezione effettuata negli artt. 17 e 73 del ccnl 11 luglio 1999 per le aree professionali ed i quadri direttivi (dirigenti esclusi).

       Preliminare si rivela l'individuazione della "nozione" di licenziamento per riduzione di personale (o collettivo, come si usa anche dire).

       L'art. 24 L. n.223/1991 dispone che si ha "licenziamento per riduzione di personale, quando le imprese, che occupano più di 15 dipendenti, intendono effettuare - in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro - almeno 5 licenziamenti nell'arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia". La formula, come è stato notato (1), è amplissima, tale da ricomprendere tutte le ipotesi di riduzione di personale sia per ragioni meramente congiunturali sia per trasformazione e ristrutturazione, sia i licenziamenti collettivi c.d. "tecnologici", derivanti ad es. da introduzione di innovazioni tecnologiche o da mutamento degli impianti che rendono inoccupabili, per impossibile riconversione professionale, una certa aliquota di personale. Si ha licenziamento collettivo quando si intende comunque ridurre gli organici in conseguenza di "ragioni oggettive" non riconducibili in alcun modo a "valutazioni o considerazioni sulla persona del lavoratore" (o come dice la direttiva CEE n. 75/129, per "ragioni non inerenti alla persona del lavoratore"). Restano quindi esclusi dalla fattispecie - come ha notato la dottrina (2) - "i licenziamenti che riposano su motivi soggettivi, comunque mascherati, inclusi i licenziamenti che potremo definire 'per sostituzione collettiva di personale', che applicano criteri orientati alla 'scrematura efficientista' del personale, come età, rendimento individuale, disponibilità alla riconversione professionale, ecc., in vista di un turn over forzato" (3).

       La legge ha inoltre adottato la presunzione del "licenziamento collettivo" quando si superano i 5 licenziamenti nell'arco di 120 giorni, al fine di ridurre - per quanto possibile - la tendenza datoriale a diluire nel tempo i licenziamenti, per sottrarsi strumentalmente alla procedura dettata per i licenziamenti collettivi. Ha poi disposto, al 2° co. dell'art. 24, che la normativa deve applicarsi anche quando l'impresa deve radicalmente cessare la propria attività.

Destinatari della precitata legge sulla riduzione di personale risultano (come precisa l’art. 4, 9° comma, afferente al collocamento in mobilità) “gli impiegati, gli operai ed i quadri eccedenti”, con implicita esclusione dei dirigenti e – prima dell'Accordo Quadro tra OO.SS. e ABI per il settore creditizio -  di quelle categorie o qualifiche che, seppur non trovano la loro fonte nell’art. 2095 c.c. (come integrato dalla L. n. 190/’85 di riconoscimento dei quadri intermedi), scaturiscono da fonte convenzionale, come i “funzionari” del settore credito. Al riguardo – e con specifico riferimento alla categoria o qualifica dei funzionari – il Pretore di Sassari, con decisione del 3.12.1996 (4) sollevò questione di costituzionalità, in relazione all'art. 3 Cost., in merito all'esclusione degli stessi (e dei dirigenti,  categoria considerata dal Pretore includente la sottospecie del personale direttivo dei funzionari o mini-dirigenti) dall'applicabilità delle garanzie di cui alla L. n. 223/'91, asserendo che «non può sostenersi che il licenziamento collettivo del dirigente non meriti particolare attenzione da parte del legislatore…in quanto non desterebbe 'allarme sociale' come per le altre categorie sottordinate essendo invece noto che per l'ampiezza assunta dal fenomeno nell'attuale contesto economico, il licenziamento collettivo del dirigente è evenienza tutt'altro che rara e foriera di rilevanti tensioni sociali». La Corte costituzionale, tuttavia – con decisione n. 258 del 18.7.1997 (5) rigettò la questione – come prospettata dall'ordinanza di remissione pretorile, fondata su una  (non condivisa) «piena equiparazione della categoria dei funzionari (fruenti di garanzie di stabilità reale) a quella dei dirigenti (da esse esclusi)» -  talchè giunse ad affermare che la  «questione, così come prospettata, non attingeva il livello di una necessaria verifica di costituzionalità, rimanendo ancora nell'ambito della mera interpretazione (di esclusiva competenza del giudice del lavoro) della denunciata disposizione dell'art. 24 l. 23 luglio 1991, n. 223, implicante la indispensabile previa qualificazione dei destinatari di questa, anche alla stregua delle norme del contratto collettivo che regolano l'inquadramento nelle varie categorie di lavoratori». Il problema, è stato poi risolto, a livello pattizio – con la norma dell'art. 3 punto 2), comma 6°, dell'Accordo Quadro del 28.2.1998 tra le OO.SS. dei lavoratori del credito e l'ABI, ove le parti esplicitano, con effetti di interpretazione autentica,  che "per i quadri direttivi (dal 1° al 4 livello, ricomprendente quest'ultimo i funzionari fino alla 10 maggiorazione di grado esclusa, n.d.r.) resta chiarita l'applicabilità della L. n. 223/'91" (dizione ora replicata nell’art. 73 ccnl 11 luglio 1999).

 

2. Le procedure imposte dall'art. 4 L. n. 223/1991.

       Per le procedure da seguire e per le modalità risolutive del rapporto di lavoro, l'art. 24 richiama l'art. 4 - commi da 2 a 12 - e l'art. 5, commi da 1 a 5.

 

2.1. La procedura si apre con la preventiva comunicazione scritta a tutte le Rappresentanze sindacali e alle associazioni sindacali di categoria, da inviare, in copia, all'Ufficio Provinciale del lavoro ( art. 4, commi 2 e 4, L. n. 223).

       La comunicazione deve indicare:

       1) i motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale (es. calo di commesse e di ordini della clientela, introduzione di innovazioni tecnologiche, difficoltà finanziarie, abbandono di una o più produzioni aziendali e simili);

       2) i motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali l'azienda ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione (perchè, ad. es., non sono suscettibili di essere prese in considerazione misure alternative e limitative degli esuberi, quali il ricorso a contratti di solidarietà difensivi o a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro, da intendersi il part-time ed i contratti a termine, come si desume dall'art. 4, 5° co. ovvero la cassa integrazione guadagni (6);

       3) il numero, la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente;

       4) le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze, sul piano sociale, dell'attuazione del programma medesimo (quali trasferimenti interaziendali o nell'ambito del Gruppo, esodi incentivati e simili). A tale riguardo si ritiene che il dato letterale non si presti ad equivoci, nel senso che le misure sono meramente eventuali e, pertanto, dovranno essere indicate solo in quanto effettivamente previste.

       Sarà bene sottolineare che la comunicazione è determinante ai fini della procedura, onde si spiega la dettagliata previsione che la legge fa del suo necessario contenuto.

       La Cassazione ha preso posizione, inficiando i licenziamenti sulla carenza di comunicazione dei motivi per cui l’azienda riteneva di non poter ovviare alle riduzioni di personale, così asserendo, ad opera di della decisione n. 13196 del  9 settembre 2003: «poiché la funzione della comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, è quella di consentire alle organizzazioni sindacali una partecipazione con efficacia adeguata al ruolo che il legislatore assegna loro nell'ambito di  una  vicenda  dalla  quale  esce  mutata  la  stessa  struttura  dell'azienda, la comunicazione della esistenza di una situazione di esubero strutturale non fa venir meno l’onere per il datore di lavoro di comunicare le ragioni che impediscono il ricorso a soluzioni alternative ai licenziamenti, giacché tali ragioni sono particolarmente idonee a rappresentare quale, secondo l’imprenditore, è l’assetto che necessariamente deve assumere l'azienda a fronte di fattori che non consentano di mantenere immutata la forza lavoro, e la loro comunicazione preventiva risulta particolarmente idonea a contribuire alla conoscenza che il sindacato deve avere per esercitare efficacemente il ruolo di cogestione che la legge gli assegna.

In tema di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, la procedura disciplinata dall'art. 4 della legge n. 223 del 1991 assegna ai sindacato, a fronte dell'esercizio del potere imprenditoriale modificativo in maniera non marginale dell'assetto aziendale, un ruolo di tutela dell'interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro nell'ambito del più generale controllo su eventi che incidano, in maniera non marginale, sull'assetto occupazionale; poiché la tutela di un tale interesse è subordinata alla informazione,  da  parte dell'imprenditore,  che  risulti  la  impraticabilità  di  rimedi alternativi ai licenziamenti, il lavoratore è legittimato a far valere l'incompletezza della informazione anche con riferimento a tale punto, in quanto la comunicazione rituale e completa della mancanza di alternative ai licenziamenti rappresenta, nell’ambito della procedura, una cadenza legale che, se mancante, risulta ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato».

Le comunicazioni di cui ai punti da 1) a 4), infatti, debbono consentire non solo il controllo e la verifica della necessità di riduzione del personale e della congruità della dimensione del licenziamento, ma anche l'eventuale adozione di criteri di scelta dei lavoratori da licenziare,  diversi (rectius specificativi) di quelli di cui al successivo art. 5.

Carenze o contraddittorietà della comunicazione possono assumere notevole rilevanza, su piani diversi. Possono configurare comportamento antisindacale (7) - reprimibile ex art. 28 L. n. 300/'70 - almeno in tutti i casi in cui impediscano l'azione sindacale. Possono condurre anche alla dichiarazione di inefficacia dei licenziamenti (8), intimati al termine di una procedura infruttuosa, ai sensi dell'art. 5, 3° comma. Secondo l'orientamento della Cassazione (9) «...nel corso di licenziamento per riduzione di personale conseguente a riduzione dell'attività aziendale effettuato a norma dell'art. 4 della l. n. 223/'91, la procedura prevista nei commi da 2° a 12 di detto articolo – il cui rispetto si pone come condizione di efficacia del licenziamento ai sensi del successivo art. 5 – non può considerarsi osservata da una comunicazione del datore di lavoro contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche, nonché un semplice cenno a precedenti incontri con le OO.ss., solo marginalmente relativi ai motivi tecnici della necessaria riduzione, imponendo la menzionata legge al datore di lavoro un onere di dettagliate indicazioni, funzionali alla valutazione da parte sindacale dell'opportunità di chiedere l'esame congiunto della situazione e dei possibili rimedi (e riguardanti, secondo la dettagliata indicazione della legge, i motivi delle situazioni di eccedenza e quelli, di carattere tecnico-organizzativo e produttivo che non consentono l'adozione di misure atte a porvi rimedio evitando in tutto o in parte la dichiarazione di mobilità; il numero, la collocazione aziendale e i profili personali dei lavoratori eccedenti; i tempi di attuazione del programma di mobilità; le misura programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale)». Secondo la recentissima Cass. sez. un. n. 302/2000 (cit. in nt. 6) «tutti gli obblighi di informazione e di trasparenza previsti dalla legge n. 223/91 sono posti a garanzia non soltanto della funzione del sindacato ma anche dei diritti dei singoli lavoratori…che possono agire quindi giudizialmente per ottenere la dichiarazione di inefficacia, per vizi procedurali, dei provvedimenti aziendali», conformemente a quanto già in precedenza asserito, tra le altre, da Cass. n. 265 del 12.1.1999. La trasparenza  richiesta per la procedura in questione è finalizzata alla garanzia del diritto dei lavoratori all’osservanza delle garanzie procedurali legali nelle riduzioni di personale – rispetto che deriva direttamente dall’obbligo datoriale di osservanza dei principi di correttezza e buona fede nella gestione delle obbligazioni connesse alla gestione del rapporto di lavoro, ex artt. 1175 e 1375 c.c. –  e tale esigenza è ben evidenziata da Cass. n. 1198 del 3 febbraio 2002 (10) secondo cui «… il rispetto sostanziale dei criteri di scelta, da attuare non tanto in funzione di astratti livelli o classificazioni contrattuali, quanto in conformità alle reali fasce professionali e al contenuto oggettivo delle mansioni concretamente svolte (v. Cass, 4 febbraio 1998, n. 1150), è diretta derivazione dei princìpi di correttezza e buonafede che, nel momento di gestione della crisi della impresa, costituiscono una clausola generale di chiusura, di trasparenza e di garanzia per la valutazione dei comportamenti imprenditoriali (v. Cass. 18.1.1999, n. 434; 6.7.1990, n. 7105; 17.4.1990, n. 3166; v. anche 27.4.1992, n. 5010; 6.12.1985, n. 6158). E stato autorevolmente sostenuto, infatti, in dottrina - e il principio ha trovato indirettamente l'avallo della Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 30 giugno '94 - che, con riferimento ai licenziamenti per riduzione di personale e alle relative procedure, il personale non vanta tanto un diritto alla conservazione del posto, quanto al rispetto, da parte dell'imprenditore, durante l'intero procedimento dapprima amministrativo e, poi, intersoggettivo, dei princìpi dì buona fede e correttezza...».      

 

2.2. Per il 4° comma dell'art. 4, copia della comunicazione va inoltrata anche all'Ufficio Provinciale del lavoro, affinché questo sia edotto della vertenza e possa prepararsi alle iniziative di sua competenza in c.d. "sede amministrativa".

 

2.3. Entro 7 giorni dall'invio della comunicazione, le Rappresentanze sindacali aziendali e le rispettive associazioni sindacali possono richiedere che si proceda ad un esame congiunto, allo scopo di " esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza di personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell'ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro” (art. 4, 7°comma), cioè tramite il ricorso a quelle misure che vengono identificate come "ammortizzatori sociali" (11).

 

2.4. La procedura di consultazione - tesa a consentire la discussione delle ragioni che determinano l'eccedenza di personale e delle ragioni che non consentono di evitare la riduzione - deve esaurirsi entro 45 giorni da quello in cui la parte sindacale ha ricevuto l'iniziale comunicazione. L'impresa deve dare comunicazione scritta all'Ufficio Provinciale del lavoro dell'esito positivo o negativo della consultazione (cioè dell'esito della procedura "in sede sindacale").

       Si noti che al fine di agevolare il raggiungimento di un accordo sindacale che prevede il riassorbimento, anche parziale, degli esuberi, la legge abilita le parti sindacali a prevederne l'assegnazione a  mansioni diverse, e quindi professionalmente inferiori a quelle svolte, in deroga all'art. 2103 c.c. Questa agevolazione si aggiunge a quella  di utilizzare contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro di cui si è detto e testimonia il rilievo assegnato all'interesse alla conservazione del posto di lavoro, a qualsiasi condizione (12).

       Secondo dottrina (13) «anche le comunicazioni all'Ufficio Provinciale del lavoro - sebbene la legge nulla prescrive al riguardo - dovrebbero contenere... indicazioni analitiche dei termini in cui si è svolto l'esame congiunto e cioè esplicitare, oltre ai punti di dissenso, quali siano state su di essi le opposte posizioni delle parti. E ciò, se non altro, al fine di mettere il direttore dell'Ufficio Provinciale del lavoro nelle condizioni di assolvere efficacemente al compito che la legge gli assegna quando, non essendo stato raggiunto un accordo in sede sindacale, si apre la seconda fase della procedura, e cioè quella c.d. "amministrativa».

       Il direttore dell'Ufficio Provinciale del lavoro, infatti, ove non sia stato raggiunto un accordo in sede sindacale, deve convocare le parti per un ulteriore esame, da esaurirsi entro 30 giorni. Nel complesso l'imprenditore può essere costretto ad attendere 82 (7+45+30) giorni prima di poter procedere ai programmati licenziamenti (13), ma i termini sono ridotti alla metà se le eccedenze sono inferiori a 10 unità (art. 4, 8° co.).

       Diversamente dicasi se l'accordo viene sottoscritto, potendosi in tal caso procedere senza dover rispettare l'esaurimento dei termini.

 

2.5. Raggiunto l'accordo o esaurita comunque la procedura, l'impresa può dar corso ai licenziamenti (la cui intimazione deve avvenire entro gg. 120 dall'apertura della procedura di mobilità), intimandoli per iscritto con il rispetto del termine di preavviso (surrogabile con l'indennità sostitutiva). Su tale esigenza di immediatezza della comunicazione  dei licenziamenti al  termine della procedura di scelta comparativa si è espressa incisivamente Cass. 9 ottobre 2000, n. 13457 (14), la quale prevede che: « La complessa procedura di cui all’art. 4 della l. 223 del 91, predisposta e voluta in vista dell’atto conclusivo che può essere costituito dal licenziamento collettivo è in funzione di un particolare momento e di particolari condizioni.

Il particolare momento è quello di crisi aziendale che giustifica il provvedimento. Le particolari condizioni sono date dalla situazione comparativa dei vari lavoratori, che, presa doverosamente in esame e adeguatamente considerata, determina la scelta dei lavoratori da licenziare.

Ambo detti elementi devono sussistere nel momento della procedura in esame e dopo che siano stati attentamente vagliati e accertati, giustificano il licenziamento.

Quest’ultimo viene compiuto quale atto conclusivo della procedura e in tale momento (conclusione della procedura) produce i suoi effetti, se ritualmente disposto.

Pretendere, come nel caso in esame, che il licenziamento cominci a produrre i suoi effetti ben oltre la conclusione della procedura di cui all’art. 4 (nel caso di specie: un anno e mezzo dopo che i licenziamenti erano stati comunicati ai lavoratori), significherebbe alterare tutti i presupposti e le condizioni che hanno giustificato il licenziamento: 1º) il momento di crisi aziendale può essere stato superato o ridotto e circoscritto; 2º) la situazione comparativa fra lavoratori può essere tutt’affatto mutata, essendo potute intervenire, nel frattempo, cessazioni di rapporti lavorativi o mutamento nelle situazioni personali, lavorative o familiari, già prese a raffronto per la scelta dei lavoratori da licenziare.

Ne consegue che il licenziamento collettivo può avere validità ed efficacia solo nell’osservanza delle norme imperative che ne regolano la procedura e che ne consentono l’adozione nell’obbligatoria osservanza di 120 gg, dalla conclusione della procedura di cui ai co. 6, 7 e 8 della l. 223 del 91 (art. 8, co. 4 l. n. 148 del 93).

Ciò spiega, dunque, la ragione per la quale il co. 9 dell’art. 4 della l. n. 223/91 prevede che le comunicazioni in questione avvengano contestualmente al recesso il che esclude che le medesime possano avvenire in epoca marcatamente successiva, al fine di conferire efficacia ad un licenziamento che ormai ne è definitivamente privo (art. 5 co. 3 stessa legge.)

Pertanto, la contestualità di cui si è detto, anche se non intesa come esatta contemporaneità, va considerata come obbligo di immediatezza, (Cass. 3922 del 98), di tal che una comunicazione tardiva alle organizzazioni sindacali e agli uffici del lavoro, in quanto al di fuori dei tempi previsti per la procedura culminante col licenziamento collettivo, è preclusa» ed i licenziamenti sono invalidi.

 

3. I criteri di individuazione dei dipendenti licenziabili, ex art. 5 L. n. 223.

3.1. L'individuazione dei licenziabili "in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale", deve avvenire nel rispetto dei criteri previsti dai contratti collettivi stipulati con le R.S.A. dei sindacati maggiormente rappresentativi (o con gli stessi sindacati). Ovvero, in mancanza di questi contratti - che si ritiene abbiano efficacia erga omnes (15) in quanto  appartenenti alla tipologia degli "accordi gestionali", non basati sul principio della rappresentanza volontaria - la scelta dovrà avvenire nel rispetto dei criteri legali, in concorso tra loro e così elencati nell'ordine: carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative. E qui nascono ponderosi problemi interpretativi, che, allo stato, non hanno trovato soluzione univoca, anche se di ausilio possono rivelarsi le enunciazioni di Corte cost. n. 268/1994 (16). Innanzitutto l’efficacia “erga omnes” - eccedente gli associati ai Sindacati stipulanti - viene ammessa indirettamente dalla stessa Corte, non già in quanto gli accordi sindacali costituiscono “contratti collettivi normativi” (i soli discendenti dalla procedura ex art. 39 Cost.) ma in quanto “procedimentalizzano” il potere di recesso datoriale; tra l’altro in via primaria e non subordinata rispetto alla norma (art. 5, 1° co., L. n. 223) contemplante i criteri legali, la quale opera pertanto in via suppletiva e con carattere di sussidiarietà rispetto agli accordi sindacali. In secondo luogo, afferma la Corte cost., i criteri definibili a livello sindacale sono nulli quando contrari a principi costituzionali e a norme imperative di legge. L’adempimento ad essi demandato di una funzione regolamentare delegata dalla legge, impone che i criteri pattizi non solo non violino il principio di non discriminazione (ex art. 15 L. n. 300/’70) ma che gli stessi rivestano i requisiti dell’obiettività e della razionalità, in ragione di applicabilità generalizzata. E come parametro del giudizio o valutazione di razionalità o ragionevolezza - asserisce la Corte - possono essere utilizzati i criteri legali (ex art. 5, 1° co.) «non come tali ma in quanto riproducono criteri tradizionalmente praticati nei rapporti connessi ai licenziamenti per riduzione di personale...sicchè lo scostamento da essi deve essere giustificato». Ed a titolo di esempio, indica che ci si potrebbe discostare dal privilegiare il tradizionale criterio del mantenimento in servizio di lavoratori in età anagrafica prossima al pensionamento, in presenza di ristrutturazioni aziendali caratterizzate da elevati livelli di innovazione tecnologica che richiedono obiettivamente professionalità specialistiche di nuova formazione, ovvero per favorire - in situazione di forte disoccupazione giovanile da mercato stagnante - i giovani nella conservazione dell’occupazione.

Altra problematica controversa è quella  indotta dall’esigenza di stabilire se la scelta dei licenziandi deve avvenire nell'intero contesto dell'impresa oppure limitatamente allo stabilimento o al reparto in cui c'è l'esuberanza. La questione è introdotta dal riferimento letterale, ad opera dell'art. 5, 1° co., alle esigenze ... del "complesso aziendale", da taluno inteso come sinonimo della "intera impresa" (17) da altri come sinonimo di "stabilimento" (18), anche articolato in più unità produttive, che abbia una sua identità soprattutto territoriale (gli stabilimenti ubicati in una certa provincia) o, anche, in certi casi, organizzativa (il dipartimento finanziario, con uffici in più città italiane). Da parte nostra si ritiene che, dovendo l'imprenditore limitarsi a sopprimere o contrarre certe "funzioni" o "mansioni" o “profili” fungibili, in astratto (ad es. il 30% dei contabili, il 20% degli analisti finanziari o  dei promotori d'affari o dei legali addetti alla stipula dei contratti di finanziamento ovvero dei tecnici incaricati delle valutazioni peritali, in un'azienda di servizi; il 30% degli elettricisti; il 20% dei manutentori, in un'azienda industriale, ecc.), dovrà individuare l'ambito dei lavoratori interessati alla riduzione di personale fra tutti coloro, in forza nelle varie unità produttive o reparti di esse, che disimpegnano, con omogeneità e fungibilità, le suddette mansioni o funzioni e che quindi rivestono gli stessi profili omogenei. Tale novero di personale struttura l'"ambito" dei posti di lavoro sopprimibili. Cosicché appare corretta l'opinione di chi sostiene che «se viene disposta la chiusura di un reparto, ma i lavoratori addetti al reparto hanno profili professionali del tutto paragonabili a quelli dei lavoratori di altri reparti, l'ambito della selezione non potrà essere ristretto al reparto... e riguarderà anche gli altri reparti del 'complesso aziendale' (19), salvo che il datore di lavoro non assolva l'onere di provare le oggettive (e non mirate) ragioni tecnico-produttive ed organizzative che lo inducono a circoscrivere la soppressione allo specifico reparto o unità organizzativa territoriale».

       Solo ricorrendo tali condizioni può – a nostro avviso – risultare condivisibile quell'orientamento della Cassazione (20) secondo cui: «la comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità può essere effettuata avendo riguardo soltanto ai lavoratori addetti al settore o al ramo interessato dalla chiusura o dalla ristrutturazione e non a quelli dell’intero complesso organizzativo e produttivo, soltanto qualora si accerti che questi riguardano effettivamente in via esclusiva detto settore o ramo d’azienda ed esauriscano in tale ambito i loro effetti, non sussistendo inoltre in esso professionalità suscettibili di utilizzazione nel settore o nel ramo nel quale l’attività viene mantenuta».

       Infatti, si sostiene che, restringendo acriticamente la soppressione al singolo reparto, si potrebbero legittimare operazioni di espulsione degli "sgraditi" all'azienda che potrebbe averli astutamente trasferiti nello stesso, aggirando così il controllo sull'imparzialità della scelta. Ed in tal senso si è espressa Cass sez. lav. n. 10383 del 4 novembre 1997, cit., secondo cui: «In tema di licenziamenti collettivi, ai fini dell'applicazione dei criteri di scelta dettati dall'art. 5, l. n. 223 del 1991, la comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità deve avvenire, a meno che il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ed esaustivo ad uno dei settori dell'azienda, nell'ambito dell'intero complesso organizzativo e produttivo ed in modo che concorrano lavoratori di analoghe professionalità (ai fini della loro fungibilità) e di similare livello, rimanendo possibile una deroga a tale principio solo in riferimento a casi specifici ove sussista una diversa e motivata esigenza aziendale. In caso contrario sarebbe possibile finalizzare i criteri di scelta (eventualmente in collegamento con preventivi spostamenti del personale) ad esigenze imprenditoriali non esclusivamente tecnico produttive e all'espulsione di elementi non graditi al datore di lavoro, senza concrete possibilità di difesa da parte degli interessati».

Ma a parte questa osservazione va rilevato che il criterio della concentrazione sul singolo reparto finirebbe col privilegiare la scelta aziendale (cioè le esigenze tecnico-produttive ed organizzative) a scapito degli altri criteri di cui alla legge (carichi di famiglia ed anzianità).

       Quanto abbiamo detto trova conferma nell’orientamento giurisprudenziale più recente, esplicitato in maniera autorevole e diffusa da Cass. 24 gennaio 2002 n. 809 (21) secondo cui: « La delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui al terzo comma dell'art. 4, quando cioè gli esposti motivi dell'esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta (cfr. nello stesso senso Cass., 26 settembre 2000, n. 12711; Cass., 18 novembre 1997, n. 11465; Cass., 10 giugno 1999, n. 5718).

Per converso non sembra invece potersi riconoscere, in tutti i casi, una necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla «collocazione del personale» indicato dal datore nella comunicazione di cui all'art. 4 e la precostituzione dell'area di scelta. Il datore infatti segnala la collocazione del personale da espungere (reparto, settore produttivo, ecc.), ma ciò non comporta automaticamente che l'applicazione dei criteri di scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati siano sempre esclusi dalla covalutazione con tutti gli altri, giacché ogni delimitazione dell'area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano. A mero titolo esemplificativo si può rilevare che ove il datore, nella comunicazione di cui all'art. 4, indicasse che tutto il personale in esubero è collocato all'interno di un unico reparto, essendo solo questo oggetto di soppressione o di ristrutturazione, non sarebbe giustificato limitare l'ambito di applicazione dei criteri di scelta a quegli stessi lavoratori nel caso in cui svolgessero mansioni assolutamente identiche a quelle ordinariamente svolte anche in altri reparti, salva la dimostrazione di ulteriori ragioni tecnico-produttive ed organizzative comportanti la limitazione della selezione.

Ed ancora, quando la riduzione del personale fosse necessitata dall'esistenza di una crisi che induca di ridurre genericamente i costi, non vi sarebbe, quanto meno in via teorica, alcun motivo di limitare la scelta ad uno dei settori dell'impresa, e quindi la selezione andrebbe operata in relazione al complesso aziendale.-(omissis)-

La legge n. 223 del 1991, com'è noto, delinea una complessa procedura, che ha origine con la comunicazione di inizio della procedura di mobilità (prescritta dal terzo comma dell'art. 4) con la quale vengono enunciate dal datore le esigenze dell'impresa; in essa vanno infatti indicati, oltre ai motivi che hanno dato luogo all'esubero, "il numero, la collocazione aziendale, i profili professionali del personale eccedente”. Ne discende che nella comunicazione del datore il numero e la collocazione aziendale del personale da porre in mobilità devono essere in essenziale connessione con gli altri elementi che pure vanno indicati, ossia con le ragioni che hanno determinato l'esubero e con le ragioni che rendono inevitabile l'espulsione. Nel contempo la comunicazione deve fare integrale astrazione da ogni elemento che valga ad individuare direttamente le "persone" da espungere.

Non è casuale il riferimento che il datore deve fare ai "profili professionali", perché questi, in maniera più precisa rispetto agli inquadramenti nelle varie categorie contrattuali, sono in grado di dare contezza delle mansioni svolte nell'ambito delle varie articolazioni produttive, permettendo così la verifica della loro connessione con l'indicato processo di crisi, ovvero di ristrutturazione. …Chiusa la prima fase (con l'accordo sindacale sulla esistenza e sul numero degli esuberi), si passa alla seconda fase, nella quale, dai dati astratti enunciati dal datore, occorre poi passare alla individuazione in concreto delle persone da collocare in mobilità. A tal fine l'art. 5 della medesima legge prospetta una sorta di "procedura concorsuale" tra i lavoratori, da seguire o con i criteri dettati dai contratti collettivi, ovvero con i criteri di legge e cioè carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico produttive. I primi due criteri tendono a far cadere la scelta sul lavoratore più forte sul mercato del lavoro, affinché i licenziamenti abbiano il minore costo sociale possibile, e ciò sarà tanto più conseguibile quanto più si amplia la platea dei soggetti a cui applicare i criteri stessi. Ma prima ancora di passare alla fase del concorso va verificata la legittimità di una applicazione dei criteri circoscritta ad un ambito più limitato rispetto al complesso aziendale a cui la norma fa riferimento, perché questa è operazione estremamente delicata, essendo indubbio che una indebita restrizione della selezione varrebbe ad alterare profondamente il corretto meccanismo di operatività dei criteri medesimi…Dunque in via preliminare la delimitazione del personale "a rischio" si opera in relazione a quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui al terzo comma dell'art. 4; è ovvio infatti che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell'impresa per addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare.

Ma va attribuito il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma per cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al "complesso aziendale"; ciò in forza di una duplice ragione: una è quella, già ricordata, per cui l'intendimento di espungere dall'azienda i lavoratori più forti è meglio conseguibile ampliando al massimo l'area in cui operare la scelta; l'altra è quella di approntare una ulteriore di garanzia contro il pericolo di discriminazioni a danno del singolo lavoratore, in cui tanto più facilmente si può incorrere quanto più si restringe l'ambito della selezione. D'altra parte sarebbe incongruo che quest'ambito venisse già predeterminato dalla legge, perché ciò varrebbe indebitamente a presupporre una assoluta e generalizzata incomunicabilità tra parti o settori dell'impresa».

 

3.2. I criteri di scelta; la pubblicità della ponderazione, la pluralità delle graduatorie.

       Supponendo la carenza di accordi aziendali in ordine ai criteri di scelta - che, secondo dottrina (22) non dovrebbero essere confliggenti con quelli legali, ma meramente specificativi degli stessi  o razionalmente e motivatamente derogativi (cfr. Corte cost. n. 268/’94) - il datore di lavoro deve applicare quelli previsti all'art. 5, 1° co., L. n. 223/’91. Secondo una decisione giurisprudenziale (23) - sufficientemente  convincente poiché adatta alla fattispecie dei licenziamenti collettivi  l'orientamento consolidatosi in tema di ordine di prevalenza dei criteri, contrattualmente prefigurati, di scelta per le promozioni  per merito comparativo - l'ordine legale in cui i criteri sono enunciati non è casuale ma, all'opposto, indicativo di una prevalenza del "fattore carichi di famiglia su tutti gli altri e del fattore anzianità - da intendersi non come età anagrafica ma come anzianità di servizio nella stessa azienda (24) - rispetto all'esigenza aziendale del maggior rendimento del lavoratore"(25).

       Poiché da parte di dottrina e giurisprudenza si sostiene, correttamente, l'esigenza che la scelta dei licenziandi consegua da una graduatoria a strutturare la quale concorrono, in mancanza di quelli contrattuali,  i criteri legali precitati, cui l'azienda deve aver conferito una discrezionale ma razionale ponderazione (26) - da rendere previamente nota alle R.S.A. per ragioni di trasparenza (27) - si ritiene che dovrebbe procedersi nel seguente modo: ipotizzato un ordine di "gerarchia" decrescente, direttamente conseguente all'ordine di menzione dei fattori legali, si potrebbe attribuire un punteggio variabile fino a 25 alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative, un punteggio a partire da 25 in su, per l'anzianità,  maggiorabile di un'unità per ogni anno di anzianità di servizio (fino ad un massimo di 65 per 40 anni di servizio in azienda) ed un punteggio a partire da 65 in su per i carichi di famiglia (maggiorabile di 3 unità per ciascun carico familiare oltre il primo). Ne consegue, nell'esempio soprariferito, che un dipendente che ha 2 carichi familiari, 25 anni di anzianità di servizio e risponde "mediamente" alle esigenze aziendali, avrà un punteggio in graduatoria pari a 133,5 (12,5 per le esigenze aziendali + 50 per anzianità di servizio + 71 per carichi familiari). Analogamente si procederà per gli altri lavoratori destinati a confrontarsi nelle graduatoria, che conferirà esclusione dal licenziamento per coloro che hanno un punteggio più elevato fino alla concorrenza del numero predeterminato dei licenziandi. Chiaramente le graduatorie andranno fatte distintamente per omogenee mansioni (o funzioni) fungibili e comparabili di cui si è decisa la parziale soppressione (es. una graduatoria per i contabili, una per gli analisti finanziari, una per i promotori d'affari, ecc., nell'azienda di servizi; una per  gli elettricisti, una per i manutentori,  nell'azienda industriale, ecc.) di tutte le unità produttive o reparti che occupano lavoratori in posizioni sottoposte alla parziale contrazione. Le graduatorie dovranno essere distinte anche per "sesso" (una per gli uomini ed una per le donne (28), in quanto a seguito della L. n. 236/1993 (art. 6, comma 5 bis) è stato introdotto, per la fase risolutiva del rapporto, il divieto di "discriminazione indiretta" (mutuato dalla L. n. 125/1991, sulle pari opportunità) che ha imposto un'aggiunta all'art. 5, 2° co., secondo cui  nella individuazione dei licenziati deve essere mantenuto l'equilibrio proporzionale esistente tra lavoratori e lavoratrici "con riguardo alle mansioni prese in considerazione" per la parziale soppressione (29).

       Nella scelta, per effetto dell'art. 5, 2° comma, deve essere salvaguardata altresì la proporzione degli invalidi presenti in azienda.

       In linea con quanto esposto si è espressa Cass., sez. lavoro, dell’ 8 gennaio.2003 n° 86 (30) secondo cui:«In materia di licenziamenti collettivi di cui alla legge 23 luglio 1991 n. 223 la indicazione delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta, rispondendo all'esigenza di consentire ai sindacati, ed al giudice, un sollecito ed immediato controllo, evitando che l'imprenditore possa, ex post, giustificare le sue scelte in relazione a quanto sostenuto dai lavoratori in sede contenziosa, presuppone necessariamente la evidenziazione della valutazione comparativa fra tutti i dipendenti nell'ambito dei quali la scelta va operata, così da permettere una vera e propria graduatoria derivante dal raffronto fra tutti i lavoratori interessati al provvedimento espulsivo, in relazione ai quali è intervenuta la scelta, onde consentire di verificare come e perché i lavoratori licenziati siano stati scelti, dovendosi osservare che in assenza della suddetta comparazione, la comunicazione si riduce ad un inutile rituale, non consentendo di verificare, nel rispetto della finalità della previsione normativi, in esame, la effettiva e corretta applicazione dei criteri di scelta  integrando pertanto violazione dell’art. 4 c. 9.” (Cfr. Cass. 4685 del 27/5/1997; Cass. 5718 del 10/6/1999).

 

3.3. I criteri convenzionali per l’accesso al Fondo esuberi del credito.

Nel settore creditizio, privo dell’ammortizzatore sociale della Cassa Integrazione ed ove si è provveduto alla costituzione di apposito «Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale» – tramite l'art. 9 dell'Accordo Quadro del 28.2.1998  (ora  rifluito nell’art. 8 dell’ approvato  D.Interministeriale 28.4.2000 n. 158) - si sono convenuti criteri pattizi (prevalenti su quelli di legge, relegati dall'art. 5 della  medesima in un ruolo di sussidiarietà rispetto alle convenzioni raggiunte in sede sindacale) per l'individuazione dei lavoratori destinatari dei licenziamenti collettivi al riscontro di esuberi conseguenti a processi di crisi aziendali o di ristrutturazione.

E' stato stabilito che saranno prioritariamente licenziabili: a) i lavoratori che sono in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità o vecchiaia e,  successivamente: b) quelli più prossimi alla maturazione del diritto a pensione a carico dell'Assicurazione generale obbligatoria (ovvero in possesso di maggiore età anagrafica)

In ciascuno dei casi  sub a) e b) sopradelineati, sarà favorito – in via preliminare – il criterio della “volontarietà” che tuttavia opera esclusivamente nel caso in cui il numero dei lavoratori in possesso dei suddetti requisiti sia superiore al numero degli esuberi, per cedere alla “obbligatorietà” dell’espulsione qualora invece il numero degli esuberi sia superiore ai destinatari della volontarietà, nel qual caso viene introdotto il criterio – a parità  di età anagrafica o di prossimità alla pensione – dei carichi di famiglia, con priorità d’uscita per quelli meno gravati sul piano dei carichi familiari.

Come si può agevolmente desumere, il criterio dell'anzianità aziendale è stato completamente svalutato, assumendo anzi caratteristiche di negatività, essendo prevalse le esigenze aziendali dello "svecchiamento" coniugatesi con l'attuale difficoltà giovanile di ricollocazione su un  mercato in condizioni stagnanti (che peraltro non risparmia  né è più benevolo per i più anziani), secondo una linea di tendenza già affermatasi nella pratica e nel settore industriale e che ha ricevuto legittimazione sia dalla Corte costituzionale (n. 268/1994) sia successivamente dalla Cassazione ad opera della decisione n. 13691 del 7 dicembre 1999 (31). 

 

4. Le comunicazioni agli Organi amministrativi ed ai lavoratori licenziati.

       Una volta comunicata, anche con una sintetica allegazione alla lettera di licenziamento, la metodologia di ponderazione dei criteri legali per i licenziamenti, al lavoratore potrà essere inoltrata una lettera in cui, riassunti i motivi determinativi dell'esuberanza di personale, gli si comunica il recesso con preavviso dal rapporto di lavoro, a seguito dell'applicazione dei criteri legali di scelta (preventivamente ponderati secondo valori aritmetici resi noti per affissione negli albi aziendali) che hanno implicato la sua collocazione in graduatoria tra le posizioni sopprimibili. Gli si porterà a conoscenza che - come da disposizioni di legge - un'informativa più articolata e comparativamente globale è stata fornita contestualmente, ex art. 4, 9° co., agli Organi amministrativi e alle associazioni sindacali di categoria, a cui potrà rivolgersi nel caso di esigenza di ulteriori chiarimenti, in ragione del loro ruolo rappresentativo degli interessi dei lavoratori.

       Correttamente la dottrina esclude che i lavoratori siano destinatari delle informazioni più capillari e particolareggiate - di cui al 9° co., dell'art. 4 - da inoltrare per iscritto e contestualmente (32) all'Ufficio Regionale del lavoro, alla Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni sindacali di categoria.

       Com'è noto tali comunicazioni - devono contenere " l'elenco dei lavoratori oggetto del licenziamento collettivo, con l'indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell'età, del carico di famiglia nonché puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'art. 5, 1° co”. (33).

       Se di tali informazioni sono destinatari i sindacati di categoria e gli Organi amministrativi, una certa dottrina tende a non precluderle al lavoratore stesso, asserendo che "relativamente ad esso deve ritenersi applicabile l'art. 2 L. n. 604/1966 - cioè la richiesta entro 15 giorni e l'obbligo datoriale di risposta scritta entro 7 giorni - ed il lavoratore, una volta ricevuta la comunicazione del recesso può richiedere i motivi della scelta caduta su di lui ossia la copia della comunicazione fatta ai soggetti previsti dalla legge". La posizione è tuttavia non accolta dalla giurisprudenza della Cassazione la quale ritiene che ai singoli non spetti la motivazione della scelta e la cognizione dei criteri, potendo documentarsi presso gli Organismi pubblici o le OO.SS. In effetti quest’ultima tesi dottrinaria  seppur  improntata ad impostazione razionale e democratica, in quanto non sorretta da dati normativi specifici, potrebbe dirsi ispirata  solo da “favor operari”.

 

5. Il regime delle sanzioni.

       L'art. 5, al 3° comma, prevede il regime sanzionatorio dei licenziamenti illegittimamente disposti. Il recesso intimato oralmente è inesistente ed il lavoratore, in fattispecie, non ha neppure l'onere dell'impugnativa. Va invece impugnato - nel termine di 60 giorni di cui all'art. 6 L. n. 604/1966 - il licenziamento che risulti inefficace per asserita violazione dei criteri di scelta, erroneamente applicati.

       Il giudice che accerti l'inefficacia o l'annullabilità dei licenziamenti deve disporre, ai sensi dell'art. 18 della L. n. 300/'70 come modificata dalla n. 108/1990, la reintegrazione nel rapporto ed il risarcimento dei danni. Va ancora menzionato che, ai sensi dell'art. 17 L. n. 223/'91, qualora i licenziamenti risultino viziati per violazione dei criteri di scelta e ne segua la reintegrazione ex art. 18 L. n. 300 (34), la legge n. 223 ha conferito all'imprenditore la facoltà di "procedere alla risoluzione - sempre nel rispetto dei criteri di scelta di cui all'art. 5, 1° co., - del rapporto di un numero di lavoratori pari a quello dei lavoratori reintegrati, senza dover esperire una nuova procedura, ma dandone comunicazione alle Rappresentanze sindacali aziendali”.

 

6. Prestazioni di sostegno al reddito in caso di licenziamenti per riduzione di personale.

6.1.Indennità di mobilità da Cigs:

Si parla di mobilità quando interviene il licenziamento del lavoratore, spesso in seguito a un periodo di Cassa integrazione straordinaria, quando le imprese che hanno beneficiato della CIGS non riescono, per motivi tecnici o produttivi, a reinserire tutti i lavoratori sospesi; il personale eccedente viene licenziato e l'impresa avvia la procedura di mobilità. I lavoratori inseriti nelle liste di mobilità acquisiscono il diritto ad una indennità, nel caso in cui abbiano una anzianità aziendale di almeno 12 mesi e abbiano un contratto continuativo a tempo indeterminato. Le aziende sono incentivate ad assumerli attraverso agevolazioni contributive. La durata del trattamento è di 12 mesi prolungabili a 24 o 36 nel caso di lavoratori che abbiamo raggiunti rispettivamente 40 o 50 anni di età. Per questi lavoratori, nel Mezzogiorno e nelle aree svantaggiate la durata massima viene elevata a 24, 36 e 48 mesi. Il lavoratore viene cancellato dalle liste di mobilità, qualora rifiuti l'iscrizione a un corso di formazione professionale o un lavoro equivalente al precedente con una retribuzione non inferiore del 10%, un impiego di pubblica utilità, o qualora non comunichi all'Inps un impiego a tempo parziale o a tempo determinato. La competenza in materia di mobilità è dell'INPS.

 

Importo

Per i primi 12 mesi: 100% del trattamento di Cassa integrazione straordinaria percepito o che sarebbe spettato nel periodo immediatamente precedente il licenziamento, nei limiti di un importo massimo mensile.

Per i periodi successivi: 80% del predetto importo.

In ogni caso l'indennità di mobilità non può superare un importo massimo mensile determinato di anno in anno, importo che dal 1° gennaio 2003 è di € 791,21 lorde mensili (netto € 747,38), elevato a € 950,95 lorde mensili (netto € 898,27) per i lavoratori che possano far valere una retribuzione lorda mensile superiore a € 1.711,71.

L'indennità è pagata ogni mese dall'INPS direttamente al lavoratore ed è sospesa quando l'interessato è assunto con contratto a tempo determinato o a tempo parziale.

 

6.2. Assegno di accompagnamento alla pensione per esuberi nel settore credito (D.IM. n. 158/2000):

Gli assegni straordinari per il sostegno del reddito sono erogati dal Fondo Esuberi, per un massimo di 60 mesi nell'ambito del periodo di cui al comma 2 (nell’ambito cioè di un periodo di 10 anni, n.d.r.), su richiesta del datore di lavoro e fino alla maturazione del diritto a pensione di anzianita' o vecchiaia a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, a favore dei lavoratori che maturino i predetti requisiti entro un periodo massimo di 60 mesi, o inferiore a 60 mesi, dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

Nei casi di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), il Fondo eroga un assegno straordinario di sostegno al reddito il cui valore e' pari:

        a) per i lavoratori che possono conseguire la pensione di anzianita' prima di quella di vecchiaia, alla somma dei seguenti importi:

            1) l'importo netto del trattamento pensionistico spettante nell'assicurazione generale obbligatoria con la maggiorazione dell'anzianita' contributiva mancante per il diritto alla pensione di anzianita':

            2) l'importo delle ritenute di legge sull'assegno straordinario.

        b) per i lavoratori che possono conseguire la pensione di vecchiaia prima di quella di anzianita', alla somma dei seguenti importi:

            1) l'importo netto del trattamento pensionistico spettante nell'assicurazione generale obbligatoria con la maggiorazione dell'anzianita' contributiva mancante per il diritto alla pensione di vecchiaia;

            2) l'importo delle ritenute di legge sull'assegno straordinario

Alle prestazioni di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a), punto 2) e lettera b), nell'ambito dei processi di cui all'articolo 2 del D.IM n. 158/2000, possono accedere anche i dirigenti, ferme restando le norme di legge e di contratto applicabili alla categoria.

Gli assegni straordinari di sostegno al reddito sono incompatibili con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, eventualmente acquisiti durante il periodo di fruizione degli assegni medesimi, derivanti da attivita' lavorativa prestata a favore di altri soggetti, ad esempio banche, concessionari della riscossione, altri soggetti operanti nell'ambito creditizio o finanziario, ivi compresi quelli operanti nel campo degli strumenti finanziari, nonche' dei fondi comuni e servizi di investimento, che svolgono attivita' in concorrenza con il datore di lavoro presso cui prestava servizio l'interessato (cfr. sulla ratio dell’incompatibilità e relativa nozione : messaggio Inps 17 febbraio 2004 n. 4376, in Guida la lavoro, 204, n. 10, p.79, secondo cui la concorrenza va intesa in senso stretto, in attività in proprio o a favore di terzi che siano in condizioni di aggravare la situazione di crisi del  precedente datore di lavoro, escluse quindi le prestazioni in consociate o collegate del medesimo).

 

Roma, 31 marzo 2004

Mario Meucci

NOTE

1.     Pera, I licenziamenti collettivi, in Giust. civ. 1992,II, 208 e ss.

2.     D'Antona, Commento alla legge n. 223/1991, in Nuove leggi civ.comm., 1994,926.

3.    La legge, inoltre, sembra aver considerato anche l'ipotesi della riduzione di personale alla quale non consegue un pari ridimensionamento dell'attività dell'impresa, così come era stato  in precedenza ritenuto dalla Corte di Cassazione.

4.     In Lav. Prev. Oggi, 1997, n. 4, 839, ed ivi con nota di Meucci  a pag. 855.

5.     In Not. giurisp. lav. 1997, 415.

6.    L'indicazione di tali impedimenti è pretesa dalla dottrina e dalla giurisprudenza. V. in tal senso, Rendina, In tema di procedura di mobilità e licenziamenti collettivi, ecc., in Mass.giur. lav. 1993,493 e 495. La mancanza dell'indicazione delle ragioni ostative così come la violazione della procedura prevista all'art. 4, comma 9°, della legge n. 223/'91  determina l'inefficacia dei licenziamenti.  In tal senso,  Cass. sez. un.  11.5.2000, n. 302 ( Pres. Vela, est. Prestipino); Cass. 9.11.1998, n. 11263; Cass. 21.7.1998, n. 7169 e Cass. 1.7.1998, n. 6448, entrambe in Mass. giur. lav. 1998, 692; Cass. 22.4.1998, n. 4121, ibidem 1998, 447; Cass. 23.9.1998, n. 9541 e Cass. 17.4.1998, n. 3922 (entrambe inedite, a quanto consta); Cass. 17.1.1998, n. 419, ibidem 1998, Mass. Cass., 28, n. 88; Cass. 30.10.1997, n. 10716, in Lav. giur. 1998, 623; Cass. 11.3.1997, n. 2165, in Mass. giur. lav. 1997, 432; Cass. 27.5.1997, n. 4685, ibidem 1997, 632; Cass. 26.7.1996, n. 6759, ibidem 1996, 788. Conf. anche la giurisprudenza di merito, tra cui,  Pret. Milano 4.5.1998, in  D&L, Riv. crit. dir. lav. 1998, 939; Trib. Milano 11.10.1997, in Lav. giur. 1998, 328; Pret. Milano 4.7.1997, in  D&L, Riv. crit. dir. lav. 1998, 95, Pret.Padova 22.1.1997, in Or. giur. lav. 1997, 200; Pret. Milano 6.8.1996, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 1997,88, ecc.

7.     Conf. Pret. Napoli 19.5.1992, in D&L 1992,857; Pret. Milano 3.2.1993, ibidem 1993,534; Pret. Milano 1.10.1992, ibidem 1993,88; Pret. Milano 29.6.1992, in Riv. it. dir. lav. 1993,II, 106 con nota di Scarpelli.

8.     Si rinvia, al riguardo, alle decisioni citate in nota 6.

9.     Cass. 30.10.1997, n. 10716, cit.

10.   In Diritto e giustizia, 2002, fasc. n. 6.

11.   Cfr. punto 2) del testo.

12.  Così D'Antona, op. cit. 919; Pera, op.cit., 213. Circa la natura della dequalificazione, nel contesto della riduzione degli esuberi, si segnalano Pret. Milano 12.5.1992 ( in D&L 1992,929),  Pret. Milano 11.8.1992 (ibidem 1993,667) e Pret. Milano 27.5.1993 ( ibidem 1994,133) che hanno escluso che la dequalificazione possa spingersi al punto di trasformare "impiegati" in "operai", giacché tale declassamento avrebbe l'effetto di derogare non già all'art. 2103 c.c. ma all'art. 2095 c.c., posto che la divisione dei lavoratori dipendenti tra "operai" ed "impiegati" non ha come riferimento il livello di professionalità (oggetto dell'art. 2103 c.c.) ma si situa ad un livello diverso e superiore qual'è quello del tipo di collaborazione con l'imprenditore.

13.    D'Antona, op.cit., 919.

14.    In Orient. giur. lav., 2000, I, 1015; in Rep. Foro. It. 2001, Lavoro (rapporto) [3890], n. 1557.

15.    Conf. Vallebona, Il licenziamento collettivo per riduzione di personale, in Mass. giur. lav. 1992,433, che nota come " trattandosi di un dovere di consultazione e non di un obbligo a contrarre, l'imprenditore non è tenuto ad accogliere le istanze sindacali, che può legittimamente rifiutare, in tutto o in parte, nè a concludere un accordo, potendo alla fine della procedura effettuare comunque i necessari licenziamenti (ar. 4, 9° co.).

16.    Corte cost. 30.6.1994 n. 268 può leggersi in Not. giurisp. lav. 1994, 395; conf. Cass.  7.12.1999, n. 13691.

17.   Così  Cass. 4 novembre 1997, n. 10832 in Not. giurisp. lav., 1997, 794 ;Pret. Milano 16.7.1993, in D&L 1994,89; Pret. Busto Arsizio 18.10.1993, in Mass. giur. lav. 1993,493; Trib. Milano 22.12.1993, in D&L 1994,532.

18.    In tal senso Liso, op.cit., n.18,p.11;Pera, op.cit., 213; Vallebona, op.cit., 434. L'allargamento del "raffronto" all'intera azienda implicherebbe- secondo Liso - un fenomeno di "trasferimenti a cascata " tra lavoratori fungibili, di difficile gestione pratica.

19.   Così D'Antona, op.cit., 934; Mazzotta, I licenziamenti, Commentario, Milano 1992,640; Alleva, Esuberanza e mobilità della forza lavoro, ecc., Roma, 1991,172. Sostanzialmente conforme Cass. 9.6.1993 n. 6418, in Mass. giur.lav. 1993,484 nonchè Pret. Milano 18.4.1989, in Or.giur. lav. 1989,769, Trib. Milano 11.7.1990, ibidem 1990,127, secondo cui " i criteri di scelta sono criteri di graduazione e di confronto che, a parità di valenza professionale, devono investire l'intera azienda  quando il ridimensionamento non si palesa locale e strutturale ma meramente numerico"; conf. Trib. Milano 22.12.1993,cit.

20.    Cfr. Cass. 10 maggio 2003, n. 7169; Cass. 29.12.1998, n. 12879, in Mass. giur. lav. 1999, 288; Cass. 4.11.1997, n. 10832, in Riv. crit. dir. lav., 1998, 366.

21.    Cass. 24 gennaio 2002 n. 809, in Not. giurisp. lav. 2002, 233)

22.    Pera, op.cit., 214.

23.    Pret. Bologna 6.4.1992, in Riv. it. dir.lav. 1992,II,1012, con nota di Guaglione.

24.    Conf. D'Antona, op.cit., 932; Del Punta, I criteri di scelta dei lavoratori nei licenziamenti collettivi,ecc., in Giorn.dir.lav.rel.ind. 1993, 792; in giurisprudenza, nello stesso senso, Cass. 18.1.1986 n. 324; contra: Zoli, La tutela delle posizioni strumentali del lavoratore, Milano 1988, 277.

25.    La conclusione della priorità delle esigenze sociali rispetto a quelle produttive aziendali - accolta  dalla L. n. 233, tramite l’ordine  assegnato ai fattori - è del tutto in armonia con la giurisprudenza della stessa S.corte che ha sempre riconosciuto una prevalenza al fattore delle “esigenze tecniche e produttive” nel contesto dell’A.I. 5.5.1965 che conferiva giustappunto a quest’ultimo un ordine formale di priorità nella formulazione pattizia, rispetto all’anzianità ed ai carichi di famiglia (cfr. in questo senso, da ultimo, Cass. 15 luglio 1995 n. 7708, in Riv. it. dir. lav. 1996, II, 424 con nota di Franco). Quest’ultimo autore accede alla nostra tesi interpretativa, affermando che il diverso ordine di priorità, con preferenza per le esigenze sociali, effettuato dalla L. n. 233, porterebbe  alla conclusione opposta a quella sostenuta dalla pregressa giurisprudenza, in presenza dell’opposto ordine conferito ai fattori dall’A.I del 1965. “Sembra esservi spazio - sostiene l’A. - per una soluzione che riconosca un’efficacia precettiva all’ordine di priorità dei criteri di scelta stabilito dal legislatore, senza per questo pregiudicare la tutela dell’interesse dell’impresa”. Infatti se si pensa che i criteri legali sono residuali rispetto ad eventuali criteri sindacali, pattiziamente concordabili, “là dove il datore di lavoro ritenga che l’obbligo di rispettare quest’ordine di priorità conduca ad un risultato comunque non in linea con l’obbiettivo del risanamento dell’azienda, può sempre ricercare una soluzione negoziale, che stabilisca (ad esempio) un diverso ordine nell’applicazione dei criteri di scelta, così da affidare alla tipizzazione convenzionale, invece che a quella legale, la determinazione del ‘costo sociale’ che il datore di lavoro è chiamato a sopportare per  poter licenziare”.

26.     Così Pret. Milano 16.6.1993, in D&L 1994,86;Trib. Milano 22.12.1993, ibidem 1994,532; Pret. Milano 10.11.1993, in Or. giur.lav. 1993,969 che richiede che si giunga ad una graduatoria sulla base di una "griglia" che dia conto della correttezza delle scelte effettuate.

27.     Così si desume dalle decisioni soprariferite in nota 18.

28.     Conf. D'Antona, op.cit., 936 per cui : «I criteri di scelta ...dovranno essere quindi applicati a liste distinte per sesso, in modo da arrivare ad un risultato bilanciato tra i due gruppi. Con la conseguenza che, soprattutto dove la percentuale femminile è bassa e le mansioni omogenee, lavoratrici con minore anzianità e carichi di famiglia di lavoratori con mansioni uguali, potranno risultare di molto preferite stante la necessità di salvaguardare l'equilibrio della quota» .

29.      L'aggiunta così dispone: " L'impresa non può altresì collocare in mobilità una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale occupata, con riguardo alle mansioni  prese in considerazione".

30.     Inedita allo stato.  

31.     In  Foro it., 2000, I, 2842.

32.     Secondo Pret. Perugia 12.12.1992, in Or. giur. lav. 1993,735, "contestuale" non  comporta  "contemporaneità" di inoltro delle comunicazioni, ma significherebbe inclusione della comunicazione di recesso al lavoratore e delle comunicazioni agli Organi amministrativi nello stesso documento, da inviare sia al lavoratore sia agli Organi innanzi citati.

33.     Così D'Antona, op.cit., 935.

34.     Per fattispecie concrete, si rinvia ai casi decisi dalle sentenze riferite alla nota 6.

 

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