Reazioni datoriali allo sciopero: cd. “messa in libertà” e  “crumiraggio”

 

1. Condizioni di legittimità dello sciopero

E' noto come la  giurisprudenza in tema di sciopero - a partire da Cass. 30.1.1980 n. 711[1]  seguita da altre conformi tra cui Cass. 7.12.1985 n. 6177[2]  e da Cass. n. 2899/1986[3]  - superando la vecchia diatriba tra sciopero lecito ed illecito o ingiusto (in quanto arrecante danni esorbitanti alla produzione aziendale) - legittimi lo sciopero in se e per se, tuttavia alla condizione che non arrechi pregiudizio alla “produttività” (cioè a dire all’ “attitudine produttiva”) dell'azienda, tramite danneggiamenti all'integrità degli strumenti o impianti di lavorazione. A nulla rilevando l'entità dei danni arrecati alla “produzione” aziendale, ritenendosi correttamente ininfluente, nella valutazione di legittimità dello sciopero, la consistenza delle riduzioni quantitative del prodotto dell'impresa o l'intensità delle contrazioni dei servizi dalla stessa erogabili, in conseguenza dell'iniziativa di sciopero assunta dai lavoratori. Tali danni alla “produzione” (o erogazione dei servizi) sono infatti immanenti al diritto accordato dalla Costituzione ai lavoratori e costituiscono la contropartita del sacrificio retributivo cui gli stessi sottostanno per effetto dell'iniziativa conflittuale intrapresa.

Nel più ampio contesto di esame delle condizioni di legittimità dello sciopero è stato, abbastanza di recente, riconfermato da Cass. 17.12.2004 n. 23552 che:«Ai fini di valutare la legittimità di uno sciopero sono privi di rilievo l'apprezzamento obiettivo che possa farsi della fondatezza, della ragionevolezza e dell'importanza delle pretese perseguite nonché la mancanza sia di proclamazione formale sia di preavviso al datore di lavoro sia di tentativi di conciliazione sia d'interventi dei sindacati, mentre il fatto che lo sciopero arrechi danno al datore di lavoro, impedendo o riducendo la produzione dell'azienda, è connaturale alla funzione di autotutela coattiva propria dello sciopero stesso».

In sostanza il limite di legalità al diritto di sciopero viene individuato e risiede, allo stato, non già nella gravità del danno alla “produzione” ma nella compromissione della funzionalità produttiva dell'impresa, conseguente a pregiudizi all'integrità ed al funzionamento degli impianti, tali da rifluire in danno alla cd. “produttività” (o attitudine produttiva) dell'azienda.

 

2. Messa in libertà dei non scioperanti

Le reazioni datoriali più usuali e ricorrenti avverso l'esercizio del diritto di sciopero (o, meglio, nei confronti di talune modalità ritenute “atipiche” dall'azienda, quali lo sciopero a singhiozzo, a scacchiera e simili), consistono:

a) nella sospensione totale dell'attività aziendale o nel rifiuto della prestazione offerta da gruppi di lavoratori non scioperanti ma impiegati in reparti a monte o a valle di quelli interessati allo sciopero;

b) nel ricorso al cd. “crumiraggio”, cioè a dire alla sostituzione degli scioperanti con lavoratori interni o con prestatori d'opera esterni.

La prima misura sub a) - sospensione totale dell'attività o messa in libertà, con dispensa dalla prestazione e dalla retribuzione, dei lavoratori operanti in reparti a monte o a valle degli scioperanti - viene giustificata sull'assunto secondo cui la prestazione dei lavoratori non scioperanti deve rivelarsi non solo ipoteticamente possibile ma risultare altresì “proficua”, cioè economicamente utile per l'impresa. Su questa base sarebbe pertanto lecita per l'impresa la sospensione della produzione o il rifiuto della prestazione dei lavoratori non scioperanti in reparti situati a monte o a valle di quelli interessati dallo sciopero, quando gli effetti riflessi ed ulteriori di una qualsiasi sospensione del lavoro per sciopero alterino comunque la produzione o l'efficienza o l'organizzazione dell'azienda o comunque rendano la prestazione dei lavoratori non più conveniente e proficua. Significative di tale orientamento sono, ad es., Cass. 4.3.1987, n. 2287 e Cass. 7.2.1987, n. 1331, che affermano, rispettivamente, l'una che «quando nell'ipotesi di sciopero a singhiozzo o a scacchiera la prestazione offerta negli intervalli o nei reparti in cui non vi sia astensione dal lavoro risulti, in relazione alla struttura ed all'organizzazione dell'impresa, non più proficua ovvero divenga utilizzabile soltanto attraverso l'assunzione di maggiori spese ed oneri, come quelli relativi alla perdita dei prodotti, alla sospensione e riattivazione del ciclo produttivo o al mantenimento in funzione degli impianti a vuoto, legittimamente il datore di lavoro rifiuta quella prestazione lavorativa rivelatasi antieconomica e la corresponsione del corrispettivo»; l'altra che «in presenza di un'impossibilità o inadeguatezza della prestazione che, in relazione al tipo ed alla natura della produzione industriale, non essendo impiegata attivamente nelle mansioni determinate ed attribuite, venga appunto ad essere inutilizzabile e non più proficua, vengono anche in rilievo le perdite economiche della produzione industriale concernenti la distruzione o l'inefficienza del prodotto ottenuto ovvero l'assunzione di maggiori oneri o costi, quali quelli inerenti alla sospensione o riattivazione del ciclo produttivo, o all'opposto mantenimento in funzione degli impianti a vuoto».

A tale teorica giustificatrice della reazione datoriale di rifiuto dell'offerta lavorativa dei non scioperanti si contrappone tuttavia un orientamento dottrinale e giurisprudenziale che - in aderenza alla ratio dell'art. 1256 c.c. - asserisce che per la liberazione dell'imprenditore dall'obbligo retributivo, in conseguenza del rifiuto di accettare la prestazione dei non scioperanti, occorre che l'azienda dimostri che gli scioperi “atipici” si sono tradotti non già in una mera difficoltà della gestione aziendale (in quanto, ad es., manca la convenienza economica della prestazione o è inopportuno il funzionamento dell'impianto) ma in una vera e propria impossibilità oggettiva della prestazione o nell'assoluta e oggettiva inutilizzabilità della prestazione stessa, intendendo per “prestazione inutilizzabile” non quella non conveniente o non proficua, ma quella non idonea a portare all'imprenditore un qualsiasi, anche minimo, risultato produttivo[4].

Infine si sostiene, condivisibilmente, che ammessa la facoltà datoriale di rifiutare la prestazione visibilmente inutile dei non scioperanti, il datore di lavoro deve avvalersi a priori ed immediatamente di tale diritto di dispensa della prestazione inutilizzabile, altrimenti deve retribuire ai lavoratori il tempo virtualmente lavorato di cui ha beneficiato, perchè, in tal caso, debbono reputarsi a carico dell'imprenditore stesso i risultati inutili della prestazione lavorativa accettata.

Recentissimamente tale rifiuto di corrispondere la retribuzione, per impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c. di ricevere l’inutilizzabile prestazione dei non scioperanti, è stato manifestato dal Presidente della Fondazione Teatro comunale di Bologna, Cofferati, nei confronti dei dipendenti non scioperanti  con avviso affisso in bacheca finalizzato a preavvertirli di tale determinazione, avviso tuttavia ritenuto dal magistrato (senza nostra adesione) - in sede di provvedimento cautelare - come “dissuasivo del diritto di sciopero” e quindi sanzionato come antisindacale.

 

3. Crumiraggio interno ed esterno

La legittimità del ricorso datoriale alla seconda misura sub b)  - cd. "crumiraggio" - viene invece sostenuta sulla base della teoria secondo la quale l'impresa, in caso di sciopero, ha il pieno diritto di attivare tutte le misure legali atte a ridurre i danni che la concernono, piuttosto che essere costretta, per così dire, a cooperare alla riuscita dello sciopero come avverrebbe se si limitasse ad assumere un mero atteggiamento passivo o di inerzia nei confronti dell'iniziativa di controparte[5].

Eminentemente dalla meno recente giurisprudenza della Cassazione[6] e prevalentemente dalla giurisprudenza di merito risalente, è giunta una patente di legittimazione nei confronti del “crumiraggio interno”, attuato mediante un temporaneo spostamento sia di colleghi non scioperanti nelle mansioni di quest'ultimi sia di personale di grado più elevato (funzionari o dirigenti) nelle mansioni del personale sottordinato scioperante.[7]

Va peraltro evidenziato che contro la piena ed incondizionata legittimità del “crumiraggio interno” viene invocata la prescrizione dell'art. 2103 c. c. (che vieta l'adibizione a mansioni dequalificanti) e, pertanto, sempre la prevalente giurisprudenza di merito meno recente giunse  a pretendere quantomeno la “volontarietà” o “non coartazione” di coloro dai quali proviene l'offerta (o ai quali viene aziendalmente richiesto) di sostituire gli scioperanti nelle loro mansioni inferiori[8].

Recentissimamente la Cassazione  ha assunto un atteggiamento meno permissivo nei confronti del cd. “crumiraggio interno”, affermando – tramite Cass. 9.5.2006 n. 10624, prima, e Cass.  3.6.2009 n. 12811, poi – quanto segue: «Il datore di lavoro in caso di sciopero può quindi, anche quando non vengano in rilievo interessi pubblici ma il suo interesse privato, procedere alla sostituzione dei lavoratori in sciopero con altri lavoratori, non aderenti alla astensione o impiegati in settori nei quali non è stato proclamato lo sciopero. Si può anche ritenere che la riorganizzazione aziendale volta a limitare gli effetti negativi per l'azienda dello sciopero possa consistere tanto nell'impiego dei lavoratori non scioperanti nei compiti propri dei lavoratori in sciopero, quanto in compiti diversi, che permettano comunque di elidere gli effetti negativi per il datore di lavoro della astensione. Tuttavia non ogni scelta funzionale a tal fine è però consentita. Il limite è costituito dal fatto che la sostituzione deve essere fatta in modo legittimo. Sicuramente legittimo è lo spostamento nelle mansioni degli scioperanti di lavoratori della stessa qualifica, nel pieno rispetto dell’art. 2103 c.c., o addirittura di lavoratori con qualifica inferiore, cui saranno riconosciuti i diritti previsti da tale norma (retribuzione superiore, ndr), senza peraltro ledere i diritti dei lavoratori sostituiti. Diverso è il caso in cui i lavoratori chiamati a sostituire i dipendenti in sciopero, o chiamati a svolgere attività diverse ma che neutralizzino gli effetti dello sciopero, siano di qualifica superiore e vengano quindi impiegati in mansioni inferiori. L’art 2103 del codice civile, infatti, nega tale possibilità, sancendo che “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte...” ed aggiunge, che “ogni patto contrario è nullo”.

(…) Sul tema specifico le decisioni più recenti hanno affermato che quando la sostituzione degli scioperanti avvenga “con strumenti non consentiti” e cioè “in violazione di legge o di norma collettiva” l’attività di sostituzione è illegittima e che “il consenso dei lavoratori assegnati in sostituzione non è idoneo a giustificare la deroga alla disciplina di legge” (entrambe le affermazioni sono di Cass,. 9 maggio 2006. n. 10624)».

In effetti Cass. 9.5.2006 n. 10624 ha affermato il diritto del datore di lavoro di continuare a svolgere la propria attività in occasione dello sciopero, purchè ciò avvenga nei limiti normativamente previsti; l'affidamento delle mansioni svolte da lavoratori in sciopero ad altri dipendenti diviene così illegittimo ove avvenga in violazione di una norma di legge o di una norma collettiva (nella specie esaminata, con l'assegnazione di lavoratori - assunti con contratti a tempo determinato e parziale per svolgere prestazioni nei giorni di sabato e domenica - ad attività in altri giorni della settimana per sostituire i dipendenti in sciopero, o con lo svolgimento, allo stesso scopo, di lavoro supplementare da parte di dipendenti con contratto a tempo determinato, in contrasto con norma di legge).

Va detto inoltre che nel nostro ordinamento giuridico vi sono precisi riferimenti normativi che sanciscono sia l’illegittimità del ricorso a nuove assunzioni per sopperire all'astensione dal lavoro degli aderenti allo sciopero (c.d. “crumiraggio esterno”) - reperibili in diverse disposizioni speciali relative al contratto a termine (d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 3, lett. a) – sia l’illegittimità del ricorso a somministrazione di personale da parte delle agenzie di staff leasing (si vedano al riguardo le disposizioni preclusive del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 20, comma 5, lett. a), art. 34, comma 3, lett. a), relative rispettivamente al contratto di somministrazione e al contratto di lavoro intermittente.

In questa prospettiva, si deve affermare - seguendo l'indirizzo espresso da Cass. 10624/2006 - che nella logica del bilanciamento del diritto di sciopero e del diritto di libera iniziativa economica dell'imprenditore, entrambi garantiti da norme costituzionali, il primo non può dirsi leso quando il secondo sia esercitato, per limitare gli effetti negativi dell'astensione dal lavoro sull'attività economica dell'azienda, affidando ad altri dipendenti i compiti degli addetti aderenti all'agitazione, senza che risultino violate norme poste a tutela di situazioni soggettive dei lavoratori. Tale condizione legittimante, tuttavia, non ricorre e quindi  risulta violato l’art. 2103 c.c. quando la sostituzione nelle mansioni degli scioperanti – anche se avvenga con il consenso degli interessati non scioperanti – riguardi figure professionali svolgenti ordinariamente mansioni superiori (impiegati nel caso di sciopero degli operai, quadri e dirigenti nel caso di sciopero di impiegati) nei cui confronti le mansioni inferiori degli scioperanti siano ordinariamente estranee e non caratterizzate da rapporto di accessorietà  o complementarietà anche marginale con la propria e personale mansione caratterizzante e prevalente. Infatti, quando sussista carattere di accessorietà o complementarietà alla mansione caratterizzante, la giurisprudenza di Cassazione – cfr. Cass. 25. 2. 1998 n. 2045, 8.6.2001 n. 7821, 20.5.2003 n. 6714, 10.6.2004 n. 11045 -  esclude che il bene tutelato della professionalità possa dirsi leso nel caso in cui al lavoratore, che continui a svolgere in maniera prevalente e assorbente i compiti corrispondenti alla qualifica di appartenenza, siano assegnate o richieste anche mansioni marginali ed accessorie inferiori rispetto a quelle di competenza. In base a questo principio Cass. 20164/2007 ha ritenuto, in linea di principio e salvo riscontro in concreto da parte del giudice del rinvio, che non fosse illegittima la sostituzione degli scioperanti – in occasione di uno sciopero ad un punto di vendita della SMA Supermercati – con altri dipendenti provenienti da differenti punti di vendita cui si aggiungeva l’impiego  di due tecnici con mansioni superiori ma che in via accessoria e complementare disimpegnavano ordinariamente anche il compito di coordinamento degli addetti alla vendita.

Da parte della Cassazione meno recente si è giunti anche a legittimare il cd. “crumiraggio esterno” (sostituzione degli scioperanti con personale esterno), sia pure isolatamente ed alla espressa condizione che ciò avvenga «beninteso per le vie legali»[9].

Avverso la legittimità del “crumiraggio esterno”, la stessa Cassazione, tuttavia, in tempi successivi - oltre a richiedere il rispetto della condizione di “legalità” dell'iniziativa datoriale al fine di non occasionare comportamento antisindacale reprimibile tramite il procedimento ex art. 28 stat.lav. – ebbe ad introdurre,  nella decisione n. 8401 del 16.12.1987[10], quello che oggi è un dato o pretesa pacifica e cioè l'ulteriore e consequenziale divieto di ricorrere ad “assunzioni a termine” per sostituire gli scioperanti, non rientrando peraltro, tale espediente in alcuna delle previsioni di cui alla legge n. 230/1962 sul lavoro a tempo determinato (a quell’epoca ancora vigente). Facoltà ora espressamente preclusa dall’art. 3, comma 1, lett.a) d.lgs. n. 368/2001,  costituente  la nuova disciplina del contratto a termine, talchè il ricorso alla sostituzione in questione concretizzerebbe al tempo d’oggi  atto contra legem.

Talora nelle aziende si ricorre pure alla sostituzione degli scioperanti con personale distaccato da società consociate di un medesimo Gruppo. Ma anche tale soluzione è illegittima in quanto contrastante con l’art. 30, comma 1, d.lgs. n. 276/03, in quanto l'istituto in questione presuppone ex lege la sussistenza di un interesse dell'impresa cedente e non già quello della ricevente (titolare reale dell'attivazione del distacco solo per ovviare ai danni dello sciopero introaziendale), presupposto risultante quindi inficiato nel caso di utilizzo dell’escamotage del “distacco” di lavoratori terzi in occasione dello sciopero dei propri dipendenti.

 

4. Conclusioni

Vi è poi da dire, in via conclusiva e risolutiva, che se la Cassazione è giunta a ritenere connaturale allo sciopero l'inflizione del danno “economico” alla produzione aziendale (tramite una ridotta contrazione della quantità dei beni prodotti e dei servizi erogati), il “crumiraggio esterno” attivato esclusivamente per contrastare l'incidenza di ordine quantitativo sulla produzione aziendale oltreché essere inibito dalla soprariferita legislazione in tema di somministrazione, dovrebbe anche imbattersi in un atteggiamento di disfavore socio-giuridico, risolvendosi nella maggior parte dei casi essenzialmente in  una limitazione al diritto ed allo spiegamento dello sciopero, preclusa dall'art. 28 stat.lav.. Nello stesso senso si espresse in dottrina nel 1979, in forma antesignana, Simi[11] che mostrò, sin da quell’epoca lontana, perplessità in relazione all'immissione in azienda di personale estraneo non tanto nel caso di quelle che definì «esigenze indeclinabili» (id est, salvaguardia dell’integrità degli impianti e sicurezza delle persone) quanto nell'ipotesi di «chiamata per meri fini produttivi», che praticamente costituisce la regola ricorrente.

 

 Mario Meucci - Giuslavorista

Roma, aprile 2009
 


[1] In Foro it. 1980, I, 25 con nota di Genoviva.

[2] In Segnalaz. giur.lav. Rep. 1979-88.

[3] In Not. giurisp. lav.1986, 432.

[4] Vedi in tal senso Cass. 3.6.1982, n. 3397; Cass. 28.7.1983, n. 5186, nonché la nota di Mariani a Cass. 21.1.1986, n. 376, in Giust. civ. 1986, I, 1983 e l'articolo di D'Amico, La legittimità degli scioperi cd. atipici, ecc., in Lav. 80, 1989, 66 e ss; Pret. Milano 20.3.1993, in D&L 1993, 822.

[5] Così Pret. Pisa 11.10.1982, in Not. giurisp. lav. 1982, 491 ; Corte cost. 23.7.1980, n. 125, ivi 1980, 350; Pret. Modena 3.6.1976, ivi 1977, 190.

[6] Vedi Cass. 13.3.1986, n. 1701, in Not. giurisp. lav. 1986, 285.

[7] Vedi Pret. Lecce 19.3.1990, in Not. giurisp. lav. 1990, 175; Pret. Rimini 29.10.1987, ivi 1987, 695; Pret. Grosseto 29.6.1988, ivi 1988, 475; Pret. Napoli 10.3.1988, ivi 1988,138; contra: Pret. Milano 31.12.1985, ivi 1985, 725.

[8] Vedi Pret. Napoli 10.3.1988, cit.; Pret. Milano 31.12.1985, cit.; Pret. Roma 5.7.1979, in Not. giurisp. lav. 1979, 339; Pret. Biella 12.2.1979, ivi 1979, 239; Pret. Sessa Aurunca 5.4.1978, ivi 1978, 61; Pret. Modena 3.6.1977, cit.

[9] Così Cass. 17.3.1986, n. 1820, in Mass. giur. lav. 1986, 340 con nota adesiva di Brattoli; contra: Pret. Milano 31.12.1985, cit.

[10] In Or. giur. lav. 1988, 160.

[11] In I comportamenti contrari al diritto di sciopero, in La repressione della condotta antisindacale e i suoi limiti, Milano 1979, 62.

 

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