PROFILI FISCALI DELLE TRANSAZIONI DELLE CONTROVERSIE DI LAVORO (*)

 

In materia di trattamento fiscale delle somme erogate al lavoratore nell'ambito di transazioni relative a controversie di lavoro, il quadro normativo di riferimento è costituito dagli artt. 6,17,19,4° comma bis e 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi («Tuir») approvato con il DPR 22/12/86 n. 917, così come modificato dagli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 12/12/03 n.344 (1).

L'art. 51 (già art. 48) Tuir contiene un'ampia nozione di reddito di lavoro dipendente, stabilendo che tale reddito è «costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».

L'art. 17 (già art. 16) Tuir disciplina invece le modalità della tassazione delle somme percepite dal lavoratore, distinguendo tra transazione «relativa alla risoluzione del rapporto di lavoro» e transazione intervenuta nel corso di tale rapporto, prevedendo solo nel primo caso l’assoggettamento a tassazione separata.

L'art. 17 lett. a) Tuir stabilisce, infatti, che sono assoggettate a tassazione separata solo «le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro».

Dall'art. 17 lett. b) discende invece la regola dell'assoggettamento a tassazione ordinaria delle somme (aventi natura retributiva) corrisposte ai lavoratore a seguito di transazioni stipulate nel corso del rapporto di lavoro laddove la norma stabilisce che sono soggetti a tassazione separata solo «gli emolumenti arretrati corrisposti per effetto di legge, contratti collettivi, sentenze o atti amministrativi sopravvenuti o di altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti».

In entrambi i casi, trattandosi di redditi di lavoro dipendente, il datore di lavoro dovrà effettuare la ritenuta d'acconto ai sensi di quanto previsto dall’art. 23 DPR 29/9/73 n.600.

Tale trattamento non è tuttavia applicabile nel caso di transazioni aventi a oggetto l'erogazione di somme dirette a risarcire un danno emergente sofferto dal lavoratore (2).

L'art. 6 Tuir, dopo aver individuato le varie categorie di reddito (1° comma), stabilisce, infatti, che solo «i proventi conseguiti in sostituzione di redditi (...) a titolo di risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti».

Tale norma, dunque, esclude in via generale dalla nozione di reddito «il risarcimento del danno per la parte destinata a reintegrare il patrimonio del percettore per le perdite subite e per le spese sostenute» (danno emergente), mentre «assoggetta a imposta sul reddito delle persone fisiche» (facendoli rientrare nella stessa categoria dei redditi perduti) «gli indennizzi risarcitori del lucro cessante in quanto emolumenti sostitutivi di un reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell'evento lesivo» (lucro cessante) con l’unica eccezione dei danni dipendenti da invalidità permanente o morte (3).

Alla luce dell'art. 6, 2° comma, Tuir, non possono dunque considerarsi reddito imponibile in capo al lavoratore le somme a questi corrisposte dal datore di lavoro, ad esempio, a titolo di risarcimento dei danni alla salute, dei danni esistenziali sofferti a causa di infortuni sul lavoro o demansionamento, trattandosi di somme che vanno a risarcire un danno emergente e non la perdita di un reddito (4).

Per le stesse ragioni, non possono farsi rientrare nella nozione di reddito di lavoro dipendente le erogazioni del datore di lavoro dirette a integrare perdite patrimoniali del lavoratore derivanti dallo svolgimento dell'attività lavorativa, così come potrebbe accadere, ad esempio, nel caso di somme corrisposte al dirigente per mantenerlo indenne dalla responsabilità nei confronti dei terzi per atti o fatti compiuti (nell'interesse del datore di lavoro) nello svolgimento delle mansioni affidategli (5).

A questo proposito, non potrebbe fondatamente giungersi a diverse conclusioni né alla luce dell'ampia nozione di reddito dipendente contenuta nell'art. 51,1° comma, Tuir né sulla base del disposto dell'art. 17, lett. a) Tuir.

Sotto il primo profilo, infatti, appare innegabile che l’art. 6, 2° comma, Tuir detta un principio di carattere generale allorché distingue tra risarcimento del lucro cessante e risarcimento del danno emergente, escludendo quest'ultimo dall'imponibile conformemente al precetto costituzionale di cui all'art. 53 Cost secondo cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in base al criterio di progressività, «in ragione della loro capacità contributiva».

Il disposto dell’art. 17, lett. a) Tuir, invece, disciplina in tutta evidenza le modalità del prelievo fiscale e non può certo farsi discendere da tale norma una (inammissibile) deroga all’art. 53 Cost. e all'art. 6, 2° comma, Tuir, con conseguente assoggettamento a Irpef (ancorché a tassazione separata) delle somme che costituiscono risarcimento del danno emergente, per il solo fatto di essere erogate nell'ambito di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro subordinato (6).

In questo senso, del resto, si è pronunciata anche la giurisprudenza affermando che l'art. 32,1° comma, DL 23/2/95 n. 41, conv. in L. 22/3/95 n. 85, con cui era stata introdotta l'attuale formulazione dell'art. 17, lett. a) Tuir (7), non ha apportato alcuna innovazione ai principi sanciti dall'art. 6, 2° comma, Tuir in materia di esclusione dalla nozione di reddito delle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergente, essendosi tale norma limitata a prevedere una particolare modalità di tassazione (separata) solo per quelle somme che costituiscono reddito imponibile secondo i principi generali (8).

Occorre comunque sottolineare che l'atteggiamento della giurisprudenza in materia è caratterizzato da grande rigore al fine di evitare che il disposto dell'art. 6, 2° comma, Tuir possa prestarsi a manovre elusive delle parti, proprio in sede di transazione.

È inoltre ricorrente l'affermazione che la transazione con la quale il datore di lavoro e il lavoratore abbiano concordato l'erogazione di determinate somme a titolo di risarcimento del danno emergente non è opponibile all'amministrazione finanziaria ai fini dell'accertamento del corretto adempimento delle obbligazioni tributarie delle parti e che, quindi, in caso di contestazioni dell'ufficio tributario, grava sulle parti l'onere di fornire la prova dell'effettiva esistenza di tale danno, non potendo considerarsi sufficiente a riguardo il mero contenuto dell'accordo transattivo ancorché contenuto in un verbale di conciliazione sottoscritto innanzi al giudice del lavoro o in una delle sedi indicate dagli artt. 410 e 411 c.p.c. (9).

Considerati anche i rischi (pagamento dell'imposta, sovrattasse e sanzioni) connessi a tali contestazioni e l'estrema diffidenza nutrita dagli uffici tributali nei confronti di simili transazioni, è consigliabile operare con la massima prudenza, astenendosi dall'effettuare la ritenuta d'acconto prevista dall'ari 23 del DPR 600/73 soltanto in presenza di solidi elementi probatori (certificazione medica, meglio se proveniente da strutture sanitarie pubbliche; ricevute comprovanti l'acquisto dei farmaci prescritti al lavoratore; documentazione attestante il demansionamento o la diffusione di notizie lesive dell'immagine professionale dei lavoratore ecc.) idonei a dimostrare - nell'ambito di un eventuale contenzioso tributario - l'esistenza di un danno emergente nel senso sopra indicato.

È appena il caso di osservare che le conseguenze negative derivanti da una ripresa a reddito da parte dell'amministrazione finanziaria non gravano solo sul datore di lavoro ma anche sul lavoratore quale sostituito di imposta.

Infatti, nonostante il ruolo assegnato dall'art 23 DPR 600/73 al datore di lavoro quale sostituto d'imposta e le responsabilità derivanti su quest'ultimo per l'omessa effettuazione della ritenuta, l'obbligo tributario grava in ultima analisi sul «sostituito» e, cioè, sul lavoratore, il quale è comunque tenuto ad adempiervi presentando una dichiarazione fedele.

In questo senso, si è pronunciata anche la giurisprudenza, affermando che è legittimo l'avviso di accertamento a carico del lavoratore subordinato, rivolto a contestargli la mancata inclusione nella denuncia annuale di una componente del reddito tassabile, anche quando la stessa sia soggetta alla ritenuta d'acconto prescritta dall'art. 23 DPR 600/73 e il datore di lavoro abbia omesso di effettuarla. La sostituzione con ritenuta d'acconto (e dovere di rivalsa) è delineata infatti come strumento per la più agevole e anticipata riscossione dell'imposta sul reddito dovuta dal percipiente e, quindi, «senza implicare mutamento nella posizione del debitore d'imposta, aggiunge all'obbligazione di lui un dovere di pagamento a carico di chi eroga il reddito imponibile»(10).

Se il datore di lavoro omette di effettuare la ritenuta, il lavoratore rimane dunque responsabile verso il fisco per il pagamento dell'imposta degli interessi e delle relative sanzioni.

Inoltre, ai sensi dell' art 23, 1° comma, DPR 600/73, il sostituto d'imposta ha un obbligo di rivalsa nei confronti del sostituito e, pertanto, anche qualora l'amministrazione finanziaria si limitasse ad agire nei confronti del solo datore di lavoro per ottenere il pagamento dell'imposta omessa, questi potrebbe (anzi dovrebbe) sempre agire nei confronti del lavoratore per recuperare la stessa.

Nei casi dubbi, proprio per evitare simili rischi, potrebbe essere consigliabile, nell'interesse di entrambe le parti, applicare la ritenuta, lasciando, poi, al lavoratore il compito di attivarsi nei confronti dell'amministrazione finanziaria, presentando - nel termine di 48 mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata - istanza di rimborso dell'imposta all'Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione ha sede il concessionario presso il quale è stato eseguito il pagamento (11) ed eventualmente proponendo ricorso alla Commissione Tributaria provinciale del luogo in cui ha sede tale ufficio avverso il rigetto dell'istanza ovvero il silenzio-rifiuto dell'amministrazione finanziaria formatosi decorsi 90 giorni dal ricevimento dell'istanza senza che sia intervenuta la decisione (12).

Eccezion fatta per le somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergen­te, le somme erogate a seguito di transazioni di controversie di lavoro costituiscono dunque reddito imponibile.

È stato tuttavia osservato che il regime tributario illustrato in precedenza - riconducibilità nel reddito di lavoro dipendente di tali somme, con assoggettamento a tassazione con le modalità previste dall’art. 17, lett a) e c) Tuir e conseguente obbligo del datore di lavoro dell'effettuazione della ritenuta d'acconto ai sensi dell'art. 23 del DPR 600/73 - sarebbe applicabile soltanto alle somme (diverse dal risarcimento del danno emergente) corrisposte nell'ambito delle transazioni proprie e non anche a quelle erogate a seguito di transazioni novative (13).

Come è noto, la transazione è semplice quando il negozio transattivo si limita a modificare il rapporto controverso, talché tale rapporto rimane comunque la causa dei diritti e degli obblighi derivanti dalla transazione in capo alle parti.

La transazione è invece novativa quando le parti sostituiscono al rapporto sottostante un diverso rapporto giuridico per cui la causa dei rispettivi diritti e obblighi derivanti dalla transazione non ha più nulla a che fare con il rapporto controverso, ma trova origine nel nuovo rapporto creato con la transazione medesima.

In giurisprudenza, si è altresì rilevato che mentre nella transazione propria il contratto di transazione è complementare rispetto al fatto causativo del rapporto originario ed è quindi fonte concorrente con tale rapporto di obblighi e diritti, nella transazione novativa il contratto di transazione rappresenta l’unica fonte di tali diritti e obblighi (14).

Per determinare il carattere novativo o conservativo della transazione, occorre accertare se le parti, nel comporre l'originale rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto giuridico diretto a costituire, in luogo di quello precedente, nuove e autonome situazioni e tale accertamento va operato sulla base di elementi interpretativi desunti dalla volontà delle parti e dal tenore letterario delle clausole contrattuali, valutando semplicemente la compatibilità della transazione con le obbligazioni scaturenti dal precedente rapporto (15).

Partendo da tali considerazioni, si è rilevato che, nel caso di transazione novativa, le somme non ricollegabili ai redditi di lavoro dipendente di cui all'art 51 Tuir rientrerebbero nella categoria dei redditi diversi, ai sensi dell'art. 67, lett  l) Tuir, laddove si prevede che appartengono a tale categorie di redditi quelli derivanti, tra l'altro, dalla «assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere» (16).

Da ciò discenderebbe, da un lato, l'assoggettamento a tassazione ordinaria di tali somme e, dall'altro, il venir meno per il datore di lavoro dell'obbligo di effettuazione della ritenuta d'acconto, considerato che, ai sensi dell'art. 23 DPR 600/73, tale ritenuta deve essere effettuata solo sulle somme che costituiscono reddito di lavoro dipendente.

Tale posizione suscita alcune perplessità, considerato che l'omnicomprensiva nozione di reddito di lavoro dipendente delineata dall'art 51 Tuir lascia poco spazio all'individuazione di emolumenti (aventi natura raddituale) non riconducibili al rapporto di lavoro e, in quanto tali, estranei alla nozione di reddito di lavoro dipendente. Inoltre, come è stato rilevato in giurisprudenza, con l'introduzione del disposto dell'art. 17, lett a),Tuir, il legislatore avrebbe inteso ricomprendere nel reddito di lavoro dipendente anche le somme percepite a seguito di qualsiasi transazione, prescindendo cioè dalla natura o meno novativa della stessa, purché relative al rapporto di lavoro subordinato (17).

 

Un'ulteriore questione concerne l'applicazione dell'aliquota agevolata all'incentivo all'esodo corrisposto al lavoratore ultracinquantenne (18).

In via generale, anche l'incentivo all'esodo è soggetto a tassazione separata ai sensi dell'art. 17, lett. a) Tuir.

L’art. 19 (già art. 17 bis), 4° comma bis,Tuir stabilisce tuttavia che, «per le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'età di 50 anni, se donne, e di 55 anni, se uomini», l’aliquota è ridotta alla metà (19).

Sennonché, il Ministero delle Finanze sostiene che tale agevolazione retributiva non opererebbe «con la semplice cessazione del rapporto da parte di un soggetto che possiede i requisiti di età previsti dalla norma», essendo invece necessario, stante il «tenore letterale della disposizione che utilizza il termine esodo» che «l'offerta del datore di lavoro a corrispondere maggiori somme, in funzione di detta cessazione anticipata» sia «rivolta alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti in possesso dei requisiti previsti dalla norma, anche se, poi, di fatto venga utilizzata da uno solo dei de-stinatari dell'offerta» (20).

Tale interpretazione non può in alcun modo essere condivisa non solo sulla base di un'interpretazione letterale, ma anche alla luce delle finalità della norma.

Come ha avuto occasione di affermare anche la Corte di Cassazione con riferimento all'interpretazione di un'analoga disposizione di legge in materia previdenziale (21), il termine «esodo» deve essere infatti inteso nella sua comune accezione, cioè nel senso di semplice «uscita», conformemente anche alla finalità della norma che è quella di agevolare la risoluzione del rapporto di lavoro e che viene conseguito sia in caso di uscita simultanea di un gran numero di lavoratori sia nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro con un solo lavoratore (22).

La posizione del Ministero delle Finanze è stata ripetutamente sconfessata dalla giurisprudenza di merito che ha riconosciuto l'applicabilità dell'agevolazione prevista dall'art. 19,4° comma bis,Tuir anche nell'ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro intervenuta con un solo lavoratore e non preceduta da una proposta di incentivazione rivolta alla generalità dei dipendenti (23).

Un'ulteriore questione che merita di essere brevemente richiamata riguarda la legittimità di eventuali pattuizioni transattive che prevedano il pagamento di un determinato importo al netto delle ritenute fiscali di legge.

In un precedente è stato addirittura affermato - con argomentazioni alquanto convincenti - che la clausola di un accordo transattivo che preveda il pagamento a favore del lavoratore di una certa somma al netto dell'imposta da versare all'erario sarebbe affetta da nullità per contrasto con la norma imperativa di legge (art. 23,1° comma, DPR 600/73) che impone al sostituto di imposta l'obbligo di rivalsa nei confronti del sostituito, con la conseguenza che il datore di lavoro sarebbe comunque tenuto a operare la ritenuta sulla somma erogata al lavoratore, ancorché la corresponsione di tale somma sia stata pattuita al netto (24) in sede di conciliazione giudiziale.

Di diverso avviso sembra invece essere la prevalente giurisprudenza di legittimità che tuttavia ha precisato che, ove nella transazione non sia stato indicato che l'importo pattuito deve essere corrisposto al netto delle imposte, il datore di lavoro, quale sostituto di imposta, può operare la ritenuta prelevandola direttamente dall'importo corrisposto al dipendente ovvero, se corrisponde al lavoratore la somma indicata nell'accordo transattivo, versando autonomamente all'esattoria quanto dovuto a titolo di acconto e rivalendosi poi nei confronti del lavoratore medesimo secondo quanto previsto dall'art. 23,1° comma, DPR600/7325.

Eventuali controversie tra sostituto e sostituito di imposta sono devolute alla giurisdizione della Commissione Tributaria se hanno a oggetto la legittimità delle ritenute d'acconto operate dal datore di lavoro, ricadendo, invece, nella giurisdizione del giudice del lavoro se riguardano il corretto adempimento degli obblighi di pagamento derivanti dalla transazione medesima (26).

 

Renato Scorcelli

(fonte: D&L, Riv. crit. dir. lav. 1/2005, p. 27 e ss.)

Note

(*) Relazione presentata al Convegno «Norme inderogabili e derogabilità dei diritti nel rapporto di lavoro», organizzato dall'Agi (Avvocati giusiavoristi italiani) a Roma, il 2/3/05.

1). In tema, cfr. Majolino «Imponibilità previdenziale e fiscale delle somme da transazione», in Guida al lavoro 2004, n. 32-33 p. 50 e sgg.; D'Andrea «Erogazioni da accordi transattivi tra datore e lavoratore», ivi 2003, n. 16, p. 62; Bodrito «Le condizioni di non imponibilità delle indennità ai dipendenti», in Corriere Tributario 2002,2794 e sgg.; Arquilla, «Le indennità di natura risarcitoria erogate ai lavoratori dipendenti», ivi  2003,1207 e sgg.; eccezion fatta per le problematiche relative all'incentivo all'esodo e al trattamento fiscale degli emolumenti arretrati, le considerazioni contenute nel presente articolo valgono anche per le transazioni relative ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa per i quali il quadro normativo di riferimento è costituito dagli artt 50 (già art. 47), lett. e) bis, e art. 17 (già art 16), lett. e) Tuir.

2). Bodrito, op. cit ; D’Andrea, op. cit e D'Aquila, op. cit.

3). Uricchio, in L'imposta sul reddito delle persone fisiche, (a cura di D'Amati) Torino 1992, p. 40 e, nello stesso senso, tra le molte, Cass. sez. trib. 17/8/04 n. 16014, in Mass. Giur. lav. 2004,917 e Cass. sez. trib. 24/7/03 m 11501, in Mass. Giust civ. 2003; Cass. sez. trib. 26/6/03 n. 10185, ivi 2003; Cass. sez. trib. 14/11/02 n. 15991, in Rass. trib. 5/2003, p. 1748 con nota di Galletti; Cass. sez. trib. 2/2/01 n. 1467, in Giur. imp. 2001,519.

4). Così, in tema, Arquilla, op cit., p. 1208; Crovato, I redditi di lavoro dipendente nei sistema delle imposte sta redditi, Padova 2001, p. 120 e sgg.; Fantozzi, Diritto tributario, Torino 1991, p. 581; Majolino, op. cit., p. 53; D'Andrea, op cit. p. 64; Bodrito, op. cit., p. 2795. Cfr. anche Agenzia delle Entrate, Ris. 27/5/02  n. 155/E.

5).  Arquilla, op. cit., p. 1208. Così, per esempio, nel caso dei dirigenti di aziende industriali e di aziende del terziario, la stessa contrattazione collettiva prevede l'obbligo del datore di lavoro di mantenere indenne il dirigente dalla responsabilità civile nei confronti dei terzi, derivante da atti compiuti nell'esercizio delle pro­prie mansioni, salvo il caso di dolo o colpa grave.

6).  F. Marchetti, «Le somme corrisposte dal datore di lavoro per la cessazione del rapporto», in Corriere Tributario 2003,2397.

7).  Com'è noto, la norma in questione era stata emanata dal legislatore del 1995 con finalità antielusive su sollecitazione del Servizio Ispettivo del Ministero (Secit) che, nella relazione sull'attività svolta nel 1991, aveva segnalato il frequente mancato assoggettamento a tassazione delle somme corrisposte al lavoratore a titolo di risarcimento dei danni nell'ambito di accordi transattivi relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro.

8).  Così, Cass. sez. trib. 17/8/04 n. 16014, cit.; Cass. sez. trib. 24/7/03 n. 11501, cit; Cass. sez. trib. 26/6/03 n. 10185, cit; Cass. sez. trib. 14/11/02 n. 15991, cit; Cass. sez. trib. 2/2/01 n. 1467, cit.

9). Così, tra le molte, Cass. sez. trib. 21/10/03 n. 3802, in Rass. trib. 2004,1826 con nota di Galletti. Tale sentenza è particolarmente interessante in quanto si diffonde sulla rilevanza tributaria (alla luce della sopra menzionata distinzione tra risarcimento del lucro cessante e risarcimento del danno emergente) delle varie voci dì danno (impoverimento delle capacità professionali, perdita di chances intese come possibilità di guadagno, lesione dell'integrità fisica e dell'immagine professionale, pregiudizio alla vita di relazione) che possono derivare in capo al lavoratore dalla violazione dell'art 2103 c.c., per poi evidenziare che solo talune di queste voci possono ricondursi nella categoria del danno emergente con esclusione dall'imponibilità fiscale ai sensi dell'art. 6, 2° comma, Tuir. Alla luce di tali considerazioni, sarebbe senz'altro opportuno elencare in modo specifico ciascuna di tali voci sia nella formulazione delle conclusioni del ricorso del lavoratore che in sede di sentenza di condanna del datore di lavoro in modo da consentire un corretto trattamento tributario delle somme conseguentemente percepite dal lavoratore.

10). Così, Cass. sez. trib. n. 1/8/2000 n. 10057, in Il Fisco 2001,4129 e, nello stesso senso, Cass. sez. trib. 3/3/03 il 3107, ivi 2003,1879; Cass. sez. 1,28/2/2000 n. 2212, in Mass. Giust civ. 2000,551 e Cass., sez. I, 21/3/2000 n. 3330, ivi 2000,609. Secondo tale giurisprudenza, la posizione del sostituito ne! caso di ritenuta a titolo di acconto si differenzia da quella del sostituito nell'ipotesi di ritenuta a titolo di imposta. In tal caso (ritenuta di imposta), infatti, si tratta di vera e propria imposta sostitutiva rispetto alla quale la posizione del sostituito è residuale e diviene operante soltanto se sia stata accertata la omissione del sostituto in ordine sia alla ritenuta che al versamento. L'art 35 DPR 29/9/1973 n. 60, in tema di ritenuta a titolo di imposta, configura infatti una responsabilità solidale del sostituito (per l’imposta evasa, soprattasse e interessi) che si fonda sul titolo costituito dalla iscrizione a ruolo del sostituto. In tema, Ghini, «I rischi che corrono i lavoratori, amministratori e altri sostituti per la non applicazione della ritenuta», in Il Fisco 2001,4030.

11). Art. 38,2° comma,DPR 29/9/73 n. 602 (così come modificato dall'art. 34,6° comma, L. 23/12/2000 n. 388).

12). Art. 37,2° comma, DPR 602/73.

13). D'Andrea, op. cit., e Majolino, op.cit.

14). Cass. sez. lav. 18/5/99 n. 4811, in Mass. Giur. Lav. 1999,1386 con nota di Olgiati.

15).  Cass. sez. lav. 11/8/00 n. 10657, in Orientamenti 2000,833.

16). Come ad esempio, le somme corrisposte per prevenire una controversia, così Majolino, op. cit e D'Andrea, op. cit.  Sulla non opponibilità all'amministrazione finanziaria della natura novativa della transazione qualificata come tale dalle parti, cfr. Comm.Trib. Genova 16/11/94 n. 351, in Notiz. giur. lav. 1995,804.

17).  Cass. sez. lav.8/4/04 n.6910,in Mass.Giur Lav. 2004,616.

18). A seguito delle modifiche apportate all’art 51 (già art. 48, lett b), Tuir, è invece destinato a concludersi il contenzioso che si era formato sull'applicabilità all'incentivo all'esodo del disposto del vecchio art 48, lett. b), Tuir, che escludeva dal reddito di lavoro dipendente le erogazioni liberali corrisposte dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti. La giurisprudenza prevalente aveva escluso l'applicabilità di tale norma all’incentivo all'esodo sul rilievo che tale erogazione non ha natura liberale né eccezionale, costituendo invece reddito imponibile da lavoro dipendente in quanto finalizzata a remunerare il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. Così, tra le molte, Cass. trib. 12/8/04, in Guida al lavoro 2004 n. 43, p. 61, e, in tema, Falasca in «Imponibilità fiscale e previdenziale degli incentivi all'esodo», ibidem. Tale contenzioso oggi non ha più alcuna ragione d'essere, visto che ai sensi del vigente art 51 ,lett. b),Tuir, le erogazioni liberali concesse dal datore di lavoro non concorrono a formare il reddito imponili nel limite di € 258,23 per ciascun periodo d’imposta.

19). La Commissione Tributaria Provinciale di Novara ha recentemente proposto alla Corte di Giustizia Ue domanda di pronuncia pregiudiziale, chiedendo se il disposto dell'art. 19, comma 4bis, Tuir sia in contrasto con l'art. 141 del Trattato Ce o con la Direttiva 76/207/Cee laddove riserva un diverso trattamento tributario agli uomini e alle donne in ragione dell'età con riferimento all'incentivo all'esodo corrisposto dal datore di lavoro. Secondo quanto si legge nelle conclusioni presentate dall’ Avvocato Generale alla Corte di Giustizia il 12/5/05, “il diritto comunitario e, segnatamente, la Direttiva del Consiglio 9/2/76,76/207/Cee, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso ai lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro, osta a che una riduzione dell'onere tributario gravante sulle somme percepite in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, disposte al fine di incentivare le dimissioni, si applichi alle lavoratrici al superamento dei 50 anni di età ed ai lavoratori solamente al superamento dei 55 anni di età”.Tali conclusioni si possono leggere integralmente nel sito della Corte di Giustizia http://www.curia.eu.int/.Ove tali conclusioni venissero accolte dalla Corte di Giustizia, si potrebbe prospettare la disapplicazione dell'art. 19, comma 4bis,Tuir, nella parte che limita l’applicazione del beneficio in questione ai soli lavoratori maschi ultracinquantacinquenni,con conseguente estensione di tale beneficio ai lavoratori maschi alle stesse condizioni previste per le lavoratrici.

20).  Cfr. Circolare Min. Fin. n. 326/E - III - 5- 2643 del 23/12/97 Dir. AA.GG. e Cont. Trib.

21).  Si tratta dell'alt. 4, 2° comma bis, del DL 30/05/88 n. 173, convertito con modificazioni dalla L 26/07/88 n. 291 che, com'è noto, ha introdotto nel nostro ordinamento la nozione di incentivo all'esodo prevedendo che «l'art 12,2°comma, L 30/04/69 deve essere interpretato nel senso che dalla retribuzione imponibile» ai fini previdenziali «sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine da incentivare l'esodo dei lavoratori». In materia, la norma di riferimento (sostanzialmente rimasta la stessa) è oggi costituita dall'art. 12,4° comma, L 30/4/69, così come modificato dall'art. 6,1° comma, del D.Lgs. 2/9/97 n. 314 con cui è stata unificata la base imponibile previdenziale con quella fiscale; sul punto cfr. Circ. Inps, 24/12/97 n. 263.

22).  Cass. sez. lav. 18/5/99 n. 4811, in Mass. Giur. Lav. 1999,1386, con nota di Olgiati.

23). Trib. 8/1/01, in Mass. Giur. Lav. 2001,705 e Trib. Milano 21/10/99, ivi 1999,930. V. anche Cass. 10/1/05 n. 2118, in Guida ai lavoro 2005, n. 19, p. 41 e Cass. sez. trib. 7/3/05 n. 4895, ivi 2005, n. 11, p. 56 con nota di Signorini, secondo cui anche l'indennità sostitutiva del preavviso dovrebbe assoggettarsi al trattamento fiscale di cui all'art. 17,4° comma bis, Tuir, qualora costituisse parte integrante del trattamento economico offerto al lavoratore per incentivare la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.

24). Trib. Latina 31/3/2000, in Mass. Giur. Lav. 2000,678, con nota di Tatarelli.

25).  Cass. sez. lav. 8/4/04 n. 6910 cit.

26).  Cass. sez. un. 20/1/03 n. 745, in Guida al lavoro 2003, n.16, p.16 e Cass. sez. un. 15/7/03 n. 11025, in Giust. civ. 2003, che ha riconosciuto la giurisdizione dei giudice ordinario in una controversia nella quale il lavoratore chiedeva la corresponsione di una determinata somma al netto della ritenuta d'acconto, sostenendo che tale era stata l’obbligazione assunta dal datore di lavoro nei suoi confronti e senza quindi mettere in discussione l'esistenza dell'obbligazione tributaria relativa all'effettuazione della ritenuta d'acconto.

 

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