PROFILI
FISCALI DELLE TRANSAZIONI DELLE CONTROVERSIE DI LAVORO (*)
In materia di trattamento
fiscale delle somme erogate al lavoratore nell'ambito di transazioni relative a
controversie di lavoro, il quadro normativo di riferimento è costituito dagli
artt. 6,17,19,4° comma bis e 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi («Tuir»)
approvato con il DPR 22/12/86 n. 917, così come modificato dagli artt. 1 e 2
del D.Lgs. 12/12/03 n.344 (1).
L'art. 51 (già art. 48) Tuir
contiene un'ampia nozione di reddito di lavoro dipendente, stabilendo che tale
reddito è «costituito da tutte le somme
e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche
sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».
L'art. 17 (già art. 16) Tuir
disciplina invece le modalità della tassazione delle somme percepite dal
lavoratore, distinguendo tra transazione «relativa
alla risoluzione del rapporto di lavoro» e transazione intervenuta nel
corso di tale rapporto, prevedendo solo nel primo caso l’assoggettamento a
tassazione separata.
L'art. 17 lett. a)
Tuir stabilisce, infatti, che sono assoggettate a tassazione separata solo «le
somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute,
anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito
di provvedimenti dell'autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla
risoluzione del rapporto di lavoro».
Dall'art. 17 lett. b) discende invece la regola dell'assoggettamento a tassazione
ordinaria delle somme (aventi natura retributiva) corrisposte ai lavoratore a
seguito di transazioni stipulate nel corso del rapporto di lavoro laddove la
norma stabilisce che sono soggetti a tassazione separata solo «gli
emolumenti arretrati corrisposti per effetto di legge, contratti collettivi,
sentenze o atti amministrativi sopravvenuti o di altre cause non dipendenti
dalla volontà delle parti».
In entrambi i casi,
trattandosi di redditi di lavoro dipendente, il datore di lavoro dovrà
effettuare la ritenuta d'acconto ai sensi di quanto previsto dall’art. 23 DPR
29/9/73 n.600.
Tale trattamento non è
tuttavia applicabile nel caso di transazioni aventi a oggetto l'erogazione di
somme dirette a risarcire un danno
emergente sofferto dal lavoratore (2).
L'art. 6 Tuir, dopo aver
individuato le varie categorie di reddito (1° comma), stabilisce, infatti, che
solo «i proventi conseguiti in
sostituzione di redditi (...) a titolo di risarcimento dei danni consistenti
nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o
morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o
perduti».
Tale norma, dunque, esclude in
via generale dalla nozione di reddito «il
risarcimento del danno per la parte destinata a reintegrare il patrimonio del
percettore per le perdite subite e per le spese sostenute»
(danno emergente), mentre «assoggetta
a imposta sul reddito delle persone fisiche» (facendoli rientrare nella
stessa categoria dei redditi perduti) «gli
indennizzi risarcitori del lucro cessante in quanto emolumenti sostitutivi di un
reddito che il danneggiato non ha potuto conseguire per effetto dell'evento
lesivo» (lucro cessante) con l’unica eccezione dei danni dipendenti da
invalidità permanente o morte (3).
Alla luce dell'art. 6, 2°
comma, Tuir, non possono dunque
considerarsi reddito imponibile in capo al lavoratore le somme a questi
corrisposte dal datore di lavoro, ad esempio, a titolo di risarcimento dei danni
alla salute, dei danni esistenziali sofferti a causa di infortuni sul lavoro o
demansionamento, trattandosi di somme che vanno a risarcire un danno emergente e
non la perdita di un reddito
(4).
Per le stesse ragioni, non
possono farsi rientrare nella nozione di reddito di lavoro dipendente le
erogazioni del datore di lavoro dirette a integrare perdite patrimoniali del
lavoratore derivanti dallo svolgimento dell'attività lavorativa, così come
potrebbe accadere, ad esempio, nel caso di somme corrisposte al dirigente per
mantenerlo indenne dalla responsabilità nei confronti dei terzi per atti o
fatti compiuti (nell'interesse del datore di lavoro) nello svolgimento delle
mansioni affidategli (5).
A questo proposito, non
potrebbe fondatamente giungersi a diverse conclusioni né alla luce dell'ampia
nozione di reddito dipendente contenuta nell'art. 51,1° comma, Tuir né sulla
base del disposto dell'art. 17, lett. a)
Tuir.
Sotto il primo profilo,
infatti, appare innegabile che l’art. 6, 2° comma, Tuir detta un principio di
carattere generale allorché distingue tra risarcimento del lucro cessante e
risarcimento del danno emergente, escludendo quest'ultimo dall'imponibile
conformemente al precetto costituzionale di cui all'art. 53 Cost secondo cui
tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in base al criterio di
progressività, «in ragione della loro
capacità contributiva».
Il disposto dell’art. 17,
lett. a) Tuir, invece, disciplina in
tutta evidenza le modalità del prelievo fiscale e non può certo farsi
discendere da tale norma una (inammissibile) deroga all’art. 53 Cost. e
all'art. 6, 2° comma, Tuir, con conseguente assoggettamento a Irpef (ancorché
a tassazione separata) delle somme che costituiscono risarcimento del danno emergente, per il solo fatto di essere erogate nell'ambito di
transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro subordinato (6).
In questo senso, del resto, si
è pronunciata anche la giurisprudenza affermando che l'art. 32,1° comma, DL
23/2/95 n. 41, conv. in L. 22/3/95 n. 85, con cui era stata introdotta l'attuale
formulazione dell'art. 17, lett. a)
Tuir (7), non ha apportato alcuna innovazione ai principi sanciti dall'art. 6, 2°
comma, Tuir in materia di esclusione dalla nozione di reddito delle somme
corrisposte a titolo di risarcimento del danno
emergente, essendosi tale norma limitata a prevedere una particolare modalità
di tassazione (separata) solo per quelle somme che costituiscono reddito
imponibile secondo i principi generali (8).
Occorre comunque sottolineare
che l'atteggiamento della giurisprudenza in materia è caratterizzato da grande
rigore al fine di evitare che il disposto dell'art. 6, 2° comma, Tuir possa
prestarsi a manovre elusive delle parti, proprio in sede di transazione.
È inoltre ricorrente
l'affermazione che la transazione con la quale il datore di lavoro e il
lavoratore abbiano concordato l'erogazione di determinate somme a titolo di
risarcimento del danno emergente non è opponibile all'amministrazione
finanziaria ai fini dell'accertamento del corretto adempimento delle
obbligazioni tributarie delle parti e che, quindi, in caso di contestazioni
dell'ufficio tributario, grava sulle parti l'onere di fornire la prova
dell'effettiva esistenza di tale danno, non potendo considerarsi sufficiente a
riguardo il mero contenuto dell'accordo transattivo ancorché contenuto in un
verbale di conciliazione sottoscritto innanzi al giudice del lavoro o in una
delle sedi indicate dagli artt. 410 e 411 c.p.c. (9).
Considerati anche i rischi
(pagamento dell'imposta, sovrattasse e sanzioni) connessi a tali contestazioni e
l'estrema diffidenza nutrita dagli uffici tributali nei confronti di simili
transazioni, è consigliabile operare con la massima prudenza, astenendosi
dall'effettuare la ritenuta d'acconto prevista dall'ari 23 del DPR 600/73
soltanto in presenza di solidi elementi probatori (certificazione medica, meglio
se proveniente da strutture sanitarie pubbliche; ricevute comprovanti l'acquisto
dei farmaci prescritti al lavoratore; documentazione attestante il
demansionamento o la diffusione di notizie lesive dell'immagine professionale
dei lavoratore ecc.) idonei a dimostrare - nell'ambito di un eventuale
contenzioso tributario - l'esistenza di un danno
emergente nel senso sopra indicato.
È appena il caso di osservare
che le conseguenze negative derivanti da una ripresa a reddito da parte
dell'amministrazione finanziaria non gravano solo sul datore di lavoro ma anche
sul lavoratore quale sostituito di imposta.
Infatti, nonostante il ruolo
assegnato dall'art 23 DPR 600/73 al datore di lavoro quale sostituto d'imposta e
le responsabilità derivanti su quest'ultimo per l'omessa effettuazione della
ritenuta, l'obbligo tributario grava in ultima analisi sul «sostituito» e, cioè,
sul lavoratore, il quale è comunque tenuto ad adempiervi presentando una
dichiarazione fedele.
In questo senso, si è
pronunciata anche la giurisprudenza, affermando che è legittimo l'avviso di
accertamento a carico del lavoratore subordinato, rivolto a contestargli la
mancata inclusione nella denuncia annuale di una componente del reddito
tassabile, anche quando la stessa sia soggetta alla ritenuta d'acconto
prescritta dall'art. 23 DPR 600/73 e il datore di lavoro abbia omesso di
effettuarla. La sostituzione con ritenuta d'acconto (e dovere di rivalsa) è
delineata infatti come strumento per la più agevole e anticipata riscossione
dell'imposta sul reddito dovuta dal percipiente e, quindi, «senza
implicare mutamento nella posizione del debitore d'imposta, aggiunge all'obbligazione
di lui un dovere di pagamento a carico di chi eroga il reddito imponibile»(10).
Se il datore di lavoro omette
di effettuare la ritenuta, il lavoratore rimane dunque responsabile verso il
fisco per il pagamento dell'imposta degli interessi e delle relative sanzioni.
Inoltre, ai sensi dell' art
23, 1° comma, DPR 600/73, il sostituto d'imposta ha un obbligo di rivalsa nei
confronti del sostituito e, pertanto, anche qualora l'amministrazione
finanziaria si limitasse ad agire nei confronti del solo datore di lavoro per
ottenere il pagamento dell'imposta omessa, questi potrebbe (anzi dovrebbe)
sempre agire nei confronti del lavoratore per recuperare la stessa.
Nei casi dubbi, proprio per
evitare simili rischi, potrebbe essere consigliabile, nell'interesse di entrambe
le parti, applicare la ritenuta, lasciando, poi, al lavoratore il compito di
attivarsi nei confronti dell'amministrazione finanziaria, presentando - nel
termine di 48 mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata - istanza di
rimborso dell'imposta all'Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione ha sede
il concessionario presso il quale è stato eseguito il pagamento (11) ed
eventualmente proponendo ricorso alla Commissione Tributaria provinciale del
luogo in cui ha sede tale ufficio avverso il rigetto dell'istanza ovvero il
silenzio-rifiuto dell'amministrazione finanziaria formatosi decorsi 90 giorni
dal ricevimento dell'istanza senza che sia intervenuta la decisione (12).
Eccezion fatta per le somme
corrisposte a titolo di risarcimento del danno emergente, le somme erogate a
seguito di transazioni di controversie di lavoro costituiscono dunque reddito
imponibile.
È stato tuttavia osservato
che il regime tributario illustrato in precedenza - riconducibilità nel reddito
di lavoro dipendente di tali somme, con assoggettamento a tassazione con le
modalità previste dall’art. 17, lett a)
e c) Tuir e conseguente obbligo del datore di lavoro
dell'effettuazione della ritenuta d'acconto ai sensi dell'art. 23 del DPR 600/73
- sarebbe applicabile soltanto alle somme (diverse dal risarcimento del danno
emergente) corrisposte nell'ambito delle transazioni proprie e non anche a
quelle erogate a seguito di transazioni novative (13).
Come è noto, la transazione
è semplice quando il negozio transattivo si limita a modificare il rapporto
controverso, talché tale rapporto rimane comunque la causa dei diritti e degli
obblighi derivanti dalla transazione in capo alle parti.
La transazione è invece
novativa quando le parti sostituiscono al rapporto sottostante un diverso
rapporto giuridico per cui la causa dei rispettivi diritti e obblighi derivanti
dalla transazione non ha più nulla a che fare con il rapporto controverso, ma
trova origine nel nuovo rapporto creato con la transazione medesima.
In giurisprudenza, si è
altresì rilevato che mentre nella transazione propria il contratto di
transazione è complementare rispetto al fatto causativo del rapporto originario
ed è quindi fonte concorrente con tale rapporto di obblighi e diritti, nella
transazione novativa il contratto di transazione rappresenta l’unica fonte di
tali diritti e obblighi (14).
Per determinare il carattere
novativo o conservativo della transazione, occorre accertare se le parti, nel
comporre l'originale rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla
conclusione di un nuovo rapporto giuridico diretto a costituire, in luogo di
quello precedente, nuove e autonome situazioni e tale accertamento va operato
sulla base di elementi interpretativi desunti dalla volontà delle parti e dal
tenore letterario delle clausole contrattuali, valutando semplicemente la
compatibilità della transazione con le obbligazioni scaturenti dal precedente
rapporto (15).
Partendo da tali
considerazioni, si è rilevato che, nel caso di transazione novativa, le somme
non ricollegabili ai redditi di lavoro dipendente di cui all'art 51 Tuir
rientrerebbero nella categoria dei redditi diversi, ai sensi dell'art. 67, lett l) Tuir, laddove si
prevede che appartengono a tale categorie di redditi quelli derivanti, tra
l'altro, dalla «assunzione di obblighi di
fare, non fare o permettere» (16).
Da ciò discenderebbe, da un
lato, l'assoggettamento a tassazione ordinaria di tali somme e, dall'altro, il
venir meno per il datore di lavoro dell'obbligo di effettuazione della ritenuta
d'acconto, considerato che, ai sensi dell'art. 23 DPR 600/73, tale ritenuta deve
essere effettuata solo sulle somme che costituiscono reddito di lavoro
dipendente.
Tale posizione suscita alcune
perplessità, considerato che l'omnicomprensiva nozione di reddito di lavoro
dipendente delineata dall'art 51 Tuir lascia poco spazio all'individuazione di
emolumenti (aventi natura raddituale) non riconducibili al rapporto di lavoro
e, in quanto tali, estranei alla nozione di reddito di lavoro dipendente.
Inoltre, come è stato rilevato in giurisprudenza, con l'introduzione del
disposto dell'art. 17, lett a),Tuir,
il legislatore avrebbe inteso ricomprendere nel reddito di lavoro dipendente
anche le somme percepite a seguito di qualsiasi transazione, prescindendo cioè
dalla natura o meno novativa della stessa, purché relative al rapporto di
lavoro subordinato (17).
Un'ulteriore questione
concerne l'applicazione dell'aliquota agevolata all'incentivo all'esodo
corrisposto al lavoratore ultracinquantenne (18).
In via generale, anche
l'incentivo all'esodo è soggetto a tassazione separata ai sensi dell'art. 17,
lett. a) Tuir.
L’art. 19 (già art. 17 bis), 4° comma bis,Tuir
stabilisce tuttavia che, «per le somme
corrisposte in occasione della cessazione del rapporto al fine di incentivare
l'esodo dei lavoratori che abbiano superato l'età di 50 anni, se donne, e di 55
anni, se uomini», l’aliquota è ridotta alla metà (19).
Sennonché, il Ministero delle
Finanze sostiene che tale agevolazione retributiva non opererebbe «con la semplice cessazione del rapporto da parte di un soggetto che
possiede i requisiti di età previsti dalla norma», essendo invece
necessario, stante il «tenore letterale
della disposizione che utilizza il termine esodo» che «l'offerta
del datore di lavoro a corrispondere maggiori somme, in funzione di detta
cessazione anticipata» sia «rivolta
alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti in possesso dei
requisiti previsti dalla norma, anche se, poi, di fatto venga utilizzata da uno
solo dei de-stinatari dell'offerta» (20).
Tale interpretazione non può
in alcun modo essere condivisa non solo sulla base di un'interpretazione
letterale, ma anche alla luce delle finalità della norma.
Come ha avuto occasione di
affermare anche
La posizione del Ministero
delle Finanze è stata ripetutamente sconfessata dalla giurisprudenza di merito
che ha riconosciuto l'applicabilità dell'agevolazione prevista dall'art. 19,4°
comma bis,Tuir anche nell'ipotesi di
risoluzione del rapporto di lavoro intervenuta con un solo lavoratore e non
preceduta da una proposta di incentivazione rivolta alla generalità dei
dipendenti (23).
Un'ulteriore questione che
merita di essere brevemente richiamata riguarda la legittimità di eventuali
pattuizioni transattive che prevedano il pagamento di un determinato importo al
netto delle ritenute fiscali di legge.
In un precedente è stato
addirittura affermato - con argomentazioni alquanto convincenti - che la
clausola di un accordo transattivo che preveda il pagamento a favore del
lavoratore di una certa somma al netto dell'imposta da versare all'erario
sarebbe affetta da nullità per contrasto con la norma imperativa di legge (art.
23,1° comma, DPR 600/73) che impone al sostituto di imposta l'obbligo di
rivalsa nei confronti del sostituito, con la conseguenza che il datore di lavoro
sarebbe comunque tenuto a operare la ritenuta sulla somma erogata al lavoratore,
ancorché la corresponsione di tale somma sia stata pattuita al netto (24) in
sede di conciliazione giudiziale.
Di diverso avviso sembra
invece essere la prevalente giurisprudenza di legittimità che tuttavia ha
precisato che, ove nella transazione non sia stato indicato che l'importo
pattuito deve essere corrisposto al netto delle imposte, il datore di lavoro,
quale sostituto di imposta, può operare la ritenuta prelevandola direttamente
dall'importo corrisposto al dipendente ovvero, se corrisponde al lavoratore la
somma indicata nell'accordo transattivo, versando autonomamente all'esattoria
quanto dovuto a titolo di acconto e rivalendosi poi nei confronti del lavoratore
medesimo secondo quanto previsto dall'art. 23,1° comma, DPR600/7325.
Eventuali controversie tra
sostituto e sostituito di imposta sono devolute alla giurisdizione della
Commissione Tributaria se hanno a oggetto la legittimità delle ritenute
d'acconto operate dal datore di lavoro, ricadendo, invece, nella giurisdizione
del giudice del lavoro se riguardano il corretto adempimento degli obblighi di
pagamento derivanti dalla transazione medesima (26).
Renato Scorcelli
(fonte: D&L,
Riv. crit. dir. lav. 1/2005, p. 27 e ss.)
Note
(*) Relazione presentata al
Convegno «Norme inderogabili e derogabilità dei diritti nel rapporto di lavoro»,
organizzato dall'Agi (Avvocati giusiavoristi italiani) a Roma, il 2/3/05.
2). Bodrito, op. cit ;
D’Andrea, op. cit e D'Aquila, op. cit.
3). Uricchio, in L'imposta
sul reddito delle persone fisiche, (a cura di D'Amati) Torino 1992, p. 40 e,
nello stesso senso, tra le molte, Cass. sez. trib. 17/8/04 n.
4). Così, in tema, Arquilla,
op cit., p. 1208; Crovato, I redditi di
lavoro dipendente nei sistema delle imposte sta redditi, Padova 2001, p. 120
e sgg.; Fantozzi, Diritto tributario,
Torino 1991, p. 581; Majolino, op. cit., p. 53; D'Andrea, op cit. p. 64; Bodrito,
op. cit., p. 2795. Cfr. anche Agenzia delle Entrate, Ris. 27/5/02 n.
155/E.
5). Arquilla,
op. cit., p. 1208. Così, per esempio, nel caso dei dirigenti di aziende
industriali e di aziende del terziario, la stessa contrattazione collettiva
prevede l'obbligo del datore di lavoro di mantenere indenne il dirigente dalla
responsabilità civile nei confronti dei terzi, derivante da atti compiuti
nell'esercizio delle proprie mansioni, salvo il caso di dolo o colpa grave.
6). F.
Marchetti, «Le somme corrisposte dal
datore di lavoro per la cessazione del rapporto», in Corriere Tributario
2003,2397.
7). Com'è
noto, la norma in questione era stata emanata dal legislatore del 1995 con
finalità antielusive su sollecitazione del Servizio Ispettivo del Ministero (Secit)
che, nella relazione sull'attività svolta nel 1991, aveva segnalato il
frequente mancato assoggettamento a tassazione delle somme corrisposte al
lavoratore a titolo di risarcimento dei danni nell'ambito di accordi transattivi
relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro.
8).
Così, Cass. sez. trib. 17/8/04 n.
16014, cit.; Cass. sez. trib. 24/7/03 n. 11501, cit; Cass. sez. trib. 26/6/03 n.
10185, cit; Cass. sez. trib. 14/11/02 n. 15991, cit; Cass. sez. trib. 2/2/01
n. 1467, cit.
9). Così, tra le molte, Cass. sez. trib. 21/10/03
n.
10). Così,
Cass. sez. trib. n. 1/8/2000 n.
11). Art. 38,2° comma,DPR
29/9/73 n. 602 (così come modificato dall'art. 34,6° comma, L. 23/12/2000 n.
388).
12). Art. 37,2° comma, DPR
602/73.
13). D'Andrea, op. cit., e
Majolino, op.cit.
14). Cass. sez. lav. 18/5/99 n.
15). Cass.
sez. lav. 11/8/00 n.
16). Come ad esempio, le somme
corrisposte per prevenire una controversia, così Majolino, op. cit e D'Andrea,
op. cit. Sulla non opponibilità
all'amministrazione finanziaria della natura novativa della transazione
qualificata come tale dalle parti, cfr. Comm.Trib. Genova 16/11/94 n.
17). Cass.
sez. lav.8/4/04 n.6910,in Mass.Giur Lav. 2004,616.
19).
20). Cfr.
Circolare Min. Fin. n. 326/E - III - 5- 2643 del 23/12/97 Dir. AA.GG. e Cont.
Trib.
21). Si
tratta dell'alt. 4, 2° comma bis, del
DL 30/05/88 n. 173, convertito con modificazioni dalla L 26/07/88 n. 291 che,
com'è noto, ha introdotto nel nostro ordinamento la nozione di incentivo
all'esodo prevedendo che «l'art 12,2°comma,
L 30/04/69 deve essere interpretato nel senso che dalla retribuzione imponibile»
ai fini previdenziali «sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione
del rapporto di lavoro al fine da incentivare l'esodo dei lavoratori». In
materia, la norma di riferimento (sostanzialmente rimasta la stessa) è oggi
costituita dall'art. 12,4° comma, L 30/4/69, così come modificato dall'art.
6,1° comma, del D.Lgs. 2/9/97 n. 314 con cui è stata unificata la base
imponibile previdenziale con quella fiscale; sul punto cfr. Circ. Inps, 24/12/97
n. 263.
22).
Cass. sez. lav. 18/5/99 n.
23). Trib. 8/1/01, in Mass.
Giur. Lav. 2001,705 e Trib. Milano 21/10/99, ivi 1999,930. V. anche Cass.
10/1/05 n.
24). Trib. Latina 31/3/2000, in
Mass. Giur. Lav. 2000,678, con nota di Tatarelli.
25).
Cass. sez. lav. 8/4/04 n. 6910 cit.
26). Cass.
sez. un. 20/1/03 n.
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