Considerazioni in tema di prescrizione, rinunzie e transazioni nel rapporto di lavoro

Sommario:

1. La prescrizione, le rinunzie e le transazioni

2. Diritti indisponibili, diritti inderogabili e condizioni derogabili

3. Il regime di definitività e certezza dei diritti rinunziati o transatti, realizzato attraverso lo strumento conciliativo

 

1. La prescrizione, le rinunzie e le transazioni

Nel rapporto di lavoro, così come nella pratica, le controversie si compongono e si estinguono sia attraverso atti di rinunzia alle proprie pretese (cioè mediante dismissione unilaterale) sia attraverso negozi transattivi (atti bilaterali attraverso i quali le parti prevengono o pongono fine alla lite facendosi reciproche concessioni; cfr. art. 1965, l° co.) sia per effetto dell'inerzia del creditore che introduce e potenzia l'azione della prescrizione.

Sembra opportuno esaminare il campo di incidenza della prescrizione nel rapporto di lavoro subordinato prima di addentrarci in un esame di merito della disciplina delle rinunzie e delle transazioni che, oggettivamente - a differenza della prescrizione - è operativa solo a partire dalla data di risoluzione del rapporto in virtù dell'art. 2113 c.c., i cui primi due comma dispongono:

« Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi... non sono valide.  L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima ».

La prescrizione, a meno che non si provveda ad interromperla ex art. 2943 c.c., opera nel rapporto di lavoro più di quanto comunemente non si creda, anche dopo le affermazioni della decisione n. 63 del 10 giugno 1966 della Corte Costituzionale che - come è noto - ne ha posticipato il decorso alla data di cessazione del rapporto dietro il convincimento che il rapporto di lavoro subordinato (se non assistito da tutele particolari) è permeato da un timore riverenziale che incombe sul prestatore di lavoro del quale vengono inibite le libere determinazioni.  L'operatività della prescrizione, quindi, non discende solo dal fatto che la stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro è presidiata dalle garanzie espulsile del metus, giurisprudenzialmente identificate nei capisaldi di cui alla legge n. 604 del 15 luglio 1966 sui licenziamenti individuali, integrati dal regime di stabilità reale di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 20 maggio 1970 (1), ma perché, anche nei rapporti sottratti, per il tempo della loro durata, all'azione della prescrizione, la posticipazione di efficacia a partire dalla data di risoluzione in poi, è circoscritta a quei soli diritti retributivi direttamente attraibili nel concetto costituzionale di « retribuzione sufficiente » ex art. 36 (2).

Una serie di diritti di status quali quello alla qualifica (3) corrispondente alle mansioni superiori eventualmente svolte o alla c.d. ricostruzione della carriera (4) ovvero pretese su emolumenti eccedenti la « retribuzione minima familiare » possono essere travolti dalla prescrizione in corso di rapporto.  Volendo quindi fare una considerazione partigiana (che non ci è congeniale) si può asserire che, facendo un certo assegnamento sull'inerzia del lavoratore, al datore di lavoro conviene affidarsi più alla prescrizione che a sistemazioni transattive di interessi (realizzate in corso di rapporto), in quanto quest'ultime risultano impugnabili a rapporto estinto se non assistite dai crismi della definitività conseguita mediante l'osservanza di procedure conciliative di natura giudiziale, amministrativa o sindacale di cui fa menzione l’ultimo comma dell'art. 2113 c.c. Anche l'operatività della prescrizione incontra tuttavia i suoi limiti di diritto positivo.  Chiaramente non opera qualora si verta in tema di diritti indisponibili (tra l'altro irrinunziabili ed intransigibili) destinati a costituire, peraltro, una categoria piuttosto esigua.

Vale la pena di spendere, al riguardo, qualche parola.  Indisponibili sono in linea di massima i diritti a contenuto non patrimoniale, coincidenti normalmente con quelli posti a tutela della personalità morale o della integrità fisica del prestatore (art. 2087 c.c.); ad essi si aggiungono pochi altri, espressamente qualificati « indisponibili» da specifiche norme di legge di carattere speciale.  Tra quest'ultime ricorre l'art. 2115 c.c., per i diritti previdenziali, l'art. 22 del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, per gli assegni familiari, l'art. 114 del T.U. 30 giugno 1965, n. 1124, sugli infortuni sul lavoro e le  malattie professionali, che con più precisione delle precisate norme, dispone  la « nullità di ogni patto inteso ad eludere il pagamento delle indennità ed a scemarne la misura ».

La ragione per la quale questi diritti, pur facenti parte del patrimonio del lavoratore, sono sottratti ad atti di dismissione, consiste nel fatto che, in linea di principio, l'ordinamento giuridico non può consentire una rinunzia a prestazioni dovute e rese da Enti pubblici che svolgono servizi per interessi superindividuali.  Sono pertanto nulli (ex art. 2125 c.c. o ex art. 114 T.U. n. 1124 del 1965) gli accordi eventualmente intervenuti tra lavoratore e datore di lavoro per esonerare quest'ultimo dal pagamento dei contributi (o per consentirgli un versamento in misura minore) dovuti per legge in vista di assicurare l'ordinato e regolare funzionamento del sistema di sicurezza sociale; va rilevato comunque che dottrina e giurisprudenza riconoscono tuttavia efficaci i patti, le rinunzie o le transazioni sui diritti del lavoratore derivanti da tali omissioni (cioè a dire sui diritti patrimoniali di risarcimento del danno per carente o ridotto versamento contributivo in caso di prestazioni non assistite dal principio dell'automaticità ex art. 2116 c.c.). Quest'ultimi negozi configurano, ad ogni buon conto, rinunzie e transazioni a diritti derivanti da norme inderogabili e come tali sono annullabili secondo il regime dell'art. 2113 c.c. (5).

Altresì nulle, a nostro avviso (6), le rinunce al diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali, in quanto espressamente vietate dall'art. 36, 3° comma della Costituzione, nell'interesse alla salvaguardia dell'integrità psico-fisica del prestatore di lavoro.  Data l'irripetibilità di fruizione dei due diritti in tempi differiti (es. anni successivi o a fine rapporto), in quanto sia il riposo settimanale sia le ferie annuali assolvono la loro funzione ristoratrice rispettivamente mediante una pausa giornaliera dopo sei giorni lavorativi nel primo caso e con una congrua interruzione di una prestazione protrattasi per un arco temporale plurimensile o al massimo annuale nel secondo caso, nei fatti ad essi si sostituisce un compenso risarcitorio per prestazione svolta in violazione di legge a norma dell'art. 2126 c.c.; conseguenza che non porta assolutamente i diritti in questione a scadere dal rango degli indisponibili a quello dei relativamente disponibili, anche se le indennità sostitutive dei diritti in questione possono essere oggetto di rinunzia o transazione valida ed al tempo stesso annullabile ex art. 2113 c.c. (7).

 

2. Diritti indisponibili, diritti inderogabili e condizioni derogabili

Poiché la gran parte dei diritti del lavoratore, essendo a contenuto patrimoniale, sono disponibili (anche se discendenti da norme inderogabili), ne consegue che gli atti di disposizione non sono nulli  ma  solo annullabili dietro iniziativa degli interessati a far valere l’inefficacia degli stessi, da esercitarsi nel termine di decadenza prefissato dall’art. 2113 c.c.  Si rende necessario, a questo punto, individuare sia pure indicativamente quei diritti del prestatore di lavoro per i cui atti di rinunzia o transazione il legislatore ha predisposto la garanzia dell'annullabilità dietro azione giudiziale o stragiudiziale da porre in essere entro 6 mesi dalla cessazione  del rapporto, in omaggio alla riscontrata situazione di psicologica del prestatore, in corso di rapporto.

Il concetto di norma inderogabile postula intrinsecamente l'intento protettivo o garantistico di condizioni minimali .(mediante la fissazione di limiti minimi ai vantaggi e di limiti massimi a sacrifici) talché restano fuori da questo schema di inderogabilità le iniziative, di autonomia normativa negoziale che, attribuendo vantaggi superiori ai minimi o imponendo sacrifici inferiori ai massimi, concretizzano condizioni individuali o collettive più favorevoli di quelle assicurate dalle norme imperative.  Ciò avviene sia in fattispecie di attribuzione di superminimi, di assegni ad personali, di indennità aggiuntive a quelle disposte dai contratti collettivi, di premi di produzione, sia in caso di effettuazione di atti di pre-videnza volontari del datore di lavoro o di assicurazione di condizioni di lavoro, latamente intese, superiori a quelle previste dai ccnl di categoria; in tali casi, le transazioni o le rinunzie alle condizioni suesposte sono perfettamente valide ed inimpugnabili.

Ne consegue che l'esemplificazione dei trattamenti ricollegabili alle mansioni effettivamente esercitate ex art. 13 legge n. 300 del 1-970, il diritto al compenso legale o contrattuale per il lavoro straordinario feriale, notturno e festivo, il diritto alla conservazione del posto in caso di richiamo alle armi, il diritto ai trattamenti economici e normativi per il periodo di prova, per la malattia e l'infortunio, per la maternità, per la cessazione del rapporto, il diritto alle garanzie legali per la libertà di opinione e di associazione sindacale, ecc.

Concludendo sul punto, possiamo dire che, in materia, si presentano tre distinte discipline:

a)   quella delle rinunzie e transazioni relative a diritti indisponibili, sanzionata da nullità ex art. 1966 c.c.;

b)  quella delle rinunzie e transazioni relative a diritti inderogabili che, determinando un trattamento inferiore al minimo garantito, è caratterizzata dall'annullabilità ex art. 2113 c.c.;

c) quella delle rinunzie o transazioni afferenti quote o porzioni derogabili di diritti inderogabili, la cui dismissione non porta il trattamento inderogabile al disotto del minimo garantito, e che è pertanto caratterizzata da una validità incondizionata.

 

3. Il regime di definitività e certezza dei diritti rinunziati o transatti, realizzato attraverso lo strumento conciliativo

Le rinunzie e le transazioni -relative a diritti garantiti da norme inderogabili, nel senso innanzi evidenziato, sono sottratte al regime di impugnativa giudiziale o extragiudiziale (e quindi acquisiscono carattere di definitività) quando si realizzano in situazioni o sedi tali da garantire l'assenza dello stato di soggezione del lavoratore.

Secondo l'art. 2113 c.c. ciò si verifica quando l'assetto di interessi viene definito:

a)  in sede giudiziaria, con verbale di conciliazione registrante la rinunzia o la transazione secondo le disposizioni dell'art. 185 c.p.c. o meglio dell'art. 420 c.p.c. nel nuovo testo;

b) ovvero quando al negozio transattivo o abdicativo si addiviene nella conciliazione della controversia in sede amministrativa innanzi alle Commissioni di conciliazione costituite presso gli UPLMO (artt. 410 e 411 c.p.c..), ora Direzioni provinciali per il lavoro;

c) ovvero quando le rinunzie e le transazioni si concretizzano nella conciliazione in sede sindacale (art. 411 c.p.c.), secondo le procedure previste dai contratti collettivi della categoria cui le parti appartengono.

Pur senza il conforto di statistiche alla mano, la snellezza procedurale degli ultimi due strumenti fa sì che sempre più spesso lavoratore e datore di lavoro, allo scopo di conferire certezza e definitività alla soluzione transattiva di una controversia insorta in corso di rapporto, ricorrano ad una delle due procedure sopraevidenziate ai punti b) e c), piuttosto che attivare un procedimento giudiziale di rivendicazione dei diritti ed eventualmente transigere in tal sede.

Omettendo di dilungarci sul funzionamento delle procedure indicate ai punti a), b) e c) delle quali si occupano diffusamente gli articoli 420, 410 e 411 c.p.c., preme osservare come la decisione n. 5072 del 1980 (8) e successive , abbia – con l’estromissione della vecchia procedura amministrativa in sede Uplmo ex art. 12 legge n. 628/1961 –accreditato e  riconosciuto nelle tre modalità sopra delineate i soli sistemi residuali attraverso i quali datore di lavoro e lavoratore acquisiscono certezza e conferiscono definitività a soluzioni pattiziamente raggiunte in merito ai loro diritti ed interessi, soluzioni che se non assoggettate alle formalità sostanziali delle evidenziate procedure, rischierebbero di permanere in stato di precarietà e di non risultare garantite contro comportamenti sleali o in mala fede di una parte verso l’altra.

 

Mario Meucci

(pubblicato in Lavoro e previdenza Oggi n.6/1986, p. 1237)

 

 

NOTE

 

(1) Conf.  Cass. 14 novembre 1985, n. 5582; Cass. 16 ottobre 1985, n. 5097; Cass. 19 novembre 1984, n. 5906, in MGL, suppl. n. 1, 18, 31 (m.); Cass. 19 maggio 1984, n. 3101, ibidem, 1984, suppl. n. 2, 140, 391 (m.); Cass. 12 novembre1979, n. 5862, ibidem, 1981, 100; Cass. 21 settembre 1979, n.  4871, ibidem 1980, 816; Cass., Sez. un., 12 aprile 1976, n. 1268, ibidem, 1976, 190 e 586 con nota di PERA; Corte Cost. 12 dicembre 1972, n. 104, in Giust. civ., 1973, III,- 37 e MGL, 1972, 565 con nota di CASSANDRO.

(2) Conf.  Cass. 10 dicembre 1984, n. 6494, in MGL, 1985,suppl. 1, 34, 93 (m.); Corte Cost. 21 maggio 1975, n. 115, ibidem, 1975, 286, con osservazione di TAMBURRINO; Cass., Sez. un., 20 giugno 1972, n. 1961, ffi~ 1973, 13. Contra: Cass.13 gennaio 1984, n. 291, ibidem, 1984, suppl. 2, 60, 155 (m.); Cass. 13 gennaio 1983, n. 265, ibidem, 1983, suppl. 1, 5, 11 (m).

(3-4) Conf.  Cass. 14 dicembre 1983, n. 7385, in MGL, 1983, suppl. n. 1, 23, 79 (m.); Cass. 10 dicembre 1984, n. 6494, cit.; Cass. 4 gennaio 1981, n. 10,  ibidem, 1981, 214; Cass. 9 ottobre 1979, n. 5206, ibidem, 1981, 91; Cass. 21 settembre 1979, n. 4871, cit.; Cass. 7 maggio 1979, n. 2613, cit.; Corte Cost. 21 maggio 1975, n. 115, cit.

         (5) Conf.  CORRADO, Manuale di diritto del lavoro, Torino, 1973, 571-572.

         (6) Conf.  RIVA-SANSEVERINO, Diritto dei lavoro, Padova, 1967, 474.

         (7) Conf.  RIVA-SANSEVERINO, op. cit., 474.

(8) In Dir. lav., 1981, Il, 76 (m.); in Foro it., 1981, 1, 226; in MGL, 1980, 776 e 1981, 78 con nota di D'HARMANT FRANCOIS, Sulla « sopravvivenza » delle competenze degli uffici del lavoro in materia di conciliazione delle controversie individuali di lavoro.  Con la suddetta decisione la Cassazione ha aderito all'orientamento prevalente della dottrina circa l'impossibilità di coesistenza tra vecchia procedura conciliativa ex lege n. 628/1961 e nuova procedura ex lege n. 533/1973, per cui vedi: GRIECO, Sulle conciliazioni dinanzi all'Ufficio del lavoro nella vecchia e nella nuova legge, in Dir. e giur., 1979, 154; RIVA-SANSEVERINO, Commentario del codice civile (a cura di Scialoja e Branca), 1977, sub art. 2113, 485; SIMONESCHI, in DENTI-SIMONESCHI, Il nuovo processo del lavoro Milano, 1974, 57-58; MAZZIOTTI, in MONTESANO-MAZZIOTTI, Le controversie del lavoro e della sicurezza sociale, Napoli 1974, 63-64; GRANDI, La conciliazione e gli arbitrati nella legge di riforma del processo del lavoro, in Riv. dir. lay., 1974, I, 61-62; GIUGNI, Il sindacato nelle giudiziali e stragiudiziali per le controversie di lavoro, Relazione svolta al Convegno di Pavia del 6-7 ottobre 1973, sul tema: “Il nuovo processo del lavoro”; NAPOLETANO, Primi orientamenti interpretativi del nuovo processo del lavoro (legge 11 agosto 1973, n.533), Napoli s.d., 21; TARZIA, Manuale del processo del lavoro, Milano 1980, 19; GHERA, Diritto del lavoro, Bari, 1979, 319; ASSANTI, Nuovo trattato di diritto del lavoro (diretto da Riva Sanseverino e Mazzoni), 1975, IV, 98; contra: CESSARI, Forme stragiudiziali di composizione delle controversie di lavoro, in Riv. dir. lav. 1974,I, 90; D’HARMANT FRANCOIS, Sulla “sopravvivenza” della competenza degli uffici del lavoro, cit. 78; PETINO, Commissione di conciliazione ex art. 410 c.p.c. e competenza  dell’ufficio del lavoro ad operare come organo individuale, in Dir. lav. 1974, II, 285.

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