-
[1]
Nn. da 40 a
45 in Giur. cost. 1979, 338 con annotazione di PERA. Nel
settore del P. Impiego, la pacifica decorrenza della
prescrizione in corso di rapporto è stata recentemente ribadita
da Consiglio di Stato, sez. V, 3.4.2007 n. 1489 (est. Buonvino)
secondo cui:
«La prescrizione dei crediti
retributivi relativi ad un rapporto di lavoro con la P.A.
decorre in costanza del rapporto stesso "sebbene questo abbia
carattere provvisorio o temporaneo" in quanto non è sostenibile,
per la natura del rapporto, che il dipendente pubblico possa
essere esposto a "possibili ritorsioni e rappresaglie" quando
egli tuteli in via giudiziale i propri diritti ed interessi».
-
[2]
Cass. 20 febbraio 2006 n. 3632 (che ha respinto la richiesta di
configurazione dell’indennità supplementare corrisposta al dirigente
illegittimamente licenziato quale “indennità risarcitoria di
prestigio leso e di chances professionali”, considerandola
correttamente risarcitoria di redditi futuri perduti e cioè di
“danno da lucro cessante” e non “di danno emergente”) trovasi in D&G, del 7.3.2006. In precedenza nello stesso senso, Cass. n.
18369 del 16.9.2005, Cass. n. 3582/2003 e precedenti.
-
[3]
Così recentemente Cass. Sez. lav. 6 aprile 2005 n. 7116 (inedita, a
quanto consta), dissociandosi espressamente dal precedente assertore
della “imprescrittibilità” nel corso del rapporto, costituito da
Cass. 29 ottobre 1998 n. 10832. Conf. Cass. 14 dicembre 1983, n.
7385, in Mass. Foro it., 1983; Cass. 4 maggio 1983, n. 3062,
ibidem, 1983; Cass. 29 giugno 1982, n. 3914, in Arch. civ.,
1982, 976; Cass. 7 dicembre 1982, n. 6700, in Giust. civ. Mass.,
1982; Cass. 8 luglio 1982, n. 4064, ibidem, 1982; Cass. 12
marzo 1982, n. 1618, ibidem, 1982; Cass. 27 marzo 1982, n.
1910, ibidem, 1982; Cass. 1° dicembre 1981, n. 6389, in
Riv. giur. lav., 1982,II, 361 con nota di MARESCA; Cass. 3
luglio 1980, n. 4234, ibidem, 1980, II, 916; Cass. 23
dicembre 1976, n. 4732, ibidem, 1976, II, 1077 e 1977, II, 74
con nota di BIGLIAZZI GERI. Considerano invece imprescrittibile il
diritto alla qualifica (o categoria superiore) in ragione della sua
essenzialità, inviolabilità ed indisponibilità, Cass. 29 ottobre
1998 n. 10832, in Mass. Foro. it. 1998; Cass. 3 marzo 1983,
n. 1596, ibidem, 1983; Pret. Bologna 15 marzo 1974, in
Riv. giur. lav., 1974, II, 640; Pret. Bassano del Grappa 4
dicembre 1975, in Giur. mer., 1976, I, 406 con nota di DANZA;
Trib. Padova 31 maggio 1978, in Riv. giur. lav., 1978, II,
883; Cass. 3 marzo 1983, n. 1596, in Mass. Foro it., 1983.
-
[4]
Così Cass. 21 agosto 1982, n. 4698, in Giust. civ. Mass.,
1982; Cass. 27 marzo 1982, n. 1910, cit.; parzialmente difforme
Cass. 4 settembre 1980, n. 5097, in Mass. giur. lav., 1981,
572 con nota di ARANGUREN. Considera l'azione di rivendicazione
della qualifica o categoria superiore, atto idoneo ad interrompere
la prescrizione per i trattamenti economici, Pret. Bassano del
Grappa 30 maggio 1977, in Riv. giur. lav., 1977, II, 862.
-
[5]
Cass. n. 1523/1993 può leggersi in Not. giur. lav. 1993,
352. Nello stesso senso, in precedenza, ex multis, Cass. 23
marzo 1991, n. 3115, in Orient. giur. lav. 1992, 174, secondo
cui: «La violazione del datore di lavoro del dovere di approntare
cautele ed accorgimenti volti ad evitare lesioni della integrità
fisica dei lavoratori (art. 2087 c.c.) è fonte di responsabilità
contrattuale – attenendo detto illecito ad una preesistente
obbligazione (ancorché di fonte legale) – e, pertanto, il
correlativo diritto del lavoratore al risarcimento dei danni
soggiace alla prescrizione decennale, mentre grava sul datore di
lavoro l’onere di fornire la prova che l’inadempimento è derivato da
impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile (art.
1218 c.c.) al fine di superare la correlativa presunzione di
responsabilità».
-
[6]
Sulla legittimità di azionare il concorso della responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale ai fini della completa tutela dei
diritti lesi, vedi, per tutte, Cass. sez. un. 14 maggio 1987, n.
4441, in Foro it. 1988, I, 2686; nello stesso senso –
costituendo orientamento consolidato – Cass. 24 gennaio 1990, n.
411, in Lav. ‘80 ,1990, 659 e Pret. L’Aquila 10 maggio
1991, in Foro it. 1993, I, 318; Cass. 5 ottobre 1994, n.
8090, in Dir. prat.lav. 1995, 453; Cass. 8 febbraio 1993, n.
1523; Cass. 19 dicembre 1997, n. 12891 (inedita, est. Vidiri). Per
la pacificità della natura contrattuale del danno biologico, in
dottrina, POLETTI, Sulla risarcibilità del danno alla salute del
prestatore di lavoro, in Riv. giur. lav. 1985, II, 664.
-
[7]
Così Cass. 7 settembre 1981, n. 5052, in Not. giur.lav.,
1982, 5, secondo cui «la reintegrazione nel posto di lavoro è
provvedimento eccezionalmente limitato al casi previsti dall'art. 18
della legge 20 maggio 1970, n. 300 e, quindi, al di fuori di tale
ipotesi eccezionale, non può il datore di lavoro essere condannato
ad un facere. Pertanto la violazione da parte del datore di
lavoro della norma dell'art. 13 legge 300/1970 può dar luogo, quale
inadempimento agli obblighi contrattuali, alla sanzione di nullità
del relativo provvedimento a norma dell'art. 1418 cod. civ., con
conseguente effetto risarcitorio, esclusa ogni ipotesi di ripristino
della situazione pregressa». Conf. Cass. 19 giugno 1981, n. 4041,
ibidem, 1982, 5, per cui «al sensi dell'art.. 2103 cod. civ.,
nel testo introdotto dall'art. 13 della legge 20 maggio 1970, n.
300, la destinazione del dipendente a mansioni inferiori a quelle
precedentemente svolte costituisce inadempimento contrattuale del
datore di lavoro che, indipendentemente dall'eventuale acquiescenza
del lavoratore, determina la responsabilità per i danni ad esso
conseguenti». Nel senso che è possibile rinunciare alla prestazione
del lavoratore, mantenendolo nel posto di lavoro in
condizioni di forzata inerzia (corrispondendogli la retribuzione),
senza incorrere nel reato ex art. 388, 2° comma, cod. pen.,
nel caso in cui il giudice abbia disposto la reintegra del
lavoratore (illegittimamente trasferito ad altre mansioni) in
quelle di originaria pertinenza, v. Cass. pen. 8 aprile 1981, in
Dir. lav., 1982, 11, 120 e Cass. 29 giugno 19791 n. 5992, in
Mass. giur. lav., 1980, 462 (con nota di MORSILLO), secondo
cui «l'interesse dei lavoratore... ad eseguire la pattuita
prestazione delle proprie energie lavorative, indipendentemente dal
conseguimento della controprestazione retributiva, non è definibile
come diritto di credito, ma rappresenta soltanto il fondamento di
alcuni diritti della personalità che fanno parte del suo status
professionale ed ai quali il disposto dell'art. 388 cod. pen.
non accorda specifica tutela penale»; conf. Cass. pen. 23 giugno
1975, n. 1393, in Riv. giur. lav., 1976,11, 975; Cass. pen.
1° dicembre 1980, in Lav. prev. oggi, 1981, 1985.
-
Contra, di
recente, Cass.VI sez. pen. 18 settembre 2001, n. 33860 (inedita a
quanto consta, est. Caso), secondo cui la mancata esecuzione
dell’ordine di reintegra in via d’urgenza al lavoratore licenziato
configura il reato ex art. 388, 2° comma, c.p. Nella
giurisprudenza di merito, Pret. Rho 14 luglio 1978, in Orient.
giur. lav., 1978, 956.
-
Come è noto, in
dottrina, le opinioni sono contrastanti al riguardo: per la tesi
dell'effettività dell'ordine di reintegra e la conseguente
configurazione del delitto ex art. 388 cod. pen. nel caso di
inottemperanza sostanziale all'ordine giudiziale, v. CASTELLI-DI
LECCE, L'effettività dell'ordine di reintegra, in Lavoro 80,
1981, 303; M. DINI-E.A. DINI, I provvedimenti d'urgenza nel
diritto processuale civile e nel diritto del lavoro, Milano
1981, 903 e ss.; contra, nel senso della Suprema
Corte, ARANGUREN, La tutela dei diritti dei lavoratori,
Padova, 1981, 110 e ss.; TARZIA, Presente e futuro delle
misure coercitive civili, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 1981, 800.
-
[8]
Per la Cassazione, vedi Cass. 12 ottobre 1999, n. 11479, in Mass.
giur. lav. 1999, 1372 n. 149 (sola massima) secondo cui: “
Nell’ipotesi di assegnazione di mansioni non equivalenti a quelle
spettanti, in violazione dell’art. 2103 c.c., il lavoratore può
ottenere tutela con la condanna del datore di lavoro al corretto
adempimento dell’obbligo contrattuale mediante l’assegnazione alle
precedenti mansioni, senza che osti a tale pronuncia in sede di
giudizio di cognizione la natura incoercibile della prestazione (con
le relative conseguenze in punto di inutilizzabilità dell’esecuzione
specifica); la condanna al ripristino della situazione antecedente
all’illegittima dequalificazione (non riconducibile all’applicazione
della tutela di cui all’art. 18 l. n. 300/70) non preclude il
legittimo esercizio dello ius variandi, essendo consentito al datore
di lavoro di adempiere mediante assegnazione del dipendente a
mansioni diverse di contenuto professionale equivalente”. Nello
stesso senso la precedente Cass. 27 aprile 1999, n. 4221,
integralmente in Not. giur. lav. 1999, 491. In sede di
merito Pret. Milano 13 novembre 1979, in Riv. giur. lav.,
1980, IV, 514, che sottopone a critica la tesi della carenza
datoriale di un vero obbligo del datore di lavoro a far
effettivamente lavorare i dipendenti (Cass. pen. 30 gennaio 1979, in
Dir. lav. 1980, II, 328). Addizionalmente critica la nota
redazionale, per la quale la posizione «incondivisibile e riduttiva»
della Cassazione risiederebbe «in premesse teoriche... facilmente
individuabili in una anacronistica e retriva concezione dei rapporto
di lavoro, sostanzialmente ridotto ad un mero scambio di energie
lavorative contro denaro e nell'incapacità di cogliere le profonde
innovazioni che, in sintonia con lo sviluppo sociale e culturale del
paese, hanno subito termini come posto di lavoro, credito,
prestazione, ecc.». Alla Cassazione viene altresì imputata una
«artificiosa scissione dell'unitario concetto di diritto al posto di
lavoro... e la conseguente bizantina distinzione fra diritto alla
retribuzione, avente natura di credito e diritti
extrapatrimoniali, insuscettibili di valutazione monetaria, in una
ottica di esasperato formalismo (e con un tecnicismo di facciata)
che contrasta nettamente con la realtà giuridica e sociale, in cui
tali aspetti si presentano al contrario indissolubilmente connessi».
-
Conf. Pret. Milano
19 maggio 1982, in Lavoro 80, 1982, 675 (che legittima, ex
art. 219 cod. proc. pen. in relazione all'art. 388 cod. pen.,
l'accompagnamento dei lavoratore sul posto di lavoro a mezzo di
ufficiale di polizia giudiziaria, il quale provvederà ad accertare
che al lavoratore venga concretamente reso possibile
di operare nel suo posto di lavoro); Pret. Desio 3 maggio
1982, ibidem, 1982, 396 (esattamente conforme nelle modalità
per la tutela reale del diritto al conferimento della prestazione);
Pret. Roma 10 aprile 1978, in Riv. giur. lav., 1978, II,
347; Trib. Milano 22 marzo 1976, ibidem, 1976, II, 975; Pret.
Milano 21 febbraio 1975, in Orient. giur. lav., 1975, 483;
Pret. Milano 30 ottobre 1974, ibidem, 1974, 1127.
-
Recentemente, Cass. 6°
sez. pen. 18 settembre 2001, n. 33860 (inedita allo stato) ha
mostrato di ritenere reato ex art. 388 c.p. la mancata esecuzione
dell’ordine di reintegrazione, emesso giudizialmente dietro
provvedimento d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.), del lavoratore
licenziato.
-
[9]
Così, espressamente Cass. 29 giugno 1979, n. 5992, in Mass.
giur.lav. 1980, 642 (con nota di Morsillo).
-
[10]
In tal senso, Pret. Cagliari 29 ottobre 1982, in Giur. it.,
1984, 1, 2, 57; Pret. Roma 25 febbraio 1980, in Riv. giur. lav.,
1980, II, 1140; Pret. Milano 1° febbraio 1978, in Orient.
giur. lav., 1978, 374; Pret. Velletri 13 febbraio 1976, in
Riv. giur. lav., 1976, II, 997; Trib. Milano 4 maggio 1972,
ibidem, 1972, II, 368.
-
[11]
Così, espressamente, Pret. Roma 14 luglio 1979, in Riv. giur.
lav., 1980, II, 1140.
-
[12]
E’il caso di Pret. Piacenza 2 giugno 1977, cit., che nega il
ricorso alla procedura ex art. 700 cod. proc. civ. « ... essendo
sempre possibile, in caso di esito favorevole del giudizio di
merito, la reintegra nelle mansioni originarle, con l'eventuale
risarcimento di danni».
-
[13]
In Foro it., 1975,
I, 1086.
-
[14]
In Foro it., 1975,
I, 2684.