Sommario:
*******
Una recentissima decisione della
Cassazione – n. 11759/2003 – ha preso posizione sulla natura delle clausole
aziendali subordinanti la fruizione dei permessi per i dirigenti di strutture sindacali
territoriali alle “esigenze aziendali”,
dichiarando illegittime le pattuizioni sostanzialmente impeditive del diritto potestativo ai
permessi o conferitrici della scelta alla discrezione aziendale, in relazione
alla inesistenza di aggravi per la normalità produttiva.
1.
Premessa
L’art.
30 (Permessi per i dirigenti provinciali e nazionali) dello Statuto dei
lavoratori, dispone: «I componenti degli organi direttivi, provinciali e
nazionali, delle associazioni di cui all'art. 19 hanno diritto a permessi
retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione
alle riunioni degli organi suddetti».
Una recentissima decisione della Cassazione (n. 11759 del 1 agosto 2003) ha statuito,
sul tema in questione, quanto segue: «Alla contrattazione collettiva - cui
l'art. 30 della legge n. 300 del 1970 rinvia per la determinazione delle
modalità e la quantificazione dei permessi retribuiti ai componenti degli
organi direttivi provinciali e nazionali dei sindacati maggiormente rappresentativi,
ai sensi dell'art. 19 della medesima legge, per la partecipazione alle riunioni
degli organi stessi - non è consentito rendere facoltativa la concessione dei
suddetti permessi ovvero condizionare il riconoscimento del diritto all'assenza
di impedimenti di ordine tecnico - aziendale, devoluti alla discrezionale
vantazione del datore di lavoro, giacché in tal modo ne risulterebbe
pregiudicato l'interesse, costituzionalmente garantito, sotteso all'art. 30
dello statuto. Il datore di lavoro, al fine di assicurare il pieno esercizio
dell'attività sindacale, deve dunque modellare la propria organizzazione e
disciplinare la forza lavoro in modo da rendere effettivo il godimento del
diritto ai permessi, non potendo appellarsi all'esigenza del regolare svolgimento
dell'attività di impresa per negare il suddetto diritto o per limitarne il
contenuto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva
ritenuto illegittimo il diniego opposto dal datore di lavoro alla concessione
dei permessi attraverso il richiamo alle esigenze aziendali e/o a ragioni di
regolarità del servizio di trasporto oggetto dell'attività di impresa)».
Di
seguito esamineremo i problemi che la disposizione Statutaria pone, sia in
ordine alla titolarità dei permessi, sia per quanto concerne il contenuto del
rinvio alla contrattazione collettiva, sia relativamente al diritto (o meno) di
riscontro preventivo da parte aziendale dei presupposti per la fruizione dei
permessi in questione, prendendo posizione sulla legittimità (o meno) delle
pattuizioni convenzionali di natura procedurale fissate in sede di c.c.n.l o di
accordi aziendali, esprimendo infine la nostra opinione di condivisibilità (o
meno) delle statuizioni della S. corte nella decisione n. 11759/03.
2.
Titolarità del diritto ai permessi retribuiti ex art.
30 Stat. lav.
Il
diritto ai permessi retribuiti per i c.d. « dirigenti esterni » - cioè a dire
per quei dipendenti investiti di cariche negli organi direttivi provinciali o
nazionali delle OO.SS., legittimate ex art. 19 Stat. lav. alla
costituzione in azienda delle R.s.a. -
rappresenta un beneficio parallelo a quello accordato dall'art. 23 ai
dirigenti sindacali interni, provvisto di pari finalità di sostegno
all'attività sindacale.
I
titolari del beneficio differiscono tuttavia da quelli dell'art. 23 - non tanto
soggettivamente quanto per la carica o ruolo rivestito - e sono individuati
inequivocamente dall'art 30 nei lavoratori che abbiano assunto cariche in seno
agli «organi direttivi provinciali e nazionali, delle associazioni
sindacali di cui all'articolo 19». Va comunque precisato che, dal
punto di vista soggettivo, non vi sono impedimenti a che un dirigente di R.s.a.
cumuli in sé la carica di dirigente sindacale esterno, con la conseguenza della
spettanza cumulativa dei benefici ex art. 23 e 30, come può verificarsi
che un dirigente esterno cumuli la carica a livello provinciale con quella a
livello nazionale. La stessa Corte di cassazione è, a suo tempo, intervenuta,
per una fattispecie occasionata dal c.c.n.l. del settore commercio, per
affermare il sopracitato principio, dirimendo così una controversia originata
dal diniego datoriale di accordare allo stesso lavoratore (rivestente
plurime ma distinte cariche) i correlativi benefici in via di sommatoria (così,
Cass. 16 giugno 1976, n. 2242, in Or. giur. lav., 1976, 903), giacché al
riguardo quello che rileva ai fini dei benefici statutari non è la persona
fisica quanto la carica rivestita.
La
norma, nell'astenersi dal menzionare gli «organi direttivi» delle attuali (e preesistenti)
strutture Confederali, preclude - come è stato già osservato in dottrina (1) -
la dilatazione del beneficio ai dirigenti di questa struttura organizzativa
orizzontale, salvo che l'estensione non sia frutto di previsione contrattuale a
più vasto contenuto, secondo una tendenza all'ampliamento della sfera dei
beneficiari affermatasi di fatto nei rinnovi contrattuali {si veda, ad es.
l'art. 4, D.G., sez.II, vigente c.c.n.l. metalmeccanici che dilata
l'agevolazione de qua « ai lavoratori che siano membri degli organi
direttivi nazionali e provinciali delle Confederazioni sindacali, dei Comitati
direttivi delle Federazioni nazionali di categoria e dei Sindacati provinciali
metalmeccanici » ; analogamente il c.c.n.l.
chimici, il c.c.n.l. edili e molti altri della media e piccola industria).
Taluni
problemi sono sorti, in ordine ai beneficiari, a seguito di autonome
modificazioni apportate dai sindacati alla loro struttura organizzativa, quali
la soppressione del livello provinciale e la creazione di un livello
territoriale di base articolato in « zone », « comprensori » e simili. Al
riguardo, in giurisprudenza (2), si è sostenuta la traslazione automatica del
beneficio ai dirigenti delle nuove strutture territoriali o periferiche di base
(zonali o comprensoriali), argomentando dalla ratio dell'art. 30,
desunta ed interpretata nel senso che con l'agevolazione assegnata ai dirigenti
degli organi direttivi provinciali, da un lato, e nazionali, dall'altro,
si sarebbe inteso correlare il beneficio, nel primo caso, al livello
organizzativo sindacale di base e, nel secondo caso, al livello
organizzativo di vertice (contingentemente individuati nel provinciale
e nazionale). Talché l'autonoma soppressione del vecchio livello di base
(provinciale) legittimerebbe de plano l'automatico rinvenimento del
beneficio in capo al nuovo livello di base, di esso sostitutivo (zona o
comprensorio). Addizionalmente osservandosi, da altra decisione sostanzialmente
conforme (3), che qualora si negasse la traslazione del beneficio dalle vecchie
alle nuove (e suppostamente equivalenti) strutture, non solo si sanzionerebbe,
sia pure indirettamente, il diritto di autorganizzazione del sindacato ma si
consentirebbe al datore di lavoro un indebito arricchimento, facendogli
residuare a carico l'esclusivo onere dei permessi retribuiti per i dirigenti
con cariche sindacali nazionali.
A suo tempo un commentatore (4)
ha, invero, vivacemente dissentito dalle opinioni succintamente soprariferite
sia in ragione dell'inequivoco legale assegnamento del beneficio agli investiti
di cariche provinciali e nazionali che il legislatore statutario - cui non
erano affatto ignote le possibilità di mutazioni organizzativamente interne al
sindacato, con difformità sin da allora presenti - avrebbe scientemente loro
assegnato in esclusiva, sia adducendo la piena libertà del movimento sindacale
di realizzare questa « estensione » del beneficio, attraverso gli usuali ed
efficienti mezzi di pressione sulla controparte o sul legislatore, onde
ottenere il riconoscimento in sede contrattuale ovvero, alternativamente, con
modifica legislativa (anche di mera rilevanza interpretativa), palesemente
stigmatizzando l'intervento creativo integratrice della magistratura.
Ambedue
le divergenti posizioni contengono considerazioni condivisibili come forzature,
nella direzione di favore sindacale - quella giurisprudenziale - nella
direzione di sfavore e di rigidità nominalistica, la seconda. Da parte nostra,
nel propendere per la traslazione del beneficio alle nuove strutture di base -
sempreché l'indagine di merito ne riscontri l'equivalenza sostanziale con il
precedente livello provinciale e, conseguentemente, una pressoché esclusiva
divergenza di tipo nominalistico - non
possiamo che auspicare che si pervenga, in sede di contrattazione collettiva,
ad un mero, agevole chiarimento interpretativo, tale da precludere per il
futuro reiterazioni di un contenzioso di scarsa consistenza
politico-concettuale.
Un precedente nell'auspicata
direzione appare, al riguardo, quello del settore credito ove, sia pure in
presenza di una atipica disciplina dei diritti e prerogative riconducibili
all'area delle relazioni industriali ad opera di Convenzioni intersindacali, si
è acceduto pacificamente (con accordo 21 dicembre 1984 e precedenti e successivi conformi) al riconoscimento
delle « strutture territoriali » delle OO. SS. ex art. 19, ai fini del diritto ai permessi per i dirigenti
con cariche in tali ambiti territoriali esterni.
3. Il ruolo del rinvio alle «
norme dei contratti di lavoro » e la rilevanza (o meno) delle esigenze
aziendali.
L'art.
30, con dizione chiaramente finalizzata a dar concreto contenuto al diritto ai
permessi retribuiti, affianca l'affermazione di principio del diritto in
questione ad un esercizio concretizzabile « secondo le norme dei contratti di
lavoro ».
Il
rinvio alle « norme dei contratti (collettivi) di lavoro », ha
occasionato intuitivamente una serie di problematiche, con interventi
dottrinali e giurisprudenziali, recentemente pervenendosi a conclusioni dotate,
a nostro avviso, di un elevato grado di condivisibilità.
Prima di
occuparci del contenuto, diciamo che nel
caso di carenza di previsione da fonte collettiva a ciò abilitata
legislativamente, in dottrina si è fatta strada la tesi – indubbiamente di buon
senso pratico e di giuridica consistenza -
secondo cui la carenza di regolamentazione da parte degli agenti
contrattuali collettivi poteva essere legittimamente surrogata dall'accordo
individuale tra il soggetto onerato ed il beneficiario del diritto, cioè fra il
datore di lavoro ed il lavoratore; tesi che presuppone una portata
immediatamente precettiva della norma, non condizionata alla realizzazione di
accordi collettivi, attuativi del disposto statutario. La tesi, nel ricevere
conforto dalla giurisprudenza della S. corte - a partire dalla decisione n.
5927 del 1981 sino a Cass. n. 1492 del 1986 (5) - è stata integrata dalla
legittimazione al giudice di supplire alla carenza, sia delle pattuizioni
individuali che collettive, con il ricorso all'equità. L'orientamento - oramai
sufficientemente consolidato - è stato esplicitato nei seguenti termini : «in
assenza di contrattazione collettiva (comprendendo in questa gli accordi
aziendali) potrebbe soccorrere la pattuizione diretta e personale tra datore di
lavoro e lavoratori impegnati nella direzione degli organismi sindacali
provinciali o nazionali. Ove facciano difetto anche gli accordi individuali, la
norma del ripetuto art. 30 deve essere attuata attraverso l'intervento del
giudice, in virtù di un principio che trova costante applicazione nelle ipotesi
di carenza dell'espressione pattizia della volontà delle parti, come in tema di
determinazione della retribuzione (art. 2099, comma 2, c.c.), di fissazione del
tempo per l'adempimento delle obbligazioni (art. 1183 c.c.), di determinazione
dell'oggetto del contratto (articolo 1349 c.c.)».
Circa il
contenuto degli accordi sindacali in ordine ai permessi, va preferita – ad una
iniziale posizione legittimante il “contemperamento” dell’assenza con le
esigenze aziendali – una lettura che conferisce ad essi un solo spazio di
natura “procedurale” attuativa, cioè a
dire un ambito circoscritto a non incidere sul diritto in senso sostanziale né
a subordinarlo ad esigenze ostative aziendali, dovendo invece essere
esclusivamente caratterizzato da un contenuto attinente alla fissazione di
modalità di esercizio del diritto potestativo al permesso, modalità rivenienti,
eseplificativamente, nel preavviso, nella comunicazione dei nominativi dei
beneficiari e della carica rivestita, cioè a dire afferenti ad aspetti di
contenuto non dissimile (anzi analogo o collimante) con quello richiesto
dalla formulazione legislativa reperibile nell’ultimo comma dell’art. 20, in
tema di «modalità di esercizio» del diritto di assemblea.
Va
peraltro espressa l’opinione – giurisprudenzialmente e dottrinalmente condivisa
– secondo cui i permessi per tali dirigenti di strutture sindacali territoriali
debbono essere sporadici, saltuari, circoscritti
quantitativamente, giacché per le assenze continuative e prolungate
il legislatore ha approntato l’art. 31, contemplante l’istituto
dell’aspettativa. Ma va altresì sottolineato che in tale materia regna sovrana
la volontà pattizia (espressa nei c.c.n.l. o accordi aziendali) che possono
contemplare anche fruizioni in misura quantitativamente consistente,
cosicché la compresenza dell’aspettativa sindacale ex art. 31 serve solo come
suggerimento o indizio per le parti circa la “ratio” saltuaria dei permessi in
questione, libere le parti stesse di
discostarsi dalla “ratio” medesima.
Conclusivamente, in materia di pattuizioni attuative del
diritto ai permessi ex art. 30, è da condividere l’odierna statuizione
di Cass. n. 11759/03 che ha riaffermato
che:« …per i giudici di legittimità
non è consentito, attraverso la contrattazione collettiva, rendere facoltativa
la concessione dei suddetti permessi ovvero condizionare il riconoscimento del
diritto all'assenza di impedimenti di ordine tecnico-aziendale, devoluti alla
discrezionale valutazione del datore di lavoro, risultando in tal modo
pregiudicato l'interesse, costituzionalmente garantito, sotteso all'articolo 30
dello Statuto (cfr. ex plurimis: Cassazione 435/91; 3430/89, che ha ritenuto
consentito prevedere contrattualmente la quantificazione dei permessi, l'indicazione
al datore di lavoro dei dipendenti legittimati a fruirne e la comunicazione
preventiva dei permessi da utilizzare in concreto, al fine di rendere possibile
al datore di lavoro eventuali sostituzioni; Cassazione 5029/88, che ha ribadito
a sua volta la legittimità della regolamentazione dei permessi ad opera di
accordi individuali, oppure secondo i principi generali di cui all'articolo
1374 c.c. da parte del giudice, in conformità agli usi o all'equità nel
rispetto dell'obbligo reciproco di correttezza delle parti, rapportato alle
finalità della norma e con eventuale riguardo a discipline contrattuali
collettive non regolanti il caso specifico ma concernenti situazioni analoghe).
In
questo quadro ricostruttivo la Corte di cassazione ha anche avuto modo di
precisare che il giudice nel quantificare in assenza di specifiche disposizioni
contrattuali i permessi può fare riferimento, in via analogica, alla disciplina
degli articoli 22 e 23 Statuto dei lavoratori (cfr. 5520/89; 3430/89)».
Conseguentemente
è stato dichiarato nullo l’art. 27 del c.c.n.l dell’autotrasporto tramite cui
le parti avevano subordinato i permessi alla “compatibilità con le esigenze
tecnico-aziendali”, così come verrano
presumibilmente (e salvo mutamenti di orientamento) – in futuro – dichiarate
nulle analoghe clausole pattizie dei c.c.n.l di altri settori.
4. Questioni in ordine al
diritto datoriale di preventivo riscontro dei presupposti per la fruizione dei
permessi.
La
tematica dibattuta nel precedente paragrafo in ordine alle pattuizioni
regolanti il diritto a beneficiare dei permessi - in congiunzione con la finalità legale della « partecipazione a
riunioni dei direttivi... » o con analoghe previsioni di oggetto,
contrattualmente convenute - introduce, necessariamente, l'ulteriore esigenza
di trattazione della questione circa la sussistenza (o meno) di un diritto
datoriale di verifica, riscontro e valutazione preventiva della natura e
finalità dei permessi richiesti nonché della conformità ed attinenza degli
stessi agli scopi per cui sono stati accordati ed alle condizioni contrattuali,
pattiziamente disciplinanti l'esercizio del diritto.
E’ una
tematica su cui prende posizione la stessa Cass. n. 11759, ma sulla quale la
stessa S. corte (6) si era in precedenza espressa - in fattispecie di permessi
accordati da un'azienda di credito ad un dipendente con carica di dirigente
sindacale esterno e da questo fruiti a scopo personale - asserendo la
sussistenza di un « potere-dovere dell'imprenditore di accertare l'effettiva
e reale sussistenza dei presupposti di fatto che condizionano la concessione
dei permessi ex art. 30, al fine di impedire l'abuso del corrispondente diritto
che, piegando la funzione sindacale a fini illegittimi o distorti, implicano
uno sviamento della causa dell'attribuzione del relativo potere. Pertanto, ove
il datore di lavoro abbia concesso i permessi richiesti omettendo di procedere
a siffatto accertamento, non può ex post invocare il suddetto abuso come
giustificato motivo di licenziamento, salvo che non provi essere stata la
concessione carpita con dolo dal dipendente ».
Poiché
il principio appare corretto (anche se come vedremo Cass. n. 1175903 se n’è
discostata) in concreto il fruitore - a nostro avviso e sempre che sia così
pattuito nel c.c.n.l o nell’accordo aziendale - dovrà preventivamente
comunicare al datore di lavoro l'esigenza di partecipare all'indetta riunione
esterna del direttivo dell'organizzazione sindacale di appartenenza,
preferibilmente documentandone l’esigenza specifica (di norma tramite allegazione
di copia della comunicazione dell'Organizzazione sindacale, a meno che la
convocazione non sia stata fatta oralmente) nonché, successivamente, l'avvenuta
partecipazione alla riunione in questione, mediante analoga concisa
attestazione dell'organismo sindacale esterno indicente la riunione,
attestazione pacificamente sprovvista di qualsiasi indicazione attinente
ai motivi e temi dell'adunanza, i quali appartengono
all'autonomia del sindacato ed ai quali il datore di lavoro deve rimanere
istituzionalmente estraneo.
Diversamente
si è orientata Cass. n. 11759, laddove
ha affermato che: « … al datore di lavoro, a fronte dello stato in cui versa
che lo costringe a concedere i permessi, spetta il diritto al controllo volto
ad accertare l'effettiva partecipazione dei sindacalisti, destinatari di tali
permessi, alle riunioni degli organi direttivi (nazionali o provinciali).
Tale
diritto non può però accompagnarsi a formalismi o adempimenti capaci, per le
loro modalità, di limitare l'attività sindacale e di impedire ai dirigenti di
svolgere, in piena libertà ed autonomia, i propri compiti. In altri termini,
il controllo non può concretizzarsi in condotte volte ad accertare in via
preventiva se la richiesta dei permessi sia o meno indirizzata alla
partecipazione alle riunioni. Non è cioè consentito fare dipendere - come
si fosse in presenza di qualche atto autorizzativo - la concessione dei
permessi ad un preliminare esame della relativa domanda e da una positiva
valutazione del suo contenuto.
Nulla osta di contro che le parti sociali di comune
accordo e nella loro autonomia privatistica stabiliscano regole comportamentali
che, pur agevolando il controllo, non incidano però in maniera sostanziale sul
diritto, rendendone gravoso o limitandone incisivamente l'esercizio».
Conseguentemente
è stata – dalla S. corte - rigettata la
pretesa aziendale di una “ingerenza” invasiva sulla natura dell’impegno
sindacale, legittimante il permesso e ritenuta – a tal fine – sufficiente la
comunicazione del dirigente provinciale dell’essere il permesso necessitato da
“impegno sindacale dei dirigenti provinciali ai sensi ed agli effetti contrattuali e di leggi in vigore”.
Nella
sostanza l’odierna decisione della
Cassazione inverte il precedente orientamento (di cui a Cass. n. 1492/86), negando
al datore di lavoro il «potere-dovere» di un accertamento preventivo ed
affermando la «sufficienza» di un «affidamento» aziendale sulla dichiarata
fruizione, dietro richiesta anche generica, dei permessi in questione; ne
conseguirà, ad eventuale accertamento a posteriori di un esercizio abusivo, la
mancata retribuibilità coniugata alla sanzione più appropriata al caso
concreto. E’ una posizione – quella di Cass. n. 11759/03 – solo apparentemente
più permissiva e di “favor” per il lavoratore sindacalista; in realtà è
più conforme a diritto ma più rigorosa del precedente orientamento assertore di
un «diritto-dovere» all’accertamento preventivo dalla cui dismissione
discendeva l’inibitoria ad adottare (in caso di abuso acclarato
successivamente) qualsiasi sanzione (in conseguenza del brocardo “imputet
sibi…”). Ora, invece, il riscontro ex post da parte dell’azienda di
uno “sviamento d’uso” – id est di un abuso- del prestatore sindacalista,
legittimerà pacificamente la massima sanzione espulsiva per vulnerazione del
rapporto fiduciario.
5. Determinazione quantitativa
dei permessi, modalità procedurali di utilizzo e misura della retribuzione.
La
misura dei permessi, laddove è stata definita in sede di contratto collettivo,
in ossequio alla volontà del legislatore, ha ricevuto una disciplina
sufficientemente uniforme, tale da non ingenerare sostanziali divaricazioni tra
dipendenti di settori merceologici diversi.
I
permessi sono stati fìssati tra le 8 ore mensili (c.c.n.l. per l'industria dei
manufatti in cemento; c.c.n.l. per le imprese edili, ecc.) e le equivalenti 24
ore nel trimestre (di cui all'art. 4 c.c.n.l. per le industrie metalmeccaniche)
ed i 15 giorni annui (fissati dal c.c.n.l. per le aziende grafiche) e sono stati
correlati alla carica rivestita, consentendosene interpretativamente il cumulo
in capo al dirigente che rivesta più di una carica esterna. Spesso si è
convenuto - in aderenza a posizioni dottrinali e giurisprudenziali (7) - che si
concretizzino di norma in « brevi » o « saltuari » permessi, onde evitare che
l'indeterminatezza di durata dell'astensione dal lavoro favorisca abusi di
diritto oltreché la vanificazione della norma dell'art. 31, afferente
all'aspettativa non retribuita per le assenze consistenti e continuative, rese
necessarie dall'espletamento del mandato.
La
contrattazione collettiva si è anche fatta carico di disciplinare, sotto il
profilo procedurale, le forme, i modi e i tempi della notifica all'azienda,
assolti i quali poter fruire i permessi richiesti. In taluni contratti (8) è
previsto l’obbligo delle Organizzazioni sindacali di comunicare per iscritto alle associazioni territoriali degli industriali, i
nominativi dei titolari del beneficio da carica esterna, la qualifica rivestita e le
eventuali variazioni. Compete poi alle associazioni imprenditoriali informare
l'azienda associata cui il lavoratore appartiene, perché possa positivamente
aderire all'eventuale richiesta del fruitore (fruizione che anche il c.c.n.l.
dei metalmeccanici, tuttavia, subordina
alla condizione - peraltro ora inficiata, in linea di principio, da Cass. n.
11759/03 - che “risulti garantito in ogni reparto lo
svolgimento dell’attività produttiva”) . Negli stessi contratti si è
concordato che la richiesta di permesso sia rivolta all'azienda per iscritto dalle Organizzazioni sindacali richiedenti la presenza di quel certo
lavoratore nelle adunanze dei rispettivi direttivi.
La
pattuizioni – salva l’invalida subordinazione del permesso alle esigenze
aziendali ed alla regolarità dei servizi -
sono indiscutibilmente legittime e del tenore attuativo atteso dal
legislatore statutario, talché è da condividere una specifica, risalente,
decisione (9) che ha confermato la legittimità dell'irrogazione della sanzione
disciplinare della multa al lavoratore che, in luogo di attenersi alla
pattuizione di richiedere preventivamente e per iscritto i permessi, si era
assentato, provvedendo solo a posteriori a documentare la finalità
sindacale, ex art. 30, della propria assenza. Le considerazioni innanzi
svolte circa il ruolo regolamentare delle «modalità di fruizione»definibili
dall'autonomia collettiva in materia, portano invece a dissentire pacificamente
con un'altra, meno recente, decisione (10) la quale ha ritenuto invalida, ex art. 1419 c.c., la pattuizione di cui all'art. 50 c.c.n.l. per le aziende
petrolifere e di raffinazione dell’epoca - condizionante la fruizione del
permesso alla richiesta scritta del sindacato con anticipo di
24 ore - in quanto suppostamente non assolvente ad una funzione integratrice (o
regolamentare) della disciplina legislativa, ma introduttiva di condizioni
limitative e deteriori, in presunta violazione del divieto di cui all'art. 40
stat. lav. Per converso è agevole consentire con le statuizioni del Tribunale
di Bologna (11) - che di per se costituiscono
anche risposta all'opinione in precedenza criticata - secondo cui : «La
richiesta di preavviso scritto per l'utilizzazione dei permessi per i dirigenti
provinciali e la compilazione di moduli atti a rilevare motivazione e modalità
di utilizzo del permesso, non integrano condotta antisindacale perché da un
lato il preavviso è diretto a consentire al datore di lavoro di provvedere ad
ovviare all'annunciata assenza, dall'altro la compilazione della modulistica è
volta a consentirgli di espletare il potere-dovere di controllo circa la
sussistenza dell'impegno sindacale addotto. Inoltre, entrambe le richieste
aziendali non concretano ostacolo agli impegni sindacali », né indebita
ingerenza sugli stessi.
La
fattispecie al vaglio giudiziario atteneva, peraltro, ad una ipotesi in cui la
disciplina contrattuale non era ancora intervenuta, in ordine alle modalità
concretamente attuative del diritto. Ciononostante il Collegio era riuscito,
antesignanamente, a cogliere nelle pretese aziendali -recepite successivamente in soluzioni pattizie ad opera delle
più diffuse clausole contrattuali - l'inesistenza di intenti ostruzionistici
ma, all'opposto, l'aderenza a principi di buona fede oggettiva e di corretta
gestione delle prerogative sindacali, risolventesi in oneri
economico-gestionali per l'azienda.
L'autonomia
contrattuale si è, encomiabilmente e nella maggioranza dei casi, occupata anche
della misura della retribuzione che si accompagna al permesso ex art.
30, come dimostra l'ultimo co. dell'art. 4 D.G., Sez. II, c.c.n.l
metalmeccanici, secondo cui : « le ore di permesso sindacale retribuite saranno
liquidate in base alla retribuzione globale di fatto », sancendo così il
principio della parificazione del trattamento economico del permesso a quello
della giornata di normale prestazione lavorativa. Certo è che non tutti i
contratti hanno provveduto a simili specificazioni, essenzialissime nell'ottica
di prevenire l'insorgere o l'infittirsi del già esistente contenzioso.
Laddove
non si è provveduto tramite analoghe formulazioni (estensive, in quanto
contemplanti l’erogazione non già della «normale retribuzione» ma della
«retribuzione globale di fatto»), appare corretto il ragionamento operato dalla
Cassazione (12) - circa l'ininvocabilità di una nozione onnicomprensiva di
retribuzione agli effetti di individuare il trattamento economico dei permessi ex
artt. 23 e 30 - con la conseguenza della facoltà di scorporare dalla
retribuzione di fatto quelle voci indennitarie che non ne costituiscono normale
componente, per essere giustappunto correlate all' effettiva presenza al
lavoro, implicante rischio e disagi discendenti dalla prestazione (es.
indennità di rischio (13), di maneggio denaro, di rumorosità, calore,
sottosuolo, verniciatura, compenso supplementare pasto e simili) e non
ricorrenti nel disimpegno della funzione sindacale determinante la temporanea
astensione dal lavoro.
Mario
Meucci
Roma, 19 ottobre 2003
Note
1.
Ghezzi, in Commentario
allo Statuto dei lavoratori, Bologna-Roma, 1972, 458.
2.
Pret. Montebelluna 10 ottobre 1983, in Foro it.
1984, I, 2366.
3.
Pret. S. Giovanni Valdarno 7 maggio 1984, in Foro it.
1984, I, 2366.
4.
Montemarano, I
diritti sindacali, Roma 1986,105.
5.
Cass. 6 marzo 1986, n. 1492, trovasi in Foro it. 1986, I, 647.
6.
Cass. 3 maggio 1984 n. 2693 , in Mass. giur. lav.
1984, 484 e 685 con nostra nota; in Riv. it. dir lav. 1985, II, 7, con
nota di Del Punta. In senso conforme, per il diritto (non invasivo) di
accertamento datoriale dei presupposti del permesso, Cass. n. 4302/01, ove
trovasi anche l'affermazione che i permessi sindacali in esame costituiscono
oggetto di un diritto potestativo del dirigente sindacale, dal cui esercizio
discende una situazione di soggezione del datore di lavoro, cui adde,
sempre per la configurazione del diritto ai permessi come diritto potestativo,
Cass. n. 5521/89.
7.
Nel senso che i permessi debbono rivestire natura
saltuaria e sporadica, Cass. 9 settembre 1981 n. 5297.
8.
Vedi il vigente
c.c.n.l metalmeccanici, art. 4 D.G. sez. II, Diritti sindacali.
9.
Pret. Cantù 15
dicembre 1979, in Or. giur. lav. 1980, 325.
10.
Pret. Milano 22
maggio 1972, in Or. giur. lav. 1972, 569.
11.
Trib. Bologna 10 dicembre 1974, in Riv. it. dir. lav.
1975, II, 408 (riformante Pret. Bologna 17 giugno 1974, ibidem)
12.
Cfr. al riguardo Cass. sez. un. 13 febbraio 1984, n. 1073,
in Mass. giur. lav. 1984, 8 con nota di Martinengo.
13.
Per l’esclusione di tale indennità, vedi Pret. Roma 28
dicembre 1973, in Mass. giur. lav. 1974, 174.
All.ta sentenza
Corte di cassazione, Sezione lavoro, 1° agosto 2003, n. 11759
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
ricorso ex articolo 28 Statuto dei lavoratori, depositato in data 4 aprile
1997, la Fit Cisl adiva il Pretore di Bergamo esponendo che la Sab Autoservizi
srl aveva immotivatamente impedito ai membri del direttivo provinciale Sab di
essa Fit Cisl di usufruire dei permessi sindacali ex articolo 30 Statuto dei
lavoratori rispettivamente nelle giornate del 29 gennaio 1997 e del 28 marzo
1997 quanto a Roberto Martinelli, del 13 e 14 marzo 1997 quanto a Vincenzo
Bonzi e del 26 marzo 1997 quanto a Giacomo Malacchi, benché in passato non
avesse mai sollevato ostacoli alla fruizione dei suddetti premessi retribuiti
da parte di costoro. Il relativo diritto era stato negato al Malacchi anche
nelle giornate 10, 12, 14 e 15 marzo 1997 sul presupposto che lo stesso non
fosse membro dell'organo del direttivo provinciale e, poiché l'assenza al
lavoro in dette giornate era stata ritenuta ingiustificata, allo stesso era
stata applicata la sanzione disciplinare della proroga del termine di
decorrenza dell'aumento contrattuale di stipendio. Tutto ciò premesso ed
evidenziato altresì che la società aveva posto in essere una condotta
persecutoria nei confronti dei membri del direttivo provinciale della Fit Cisl,
l'organizzazione sindacale ricorrente chiedeva che venisse dichiarata
l'antisindacalità del comportamento della Sab con l'ordine di cessazione della
condotta e l'eliminazione dei relativi effetti nonché l'annullamento della
sanzione inflitta al Maiacchi.
Dopo la
costituzione del contraddittorio e l'espletamento della fase cautelare, il Pretore
di Bergamo, rigettando l'opposizione al decreto da esso emesso, ed accogliendo
la domanda incidentale dell'organizzazione sindacale, riteneva illegittima la
condotta tenuta dalla Sab Autoservizi srl.
A seguito
di gravame della società, il Tribunale di Bergamo con sentenza del 20 ottobre
1999 rigettava l'appello e condannava la suddetta società al pagamento delle
spese del giudizio.
Nel
pervenire a tale conclusione il Tribunale premetteva che la materia dei
permessi retribuiti dei dirigenti sindacali per la partecipazione alle riunioni
degli organi direttivi provinciali e nazionali non tollera limiti diversi da
quelli derivanti dal diritto stesso, sicché il rinvio in materia alla
contrattazione collettiva non può incidere sui presupposti soggettivi ed
oggettivi del diritto stesso, essendo consentito alle parti sociali di
disciplinare soltanto la fissazione dei limiti quantitativi dei permessi - il
cosiddetto monte ore - nonché le modalità di esercizio, e cioè individuare i
soggetti legittimati ad usufruire di detti permessi ed i termini del preavviso
da notiziare al datare di lavoro. Nel caso di specie doveva, pertanto,
ritenersi nullo il disposto dell'articolo 27 del contratto nazionale di
categoria del 1976, nella parte in cui subordinava la fruizione dei permessi
sindacali ex articolo 30 Statuto dei lavoratori alla compatibilità con le
esigenze aziendali, in quanto con il citato articolo 30 il legislatore non ha
inteso subordinare la libertà sindacale a quella della iniziativa economica
privata ma ha invece voluto contemperare gli opposti interessi attraverso la
previsione di limiti intrinseci quantitativi - la eccezionalità e sporadicità -
e la cautela di ordine temporale e di modalità informative. In mancanza di
qualsiasi disciplina collettiva in materia devono poi supplire gli accordi
individuali e deve intervenire il giudice alla stregua dei principi generali di
integrazione del contratto secondo gli usi e l'equità ex articolo 1384 c.c. nel
rispetto dell'obbligo reciproco di correttezza e buona fede ex articolo 1375
c.c.
In tale
ottica il Tribunale osservava che doveva considerarsi parametro adeguato di
riferimento sia pure nei limiti minimali la determinazione di otto ore mensili
per ogni dirigente delle rappresentanze sindacali aziendali, stabilite
dall'articolo 23 Statuto dei lavoratori con riferimento alle aziende che
occupano da duecento a tremila dipendenti, per la diversa fattispecie di
permessi retribuiti finalizzati allo espletamento dell'attività sindacale
endoaziendale. Ed invero, tale riferimento inteso come limite minimo in
relazione ai "dirigenti interni" lo è ancora di più con riferimento a
quelli "esterni" attesa la maggiore rilevanza della carica sindacale
di questi ultimi. Nel caso di specie tale limite quantitativo era stato però
ampiamente superato ma, come aveva correttamente rilevato il primo giudice, i
permessi retribuiti erano stati negati al Malacchi ed al Martinelli non perché
la Fit Cisl aveva "sforato" il limite quantitativo intrinseco al
diritto in oggetto, ma perché i suddetti rappresentanti sindacali non
risultavano legittimati ad usufruirne per non essere, a parere della società,
membri dell'organo direttivo provinciale. L'assunto della Sab però era stato
smentito dalle risultanze istruttorie, che avevano invece comprovato la piena
legittimazione del Malacchi e del Martinelli. Su tale punto la decisione del
primo giudice non era stata oggetto di specifica censura.
Anche con
riferimento ai permessi richiesti dal Bonzi il diniego era stato giustificato
non con il superamento del limite quantitativo, ma sulla base
dell'impossibilità di sostituzione del dipendente, circostanza pure questa
esclusa dalle risultanze processuali, giusta la decisione di primo grado, che
anche su tale punto non era stata oggetto di specifica impugnativa.
Aggiungeva,
infine, il Tribunale che, pur non essendo necessario per la configurabilità
della condotta antisindacale, l'elemento soggettivo, nella fattispecie in
oggetto era emerso dalla prova per testi che la condotta datoriale era stata
determinata da intento ritorsivo, avendo la società mutato il suo precedente
atteggiamento collaborativo dopo che la Cisl aveva sostenuto, diversamente
dalle restanti organizzazioni sindacali, il diritto agli assegni ad personam
dei dipendenti dell'ex società Busti, che erano stati trasferiti alla Sab.
Contro
tale sentenza la Sab Autoservizi srl propone ricorso per cassazione, affidato
ad un duplice motivo illustrato anche con memoria ex articolo 378 c.p.c.
Resiste con controricorso la Fit Cisl di Bergamo.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Con il
primo motivo la società ricorrente deduce violazione dell'articolo 30 della
legge 300/70 in relazione all'articolo 27 del contratto collettivo di lavoro;
carenza di antisindacalità nel comportamento di essa società sotto il profilo
della osservanza della norma con i limiti in essa previsti; compatibilità con
le esigenze tecnico-aziendali. In particolare la ricorrente sostiene che la
propria condotta era stata determinata dall'obbligo di osservanza della norma
contrattuale, che, recepita dalle parti sociali, aveva inteso conciliare la
libertà sindacale con il servizio pubblico di trasporto. Da qui il
contemperamento delle esigenze di servizio con il diritto ai permessi, che non
potevano che essere eccezionali e sporadici; da qui ancora l'illegittimità
della condotta dell'organizzazione sindacale, che aveva aumentato a dismisura
le proprie richieste di permessi, pretendendone l'adempimento e ponendo in
grave difficoltà il servizio di trasporto che in quel momento non poteva
sopportare alcuna assenza dei lavoratori.
Con il
secondo motivo la ricorrente denunzia violazione dell'articolo 30 Statuto dei
lavoratori in relazione all'articolo 27 contratto collettivo sotto altro
profilo. Deduce al riguardo che i permessi sindacali per i componenti gli
organi delle associazioni dei lavoratori, così come previsto dalla norma
contrattuale, dovevano e debbono essere motivati esclusivamente in ragione
delle riunioni degli organi di appartenenza di tali associazioni, perché solo
da esse trae legittimità la richiesta. Detta richiesta va, dunque, motivata in
modo da consentire al datore di lavoro un effettivo controllo, impedito invece
dall'assenza di qualsiasi precisazione sul luogo, sul tempo e sull'organo che
si riunisce. Non poteva, per concludersi, ritenersi antisindacale il
comportamento tenuto da essa società ricorrente diretto a contrastare numerose
domande non fornite di adeguata motivazione ma limitate soltanto ad affermare
unicamente generici motivi di assenza dei dirigenti sindacali.
Le due
censure, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni
tra loro strettamente connesse, vanno rigettate perché prive di fondamento.
Alla
stregua dell'articolo 30 Statuto dei lavoratori i componenti degli organi
direttivi provinciali e nazionali dei sindacati maggiormente rappresentativi a
norma dell'articolo 19, hanno diritto ai permessi retribuiti per la
partecipazione alle riunioni degli organi stessi. La norma rinvia alla
contrattazione collettiva facendo sorgere delicate problematiche che sono state
oggetto di ampia disamina da parte della dottrina giuslavoristica e dalla
giurisprudenza.
Per i
giudici di legittimità non è consentito, attraverso la contrattazione
collettiva, rendere facoltativa la concessione dei suddetti permessi ovvero condizionare
il riconoscimento del diritto all'assenza di impedimenti di ordine
tecnico-aziendale, devoluti alla discrezionale valutazione del datore di
lavoro, risultando in tal modo pregiudicato l'interesse, costituzionalmente
garantito, sotteso all'articolo 30 dello Statuto (cfr. ex plurimis: Cassazione
435/91; 3430/89, che ha ritenuto consentito prevedere contrattualmente la
quantificazione dei permessi, l'indicazione al datore di lavoro dei dipendenti
legittimati a fruirne e la comunicazione preventiva dei permessi da utilizzare
in concreto, al fine di rendere possibile al datore di lavoro eventuali
sostituzioni; Cassazione 5029/88, che ha ribadito a sua volta la legittimità
della regolamentazione dei permessi ad opera di accordi individuali, oppure secondo
i principi generali di cui all'articolo 1374 c.c. da parte del giudice, in
conformità agli usi o all'equità nel rispetto dell'obbligo reciproco di
correttezza delle parti, rapportato alle finalità della norma e con eventuale
riguardo a discipline contrattuali collettive non regolanti il caso specifico
ma concernenti situazioni analoghe).
In questo
quadro ricostruttivo la Corte di cassazione ha anche avuto modo di precisare
che il giudice nel quantificare in assenza di specifiche disposizioni
contrattuali i permessi può fare riferimento, in via analogica, alla disciplina
degli articoli 22 e 23 Statuto dei lavoratori (cfr. 5520/89; 3430/89).
Contrariamente
a quanto sostenuto in ricorso la sentenza impugnata risulta pienamente
rispettosa degli enunciati principi avendo il Tribunale di Bergamo
correttamente negato che la Sab potesse di fatto disconoscere al dirigenti
sindacali provinciali (di cui ha ritenuto provata la carica rivendicata) i
permessi attraverso il richiamo alle esigenze aziendali e/o a ragioni di
regolarità del servizio di trasporto, tra l'altro non acclarate.
Del resto
ad attestare l'infondatezza dell'assunto della ricorrente è agevole osservare
come il datore di lavoro, al fine di assicurare il pieno esercizio
dell'attività sindacale debba modellare la propria organizzazione e
disciplinare la forza lavoro in modo da rendere effettivo il godimento del
diritto ai permessi, non potendo - come già detto - appellarsi all'esigenza del
regolare svolgimento dell'attività dell'impresa per negare il suddetto diritto
o per limitarne il contenuto.
Ma il
ricorso della società risulta destituito di fondamento anche nella parte in cui
disconosce il diritto ai permessi sul presupposto della mancanza di qualsiasi
motivazione della domanda avanzata dai dirigenti sindacali, adducendo al
riguardo che tale carenza impediva al datore di lavoro qualsiasi controllo
sulla partecipazione alle riunioni degli organi sindacali in ragione delle
quali l'articolo 30 Statuto dei lavoratori riconosce i permessi in questione.
L'esame
di tale assunto comporta la necessità di una preliminare considerazione
teorica.
I
permessi di cui agli articoli 23 e 24 si differenziano da quelli ex articolo 30
Statuto dei lavoratori per spettare i primi a coloro che possono definirsi,
seppure con qualche approssimazione, "sindacalisti endo-aziendali",
cioè a coloro che sono deputati a svolgere la propria attività all'interno
dell'impresa, e per essere invece i secondi riconosciuti a quanti possono
qualificarsi "sindacalisti extra-aziendali" cui, appunto, i benefici
in questione vengono attribuiti in ragione soprattutto del necessario
coordinamento tra singole unità produttive e centri decisionali a carattere
territoriale delle organizzazioni sindacali, ed in considerazione altresì
dell'esigenza che rivendicazioni lavorative locali e settoriali vengano
filtrate ed armonizzate nel più ampio quadro delle politiche generali delle
suddette organizzazioni.
Nella
indicata differenziazione trova fondamento, pertanto, la statuizione secondo
cui i permessi sindacali previsti dall'articolo 30 Statuto dei lavoratori per i
dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali possono essere
utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi direttivi,
come risulta dal raffronto con la disciplina dei permessi per i dirigenti
interni, collegati genericamente all'esigenza di espletamento del loro mandato
e come è confermato dalla possibilità per i dirigenti esterni di fruire
dell'aspettativa sindacale sicché l'utilizzazione per finalità diverse dei
permessi giustifica la cessazione dell'obbligo retributivo da parte del datore
di lavoro che è abilitato ad accertare la effettiva sussistenza dei presupposti
del diritto (cfr. in tali sensi: Cassazione 4302/01 anche per l'affermazione
che i permessi sindacali in esame costituiscono oggetto di un diritto
potestativo del dirigente sindacale, dal cui esercizio discende una situazione
di soggezione del datore di lavoro, cui adde, sempre per la
configurazione del diritto ai permessi come diritto potestativo, Cassazione
5521/89).
Le
argomentazioni sinora svolte inducono così a ritenere che al datore di lavoro,
a fronte dello stato in cui versa che lo costringe a concedere i permessi,
spetta il diritto al controllo volto ad accertare l'effettiva partecipazione
dei sindacalisti, destinatari di tali permessi, alle riunioni degli organi
direttivi (nazionali o provinciali).
Tale
diritto non può però accompagnarsi a formalismi o adempimenti capaci, per le
loro modalità, di limitare l'attività sindacale e di impedire ai dirigenti di
svolgere, in piena libertà ed autonomia, i propri compiti. In altri termini, il
controllo non può concretizzarsi in condotte volte ad accertare in via
preventiva se la richiesta dei permessi sia o meno indirizzata alla
partecipazione alle riunioni. Non è cioè consentito fare dipendere - come si
fosse in presenza di qualche atto autorizzativo - la concessione dei permessi
ad un preliminare esame della relativa domanda e da una positiva valutazione
del suo contenuto.
Nulla
osta di contro che le parti sociali di comune accordo e nella loro autonomia
privatistica stabiliscano regole comportamentali che, pur agevolando il
controllo, non incidano però in maniera sostanziale sul diritto, rendendone
gravoso o limitandone incisivamente l'esercizio.
Ai sensi
delle argomentazioni svolte appare del tutto rispettosa degli indicati principi
giuridici e sorretta da congrua e corretta motivazione - e, conseguentemente,
non suscettibile di alcuna censura in questa sede di legittimità - la decisione
impugnata che, sul presupposto della validità di una clausola contrattuale
destinata a corredare la domanda dei permessi ex articolo 30 Statuto dei
lavoratori di adeguate ragioni giustificative (articolo 27 del contratto
collettivo di categoria applicato dalla società ricorrente), ha concluso per la
piena legittimità di una domanda che, nel rispetto di detta clausola, faceva
riferimento ad "un impegno sindacale" dei dirigenti provinciali
"ai sensi ed agli effetti contrattuali e di leggi in vigore". Dizione
quest'ultima che - come ha puntualmente osservato il Tribunale di Bergamo -
altro non poteva significare che "la riunione del comitato direttivo
provinciale della federazione richiedente indetta per il giorno indicato nella
richiesta".
Per
concludere, nella fattispecie in esame si era in presenza di una clausola
pattizia da considerarsi nulla in relazione alla prevista esigenza di
conciliare il diritto ai permessi con le esigenze aziendali ed, invece,
legittima nella parte con la quale, nel disciplinare la forma della domanda di
permessi, non rendeva con il prescriverne la motivazione il diritto al
controllo gravoso né ne limitava in alcun modo la particolare funzione e la
specifica operatività.
Il
ricorso va, pertanto, rigettato.
Ricorrono
giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del presente
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del presente
giudizio di cassazione.
(Torna all'elenco Articoli nel sito)