Il Patto per l'Italia e la riforma della
disciplina dei licenziamenti
Sommario: 1) Lo schema di deroga all'art 18 St. lav. - 2) Nanismo imprenditoriale e disciplina del licenziamento - 3) Il meccanismo del non computo dei nuovi assunti - 4) La necessità di precisare i principi e i criteri direttivi della
delega - 5) La questione della temporaneità del meccanismo del non computo
dei nuovi assunti - 6) Le reali esigenze di modifica della
disciplina dei licenziamenti.
Nel Patto per l'Italia del 5 luglio 2002 la parti firmatarie si sono accordate su uno schema di modifica dei criteri di individuazione del campo di applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori volto a prevedere il non computo dei nuovi assunti ai fini della determinazione della soglia occupazionale da cui scatta l'operatività della tutela reale. Tale disposizione suscita perplessità in quanto sembra offrire un indiscriminato vantaggio alle imprese, senza operare una distinzione tra piccole e grandi, nonché crea una disparità di trattamento tra datori di pari dimensioni non facilmente giustificabile.
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Il Patto per l'Italia del 5 luglio 2002 (sottoscritto dal lato
delle organizzazioni sindacali dei lavoratori senza la CGIL) contiene
un'apposita parte, su cui si registra l'assenso dei soggetti firmatari,
dedicata all'introduzione di una deroga ai criteri di computo delle soglie
occupazionali che fanno scattare l'applicazione dell'art. 18 St.lav. E' appena
il caso di ricordare che il Governo, nel disegno di legge delega n. 848-S, aveva
previsto tre ipotesi di sospensione del regime della stabilità reale, tutte
motivate dall'obiettivo di sostenere l'incremento dell'occupazione regolare, le
assunzioni a tempo indeterminato e la crescita dimensionale delle imprese
minori [1]. A causa della forte opposizione delle organizzazioni sindacali
dei lavoratori, il Governo ha prima spostato la relativa disposizione in un
altro disegno di legge (n. 848-bis), per poi avviare una trattativa su un
complesso di argomenti (mercato del lavoro, sommerso, fisco, previdenza), che
per ora si è conclusa con la stipula del Patto già citato e il mantenimento di
una sola, anche se con qualche (non irrilevante: cfr. infra) modifica, delle
originarie proposte di sospensione degli effetti della stabilità reale.
1) Lo schema di deroga all'art. 18 St.lav.
La misura in esame è presa in considerazione in uno specifico punto
del Patto a cui segue in allegato il testo vero e proprio della delega al
Governo per darvi attuazione.
Così, nel Patto al punto 2.6. - denominato "misure
temporanee e sperimentali per l'occupazione regolare e la crescita dimensionale
delle imprese" - si legge che "Governo e parti sociali condividono il
testo di delega al Governo allegato al presente documento che contiene misure
temporanee e sperimentali a sostegno dell'occupazione regolare e della crescita
dimensionale delle imprese".
Il testo della delega, allegato al Patto, si compone di un
articolo, con un unico lungo comma, secondo cui "ai fini di sostegno della
occupazione regolare e della crescita dimensionale delle imprese il Governo è
delegato ad emanare in via sperimentale uno o più decreti legislativi, entro il
termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel
rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) ai fini della
individuazione del campo di applicazione dell'articolo 18 della legge 20 maggio
1970, n. 300, e successive modificazioni, non computo nel numero dei dipendenti
occupati delle nuove assunzioni mediante rapporti di lavoro a tempo indeterminato,
anche part-time, o con contratto di formazione e lavoro, instaurati nell'arco
di tre anni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi; b)
inapplicabilità della misura di cui alla lettera a) ai datori di lavoro,
imprenditori e non imprenditori, già rientranti, al momento dell'entrata in
vigore della presente legge, nel campo di applicazione dell'articolo 18 della
legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, in quanto abbiano
occupato mediamente nei dodici mesi precedenti, un numero di dipendenti
corrispondente alle soglie dimensionali indicate dallo stesso articolo 18; c)
non riconducibilità al concetto di nuova assunzione delle ipotesi di subentro
di un'impresa ad un'altra nella esecuzione di un appalto, là dove è presente
una disposizione di legge o una clausola contrattuale a tutela del passaggio
del personale alle dipendenze dell'impresa subentrante; d) previsione di misure
di monitoraggio coerenti con la natura sperimentale del provvedimento; e)
previsione che decorsi ventiquattro dalla data di entrata in vigore dei decreti
legislativi di cui al presente articolo il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali procederà ad una verifica, con le organizzazioni dei datori
di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale, degli effetti sulle dimensioni delle imprese, sul mercato del lavoro
e sui livelli di occupazione nel frattempo determinatisi, al fine di consentire
al Governo di riferirne al Parlamento e valutare l'efficacia della misura".
2) Nanismo imprenditoriale e disciplina del licenziamento
Ritornando al punto 2.6. del Patto, qui si sottolinea che "la
norma proposta ha lo scopo di promuovere nuova occupazione regolare attraverso
misure sperimentali - e perciò temporanee - che hanno l'obiettivo di
incoraggiare la crescita dimensionale delle piccole imprese". A sostegno
della soluzione proposta, vengono presentati dati statistici da cui
"appare evidente che nella classe dimensionale 10-19 addetti oltre i due
terzi delle imprese si colloca nella fascia sotto i 15 dipendenti e che in
quest'ambito l'occupazione è doppia rispetto alla dimensione oltre il 15".
In sostanza, nel Patto si accoglie l'idea che le regole del mercato del lavoro
- e in particolare la tutela reale nei confronti del licenziamento illegittimo
- quando siano di differente intensità in funzione delle dimensioni delle
imprese, producano il cosiddetto "effetto soglia" e cioè spingano le
imprese a non accrescere le proprie dimensioni, in modo da non superare la
soglia occupazionale a partire dalla quale scatta l'applicazione della
disciplina più rigida: in questo caso, l'art. 18 St. lav. che appunto opera per
le unità produttive con più di quindici dipendenti (o più di cinque se si
tratta di imprenditori agricoli) [2] . Tuttavia, l'idea citata non sembra
ancora trovare validi riscontri empirici. In effetti, una cosa è il cosiddetto
"nanismo imprenditoriale" - vale a dire la caratteristica italiana
della presenza di un enorme numero di piccole imprese, in cui si concentra una
quota rilevante dell'occupazione - ben altra cosa è ritenere che la causa di
questo fenomeno sia costituita dalla rigidità delle regole lavoristiche che si
applicano (come l'art. 18 St. lav.) qualora l'impresa raggiunga una certa
soglia occupazionale. In questa sede, è opportuno rinviare agli approfonditi
studi disponibili che appunto lasciano ipotizzare che "l'imprenditore non
si attesta su una determinata dimensione d'impresa solo per godere dei vantaggi
derivanti da una più facile o meno costosa licenziabilità dei dipendenti" [3] . E al termine
di una rassegna completa delle più recenti ricerche in materia, si è affermato
che "non c'è dubbio tuttavia che la spiegazione secondo la quale lo
Statuto" - dei lavoratori -, "o, più in generale, la presenza del
sindacato ha svolto un ruolo significativo nel determinare l'attuale struttura
dimensionale dell'industria italiana, nel senso che ha frapposto ostacoli di
vari natura alla crescita 'fisiologica' delle dimensioni d'impresa, non è
sembrata trovare alcun elemento di supporto sia sul piano quantitativo sia su
quello più generale della riflessione" [4]. Comunque, da
ultimo, un'autorevole smentita del cosiddetto "effetto soglia"
indotto soprattutto dalla normativa sui licenziamenti (ma anche da quella sui
diritti sindacali privilegiati del titolo III dello Statuto), proviene dal
Rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2001 dell'ISTAT, da cui emerge
come non via sia un particolare affollamento di imprese al di sotto della
soglia dei 16 dipendenti, come invece dovrebbe essere se la suddetta soglia
fosse così decisiva nell'influenzare le decisioni imprenditoriali di aumentare
l'organico. Nello stesso Rapporto si legge peraltro che "in un contesto
che evidenzia una notevole mobilità dimensionale delle imprese, seppure
riferita alla persistenza o meno nella identica situazione occupazionale da un
anno all'altro, non sembrano emergere discontinuità rilevanti nella propensione
mediamente rilevata all'incremento dell'occupazione dipendente". E si
aggiunge che "ciò vale anche con riferimento specifico alla soglia dei 15
dipendenti, che non sembra rappresentare - sulla base della dinamica
occupazionale delle singole imprese riscontrata da un anno all'altro - un punto
di discontinuità chiaramente riscontrabile" [5] .
3) Il meccanismo del non computo dei nuovi assunti
Beninteso, nel Patto è stata accolta l'idea qui criticata e quindi
si tratta di andare avanti nell'esaminare come la misura attuativa è stata
costruita. Anche se le valutazioni riportate nel Patto offrono lo spunto per
ulteriori considerazioni proprio riguardo al cosiddetto "effetto
soglia". Infatti, nello stesso Patto si spiega che "più volte le
parti sociali hanno concordato con il Governo il 'non computo' di alcune
categorie di lavoratori (tendenzialmente i nuovi assunti) ai fini della
individuazione del campo di applicazione dello Statuto dei lavoratori, o
comunque hanno accettato - per incrementare i livelli di occupazione ovvero
contrastare situazioni di crisi occupazionale - che questi occupati aggiuntivi non
dovessero essere calcolati, in modo tale da consentire che alle aziende
interessate, se inferiori in partenza ai 16 dipendenti, continuasse ad
applicarsi la normativa vigente per quella dimensione d'impresa". E si
aggiunge che "tali accordi sono stati tradotti in altrettante norme di
legge che hanno interessato i contratti di formazione e lavoro nel 1984, i
contratti di apprendistato nel 1987, i contratti di reinserimento nel 1991, i
lavoratori interinali nel 1997, e i lavoratori socialmente utili (LSU)".
Va osservato che tutte queste ipotesi già esistenti - in cui il
lavoratore è come se fosse trasparente o invisibile ai fini di una determinata
normativa - appaiono introdotte direttamente per favorire l'occupazione di
queste tipologie di soggetti: il datore, che occupa già quindici dipendenti, se
stipula con un giovane un contratto di apprendistato non corre il rischio di
essere assoggettato all'art. 18 St.lav., e quindi viene stimolata l'occupazione
di tali soggetti. Mentre, la misura del Patto sembra più che altro rivolta alle
imprese: e come se si lanciasse un segnale a queste, spingendole a effettuare
eventuali nuove assunzioni, con la promessa che comunque l'eventuale riduzione
degli organici resterà governata dalle regole meno rigide, qualunque fosse la
dimensione raggiunta. Inoltre, quando il legislatore ha stabilito
"l'invisibilità normativa" di alcune tipologie di lavoratori lo ha
fatto proprio in considerazione della particolare debolezza di questi sul
mercato del lavoro: come per i giovani assumibili con i contratti di formazione
e lavoro e di apprendistato, o per i disoccupati cui si rivolge il contratto di
reinserimento e per i lavoratori socialmente utili; oppure, è il caso del
lavoro temporaneo, l'invisibilità normativa rappresenta un incentivo
all'utilizzo di questa tipo di rapporto in forza della comprovata convinzione
che così si ampliano le occasioni lavorative, in partenza flessibili, ma che
possono poi concretarsi in occupazione stabile. Invece, la misura accolta dal
Patto opererà in modo indifferenziato e cioè come una sorta di bonus concesso
agli imprenditori, senza altra giustificazione diversa da quella dichiarata di
cercare di ridurre il fenomeno del "nanismo imprenditoriale" ovvero,
come si vedrà tra poco, di promuovere tout court la crescita
dimensionale delle imprese indipendentemente dalla base occupazionale di
partenza. Tuttavia, con riguardo al rapporto tra "effetto soglia" e
"nanismo imprenditoriale", proprio l'esistenza dei cosiddetti
lavoratori invisibili, dimostra che "già adesso il sistema consente
alle piccole imprese di superare la mitica soglia dei 15 addetti, evitando di
restare sottoposte al regime dello Statuto dei lavoratori in materia di
licenziamenti". A tal punto che "certe imprese artigiane...
attraverso l'assunzione di apprendisti possono arrivare a sfiorare
complessivamente i 40 addetti continuando a restare soggette al regime di
tutela meramente risarcitorio, proprio della piccola impresa", nonché
mantenendo la qualifica di impresa artigiana e conservando quindi i relativi
benefici previsti da varie normative. Insomma, proprio le ipotesi vigenti di
non computabilità di varie categorie di lavoratori sembrano dimostrare in modo
convincente "la vacuità della querelle sull'effetto soglia" [6] , o comunque
la proiettano al di là del limite dei quindici dipendenti, e pertanto vi
sarebbe il bisogno di analisi più analitiche al momento non disponibili.
Orbene, dopo avere svolto le citate osservazioni sulle ipotesi già
accennate di invisibilità normativa, il Patto continua nell'affermare che
"anche in questo caso la norma ripropone la formula del "non
computo", riferendola a tutti i contratti di lavoro ma limitandola - in
via sperimentale - ad un arco di tempo triennale e, per quanto riguarda lo
Statuto dei lavoratori, al solo art. 18. A differenza delle normative e degli
accordi sopra citati essa non riguarda infatti i diritti sindacali. La misura
proposta verrà strettamente monitorata e la sperimentazione si concluderà con
una verifica congiunta del Governo con le parti sociali sugli effetti prodotti
in termini di maggiore occupazione e di crescita dimensionale delle
imprese". E "in conclusione, la norma proposta non modifica in alcun
modo le tutele di cui dispongono attualmente i lavoratori italiani né la
disciplina che oggi si applica alle diverse categorie d'impresa. Essa, per
contro rappresenta una misura promozionale per incentivare nuove assunzioni
regolari a favore di soggetti che attualmente sono esclusi da ogni tutela a
partire dal vero bene primario che è il diritto al lavoro".
Ora, quest'ultima affermazione lascia un po' perplessi: essa
infatti presuppone una stretta correlazione tra garanzia del diritto al lavoro
per chi ne è attualmente privo ed eliminazione dei diritti del lavoro.
L'obiettivo di dare un lavoro a chi non ce l'ha viene realizzato sacrificando
quelle garanzie esistenti che potrebbero applicarsi al disoccupato qualora
fosse assunto [7]. Il rischio è quello, continuando di questo passo, di arrivare a
legittimare condizioni lavorative di tipo ottocentesco, pur di aumentare il
tasso di occupazione [8].
Riguardo alle modalità tecniche con cui è costruita la
disposizione, va detto che è riscontrabile una contraddizione tra il punto 2.6.
del Patto (dove si spiegano le finalità della riforma) e l'articolato allegato
al medesimo documento. Infatti, come s'è già visto, nel punto 2.6. del Patto si
dice che "la norma proposta ha lo scopo di promuovere nuova occupazione
regolare attraverso misure sperimentali - e perciò temporanee - che hanno
l'obiettivo di incoraggiare la crescita dimensionale delle piccole
imprese". Vero è che in altre parti dello stesso punto 2.6. si parla solo
di sostegno o di incoraggiamento alla "crescita dimensionale delle
imprese". Tuttavia, dalla lettura complessiva di tutto il punto 2.6. si
coglie come l'obiettivo sia quello di stimolare la crescita dimensionale delle
imprese minori: altrimenti non si capirebbe la ragione per cui vengono
riportati vari dati statistici che (secondo gli estensori del documento)
mettono in evidenza il preponderante numero di imprese al di sotto della soglia
dimensionale dei 16 dipendenti nonché la prevalente concentrazione
dell'occupazione nelle medesime. Però, nella disposizione proposta sono
contenuti "principi e criteri direttivi" che permettono di intervenire
in modo globale sul campo di applicazione dell'art. 18 St.lav.: per esempio, si
afferma, senza alcuna specificazione, che "ai fini della individuazione
del campo di applicazione dell'articolo 18" St.lav. va previsto il
"non computo..."; oppure ci si ferma al solo riferimento "alle
soglie dimensionali indicate dallo stesso articolo 18". Mentre, in
effetti, nel progetto originario dell'art. 10 del disegno di legge n. 848 (e
anche nell'art. 3 del successivo disegno di legge n. 848-bis) i principi e i
criteri direttivi di esercizio della delega sono, almeno sotto questo profilo,
più dettagliati, perché nella disposizione si parla esplicitamente di
"incoraggiamento della crescita dimensionale delle imprese minori",
così fissando dei confini, seppure imprecisi, all'azione del legislatore
delegato.
Con ciò si intende dire che la formula del testo allegato al Patto
apre la strada non solo a sancire il non computo dei nuovi assunti ai fini
della soglia dei 16 dipendenti nell'unità produttiva (come dovrebbe essere stando
alle intenzioni pubblicamente dichiarate dei firmatari e alla completa storia
della vicenda in esame), ma anche a stabilire lo stesso non computo ai fini
della soglia dei 61 dipendenti complessivamente occupati dal datore di lavoro.
Se si realizzasse un'ipotesi del genere, l'intervento non sarebbe affatto
diretto a sostenere la crescita dimensionale delle imprese minori, ma potrebbe
favorire anche le imprese con più di 60 dipendenti, che sicuramente non
rientrano nella categoria del "piccolo" com'è stata fin qui
pubblicizzata.
4) La necessità di precisare i principi e i criteri direttivi della
delega
La verità è che, se si volesse sostenere effettivamente la crescita
dimensionale delle sole piccole imprese, bisognerebbe rendere più precisi i
"principi e criteri direttivi" della delega in esame: per esempio, si
dovrebbe stabilire che in questo caso vada prima riformato il campo di
applicazione dell'art. 18 St.lav. e solo dopo andrebbe previsto il non computo
dei nuovi assunti. Così, il legislatore delegato sarebbe costretto a disegnare
un nuovo campo di applicazione della tutela reale, utilizzando quale termine
principale di riferimento l'organizzazione complessiva del datore di lavoro,
invece che l'unità produttiva. A questo proposito, un significativo punto di
riferimento è rappresentato dalla proposta di chi, per incentivare la crescita
delle piccole imprese, aveva suggerito di escludere sì i nuovi assunti dal
computo dei dipendenti ai fini dell'applicazione dell'art. 18 St.lav., a
condizione però che questo avvenisse "per un ragionevole arco
temporale" e che "l'impresa non cresca oltre una certa dimensione
occupazionale complessiva: ed esempio 25 dipendenti". E quindi "fino
a tale limite, l'impresa resterebbe nella medesima situazione di esenzione nella
quale si trovava in partenza" [9] al disotto della soglia dei 16 occupati.
L'adozione di una soluzione del genere non dovrebbe correre grossi rischi di
sollevare questioni di legittimità costituzionale sul piano del rispetto del
principio d'uguaglianza. Infatti, vero è che, durante il periodo della
sperimentazione, sarebbero in vigore due differenti normative sul campo di
applicazione della tutela reale, ma questa disparità di trattamento potrebbe
essere giustificata dalla specifica finalità di incentivare la crescita delle
piccole imprese, proprio grazie alla fissazione della soglia dimensionale
superiore al di là della quale l'esenzione dalla tutela reale non potrebbe
avere corso.
Ma nello schema di delega non c'è nulla di tutto ciò: il ghost
writer del testo normativo, forse pur rendendosi conto della questione qui
evocata, si è limitato a costruire una disposizione che permette al legislatore
delegato di lasciare fermo l'attuale campo di applicazione dell'art. 18
St.lav., prevedendo soltanto che ai fini del raggiungimento delle soglie ivi
stabilite (e cioè sia dei 16, dei 6 e anche dei 61 dipendenti) non si computano
i neo assunti a partire dall'entrata in vigore dei relativi decreti
legislativi. Pertanto, è confermata l'ipotesi poc'anzi avanzata: vale a dire
che, al di là di quanto fin qui dichiarato da autorevoli esponenti del Governo
e per giunta di quanto consacrato nello stesso punto 2.6. del Patto, la
progettata modifica permetterà (non solo alle piccole imprese, ma) a qualsiasi
datore di lavoro di effettuare assunzioni senza temere di dovere essere
assoggettato alla disciplina di cui all'art. 18 St.lav.
Di conseguenza, vi sarà un periodo - quello della sperimentazione -
in cui coesisteranno datori di lavoro sottoposti a diversi regimi sanzionatori
del licenziamento individuale (tutela reale o obbligatoria), pur avendo gli
stessi occupati; oppure potrà anche verificarsi il caso in cui un datore con
più dipendenti di un altro sarà sottoposto al più favorevole regime della
stabilità obbligatoria (grazie al meccanismo del non computo dei nuovi
assunti), mentre il secondo potrà subire l'applicazione della stabilità reale.
Sotto questo profilo, la misura in fase di introduzione corre il rischio di
essere contestata sul piano della legittimità costituzionale per violazione del
principio d'uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. Ma a sostegno di tale
meccanismo è stata svolta un'articolata argomentazione. In primo luogo s'è
messo in evidenza che "esiste certamente un vincolo costituzionale posto
dalla necessità di evitare che, attraverso queste misure" (come quella del
non computo dei nuovi assunti), "si realizzino ingiustificate
discriminazioni tra persone che lavorano in imprese con pari numero di
addetti". E si è aggiunto, in sintonia con le affermazioni presenti nel
Patto, che "anche in questo caso già oggi esistono, a tutela di interessi
ritenuti meritevoli, situazioni alquanto differenziate tra imprese di analoghe
dimensioni in ragione del non computo di determinate categorie di lavoratori:
apprendisti, lavoratori interinali, lsu, lavoratori assunti con contratto di
reinserimento" [10] . A suggellare la fondatezza di tale
ragionamento s'è ricordata la pronuncia della Corte costituzionale che ha
ammesso la legittimità, proprio rispetto all'art. 3 Cost., della previsione, di
cui all'art. 21, comma 7, della legge n. 56/1987, che esclude i giovani assunti
con contratto di apprendistato "dal computo dei limiti numerici previsti
da legge e contratti collettivi di lavoro per l'applicazione di particolari normative
ed istituti" e quindi anche dell'art.18 St.lav. Di fronte all'evidente
circostanza che la disposizione impugnata, proprio in relazione
all'individuazione della concreta disciplina sanzionatoria del licenziamento,
introduce differenziazioni tra titolari di aziende di pari dimensione e
"incide su fondamentali strumenti di tutela dei lavoratori", la Corte
ne ha comunque riconosciuto la ragionevolezza sulla base dell'argomento che ciò
è giustificato dalla scelta di "incentivare l'apprendistato" in
"presenza di una grave ed acuta crisi dell'occupazione giovanile".
Anche se la Corte ha precisato che "il riconoscimento del carattere
necessitato ed urgente di tale intervento in vista della tutela del diritto al
lavoro dei giovani, da un lato non può giustificare inerzie nella ricerca di
altri strumenti che non incidano su tali valori" - il "principio
d'uguaglianza e altri valori di rilevanza costituzionale" -,
"dall'altro non preclude una riconsiderazione della questione ove il
sacrificio di questi si protragga troppo a lungo, pur in presenza di
significative modificazioni della situazione considerata" [11] .
Tuttavia, sia consentito manifestare qualche perplessità sulla
linearità di tale argomentazione. Anzitutto, va detto che non convince
l'assimilazione tra la proposta del non computo dei nuovi assunti e le altre
ipotesi di non computo di alcune particolari categorie di lavoratori. Ciò
perché, come s'è già osservato all'inizio di queste pagine, nelle fattispecie
vigenti il non computo di alcuni lavoratori produce effetti tendenzialmente
temporanei oppure le distorsioni da esso prodotte sono giustificate da
molteplici specifiche ragioni. Per esempio, se si assume un apprendista e fino
a quando dura il contratto di apprendistato questi non è computato nella soglia
occupazionale che fa scattare l'art. 18 St.lav., ma poi, alla scadenza del
contratto, o il datore recede oppure assume l'ex apprendista e da quel
momento egli verrà computato come gli altri. Nel lavoro temporaneo, la missione
ha una scadenza prefissata e comunque i lavoratori temporanei non possono
superare certe percentuali dei dipendenti dell'utilizzatore; peraltro, il non
computo del lavoratore temporaneo trova ragione nella costruzione tecnica di
tale rapporto che non è altro che una speciale ipotesi di appalto di
manodopera: e quindi i lavoratori temporanei non sono formalmente dipendenti
dell'utilizzatore. Il contratto di reinserimento è destinato a lavoratori in
particolare condizione di debolezza (che fruiscono da almeno dodici mesi del
trattamento speciale di disoccupazione) ed è di fatto utilizzabile solo in un
settore, come quello edile, in cui la precarietà dell'occupazione è
strutturale, dove quindi è ragionevole incentivare con misure aggiuntive
l'assunzione di soggetti che godono di trattamenti economici a carico della
comunità. Quanto ai lavori socialmente utili, va detto che qui il legislatore
non ha utilizzato la tecnica del non computo, bensì ha escluso direttamente la
sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato: e ciò è apparso ragionevole
in considerazione della primaria esigenza dell'istituto di fornire sostegno
economico a soggetti privi di occupazione in cambio però dello svolgimento di
un'attività di utilità collettiva. Anche perché va considerato che i lavori
socialmente utili hanno avuto svolgimento esclusivo presso le pubbliche
amministrazioni, e perciò in un contesto in cui permangono forti differenze
rispetto al lavoro privato ed esiste l'esigenza di rilievo costituzionale di
impedire immissioni in ruolo in violazione della regola del concorso pubblico.
La tecnica dell'esclusione della instaurazione di un rapporto di lavoro
subordinato è stata utilizzata anche in relazione ai tirocini pratici e agli stages
in azienda, alle borse lavoro, ai piani di inserimento professionale e ad altri
meccanismi similari, laddove si è perseguito l'obiettivo di favorire il
contatto con il mondo del lavoro di giovani ancora impegnati nel ciclo
formativo ovvero inoccupati o disoccupati, ma in modo pur sempre temporaneo e
collegato allo svolgimento di attività di tirocinio e di formazione.
Insomma, ciò che non convince della proposta del non computo dei
nuovi assunti è appunto la sua portata radicale: a partire da un certo momento,
e per i tre anni della prevista sperimentazione, tutti i nuovi assunti non
verranno calcolati ai fini della soglia di applicazione dell'art. 18 St.lav.,
senza altra giustificazione che non sia quella, dichiarata, che tale misura
serve ad incentivare l'occupazione regolare e la crescita dimensionale delle
imprese. Certo, è evidente che lo scopo finale non è solo il sostegno
dell'aumento delle dimensioni delle imprese, ma anche la promozione
dell'occupazione regolare, perché non v'è dubbio che lo sviluppo
dell'occupazione rappresenta l'effetto provocato dall'incremento delle dimensioni
delle imprese. Infatti, chi condivide la misura ha chiaramente affermato che
"la non computabilità si giustifica in ragione dell'obiettivo di creare,
attraverso il sostegno alla crescita dimensionale delle imprese, occupazione
aggiuntiva" [12] e ha esplicitamente collocato il proprio ragionamento nell'alveo
della nota teoria insider-outsider. A questo riguardo, tuttavia, sia
consentito ribadire un forte dissenso nei confronti dell'idea (della quale la
disposizione in commento è un riflesso) secondo cui forme di deroga
peggiorative ai livelli di tutela vigenti, sul piano del diritto del lavoro,
bastino da sole per incentivare le imprese a crescere e ad effettuare nuove
assunzioni. Come se fosse vero "l'assioma: assumerei se potessi licenziare",
di cui invece è dimostrata l'assenza di fondatezza o quantomeno di capacità
persuasiva [13]. In un Paese con forti squilibri territoriali, come l'Italia,
caratterizzato dalla quasi piena occupazione nel Centro-Nord e da una endemica
disoccupazione nel Mezzogiorno, non pare proprio che i problemi di un mercato
del lavoro così differenziato possano essere affrontati in modo tanto
semplicistico e per giunta non diversificato, come si propone con
l'agevolazione in discussione [14]. Pertanto, la sensazione è che con tale
misura si sia cercato di venire incontro, sebbene in forma attenuata rispetto
all'ipotesi di partenza, alle istanze provenienti da quei variopinti ambienti,
in cui trovano espressione allo stato puro gli animal spirits del
mercato, che da tempo hanno sferrato una massiccia offensiva nei confronti
della disciplina dei licenziamenti e in particolare della tutela reale [15]. Sicché, può
essere ribadita la considerazione autorevolmente avanzata nei confronti del
progetto originario di deroga all'art. 18 St.lav., secondo cui "può venire
il sospetto che il senso politico dell'operazione sia solo quello di riportare
indietro le lancette dell'orologio e che quindi la effettiva posta in gioco sia
solo quella di un secco recupero di potere datoriale di vecchio stampo
all'interno delle organizzazioni produttive" [16]. In effetti,
basti qui sottolineare che la tutela reale nei confronti del licenziamento
ingiustificato garantisce l'effettività di tutti i diritti dei lavoratori e
quindi anche di quelli collettivi che si concretano nella libertà di
organizzazione e di azione sindacale. Di conseguenza, tale tutela costituisce
la precondizione affinché possa dispiegarsi l'attività rivendicativa e
contrattuale del sindacato i cui risultati, ovviamente, non toccano solo i
lavoratori dove trova diretta applicazione la tutela reale, ma anche, seppure
con modalità articolate, quelli delle piccole imprese [17] .
5) La questione della temporaneità del meccanismo del non computo
dei nuovi assunti
Inoltre, va posta attenzione sulla circostanza che, benché da parte
governativa si continui ad affermare che il provvedimento avrà natura
temporanea, ciò significa soltanto che al termine della fase di sperimentazione
si dovrà decidere sulla sorte della misura. Ma tutti i soggetti che ricadranno
nell'ambito di applicazione della tecnica del non computo, e cioè i nuovi
assunti a partire da una certa data che quindi non verranno calcolati,
resteranno così invisibili in modo durevole. Questa soluzione trova conferma
nell'opinione di chi dice che "è evidente, e anche logico, che i
lavoratori assunti nel triennio saranno esclusi dal computo anche una volta
decorso il triennio": e ciò perché "la misura non avrebbe altrimenti
senso e non avrebbe alcun effetto incentivante sul presupposto che nessuna
impresa si arrischierebbe a superare la soglia dei 15 dipendenti con la
certezza che, una volta decorso il triennio, rientrerebbe automaticamente nel
campo di applicazione dell'art. 18" [18] . Qui si
rivela il vero volto dell'innovazione proposta: essa non sarà affatto
temporanea, ma si risolverà in una modifica permanente, a partire da una certa
data, dei criteri di computo dei lavoratori ai fini dell'individuazione del
campo di applicazione dell'art. 18 St.lav. Pertanto, cercare di giustificare la
deroga al principio di uguaglianza realizzata con questa misura, sulla base del
fatto che essa abbia durata temporanea, di fatto rappresenta un artificio
ermeneutico che scambia la limitata durata nel tempo della sperimentazione con
l'effetto durevole da essa prodotto. Anche perché al termine della
sperimentazione si apriranno due strade. Se si saranno verificati risultati
positivi sul piano occupazionale è probabile che si opterà per prolungare nel
tempo il suddetto meccanismo; ma se non vi saranno questi risultati, o
quantomeno se non vi saranno dati certi che confermano la connessione tra
l'agevolazione e la crescita occupazionale, sicuramente prevarrà la posizione
di chi vorrà ritornare all'antico: ma, in questo secondo caso, quale sarà la
sorte dei neo assunti nel periodo di sperimentazione? Tenendo conto della
citata pronuncia della Corte costituzionale sul non computo degli apprendisti -
in cui è forte la sottolineatura che la legittimità del non computo degli
stessi dipende anche dalla natura temporanea di questa esenzione - v'è il
sospetto che l'eventuale scelta di escludere sine die il computo dei
nuovi assunti durante il triennio di sperimentazione (e quindi di lasciarli
invisibili per un periodo indefinito) apra insormontabili questioni di legittimità
costituzionale proprio sotto il profilo della violazione del principio
d'uguaglianza. Quindi, anche sotto questi profili, la prospettata riforma
sembra aprire più problemi di quanti ne possa risolvere.
Peraltro, va segnalato che la misura in discussione presenta
l'inevitabile rischio di incentivare l'invenzione di fantasiosi escamotages pur
di raggiungere l'obiettivo di sfuggire all'applicazione dell'art. 18 St.lav.
Uno di questi può essere costituito dall'utilizzazione della normativa sul
trasferimento d'azienda, per frammentare un impresa unitaria in più tronconi al
di sotto delle soglie legali, per poi procedere a nuove assunzioni che comunque
non farebbero scattare l'applicazione dell'art. 18 St.lav. Oppure, può
verificarsi la piratesca situazione in cui un datore, già rientrante nel campo
di operatività dell'art. 18 St.lav., cessi l'attività e la riapra sotto diversa
intestazione, in modo tale che tutte le assunzioni possano essere considerate
nuove alla stregua della suddetta normativa. Per evitare fenomeni distorsivi
del genere non basta, come si limita a stabilire lo schema di delega, la
previsione della non riconducibilità al concetto di nuova assunzione delle
ipotesi di successione nel contratto di appalto, oppure dell'inapplicabilità
della misura ai datori già rientranti, al momento dell'entrata in vigore della
legge, nel campo di applicazione dell'art. 18 St.lav. Invece, sarebbe
opportuno integrare ampiamente la delega, con principi e criteri direttivi che
appunto permettano di colpire tutti quei fenomeni che di fatto si possono
risolvere in un godimento fraudolento della nuova agevolazione.
6) Le reali esigenze di modifica della disciplina dei licenziamenti
Comunque, spiace sottolineare come la scelta consacrata nel Patto
per l'Italia, vada in controtendenza rispetto ai suggerimenti da tempo
provenienti dalla cerchia degli esperti rispetto alle reali esigenze di
modifica della disciplina dei licenziamenti. Basti qui sottolineare l'avvertita
necessità di aprire una seria discussione sull'aggiornamento del tradizionale
criterio della soglia occupazionale ai fini dell'applicazione della tutela
reale. Sotto questo profilo, è da ricordare la proposta di combinare il
tradizionale indice numerico-occupazionale di cui all'art. 18 St.lav. con elementi
- come il fatturato, il valore aggiunto, il capitale investito - in grado di
misurare, con maggiore attendibilità, l'effettiva forza economica dell'impresa [19]. D'altra
parte, anche nel diritto del lavoro, ogni criterio selettivo, e quindi pure
quello dimensionale, è di per sé relativo. E cioè, "nelle economie di
mercato", la normativa in materia di licenziamenti è "inevitabilmente
il risultato di un compromesso fra esigenze dell'impresa e del lavoro (fra
efficienza ed equità, per esprimersi col linguaggio tanto in voga fra certi
studiosi di scienze sociali): compromesso storicamente variabile e assai
comunemente espresso, in termini normativi, proprio attraverso la fissazione di
una soglia dimensionale, al di sotto della quale operano regole più elastiche" [20] . Inoltre, di
notevole importanza sembrano le ragionevoli sollecitazioni ad "intervenire
sui meccanismi che rendono patologica e lesiva per entrambe le parti del
rapporto la durata dei giudizi" [21], attraverso precise modifiche delle
procedure per le controversie in tema di licenziamento [22] nonché
dell'ammontare e delle forme di pagamento delle relative indennità [23] .
Uno degli aspetti positivi del Patto è l'impegno assunto dal
Governo di sopprimere la disposizione del disegno di legge delega n. 848-bis in
materia di arbitrato, che, com'è noto, permettendo all'arbitro di pronunciarsi
secondo equità, aveva ricevuto fortissime critiche per la sua capacità di
determinare una destrutturazione globale del sistema delle tutele dei diritti
inderogabili dei lavoratori [24]. Più controversa è la soluzione accolta
nel Patto per la riforma della disciplina in materia di "cessione di ramo
d'azienda". Ma di notevole importanza è che nel Patto è assente qualsiasi
presa di posizione nei confronti di un'altra proposta governativa - questa
contenuta nell'art. 1 dell'originario disegno di legge n. 848, in discussione
in Parlamento - consistente nella legalizzazione dello staff leasing, e
cioè della somministrazione di manodopera a tempo indeterminato da parte delle
(anch'esse riformate) agenzie di lavoro temporaneo. E' evidente che
l'introduzione di tale istituto potrebbe permettere il permanente aggiramento
dell'art. 18 St.lav. [25], e quindi di fatto ridurrebbe le tutele
da esso previste ad un mero flatus vocis. Sicché, è necessario che tutto
il mondo sindacale non si accontenti dei risultati fin qui raggiunti -
emblematico è il dietro-front del Governo in tema di licenziamenti rispetto
alla proposta di partenza - e mantenga alta l'attenzione nei confronti di
una strategia che, vista nel suo complesso, continua a presentare la
caratteristica di mirare alla destrutturazione del mercato del lavoro, con il
rischio di una balcanizzazione dello stesso tale da comprometterne la
funzionalità [26] . D'altra parte, è proprio vero che "la storia del diritto del
lavoro è sempre pronta" a ricordare che il costo "della non
regolazione" e quindi anche della eccessiva flessibilizzazione delle
condizioni di lavoro [27] potrebbe alla lunga dimostrarsi
"essere molto più alto in termini umani e sociali del costo" [28] di una
prudente regolazione in cui, com'è tipica peculiarità del diritto del lavoro,
si manifesta "una razionalità rispetto ai valori capace di integrare la
razionalità rispetto agli scopi propria della cultura d'impresa" [29] .
Alessandro Bellavista
Professore straordinario di diritto del lavoro
nell'Università di Palermo
[1] Cfr. TREU,
Il Libro Bianco sul lavoro e la delega del Governo, in Dir. rel. ind.,
2002, p. 115 ss.; ROCCELLA, Una Repubblica contro il lavoro, in la
rivista del Manifesto, n. 24, 2002, p. 20 ss.; NAPOLI, Le proposte di
modifica dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, in Il diritto del
lavoro dal "Libro Bianco" al Disegno di legge delega 2002, a cura
di CARINCI e MISCIONE, IPSOA, Milano, 2002, p. 100 ss.; nonché, volendo,
BELLAVISTA, La riforma della disciplina del licenziamento individuale, ivi,
p. 104 ss.; DONDI, Libro bianco, disegno di legge delega sul mercato del
lavoro e prospettive di modifica dell'art. 18 St.lav., in Lav. giur.,
2002, n. 5, p. 405 ss.; LISO, Appunti sulla riforma della disciplina dei
licenziamenti, in Riv. it. dir. lav., 2002, I, p. 171 ss.
[2] Sul punto cfr.
ROCCELLA, La disciplina dei licenziamenti tra referendum e progetti di
riforma, dattiloscritto, 2000, p. 13 ss. e ID., Tutto sull'art. 18, in
la rivista del Manifesto, n. 27, 2002, p. 11 ss.
[3] ANASTASIA,
I vantaggi competitivi della piccola impresa nell'utilizzo del fattore lavoro:
formazione, costi, obblighi e norme, in La "questione
dimensionale" nell'industria italiana, a cura di TRAU', Il Mulino,
Bologna, 1999, p. 659 s.
[4] SCHIATTARELLA,
Gli effetti dello Statuto dei lavoratori sull'occupazione: convinzioni
diffuse ed evidenza empirica, in Economia & Lavoro, 2001, n. 2,
p. 95.
[5] ISTAT, Rapporto
annuale. La situazione del Paese 2001, p. 75; reperibile nel sito web:
istat.it. La pubblicazione del citato Rapporto, proprio in occasione della
definitiva elaborazione della riforma dell'art. 18 St.lav. qui in commento, ha
suscitato un significativo dibattito cfr. SCALFARI, Chi frena lo sviluppo
dell'azienda Italia, in la Repubblica, 2 giugno 2002, n. 128, p. 1 e
15; ID., Il Gatto, la Volpe e il Patto sul lavoro, ivi, 23
giugno, 2002, n. 146, p. 1 e 15, GALLI, Piccole aziende non crescono, ivi,
2 luglio 2002, p. 15.
[6] ROCCELLA, Tutto
sull'art. 18, cit., p. 12, e a cui si riferiscono anche le due precedenti
citazioni.
[7] Su questi
problemi cfr., in generale, ICHINO, Il lavoro e il mercato, Mondadori,
Milano, 1996; NAPOLI, Il lavoro e le regole, in Jus, 1998, p. 51
sss.; DEL PUNTA, L'economia e le ragioni del diritto del lavoro, in Giorn.
dir. lav. rel. ind., 2001, p. 3 ss..; TREU, Politiche del lavoro, Il
Mulino, Bologna, 2002. E poi va tenuto conto del dibattito scaturito
dalla pubblicazione del Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia del
Ministero del lavoro: in particolare cfr. gli scritti di ALLEVA, ANGIOLINI,
ARRIGO, BIAGI, CASADIO, GARILLI, GHEZZI, MARIUCCI, SCARPELLI, SMURAGLIA,
EPIFANI, in Riv. giur. lav., 2002, I, p. 141 ss.; TREU, Il Libro
Bianco, cit.; ROCCELLA, Una Repubblica contro il lavoro, cit.;
CARINCI, Dal Libro Bianco alla legge delega, in Dir. prat. lav.,
2002, n. 11, p. 727 ss.; CAMPANELLA, Il Libro Bianco e il disegno di legge
delega in tema di mercato del lavoro, in Lav. giur., 2002, n. 1, p.
5 ss.; VOZA, Il Libro Bianco sul mercato del lavoro, ivi, p. 18
ss.
[8] Cfr. NAPOLI, Il
lavoro e le regole, cit., p. 64 ss.
[9] DE LUCA
TAMAJO, La disciplina del licenziamento individuale tra conservazione
"miope" e tentativi di riforma, in Dir. merc. lav., 2000,
p. 516 s.
[10] TIRABOSCHI, La
forza del merito, in Il Sole 24 Ore, 3 luglio 2002, n. 179, p. 3.
Già SANDULLI, Articolo 18, Costituzione rispettata, ivi, 27
giugno, 2002, n. 173, p. 12, si era espresso nel senso della compatibilità costituzionale
della misura in commento.
[11] Corte cost. 12
aprile 1989, n. 181, in Foro it., 1989, I, c. 2100
[12] TIRABOSCHI, La
forza del merito, cit., p. 3.
[13] Cfr. NAPOLI, Flessibilità
e tutela contro i licenziamenti, in Questioni di diritto del lavoro,
Giappichelli, Torino, 1996, p. 283 ss.; DEL PUNTA, L'economia e le ragioni
del diritto del lavoro, cit., p. 17 ss.; ROCCELLA, La disciplina dei
licenziamenti, cit., p. 12 ss. ICHINO, Il lavoro e il mercato, cit.,
p. 105 ss.
[14] Cfr. NAPOLI,
Il lavoro e le regole, cit., p. 64 ss.; DEL PUNTA, L'economia e le
ragioni del diritto del lavoro, cit., p. 19 ss.; e GARILLI, Il lavoro
nel Sud, Torino, Giappichelli, 1997, p. 9 ss.
[15] Cfr. NAPOLI,
Elogio della stabilità, in I licenziamenti individuali, in Quad.
dir. lav. rel. ind., n. 26, p. 2002, p. 9 ss.
[16] LISO,
Appunti sulla riforma della disciplina dei licenziamenti, cit., p. 175.
[17] Cfr. ROCCELLA,
Tutto sull'art. 18, cit., p. 13.
[18] TIRABOSCHI,
Art. 18, non c'è pasticcio, in Il Sole 24 Ore, 16 luglio 2002, n.
192, p. 2.
[19] Da ultimo,
cfr. NAPOLI, Le proposte di modifica dell'art. 18, cit., p. 103; DE LUCA
TAMAJO, La disciplina del licenziamento, cit., p. 516; e già GHEZZI, La
nuova disciplina del licenziamento individuale: analisi e prospettive di evoluzione,
in Pol. dir., 1991, p. 211 ss.
[20] ROCCELLA, Tutto
sull'art. 18, cit., p. 13.
[21] DE LUCA
TAMAJO, La disciplina del licenziamento, cit., p. 517 s.
[22] Cfr. CARINCI, Dal
Libro Bianco alla legge delega, cit., p. 732.
[23] In questa
direzione cfr. CARINCI-DE LUCA TAMAJO-TOSI-TREU, Processi del lavoro,
accorciare i tempi, in Il Sole 24 Ore, 14 giugno 2002, n. 160, p. 9;
e, per un ampio quadro del dibattito, cfr. anche LISO, Appunti sulla riforma
della disciplina dei licenziamenti, cit., spec. p. 173 ss.; DE ANGELIS, Il
giustificato motivo di licenziamento e la tutela reale del posto di lavoro tra
rigidità e rigore: aspetti problematici e una proposta, in Riv. it. dir.
lav., 2001, I, p. 122 ss.; ZOPPOLI, Il licenziamento tra
costituzionalismo e analisi economica del diritto, in Dir. merc. lav.,
2000, p. 424 ss.; ICHINO, Il lavoro e il mercato, cit., p. 114 ss.
[24] Per tutti,
cfr. CARINCI, Dal Libro Bianco alla legge delega, cit., p. 731 s.
[25] Cfr. ROCCELLA,
Una Repubblica contro il lavoro, cit., p. 22.
[26] Cfr. TREU, Il
Libro Bianco, cit., p. 116, ss.; CARINCI, Dal Libro Bianco alla legge
delega, cit., p. 729 ss.; CANNELLA, Verso lo smantellamento delle
tutele del lavoro, in Quest. giust., 2002, p. 16 ss.
[27] Cfr., in
generale, GALLINO, Il costo umano della flessibilità, Laterza,
Roma-Bari, 2001.
[28] NAPOLI, Flessibilità
e tutela contro i licenziamenti, cit., p. 286.
[29] NAPOLI, Il lavoro e le regole, cit., p. 68; nonché cfr. le suggestive osservazioni di ROMAGNOLI, Il diritto del lavoro nel prisma del principio d'eguaglianza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, p. 533 ss.
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