Riflessioni sulle note caratteristiche nel settore del credito

 

1. Processo formativo delle note caratteristiche

Le note caratteristiche (o di qualifica) - inesistenti in qualsiasi altro settore produttivo del comparto privato -  sono state mutuate  nel settore del credito dal pubblico impiego,  a conferma delle evidenti analogie di burocratica movenza di larga parte delle aziende bancarie, ed hanno come scopo  quello di assicurare una continuità temporale ad oscure quanto scolastiche tecniche di valutazione del personale, le cui risultanze, sotto forma di giudizio sintetico, vengono notificate dalle aziende con periodicità annuale al personale con  qualifica di quadro o impiegatizia, e, nel primo anno di nomina a funzionario e comunque quando intervengano variazioni in melius o in peius, a coloro che rivestono la qualifica direttiva dei funzionari.

Risulta ancora attualissimo quanto scrivemmo nel lontano 1984 (1), imbattendoci - dopo pregresse esperienze nel settore industriale - nella sorprendente realtà del settore creditizio, e cioè che " la valutazione delle prestazioni  (troppo spesso scambiata con la valutazione dei prestatori, tant'è che nelle c.d. schede di valutazione abbiamo reperito sospetti fattori soggettivi, quali "aspetto e modi" e simili)...si attualizza annualmente attraverso un flusso mimetico di informazioni cartolari tra i Capi diretti e i burocratici  Servizi del personale, che passa sopra la testa dei singoli dipendenti, grandi assenti loro malgrado (e malgrado il desiderio informativo dei Capi più aperti, n.d.a.). Infatti, come ha rilevato una ricerca (2, finalizzata all'ambizioso intento di far prendere  “progressiva coscienza all'istituzione bancaria che essa dovrà essere gestita come vera e propria impresa, in tutte le sue più ampie accezioni, non esiste...nel sistema bancario l'abitudine ad usare il colloquio di valutazione come strumento di confronto tra capo e collaboratore e di sviluppo professionale di quest'ultimo".

E' appunto  cura e scrupolo di queste strutture che allevano dirigenti in mezze maniche evitare ai Responsabili di struttura il fastidio della chiarificazione con i "subordinati" e l'impegno didattico connaturato allo scambio dialettico, evidenziante deficienze, lacune, esigenze di miglioramento o sfociante in apprezzamenti. La ricerca sopracitata evidenzia come i moderni sistemi di gestione delle risorse sembrino non aver varcato  ancora le scale di marmo di queste strutture, poiché gli è di freno una cultura che fa loro apparire il metodo della "spiegazione" in contraddittorio come perdita di potere piuttosto che renderglielo apprezzabile come indispensabile ed indifferibile strumento per lo sviluppo e la maturazione di quella professionalità che deve imperiosamente essere portata in emersione, non foss'altro che per essere oramai allo spirare i tempi dei grossi margini  (o delle c.d. "vacche grasse") che ne potevano anche rendere non necessaria l'utilizzazione (che, invece, s'impone  al subentrare  dell'epoca dell'efficienza e della competitività)".

Riproposte queste datate  considerazioni che vollero suonare, all'epoca, come una frustata per la sveglia ed il mutamento di mentalità dei gestori delle risorse ( e non solo di essi!) allevati e cresciuti dalle istituzioni bancarie, entriamo nel merito del tema che dà titolo all'articolo: le note caratteristiche, conseguenti al criticato processo di valutazione delle prestazioni del personale (3).

Come abbiamo sinteticamente anticipato, per i quadri, gli impiegati e le altre categorie sottordinate, le note caratteristiche vengono annualmente redatte e notificate tramite l'essenziale quanto sinteticissima aggettivazione graduata tra " insufficiente" e " ottimo", mentre per il personale direttivo dei funzionari il giudizio sintetico viene conferito e comunicato nell'anno della nomina e rinnovato solo quando successivamente intervengono variazioni (migliorative o peggiorative ) dello stesso. Le disposizioni contrattuali (art. 60 ccnl 22.6.1995 e art.113 ccnl 19.12.1994, rispettivamente per il personale direttivo e non) contemplano, in caso di giudizio negativo, una procedura di ricorso sostanzialmente concretizzantesi nella trasmissione di un esposto gerarchico contenente considerazioni e controdeduzioni personali, con facoltà della loro illustrazione verbale alla Direzione generale o centrale dell'azienda, con l’assistenza di un dirigente sindacale aziendale, nel solo caso di personale non direttivo (art. 113, 8°co., ccnl 19.12.1994).

 

2. Obbligo di motivazione della nota

Nel ccnl Assicredito - a differenza di quello Acri -  è carente il diritto del prestatore di lavoro, cui venga attribuito un giudizio inferiore a quello in precedenza assegnatogli, di ottenere che gli vengano notificati i motivi del "declassamento della qualifica", mentre è previsto (ex art. 113 ccnl cit.) soltanto che, nel caso in cui il giudizio sia  di “mediocre o insufficiente”, per il personale non direttivo, lo stesso giudizio venga integrato da una “sintetica motivazione”.  Al personale direttivo,  il corrispondente art. 60 ccnl 22.6.1994 non accorda, incomprensibilmente, un analogo diritto.

La carenza contrattuale in ordine al diritto alla motivazione, nel primo caso come in altre ipotesi di variazione della nota di qualifica rispetto a quella in precedenza  posseduta, è stata, tuttavia, colmata  dalla Cassazione, che ha ritenuto la motivazione una specificazione del più generale principio che obbliga le parti del rapporto al rispetto della correttezza e buona fede (ex artt. 1175 e 1375 c.c.), e l'ha pretesa onde permettere al lavoratore il controllo sulla regolarità dell'esercizio dei poteri discrezionali del datore di lavoro oltrechè per rendere possibile al magistrato, investito del contenzioso, il sindacato giudiziale del  giudizio aziendale.

In una serie di decisioni della S. corte (4) e di merito (5), è stato affermato il seguente principio di portata generale, in ordine all'obbligo datoriale di motivazione: " Anche con riguardo alle note di qualifica (o note caratteristiche) dei dipendenti delle aziende di credito trova applicazione il principio secondo cui il datore di lavoro ha l'obbligo di motivare i suoi provvedimenti onde consentire al dipendente ed eventualmente, in sede contenziosa, all'autorità giudiziaria, il sindacato in ordine al rispetto degli obblighi di correttezza e di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., i quali implicano il divieto di perseguire intenti discriminatori o di ritorsione e di determinarsi sulla base di motivi irragionevoli...".

Si verifica spesso che  le note di qualifica o i  giudizi sintetici - che per i funzionari non sono predeterminati contrattualmente a differenza degli impiegati  e che  si estrinsecano di norma in dizioni, scalarmente decrescenti, di simile formulazione: "prestazioni di rilevo", "prestazioni buone", "prestazioni adeguate", "prestazioni mediocri", "prestazioni inadeguate" - siano attribuiti senza che vengano indicate, menzionate (id est, motivate) le ragioni ed i fatti specifici atti a giustificare, per la loro ricorrenza reiterata, i giudizi medesimi.

In altri casi, invero raramente, le ragioni o le motivazioni  del giudizio notificato ( tramite le sintetiche dizioni soprariferite) vengono dal Responsabile esplicitate unilateralmente  nella scheda di valutazione, senza tuttavia che siano comunicate o discusse con il destinatario diretto del giudizio e senza che gli sia consentito di poter far registrare la propria opinione di conformità o di motivato dissenso.

Nel primo caso ipotizzato - pressoché ricorrente come regola - di carenza della "motivazione" (intesa come indicazione e notifica al lavoratore di fatti idonei a consentirgli di rendersi conto delle ragioni del giudizio assegnatogli e, in caso di negatività, poter controbattere con ricorso alla Direzione generale o centrale), la nota caratteristica è stata giudizialmente dichiarata nulla (6).

Nel secondo caso, invece, in cui i fatti sono annotati nella scheda di valutazione, la magistratura ha, correttamente, preteso che tali fatti - salva l'acquiescenza del prestatore di lavoro - siano comprovati dall'azienda e trovino riscontro in sede dibattimentale, altrimenti risolvendosi in mere affermazioni di parte. Al riguardo - con riferimento alla correlazione tra " note  e premio di rendimento" (e di produttività, n.d.a.) - la giurisprudenza ha statuito: "posto che la contrattazione collettiva affida alle valutazioni dell'impresa sulla qualità della prestazione obiettivamente espressa, l'incremento della retribuzione contrattuale tramite l'attribuzione del premio di rendimento (e di produttività, n.d.a.), in caso di contestazione giudiziale di tali valutazioni da parte del dipendente, l'imprenditore deve dare puntualmente conto degli elementi di fatto sulla base dei quali la valutazione medesima si è formata, sia in termini di massima esplicazione che di prova" (7). Anche la dottrina che si è occupata dell'onere della prova nel diritto del lavoro ha evidenziato come gravi sul datore di lavoro che effettui la valutazione del dipendente ai fini dell'attribuzione della nota di qualifica, l'onere di provare le ragioni che la sorreggono. Per principio generale, infatti, allorché l'esercizio di un potere del datore di lavoro sia subordinato all'esistenza di determinati presupposti (nella specie, aver  effettuato la valutazione con buona fede e correttezza), grava su chi ha esercitato quel potere l'onere di provare la situazione legittimante. Viceversa l'onere di provare un addotto carattere discriminatorio di un atto o giudizio - cioè l'illiceità del motivo - in ragione di un'asserita persecutorietà o ritorsione dell'atto, è a carico di chi lo deduce.

Sul tema è intervenuta – in data 2 giugno 1999 – una decisione del Garante per la privacy (8) la quale – a confutazione dell’opposta tesi di una azienda di credito – ha sancito il principio generale dell’accessibilità del processo formativo della nota di qualifica, in quanto “dato personale” di cui alla L. n. 675/1996. Ha asserito, al riguardo, la sopracitata decisione: “ L’espressione ‘qualunque informazione’ contenuta nell’art. 1, comma 2, lettera c) della legge n. 675/1996 vuole evidentemente attribuire alla nozione di ‘dato personale’ la massima ampiezza, comprendendo anche ogni notizia, informazione o elemento che abbia un'efficacia informativa tale da fornire un contributo aggiuntivo di conoscenza rispetto ad un soggetto identificato o identificabile. E ciò in riferimento sia ad informazioni oggettivamente caratterizzate (suscettibili di una verifica e di un sindacato obiettivo), sia a descrizioni, giudizi, analisi o ricostruzioni di profili personali (riguardanti attitudini, qualità, requisiti o comportamenti professionali) che danno origine a stime e opinioni di natura soggettiva finalizzate anche ad una valutazione complessiva del soggetto interessato. Le note di qualifica (o note caratteristiche) utilizzate dalle aziende a fini gestionali – e, talora procedimentalizzate nei contratti collettivi di lavoro – possiedono le caratteristiche di cui sopra, essendo strutturate in giudizi (più o meno discrezionali) basati tuttavia su fatti o comportamenti storicamente determinati compiuti dai lavoratori valutati. Pertanto le stesse – a conclusione della procedura di valutazione e quindi non in itinere, cioè a dire non nelle fasi di preparazione delle note di qualifica o delle schede di valutazione – sono accessibili agli interessati ai sensi della legge n. 675 quali ‘dati personali’, con la precisazione che per i fatti obiettivi (ad es. numero delle pratiche, giorni di assenza, ecc.) può essere esercitato dai lavoratori il diritto di correzione, mentre per le considerazioni di tipo soggettivo e discrezionale pure presenti nei ‘giudizi’ e nelle ‘valutazioni’ può essere attivato il diverso diritto di integrazione dei dati, che potrà eventualmente concretizzarsi nell’apposizione di note o precisazioni marginali, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett.c) della stessa legge”. Per completezza d'informazione va detto che l'azienda di credito (nel caso di specie la Cassa di risparmio di Fermo) si è opposta al provvedimento e ricorrendo al Tribunale di Fermo (1° grado, giudice Alianello) ha ottenuto la (incondivisibile) modifica  del principio asserito dal Garante, tramite la precisazione secondo la quale: "Nella fattispecie delle 'note di qualifica' l'eventuale acquisizione dei dati valutativi, antecedenti alla valutazione complessiva finale, avrebbe come unico fine la conoscenza, da parte del dipendente, dei superiori gerarchici che abbiano espresso valutazioni negative, con conseguente possibilità di ritorsione nei confronti degli stessi; e ciò comporterebbe sia la violazione del diritto alla riservatezza nei confronti di chi ha espresso le valutazioni, sia l'oggettiva limitazione del diritto del datore di lavoro nel legittimo controllo dell'attività lavorativa dei dipendenti, attuato mediante giudizio sull'attività svolta dal lavoratore, espressa dai superiori del dipendente"(9). Peraltro il Garante, successivamente, ha riconfermato il proprio orientamento sull'obbligo di consegna in copia  al dipendente dei giudizi valutativi e delle schede di valutazione tramite le quali il 'profilo valutativo' si è attualizzato in analoga ipotesi di ricorso ad esso  da parte di un dipendente della Telecom Italia SpA (decisione dell'11 febbraio 2001)  finalizzato ad ottenere  la consegna in copia dei suddetti dati personali contenuti in documentazione d'ufficio.

 

3. Oggetto del giudizio di qualifica: la prestazione professionale

Infine va detto che il giudizio nel quale si sintetizzano le note caratteristiche dovrà necessariamente ed esclusivamente vertere su aspetti della professionalità concreta, di rendimento qualitativo (più che quantitativo) e di attitudinalità, emersi e desumibili dall'oggettivo disimpegno della prestazione e delle specifiche incombenze. Non possono, pertanto ed in alcun modo, venire in considerazione valutazioni attinenti al comportamento extralavorativo, al disimpegno di attività sindacale, al carattere, all'aspetto esteriore e simili. Quest'ultime caratteristiche sono di norma (salve talune limitate posizioni di lavoro implicanti spendita di immagine per l'azienda, in ragione della rappresentatività in qualificati rapporti esterni che possono far divenire rilevante la sobrietà del vestire, la proprietà del linguaggio, ecc.) irrilevanti agli effetti di evidenziare capacità ed attitudini nell'assolvimento degli incarichi di propria pertinenza. A questo proposito va ricordato come, in un caso di attribuzione della qualifica di "insufficiente", il Pretore di Città di Castello nella decisione del 2.2.1980 (10) abbia invalidato - per violazione dell'art. 8 L. n. 300/1970 - il relativo giudizio aziendale, in quanto espresso sostanzialmente " sulla base del carattere (' indulge alla polemica in relazione a richieste di lavoro eccedente l'ordinario') che appare violatore della privacy del dipendente e, comunque, non rilevante ai fini della valutazione della sua attitudine professionale".

 

4. Riproposizione aggiornata della “natura disciplinare” della nota di qualifica negativa

Va inoltre segnalato come il giudizio di sintesi  o “nota caratteristica” o di qualifica comunicato al prestatore di lavoro  - anche qualora inferiore al precedente o negativo in assoluto - non venga ritenuto, dalla prevalente dottrina e giurisprudenza (11), riconducibile alla tipologia delle sanzioni disciplinari conservative a contenuto economico (sebbene al giudizio negativo si accompagni la perdita, ex contractu aziendale o nazionale,  del premio di rendimento e di produttività).

Al riguardo riteniamo che la questione non possa essere liquidata sbrigativamente - sulla base delle usuali considerazioni secondo le quali la perdita dei premi di rendimento e di produttività non atterrebbe a diritti soggettivi entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, ma a semplici aspettative ovvero che la privazione atterrebbe non già alla retribuzione base intangibile ma alla parte variabile o caducabile della stessa ovvero che la perdita economica sarebbe conseguente non già ad un inadempimento contrattuale specifico ma ad una valutazione discrezionale datoriale di carattere globale afferente  al complessivo comportamento del prestatore (12) - e che, pertanto, la questione meriti necessarie riflessioni ed approfondimenti atti a valutare se la tesi prevalente possa essere accolta convincentemente ovvero se non le si debba preferire l’opinione minoritaria che riconduce le “note di qualifica negative”(con perdita del premio di rendimento e di produttività aziendali) al novero delle sanzioni disciplinari (quantunque, allo stato, per carente contrattualizzazione, atipiche e ad effetto differito).

Allo scopo si rivela preliminare un’indagine sulla tipologia delle fattispecie implicate o, il che è lo stesso, dei  destinatari dell’attribuzione del  giudizio di qualifica negativo  (sostanziantesi nelle classifiche di “mediocre”, insufficiente”, “inadeguata” o “insoddisfacente”).

Premesso che per espressa pattuizione contrattuale, il giudizio di qualifica attiene alla (quantità/qualità della ) prestazione professionale (cfr. art.113, penultimo comma, ccnl 19.12.1994, secondo cui “la classifica favorevole, essendo formulata in relazione allo svolgimento delle mansioni disimpegnate, non comporta, di per se stessa, giudizio di idoneità per le promozioni”) e, quindi, alle modalità di esecuzione della prestazione corrispettiva di un trattamento retributivo annuo (comprensivo di premio di rendimento e di produttività non già individuali ma aziendali, cioè a dire, di norma,  definiti in cifra uniforme per fasce categoriali omogenee) spettante di regola a lavoratori che disimpegnano i loro compiti secondo media diligenza, l’assegnazione di un “giudizio del tutto negativo”, per i direttivi, ovvero “mediocre o insufficiente”, per il restante personale - tale da privare il prestatore di ben due erogazioni (c.d. premi)  della consistenza media, in società con bilanci in attivo, di 2 mensilità ordinarie, nel loro complesso - è riservata dalle aziende datrici di lavoro:

a) nei confronti di quei prestatori che hanno fornito, nell’arco annuale, una prestazione inadeguata e assolutamente insoddisfacente dal punto di vista quanti-qualitativo e, quindi, hanno concretizzato una violazione dell’obbligo di usare la “media diligenza” o quella “diligenza specifica”, nell’esecuzione della prestazione, richiesta dall’art. 2104 c.c., la cui carenza è sanzionabile ex art. 2106 c.c., in quanto strutturante la tipologia dello “scarso rendimento”,  in fattispecie protratto aldilà di una specifica incombenza ed esteso al complessivo “modus operandi”;

b) nei confronti di quei lavoratori (spesso attivisti sindacali) cui l’azienda ha assegnato mansioni dequalificate (id est non equivalenti ex art. 2103 c.c.), i quali per reazione, esercitando il loro diritto ex art. 1460 c.c. - cioè l’eccezione di inadempimento, alla stregua del brocardo “inadimplenti non est adimplendum” -, o si rifiutano in toto di assolvere alle nuove dequalificanti incombenze nelle quali sono stati illegittimamente confinati ovvero le disimpegnano solo formalmente, svogliatamente e senza alcun impegno sostanziale. In questi casi - più ricorrenti in pratica di quanto non si creda - l’azienda, consapevole dell’essere in torto, preferisce non affrontare il rischio del sindacato giudiziario sulla  sanzione disciplinare  che, di norma, avrebbe irrogato immediatamente a fronte della (presunta) insubordinazione del lavoratore refrattario ad adeguarsi alle mansioni dequalificate e, atteggiandosi subdolamente a tollerante, decide di  rinviare la resa dei conti  alla distanza, a fine anno,  sanzionando con un “giudizio di qualifica del tutto negativo” la ribellione del prestatore che, in tal modo, per supposta inadeguata collaborazione (rectius, acquiescenza), viene privato di due mensilità di retribuzione media (premio di rendimento e premio di produttività, per un importo economico  pari  a circa 326 ore lavorative). In tal modo l’azienda si sottrae alle incombenze procedurali di cui all’art. 7 statuto dei lavoratori (contestazione specifica, audizione a difesa del lavoratore con l’ eventuale assistenza sindacale, impugnazione della sanzione di fronte al Collegio di conciliazione ed arbitrato in seno all’Uplmo, sindacato giudiziale di proporzionalità ex art. 2106 c.c.).

Appare evidente che in questa seconda ipotesi (sub b) l’assegnazione aziendale della “nota negativa di qualifica” - quale atto ritorsivo volto a sanzionare l’esercizio di un diritto al rifiuto del prestatore - è nulla ex art. 1343 c.c., in quanto viziata da causa illecita e quindi neppure può considerarsi riconducibile al novero delle sanzioni disciplinari  esorbitanti (per mancato rispetto del criterio di proporzionalità all’infrazione) ma alla categoria degli atti contra ius, cioè contrari ad un ordinamento giuridico civile che ha bandito la vendetta privata. Eppure questi arbitri ricorrono nelle aziende che spesso approfittano dell’inerzia del prestatore di lavoro, restio a sopportare le lentezze e le traversie del giudicato del magistrato del lavoro.

Nell’ipotesi sub a) - cioè a dire nel primo dei due casi ipotizzati - è di tutta evidenza che nella “nota di qualifica negativa” sono presenti tutte le caratteristiche della sanzione disciplinare quale pena privata a fronte di un inadempimento del prestatore di lavoro (atteso che lo scarso rendimento non è altro che un generico inadempimento all’obbligo medio di diligenza con cui la prestazione deve essere espletata (13).

Si aderisce per questa via alla tesi minoritaria - ma più sostanzialmente corretta (14) - che riconduce l’assegnazione aziendale della “nota di qualifica negativa” all’ambito delle sanzioni disciplinari conservative, con tutte le conseguenze relative, sulle quali ci intratteniamo in prosieguo.

A tale collocazione non osta l’art. 7 dello statuto dei lavoratori che non prefigura in maniera esaustiva il novero o tipologia delle sanzioni disciplinari, ma affida - come dispone il 1° comma - agli accordi o ai  contratti collettivi (oltre che alla legge) la definizione del codice disciplinare aziendale, di settore o di categoria.

Sarebbe pertanto del tutto legittimo che il contratto del credito addizionasse alle sanzioni tipizzate del rimprovero verbale, dell’ammonizione scritta, della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (per non più di 10 gg., in ossequio al limite sancito dall’art. 7, 4° co., L. n. 300), quella della  perdita dei premi di rendimento e di produttività, per nota di qualifica annuale del tutto negativa, cui seguiranno - nell’ordine di gradualità crescente - il licenziamento per giustificato motivo soggettivo con preavviso ed il licenziamento in tronco per giusta causa. E’ pacifico che una sanzione economica come la perdita di due erogazioni retributive (ammontanti mediamente a 326 ore di retribuzione) - pur partecipando delle stesse caratteristiche della multa irrogata per una infrazione specifica - si dovrà collocare, per rispettare l’ordine di gradualità crescente, oltre la sospensione e prima della sanzione espulsiva del licenziamento per notevole inadempimento agli obblighi  contrattuali, ex art. 3 L. n. 604/’66.

Qualche autore (15) a  suo tempo - nel sostenere  la tesi della “natura disciplinare della nota di qualifica negativa”  implicante la perdita del premio di rendimento - avanzò dubbi di contrasto delle conseguenze patrimoniali con il limite apposto dal 4° co. dell’art. 7 L. n.300/’70 alla multa, prefissato in misura non superiore a 4 ore di retribuzione base.

A nostro avviso il contrasto non sussiste sol che si pensi che la multa sanziona di norma una mancanza isolata mentre la “nota di qualifica negativa” ostativa alla percezione dei premi di rendimento e di produttività aziendali sanziona un comportamento complessivo del prestatore strutturato da reiterate e protratte inadempienze influenti sulla quantità-qualità della prestazione valutata nell’arco di un anno, e ciò tramite una decurtazione economica corrispondente alla sommatoria di circa un’ora e mezzo di multa giornaliera per tutti i 220  giorni lavorativi dell’anno.

In questi termini  e sotto questo profilo rifluisce e rileva il “complessivo comportamento” inadempiente del prestatore di lavoro; non già per sottrarre la valutazione o giudizio di inadeguatezza professionale  - riassunto nella nota di qualifica negativa coniugata alla decurtazione patrimoniale - alla tipologia delle sanzioni disciplinari. Cosicchè non appare incongruo addizionare alle tradizionali sanzioni già tipizzate nel contratto collettivo del credito quella costituita dalla “nota di qualifica negativa o insufficiente” con le connesse implicazioni economiche.

Certo è un problema tutto politico o, meglio, tipicamente sindacale quello della collocazione di tale sanzione economica (peraltro dell’entità sopradescritta) all’interno della tipologia già prefissata, ma ci sembra che questa sia la strada più corretta e razionale che i Sindacati dovrebbero riproporsi di perseguire, se non addirittura pretendere dalla controparte associativa datoriale, allo scopo di non lasciare “mano libera” alle aziende le quali - come già evidenziato - preferiscono, nell’assetto attuale, astenersi dal disporre sanzioni disciplinari tipizzate e stigmatizzare, un volta l’anno, il comportamento inadempiente del lavoratore con la pena afflittiva della decurtazione economica pari, nel complesso, a due mensilità, assoggettandosi al solo onere (rectius, fastidio) di respingere (per non smentire l’operato dei Responsabili intermedi) il ricorso gerarchico avanzato dal lavoratore alla Direzione generale o centrale dell’Azienda ed all’aleatorio rischio del ricorso giudiziale  da parte dei pochi intransigenti  o irriducibili.

Una volta inclusa tale sanzione economica nel codice disciplinare di settore, è pacifico che le aziende dovranno sottostare agli oneri richiesti dall’art. 7 statuto dei lavoratori, quali: la contestazione specifica ( non generica o con le attuali frasi di stile e non certo riferita ad un solo addebito ma alla reiterata serie) degli addebiti su cui si fonda il giudizio di inadeguatezza immanente alla nota annuale di qualifica negativa ( o del tutto negativa, per i direttivi) nonché le controdeduzioni del prestatore e la sua audizione a difesa con l’eventuale assistenza sindacale, l’eventuale  impugnazione con sospensione della sanzione per ricorso al Collegio di conciliazione ed arbitrato istituito presso l’Uplmo, o l’alternativo  ricorso giudiziale del prestatore di lavoro.

A tutto ciò si aggiunge il fatto - non certo di poco conto - che una volta stabilita la corrispondenza contrattuale tra “nota di qualifica del tutto negativa” e “perdita dei premi di rendimento e di produttività” aziendali, l’operatività  dell’equazione non è automatica ed insindacabile ma soggetta, invece, alla valutazione di proporzionalità richiesta dall’art. 2106 c.c., con l’implicazione che per giustificare la perdita di due erogazioni della  consistenza complessiva media di due mensilità, gli addebiti al prestatore di lavoro dovranno risultare ben incisivi e di sostanziale gravità (certamente di natura recidivante e presanzionati senza esito alcuno), altrimenti ad una nota di qualifica del tutto negativa, non supportata da probanti inadempienze, può accadere di subire l’attribuzione giudiziale di una sanzione tipizzata molto più modesta (per c.d. derubricazione impropria) ma aderente e congrua con la serie degli inadempimenti commessi  dal prestatore che delineano e portano in emersione il comportamento del lavoratore su cui si è formato il giudizio aziendale.

L’inquadramento fra le sanzioni disciplinari della “nota di qualifica negativa” accompagnata dalle  conseguenti perdite economiche innanzi evidenziate nonché il suggerimento di una linea di politica sindacal-contrattuale volta alla tipizzazione disciplinare della pena privata de qua, ci sembrano le soluzioni più corrette alla tematica che abbiamo esaminato. Anche perché può accadere ad una magistratura più riflessiva di non aderire acriticamente alle massime stereotipate che da tempo si leggono in ordine alla natura “non disciplinare”(ma di “giudizio libero e discrezionale sul complessivo comportamento del lavoratore”) delle note di qualifica, privative dal 1990 non solo del vecchio premio di rendimento ma dell’addizionale e nuovo premio di produttività  o redditività aziendale e - analizzando funditus le modalità ed i destinatari dell’assegnazione del giudizio di inadeguatezza professionale - giungere a preferire, come noi, alla distanza la tesi “disciplinare” della sanzione in questione, già sostenuta inizialmente ma, poco riflessivamente e con scarsa conoscenza della concreta realtà aziendale, relegata a ruolo e posizione di minoranza che non è peraltro sinonimo né di infondatezza né di inconsistenza.

 

5. Responsabilità sindacali

Quale che sia la configurazione verso cui vada la preferenza individuale alla pena afflittiva della privazione  del premio di rendimento e di produttività aziendali, in diretta conseguenza di una “nota di qualifica negativa o insufficiente”, non possiamo astenerci dal rilevare che nell’assetto contrattuale attuale del settore credito i Sindacati hanno lasciato alla piena discrezionalità delle aziende un enorme potere di condizionamento psicologico ed economico del lavoratore, costituito dall’entità del vecchio premio di rendimento erogabile dietro unilaterale giudizio positivo di merito, accresciuta e quasi raddoppiata con l’istituzione, per effetto dei  rinnovi contrattuali del 1990, del premio di produttività o redditività aziendale.

E’ grave che le OO.SS. del settore non si siano ancora rese conto della forza deterrente, condizionante ed  intimidatoria che hanno accordato alle controparti aziendali, tramite una libera gestione della concessione (o meno) di due mensilità, di norma, della retribuzione ordinaria. Senza peraltro pretendere dettagliate motivazioni esplicative e giustificative della mancata attribuzione dei due premi, senza richiedere od ottenere  - quantomeno quelle del personale direttivo - una partecipazione o intervento sindacale nella procedura di ricorso del lavoratore alla Direzione aziendale, lasciato così in balia di se stesso. Si badi bene che la caducazione dei due premi non dipende - come per l’indennità di cassa o di sottosuolo - da eventi obiettivi di palmare evidenza e constatazione (quali la cessazione del rischio per il cassiere e la sottrazione dal lavorare in locali interrati) ma da fattori evanescenti, di controvertibile interpretazione, che danno corpo e sostanza al giudizio del Capo sul dipendente sottordinato.

Si può sempre controbattere che anche la valutazione discrezionale riassunta nella nota di qualifica è sindacabile giudizialmente per il riscontro di conformità del giudizio aziendale ai criteri di correttezza e buona fede (ex art. 1175 e 1375 c.c.), ai quali si deve pur sempre ispirare l’esercizio del potere privato datoriale.

A parte, tuttavia, il fatto che tali rimedi vengono forniti dalla magistratura - supplendo alla deprecabile inerzia sindacale -, va aggiunto  altresì che una cosa è la valutazione  giudiziale per il riscontro della correttezza datoriale nell’assegnazione del giudizio di qualifica ed un’altra, ben più incisiva e penetrante nel merito, è la valutazione, peraltro addizionale alla precedente, della sussistenza del criterio di “proporzionalità” per la succitata sanzione patrimoniale afferente al complessivo comportamento inadempiente del prestatore, con legittimazione al ridimensionamento giudiziale equitativo per accertata esorbitanza, nel caso in cui  si convenga  sulla - e ci si adoperi anche contrattualmente per la - collocazione dell’istituto della “nota di qualifica negativa” tra le “sanzioni disciplinari” conservative, assicurando così corrispondenza piena tra una situazione di realtà sostanziale ed un formale assetto contrattuale,  allo stato specificativo, in maniera incompleta, del codice disciplinare settoriale. 

 

(pubblicato, senza gli attuali aggiornamenti,  in Lavoro e previdenza Oggi, n.8-9/1997)

 

Mario Meucci

Note

 

(1) In Erogazione di trattamenti economici e condotta antisindacale, Giust. civ. 1984, I, 1663, nota 1.

(2) Strategia e organizzazione delle aziende di credito, a cura dell'Associazione per gli studi di banca e borsa, Milano 1983, 141.

(3) La problematica, in generale, delle note caratteristiche e delle promozioni per merito comparativo nel settore del credito è trattata più diffusamente nel Cap. IX del nostro volume, Il rapporto di lavoro nell'impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1991, 173 e ss., cui si rinviano gli eventuali interessati ad approfondimenti  di una tematica gestita spesso dalle aziende, più che discrezionalmente, in maniera clientelare.

(4) Cass. 27.2.1995, n. 2252; Cass. 14.12.1990, n. 11891; Cass. 23.1.1988, n. 560; Cass. 6.3.1985, n. 1850.

(5) Pret. Caltagirone 13.5.1993, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 1994, 151 (particolarmente incisiva perché afferma il "generale obbligo della motivazione" con "un giudizio esaustivamente argomentato" dell'abbassamento della nota di qualifica) ; Pret. Roma, 1.12.1992, ibidem 1993,587; Pret. Vigevano 8.3.1988, in Not. giurisp. lav. 1988,494.

(6) Così Pret. Milano, 5.2.1990, in Not. giurisp. lav. 1990,509; Pret. Milano 5.3.1980, in Dir. lav. 1980,II,384; Trib. Cosenza 10.12. 1987, in Foro it. 1988, I, 956.

(7) Così Pret. Milano 5.2.1990 e Pret. Prato 7.12.1989, in Not. giurisp. lav. 1990, 509; Pret. Roma 1.12. 1992, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 1993,587.

(8) Pubblicata integralmente in Lavoro e previdenza Oggi 1999, 1474 con nota di Meucci, Al bando le tecniche oscurantiste nella gestione del rapporto di lavoro, ibidem 1314.

(9) Trib. Fermo, 1° grado, 11 ottobre 2000 (Cassa di risparmio di Fermo c. Lattanzi e Garante per la privacy), in Not. giurisp. lav. 2000, 587.

(10) In Riv. giur. lav. 1980,II,756.

(11) Vedi, per tutte, Pret. Napoli 26.5.1981, in Not. giurisp. lav. 1981, 276.

(12) Su tali argomentazioni si fonda la tesi dell’estraneità della “nota di qualifica negativa” (con caducazione dei premi di rendimento e di produttività) alle sanzioni disciplinari conservative. Le riferisce e riassume, in questi termini, anche D’Avossa, Il potere disciplinare nel rapporto di lavoro, Ipsoa 1983,  97. Cfr. anche Trib.Milano 7.1. 1978, in Orient. giur. lav. 1978,365 e Pret. Milano 23.11. 1979, ibidem 1980,17.

(13) Conf. Pret. Milano 1 marzo/13 giugno 1977 , n. 1333, inedita. Conf. D’Avossa, op.cit., 98.

(14) Conf. D’Avossa, op. cit. 98, che qualifica “di mero comodo” le argomentazioni contrarie. Nello stesso senso, Miranda, Note caratteristiche e potere disciplinare, in Inf. Pirola 1982, 384 e ss.

(15) D’Avossa, op.cit., 98.

 
 
Provvedimento del 4 ottobre 2007 n. 1449401

(obbligo consegna giudizi valutativi)

 
IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;
VISTA l'istanza, proposta il 19 marzo 2007 ai sensi degli artt. 7 e 8 del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196), con la quale XY ha chiesto a Vecofin S.p.A., società della quale è stato dipendente in qualità di dirigente fino al marzo 2007, di avere conferma dell'esistenza di dati personali che lo riguardano e di ottenerne la comunicazione in forma intelligibile, in qualunque forma conservati;
VISTO il riscontro datato 20 aprile 2007 con il quale Vecofin S.p.A. ha comunicato al ricorrente una serie di dati personali che lo riguardano (e, tra essi, estremi identificativi, mansioni e funzioni svolte) precisando di detenere anche "certificati di malattia";
VISTO il ricorso pervenuto al Garante l'11 maggio 2007, presentato da XY, rappresentato e difeso dall'avv. Michele Bignami, presso il cui studio ha eletto domicilio, nei confronti di Vecofin S.p.A., con il quale il predetto, dichiarandosi insoddisfatto del riscontro ottenuto, a suo avviso generico e non contenente tutti i dati personali che lo riguardano trattati dalla società (in particolare, i dati relativi al suo stato di salute e eventuali dati di tipo valutativo riferiti alle sue prestazioni professionali), ha ribadito la propria istanza di accesso con riferimento a "tutta la documentazione (…) in possesso della società" allo stesso relativa e ha chiesto di porre a carico della resistente le spese sostenute per il procedimento;
VISTI gli ulteriori atti d'ufficio e, in particolare, la nota del 17 maggio 2007 con la quale questa Autorità, ai sensi dell'art. 149, comma 1, del Codice, ha invitato il titolare del trattamento a fornire riscontro alle predette richieste, nonché la nota del 3 luglio 2007 con la quale questa Autorità ha disposto la proroga del termine per la decisione sul ricorso ai sensi dell'art. 149, comma 7, del Codice;
VISTA la memoria inoltrata il 13 giugno 2007 con cui la società resistente, nel sostenere l'inammissibilità della richiesta del ricorrente volta ad ottenere copia della documentazione relativa alla sua attività professionale, ha dichiarato di avere già fornito allo stesso tutti i dati personali che lo riguardano trattati dalla società;  
VISTA la memoria pervenuta il 25 giugno 2007, nonché le osservazioni formulate nell'audizione del 15 giugno 2007 con le quali il ricorrente ha ribadito di aver ricevuto soltanto parte dei dati personali che lo riguardano (e che lo stesso ritiene essere trattati dalla resistente), rilevando che non è ipotizzabile che la società non abbia "mai effettuato una valutazione" del proprio rendimento, insistendo pertanto sulla propria richiesta;
VISTA la nota anticipata via fax il 24 luglio 2007 con la quale la resistente ha dichiarato di ritenere l'istanza del ricorrente "strumentale" (in quanto "diretta non a tutelare i propri pretesi diritti, ma esclusivamente" a "creare turbative alla normale attività di Vecofin S.p.A."), nonché inammissibile (in quanto volta ad ottenere la copia di una serie di documenti, anziché la comunicazione di dati personali); rilevato che la resistente ha altresì dichiarato che "tutte le delibere assembleari e (quelle) dell'organo amministrativo di Vecofin S.p.A. sono regolarmente comunicate alla Camera di commercio di Milano"  e sono quindi liberamente accessibili a chiunque e di ritenere quindi, "sul presupposto di non dovere trasmettere indiscriminatamente copia di atti e documenti (…), soprattutto in quanto non contenenti ulteriori dati personali dell'interessato rispetto a quanto a lui già comunicato (…), di avere esaustivamente aderito alla richiesta del sig. XY";
RILEVATO che la richiesta di accedere ai dati personali ai sensi degli artt. 7 e 8 del Codice consente di ottenere, ai sensi dell'art. 10 del Codice, la comunicazione in forma intelligibile dei soli dati personali effettivamente detenuti dal titolare del trattamento, estrapolati dai documenti che li contengono, ma che tale richiesta non consente all'interessato di chiedere copia integrale di tali documenti, né la conferma circa la loro pregressa esistenza o attestazioni circa la loro avvenuta distruzione;
RILEVATO, tuttavia, che il riscontro fornito dalla resistente in data 20 aprile 2007, e richiamato dalla stessa nel corso del procedimento, non risulta esaustivo, dal momento che esso fornisce una sintesi dei dati personali del ricorrente trattati dalla società, anziché la comunicazione di tutti i dati detenuti; rilevato che ciò, in particolare, si evince dal fatto che la resistente medesima, con riferimento ai dati relativi allo stato di salute del ricorrente, ha dichiarato di conservare i certificati medici che lo riguardano, senza indicarli analiticamente e in modo intelligibile nel rispetto del disposto di cui all'art. 10 del Codice;
RITENUTO, quindi, di dover accogliere il ricorso e di dovere pertanto ordinare alla resistente di comunicare al ricorrente, nelle forme e nei modi di cui all'art. 10 del Codice ed entro il termine del 31 ottobre 2007, tutti i dati personali che lo riguardano (in qualsiasi modo trattati) che non gli sono ancora stati comunicati (ivi compresi gli eventuali dati personali riferiti a giudizi, valutazioni, note caratteristiche, ecc.), dando conferma a questa Autorità dell'avvenuto adempimento entro la stessa data;
VISTA la determinazione generale del 19 ottobre 2005 sulla misura forfettaria dell'ammontare delle spese e dei diritti da liquidare per i ricorsi; ritenuto congruo, su questa base, determinare l'ammontare delle spese e dei diritti inerenti all'odierno ricorso nella misura forfettaria di euro 500, di cui euro 150 per diritti di segreteria, considerati gli adempimenti connessi, in particolare, alla presentazione del ricorso e ritenuto di porli a carico del titolare del trattamento nella misura di euro 300, previa compensazione della residua parte per giusti motivi legati al riscontro fornito, seppure parzialmente, nel corso del procedimento;
VISTA la documentazione in atti;
VISTI gli artt. 145 e s. del Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196);
VISTE le osservazioni dell'Ufficio formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;
RELATORE il dott. Giuseppe Fortunato;
TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:
a) accoglie il ricorso e ordina alla resistente di comunicare al ricorrente, nelle forme e nei modi di cui all'art. 10 del Codice ed entro il 31 ottobre 2007, tutti i dati personali che lo riguardano (in qualsiasi modo trattati) che non gli sono ancora stati comunicati, dando conferma a questa Autorità dell'avvenuto adempimento entro la stessa data;
 
b) determina nella misura forfettaria di euro 500, l'ammontare delle spese e dei diritti del procedimento posti, nella misura di 300 euro, previa compensazione della residua parte per giusti motivi, a carico di Vecofin S.p.A., la quale dovrà liquidarli direttamente a favore del ricorrente.
Roma, 4 ottobre 2007
IL PRESIDENTE
Pizzetti
IL RELATORE
Fortunato
IL SEGRETARIO GENERALE
Buttarelli

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