MOBBING
- RESPONSABILITA' CONTRATTUALE DEL DATORE DI LAVORO - RIPARTO DI GIURISDIZIONE
Domanda
di risarcimento danni proposta da pubblico dipendente nei confronti dell'amministrazione non
assoggettata alla nuova disciplina ex D.Lgs. n. 80 del 1998 -
Riparto della giurisdizione - Proposizione di azione
extracontrattuale o contrattuale - Rilevanza -
Criteri distintivi - Fattispecie relativa a domanda di risarcimento fondata
sulla sussistenza di "mobbing" in relazione ad asseriti
comportamenti vessatori realizzati
mediante violazione di specifici obblighi contrattuali.
Ai fini del riparto di
giurisdizione rispetto ad una domanda di risarcimento danni proposta da un
pubblico dipendente nei confronti dell'amministrazione, che non sia assoggettata
alla nuova disciplina introdotta dal D. Lgs. n. 80 del 1998, assume valore
determinante l'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità
in concreto proposta, in quanto, se si tratta di azione contrattuale, la
cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, mentre, se si tratta di azione extracontrattuale, la
giurisdizione appartiene al giudice ordinario. (Nella specie, relativa ad azione
risarcitoria fondata sull'esistenza di comportamenti vessatori posti in essere
dalla P.A. e configuranti - secondo il pubblico dipendente - un'ipotesi di
"mobbing", la S.C. ha dichiarato la giurisdizione del giudice
amministrativo, sul presupposto che gli atti asseritamente lesivi - tutti
avvenuti in epoca antecedente al 30 giugno 1998 - si riferivano a violazioni di
specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di pubblico impiego).
Sergio
B. conveniva dinanzi al Tribunale di Trento l'Istituto
Agrario di S. Michele all’Adige
e la Provincia autonoma di Trento
esponendo di aver lavorato alle dipendenze di detto Istituto dal 1981, e di
essere stato collocato in ruolo come fattore dell'Istituto Agrario di S. Michele
all’Adige,
con l'attribuzione di mansioni di direzione tecnica e amministrativa. Il
ricorrente aveva presentato degli esposti in ordine ad illeciti rilevati a
carico del direttore generale dell'Istituto, del Direttore amministrativo e dei
consiglieri di amministrazione dell'ente; successivamente, a partire dal 1987,
era stato oggetto di comportamenti vessatori posti in essere dai membri del
Consiglio di Amministrazione, ed era stato quindi privato delle funzioni già
svolte, essendo prima inquadrato come assistente agronomo e poi come
collaboratore agronomo, assegnato dal 1989 a compiti meramente esecutivi,
collocato in locali angusti e disagevoli, e costretto nel 1993 a lasciare
l'alloggio concessogli gratuitamente dall'ente datore di lavoro. Il B.
denunciava poi ulteriori comportamenti vessatori posti in essere in relazione al
godimento dei periodi di congedo ordinario, affermando che in conseguenza di
tale situazione era stato colpito da disturbi psicofisici, accusando una
sindrome psiconeurosica ansioso depressiva.
Il
sig. B. deduceva di essere stato quindi vittima di un'attività di mobbing,
concretatasi nella violazione degli artt. 2087 e 2103 cod. civ., da cui era
seguita una menomazione psicofisica, con conseguente responsabilità del datore
di lavoro per danno alla capacità lavorativa, danno biologico, danno morale ed
esistenziale. Chiedeva il risarcimento di tali danni e la condanna dell'ente
alla reintegrazione nei posto di lavoro spettante, con l'inquadramento
nell'ottava qualifica funzionale.
Con
decisione non definitiva il Tribunale adito dichiarava la propria giurisdizione
e il difetto di legittimazione passiva della Provincia Autonoma di Trento. A
seguito di gravame proposto dall'ente convenuto in primo grado, con la sentenza
oggi denunciata la Corte di Appello di Trento rilevava l'inammissibilità
dell'appello incidentale della Provincia Autonoma di Trento e dichiarava il
proprio difetto di giurisdizione. Ad avviso del giudice dell'appello, con la
domanda azionata erano stati fatti valere diritti derivanti da responsabilità
contrattuale del datore di lavoro, nell'ambito di un rapporto di lavoro alle
dipendenze di pubblica amministrazione, per fatti lesivi riferibili a periodo
antecedente al 30 giugno 1998. La controversia era pertanto devoluta alla
giurisdizione esclusiva dei giudice amministrativo.
Avverso
questa sentenza S. B. propone ricorso per cassazione affidato ad unico complesso
motivo, illustrato da memoria. L'Istituto Agrario di S. Michele all’Adige
resiste con controricorso e ricorso incidentale condizionato con due motivi.
La
Provincia Autonoma di Trento non si è costituita.
1.I
ricorsi proposti contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi
dell'art.335 cod.proc.civ.
2.1.
La difesa del B. eccepisce preliminarmente l'inammissibilità dei controricorso
e ricorso incidentale, rilevando che l'atto è stato tardivamente notificato il
3 febbraio 2003, dopo il decorso del termine di cui all'art.370 cod. proc. civ.,
che scadeva il 2 febbraio 2003; che la procura speciale apposta sull'atto è
stata sottoscritta dall'avv. (omissis), non ammesso al patrocinio dinanzi
alla Corte di Cassazione, il quale ha anche autenticato la firma della parte.
2.2.
Le eccezioni sono infondate. Per la prima, si deve rilevare che il 2 febbraio
2003 (giorno di scadenza come rilevato dalla parte del termine per la notifica
del controricorso e ricorso incidentale) cadeva di domenica; la scadenza era
quindi prorogata, ai sensi dell'art.i55 cod. proc.civ., al primo giorno seguente
non festivo, nel quale è stata compiuta la notifica dell'atto.
2.3.
Per la seconda, si osserva che l'(omissis) ha conferito la procura
speciale alle liti, apposta a margine al controricorso e ricorso incidentale,
agli avvocati (omissis) e (omissis), i quali hanno entrambi
sottoscritto l'atto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la
certificazione da parte di avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi
alla Suprema Corte dell'autografia della sottoscrizione della parte apposta
sulla procura speciale ad litem rilasciata in calce o a margine del ricorso o
del controricorso per cassazione, che sia stato firmato anche da altro avvocato
(quest'ultimo iscritto nell'albo speciale e indicato come condifensore in
procura), costituisce mera irregolarità, inidonea a incidere sui requisiti
indispensabili per lo scopo dell'atto (v. tra le più recenti decisioni Cass. 10
ottobre 2000 n.13468, 11 ottobre 2001 n.12411, 6 giugno 2003 n.9078, 8 luglio
2003 n.10372).
3.
L'unico complesso motivo del ricorso principale reca il titolo "violazione
e falsa applicazione dell'art.360 cod. proc. civ. punto i per motivi attinenti
alla giurisdizione (giurisdizione dell'A.G.O. in luogo della affermata
giurisdizione amministrativa); punto 3 per violazione e falsa applicazione di
norme di diritto con riguardo all'art. 69 punto 7 del d.lgs 165/2001, trattandosi
di domanda di nullità del procedimento di appello e percepito mancato deposito
da parte dell'Amministrazione appellante dei fascicolo di primo grado; punto s
per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia".
4.
Nell'ordine
logico va esaminata anzitutto la denuncia di nullità della sentenza di appello,
che si pone con carattere di pregiudizialità rispetto alla questione di
giurisdizione, e che la parte ricollega al mancato deposito del fascicolo di
primo grado dell'appellante Istituto Agrario. La censura non ha fondamento, in
relazione al principio di tassatività di cui all'am 156 I° comma cod.proc.civ.
A seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 353 del 1990, il nuovo testo
dell'art.348 cod. proc. civ. non prevede più la declaratoria di improcedibilità
dell'appello in conseguenza della mancata presentazione del proprio fascicolo da
parte dell'appellante (sanzione che era invece comminata dal secondo comma dello
stesso articolo prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 353 del 1990)
ancorché il deposito del fascicolo e della sentenza impugnata siano comunque
prescritti dal combinato disposto degli artt. 165, 359 e 347 C.P.C. (Cass. 18
maggio 2001 n.6805, 2 luglio 2003 n.10404).
5.1.
La difesa del ricorrente principale sostiene di aver fatto valere, in relazione
ai comportamenti denunciati, una responsabilità sia contrattuale che
extracontrattuale dell'ente datore di lavoro. La Corte di Appello ha fondato la
propria decisione in ordine alla qualificazione dell'azione proposta sull'ordine
di servizio emanato dall'ente nel 1989, senza considerare che la parte non aveva
chiesto in proposito alcun accertamento sulla legittimità dell'atto. La Corte
territoriale ha erroneamente affermato, con una motivazione
"contraddittoria e travisata proprio su un punto decisivo", che
l'attore in primo grado ha prospettato una responsabilità esclusivamente
contrattuale della controparte, senza considerare che la richiesta di
risarcimento di danno alla salute non poteva costituire oggetto della cognizione
del giudice amministrativo, dinanzi al quale la pretesa risarcitoria non trova
alcuna tutela.
La
parte rileva (punto f del ricorso) che con l'atto introduttivo sono state
prospettate condotte illecite poste in essere dai datore di lavoro "non con
riguardo allo svolgimento del rapporto contrattuale di lavoro .... ma riguardo a
condizioni relazionali e di vita che nell'ambiente di lavoro sono state
appesantite da un accanimento e da atteggiamenti e condotte, anche omissive, che
rappresentano vere e proprie violazioni del principio aquiliano del neminem
laedere". La ricostruzione compiuta dalla Corte territoriale, che tende
a far rientrare nel rapporto contrattuale ogni vicenda vessatoria subita dal
dipendente, comporta che il fenomeno del mobbing "non può di necessità
verificarsi in alcun ambiente di lavoro e nei confronti di alcun dipendente,
poiché in simile contesto ogni condotta ricadrebbe automaticamente nel rapporto
che lega il datore di lavoro con il dipendente e quindi gli eventuali danni alla
salute nonché alla integrità psico fisica del lavoratore non troverebbero
tutela". Nell'ipotesi del mobbing, "il rapporto di lavoro diviene
solamente lo scenario di fondo (la occasione) di innumerevoli attività e
condotte anche omissive che mirano all'isolamento del soggetto mobbizzato fino a
provocare in lui un senso di smarrimento, di impotenza, di frustrazione
psicologica ed anche fisica, di svilimento alla libertà e alla dignità della
persona tale da provocare danni cronici alla salute".
5.2.
La censura è infondata. Si osserva preliminarmente che in ordine alle questioni
di giurisdizione le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono anche giudice
del fatto e pertanto possono (e devono) procedere direttamente all'apprezzamento
dei fatti, allegati dalle parti ed emergenti dalle risultanze istruttorie,
traendone conseguenze in piena autonomia e indipendenza sia dalle deduzioni
delle parti che dalle valutazioni del giudice a quo, risultando quindi
inammissibile sotto questo profilo la denuncia di vizi di motivazione della
sentenza impugnata (giurisprudenza costante: v. per tutte Cass. Sez.Un. 10
agosto 2000 n.560, 27 giugno 2002 n. 9338, 22 luglio 2002 n.10696, 10 gennaio
2003 n. 261). Posto che la giurisdizione si determina sulla base della domanda
e, " ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e amministrativo, rileva
non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto petitum
sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della
concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in
funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della
posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo
ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale essi sono manifestazione,
va qui richiamato il consolidato orientamento di questa Corte in tema di azione
per il risarcimento dei danno subito in relazione ad un rapporto di lavoro
subordinato alle dipendenze di una pubblica amministrazione.
Secondo
questo indirizzo, il riparto di giurisdizione è strettamente subordinato
all'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità in
concreto proposta, in quanto, se si tratta di azione contrattuale, la cognizione
della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
(allorché la controversia abbia per oggetto una questione relativa ad un
periodo dei rapporto di lavoro antecedente al 30 giugno 1998); se si tratta
invece di azione extracontrattuale, la giurisdizione appartiene al giudice
ordinario. Al fine di tale accertamento, si deve ritenere proposta la seconda
tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore
dell'azione contrattuale, e quindi allorché, per esempio, il danneggiato
invochi la responsabilità aquiliana ovvero chieda genericamente il risarcimento
dei danno senza dedurre una specifica obbligazione contrattuale, e dovendosi,
invece, ritenere proposta l'azione di responsabilità contrattuale quando la
domanda di risarcimento sia espressamente fondata sull'inosservanza, da parte
del datore di lavoro, degli obblighi inerenti al rapporto di impiego (Cass.
Sez.Un. 4 novembre 1996 n.9522, 28 luglio 1998 n.7394, 14 dicembre 1999 n.900,
12 marzo 2001 n.99, 11 luglio 2001 n.9385, 29 gennaio 2002 n.1147, 25 luglio
2002 n.10956, 5 agosto 2002 n.11756, 23 gennaio 2004 n.1248).
5.3.
Nella specie,
con il ricorso introduttivo dei giudizio è stato chiesto l'accertamento di
"condotte antigiuridiche, configuranti la fattispecie del mobbing,
imputabili a fatto e colpa dell'(omissis) ... derivanti da responsabilità
contrattuale ed extracontrattuale" e la condanna dell'Istituto convenuto al
risarcimento del danno, oltre che all'inquadramento del B. nell'ottava qualifica
funzionale e alla reintegrazione nella precedente posizione di lavoro.
I
comportamenti illeciti denunciati consistono, secondo l'esposizione della parte
-
nel mutamento, dopo
il "reinquadramento" nella qualifica di assistente agronomo, delle
mansioni già svolte,. con il trasferimento, nell'aprile del 1989, ad altra unità
con compiti puramente esecutivi di inserimento di dati in un computer,
-
nella
successiva attribuzione, dal luglio 1990, della qualifica di collaboratore
agronomo VII livello funzionale, destinato all'Ufficio Contabilità Agraria con
mansioni esecutive, mantenute per tutto il periodo successivo;
-
nell'assegnazione,
nella stessa epoca e fino al 1998, di un posto di lavoro in locale angusto,
scarsamente illuminato e insalubre;
-
nella privazione,
nel 1993, dell'alloggio prima concessogli a titolo gratuito nell'ambito della
struttura dell'Istituto;
-
nell'ingiusto
comportamento che aveva impedito al B. di godere di periodi di riposo, ed anche
di accedere alla relativa documentazione personale.
Le
altre allegazioni della parte riguardano, oltre che comportamenti vessatori
posti in essere nei confronti della moglie dei B., dipendente dello stesso
Istituto, le circostanze relative all'insorgere di fenomeni patologici, ed in
particolare di una "sindrome psiconeurosica ansioso depressiva"
diagnosticata nell'anno 2000.
5.4.
In relazione alla situazione soggettiva dedotta in giudizio la domanda va
riferita indipendentemente dalla prospettazione della parte ad un'azione di
responsabilità contrattuale. Infatti, se il termine mobbing (utilizzato dalla
parte per descrivere il caso in esame) può essere generalmente riferito ad ogni
ipotesi di pratiche vessatorie, poste in essere da uno o più soggetti diversi
per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo ambiente di lavoro,
nella fattispecie vengono in rilievo, con riguardo ai fatti indicati sub 5.3.,
violazioni di specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di impiego.
Questo non rappresenta dunque un mero presupposto estrinseco ed occasionale
della tutela invocata, in quanto la stessa attiene a diritti soggettivi
derivanti direttamente dal medesimo rapporto, lesi da comportamenti che
rappresentano l'esercizio di tipici poteri datoriali, in violazione non solo del
principio di protezione delle condizioni di lavoro, ma anche della tutela della
professionalità prevista dall'art. 2103 cod. civ. (in relazione alla quale si
chiede il ripristino della precedente posizione di lavoro e della corrispondente
qualifica).
Si
tratta pertanto di atti di gestione dei rapporto di lavoro che,
indipendentemente da una concreta correlazione con un disegno di persecuzione
reiterata, trovano un diretto referente normativo nella disciplina della
regolamentazione del rapporto e ricevono da questa la loro sanzione di illiceità.
La fattispecie di responsabilità va così ricondotta alla violazione degli
obblighi contrattuali stabiliti da tali norme, indipendentemente dalla natura
dei danni subiti dei quali si chiede il ristoro e dai riflessi su situazioni
soggettive (quale il diritto alla salute) che trovano la loro tutela specifica
nell' ambito dei rapporto obbligatorio.
E'
poi del tutto infondata l'affermazione secondo cui la tutela risarcitoria (in
tutte le sue componenti) fondata sulla responsabilità contrattuale dell'ente
datore di lavoro non potrebbe essere fatta valere dinanzi al giudice del
rapporto, al quale spetta la cognizione della controversia.
6.1.
Il ricorrente principale deduce poi che la questione non attiene soltanto ad un
periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998 (in relazione al
disposto dell'art. comma 17 del d.lgs. n.80/1998, ed ora dell'art.69 settimo
comma del d.lgs. n. 165 del 2001), perché la fattispecie dedotta attiene ad un
comportamento illecito permanente, per la quale il momento di realizzazione del
fatto dannoso si identifica con quello di cessazione della permanenza;
cessazione non avvenuta, perdurando tuttora la condotta lesiva con la
dequalificazione e l'isolamento del dipendente. Inoltre, il danno psicofisico e
biologico è stato rilevato solo con gli accertamenti medici effettuati
nell'anno 2000 (punto g del ricorso).
6.2.
L'assunto è infondato. Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che il
discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, fissato
dall'art.45 comma 17 prima parte del d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (ora art. 69,
comma settimo, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165) con riferimento al dato storico
costituito dall'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze poste a base
della pretesa avanzata, comporta che, se la lesione del diritto del lavoratore è
prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento
all'epoca della sua emanazione, mentre laddove la pretesa abbia origine da un
comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si deve avere
riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso e quindi al momento di
cessazione della permanenza (Cass. Sez.Un. 24 febbraio 2000 n.41, 18 ottobre
2002 n.14835).
Nel
caso in esame viene in rilievo, per quanto si è già osservato, una serie di
specifici atti di gestione del rapporto di lavoro, con i quali si è realizzata
compiutamente una fattispecie di inadempimento contrattuale, lesiva delle
posizioni soggettive tutelate, ancorché l'esistenza dell'evento dannoso si sia
protratta autonomamente. Si prospetta quindi, in relazione ai fatti dedotti,
un'ipotesi di illeciti istantanei con effetti permanenti, dovendosi far
riferimento a tal fine (come è stato precisato dalla giurisprudenza in tema di
illecito extracontrattuale: v. Cass. 1 febbraio 1995 n. 1156, 20 dicembre 2000
n.16009) non al danno ma al rapporto eziologico tra questo e il comportamento
contra ius dell'agente.
Nella
vicenda descritta i singoli atti lesivi dei diritti del dipendente risultano
tutti riferiti ad epoca antecedente al 30 giugno 1998: la controversia riguarda
quindi questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data
fissata come discrimine temporale dalla richiamata norma transitoria,
interpretata secondo un criterio ermeneutico inteso ad evitare frazionamenti
della tutela processuale fra giurisdizioni diverse. D'altro canto non assume
alcuna rilevanza, a tal fine, l'epoca della manifestazione delle patologie
denunciate dal ricorrente.
7.
Sotto un altro profilo, si deduce che la Corte territoriale non ha
considerato che le controversie di cui all'art.69 del d.lgs. n.165/2001 (già
art. 68 del d.lgs. n.29 del 1993 e successive modificazioni) relative a
questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno
1998 restano attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo solo
qualora le domande siano state proposte entro il 15 settembre 2000. Si sostiene
che questo termine rappresenta una decadenza ai soli fini processuali, ma non
una decadenza sui generis dal diritto soggettivo vantato, con conseguente
devoluzione al giudice ordinario delle controversie "non impugnate entro il
15 settembre 2000" .
Anche
questa censura è infondata. Il superamento della data del 15 settembre 2000,
indicata dall'art.45 comma 17 dei d.lgs. n.80/1998 (ed oggi dall'art.69 settimo
comma del d.lgs. n.165 del 2001) non rileva ai fini della decisione sulla
giurisdizione: secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (v. tra molte
Cass. Sez.Un. 27 marzo 2001 n.139, 30 gennaio 2003 n.1511) detto termine è
fissato non quale limite alla persistenza (relativamente alle questioni
caratterizzate dagli indicati requisiti temporali) della giurisdizione del
giudice amministrativo, ma quale termine di decadenza sostanziale per
proponibilità della domanda giudiziale, con conseguente attinenza di ogni
questione ai limiti interni della giurisdizione.
8.
Il ricorso principale deve essere quindi respinto, e va dichiarata la
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Resta
conseguentemente assorbito l'esame dei due motivi del ricorso incidentale
proposto in via condizionata dall'Istituto Agrario di S. Michele all’Adige,
con i quali si ripropongono le questioni, ritenute assorbite in appello, della
giurisdizione del giudice amministrativo per alcune delle pretese risarcitorie
azionate e della decadenza dell'attore dall'impugnazione dell'ordine di servizio
del 4 aprile 1989, in relazione alla prospettata assegnazione di mansioni
inferiori.
Si
ravvisano giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese dei
presente giudizio.
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e dichiara la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Dichiara assorbito il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
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