MOBBING: IL “NUOVO BUSINESS” AZIENDALE

 

Sono passati ormai molti anni e precisamente un decennio (1996-2006) da quando per la prima volta in Italia il dott. Harald Ege ha descritto nei suoi libri il fenomeno del mobbing, il suo significato etimologico, le sue fasi, le strategie aziendali per attuarlo e il vasto repertorio di azioni/comportamenti mobbizzanti, messi in campo dall’Azienda, con la finalità di danneggiare il lavoratore (la vittima designata) ed espellerlo dal luogo di lavoro o costringerlo alle dimissioni forzate.

Nella rivista “L’impronta” (nn. 2/3 marzo 2005 e n.1 gennaio 2006) si è parlato di questo fenomeno del mobbing e si è voluto offrire uno specifico e pragmatico aiuto ai lavoratori mobbizzati e alle categorie professionali (magistrati, avvocati, medici del lavoro, sanitari, sindacati, ispettori del lavoro, responsabili di strutture competenti, etc.) che dovrebbero tutelare ed essere di supporto al lavoratore, vittima del mobbing. In questa serie di articoli (offerti a puntate) intitolati “kit di sopravvivenza per i mobbizzati”- ovvero l’arte di sopravvivere alla “guerra”, si è discusso di come sia importante essere consapevoli della scelta di intraprendere un’azione legale nei confronti del proprio datore di lavoro. La metafora dell’azione di “guerra” e, quindi, di conflitto e di violenze continue e logoranti, ci aiuta a capire come sia delicato e pericoloso partire per la guerra senza “essere attrezzati”, senza avere le condizioni favorevoli, gli “alleati” e le risorse (interne ed esterne), che facilitano la possibile vittoria nella battaglia contro il “nemico” (datore di lavoro).

Questo fenomeno del mobbing, non essendo stato preso in seria considerazione dai nostri Politici, dalle Organizzazioni sindacali, dai Giuristi più autorevoli, dalle varie Istituzioni politiche, etc., che avrebbero dovuto attivarsi, attraverso specifici interventi da parte di Strutture competenti o attraverso normative e leggi speciali, per arrestare questa “prassi aziendale” (attuata da molte Organizzazioni sia pubbliche che private), si è diffuso sempre più nel mondo del lavoro, divenendo una vera e propria forma di nuovo “business aziendale”, praticato da molti con il “consenso” tacito di altri.

Naturalmente parliamo di aziende, enti, organizzazioni etc., che non essendo capaci di gestire le risorse umane, le attività e il business con competenza, ricorrono ad espedienti come questo, per risolvere i loro problemi gestionali e di bilancio.

Continuano ad esistere, tuttavia, anche aziende e organizzazioni competenti, sane ed eticamente corrette, che gestiscono il loro business e le loro risorse (soprattutto quelle umane) in modo intelligente.  

Si evidenzia nella letteratura del settore, l’importanza delle cosiddette “risorse umane”; si dice appunto che sono il capitale più significativo per un’azienda, il capitale su cui investire per avere profitti. A parità di competenze e di tecnologie l’elemento distintivo e di “eccellenza” è dato appunto dalle persone: dal loro impegno, dalla motivazione ed entusiasmo nel voler raggiungere gli obiettivi aziendali ed ancora dal loro essere “una fonte inesauribile e continua di idee, creatività ed innovazione”. Come è sempre vero:  “si predica bene e si razzola male”… In alcune aziende, quelle malsane e incapaci, senza etica e senza scrupolo, alcuni individui (quasi sempre i lavoratori che operano “fuori dagli schemi” e non allineati alle “singolari” politiche aziendali) sono i nemici da “far fuori”, mentre in realtà, potrebbero essere “risorse preziose” per l’azienda, al fine del raggiungimento di importanti obiettivi (missione che accomuna azienda e lavoratori) per la sopravvivenza dell’Organizzazione, oltre che per il successo della stessa sul mercato.

Quando le Aziende (che producono tra l’altro degli utili) non possono licenziare i propri dipendenti, ma necessitano abbassare i costi del Personale, per sopperire ad indebitamenti economici e/o finanziari dovuti a scelte speculative da parte del management, o a cattiva gestione del Vertice aziendale e/o a seguito di un elevato numero di assunzioni di personale di tipo clientelare (ormai “non più utile”) etc., non rimane altro che “sbarazzarsi” dei propri dipendenti scomodi (di quelli che costano di più e/o che non sono allineati con l’Azienda), utilizzando la “pratica del mobbing”. Tale prassi, utilizzata da molte aziende private e pubbliche, permette di realizzare, con la “compiacenza e connivenza” tacita di molte Istituzioni, un “nuovo business aziendale”, molto redditizio economicamente e, soprattutto, utile per fronteggiare gli enormi deficit di bilancio, dovuti alle cause sopra accennate. Si tratta, in verità, di ingenti somme di danaro che entrano in azienda sotto forma di abbattimento dei costi del Personale. Una modalità di “introito invisibile” che aiuta a pareggiare il bilancio in rosso e a fronteggiare i gravi indebitamenti.

AA lavoratori aono lese la sua dignitratiche di mobbing vengono costretti aratori a rimanere in azienda, spingendoli a dare le dittraverso quotidiane “pratiche di mobbing”, i lavoratori vengono mortificati (insultati, dequalificati, demansionati, etc.), vessati continuamente e costretti il più delle volte a dare le dimissioni. In alcuni casi, quando i lavoratori “resistono” e presentano un giudizio davanti al Tribunale civile, sezione Lavoro, quasi regolarmente, le Aziende propongono una transazione giudiziale o extragiudiziale, offrendo qualche euro (a volte si tratta di vera elemosina), in cambio di una carriera distrutta, di danni alla salute e alla professionalità, per una violenza subita a lungo che lascia i segni; l’intento dell’Azienda è quello così di “imbavagliare” la vittima e cancellare le pratiche di violenza e di lesione dei diritti, utilizzate come prassi in molte aziende per fare business, quando si è appunto incapaci di creare “valore aziendale”, attraverso un lecito guadagno, fatto di qualità/eccellenza del servizio e dei prodotti e di un forte e sentito orientamento al cliente (interno ed esterno).

E così l’Azienda in cambio di pochi euro si “compra” il lavoratore, concedendo alle vittime, in cambio del loro silenzio, la libertà (perdita del posto di lavoro) e il recupero della salute, con conseguenze pesantissime per il lavoratore, in termini economici, a medio-lungo tempo. Non sempre il lavoratore licenziato o che si è dimesso, peraltro in condizioni precarie di salute e con un’età al di sopra dei 40-45 anni,  riesce a trovare un nuovo impiego stabile,  che gli permette di sostenere economicamente la sua famiglia. A volte tale lavoratore si trova pure ad essere inquadrato in un livello non corretto e, perciò, non corrispondente alla sua professionalità e alle mansioni di fatto svolte in azienda; questo naturalmente complica ulteriormente la sua possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Se poi mancano molti anni per il diritto alla pensione, il lavoratore mobbizzato rischia di invecchiare, senza ottenerla, pur avendo versato all’INPS regolarmente e per molti anni,  i suoi contributi previdenziali. 

Molti lavoratori, vittime di ingiustizie, di discriminazioni e di diritti lesi, dopo aver intrapreso una causa di mobbing - a seguito di svuotamento di mansioni, dequalificazione, demansionamento, vessazioni morali e/o sessuali, incarichi “ difficili e pesanti” (con obiettivi difficilmente raggiungibili) e non confacenti alle loro attitudini, etc.) - cedono ai tempi troppo lunghi della giustizia e, sono obbligati a scegliere un irrisorio risarcimento per “non morire dentro”, data la lunga attesa del giudizio e le continue violenze e ritorsioni da parte aziendale, a cui sono sottoposti la maggior parte dei mobbizzati. In alcuni casi non essendo il lavoratore certo di una sentenza a suo favore, a causa di molteplici motivi dipendenti da altri professionisti (per “compiacenza” tra avvocati, per “favoritismi” del giudice, per “incapacità” dei sanitari, per “vizi di forma” nei ricorsi che inficiano il merito – e che non permettono di vincere la vertenza, pur avendo ragione -  etc.), si trova costretto ad accettare  i soldi offerti dall’azienda e a lasciare il posto di lavoro. Ogni volta che il mobbizzato predilige la sua salute e la sua libertà, ed accetta di lasciare il posto di lavoro e di riscuotere la miserevole somma di danaro offerta dall’Azienda, regala al suo datore di lavoro milioni e milioni di euro, che servono alle Aziende, come si è già detto, per diminuire le enormi spese (con abbassamento dei costi del Personale), al fine di coprire gli enormi bilanci in rosso creati dai grandi “manager” (molto ben pagati, ma incapaci a gestire un’azienda). Di tutto ciò, chi paga sulla propria pelle gli “errori” altrui sono, invero, altre categorie di lavoratori: quelle meno pagate e meno tutelati dalla legge.

Anche le aziende statali e parastatali si arricchiscono alle spalle dei lavoratori mobbizzati, così come fanno quelle private.  Un altro modo dello Stato per “rientrare” economicamente (aumentare le entrate) è quello di riscuotere ingenti tasse a fronte di transazioni su vertenze tra lavoratori e datori di lavoro (durante il giudizio o alla fine dell’esito di questa). Più vertenze di lavoro esistono, più tasse vengono pagate allo Stato e maggiori sono le entrate, per compensare i deficit di bilancio.

Sembrerebbe, quindi, che “disfunzioni e prassi illecite” del sistema aziendale, politico e istituzionale, siano in realtà funzionali, strumentali ed efficaci per molte categorie di persone fisiche e giuridiche (Aziende, Istituzioni etc.), a svantaggio di altre categorie, quelle dei lavoratori meno tutelati: impiegati e operai.

Non dimentichiamo però che i costi di questo mobbing sono enormi e ricadono sia sullo Stato, che sulla società. Ad esempio la voce “spese sanitarie” raggiunge tetti altissimi, così come la voce “malattia” che viene pagata al lavoratore dall’INPS ma, più precisamente dall’intera collettività. Specifiche ricerche di mercato sui costi del mobbing ci forniscono dati interessanti, che potrebbero farci riflettere.

Il fenomeno del mobbing colpisce nella maggioranza Quadri e Dirigenti di età intermedia (40-50 anni); quando essi vengono scelti come “vittime” da parte del datore di lavoro subiscono generalmente vari danni, oltre quello economico: alla professionalità, alla salute, all’immagine professionale, personale, etc. Per tali categorie di lavoratori, sia per l’età che per il danno subito, rimettersi in gioco sul mercato del lavoro è alquanto difficile e problematico. Il disagio del mobbizzato nasce sul lavoro, ma tende con il tempo ad accrescersi e a ripercuotersi nella vita personale e sociale. Molte famiglie sono messe a dura prove o entrano in crisi a seguito di questo problema e svariate coppie si separano.

Il lavoratore mobbizzato, a prescindere dalla categoria a cui appartiene (sia esso Operaio, Impiegato, Quadro o Dirigente etc.), si trova essenzialmente solo (in questa atroce lotta per la propria sopravvivenza sul luogo di lavoro) a combattere e a difendere il proprio posto lavorativo. Ogni giorno deve affrontare situazioni difficili e prendere decisioni, esponendosi al rischio di essere espulso dall’azienda, per un errore di “distrazione” o negligenza, commesso sul lavoro o semplicemente per essere cascato nelle “trappole” create a regola d’arte dal datore di lavoro (e dai suoi consiglieri), per coglierlo in fallo e licenziarlo. Spesso, gli addebiti delle contestazioni disciplinari attribuiti al lavoratore sono fittizi e/o pretestuosi e la vittima di questo gioco al massacro, “inciampa e cade” per banali e futili motivi, come ad esempio: per non aver fornito sufficienti prove a sua discolpa, per banali sviste ed errori da parte del suo avvocato, per non aver risposto alla contestazione correttamente e nei tempi dovuti, per non conoscere bene le normative aziendali, etc.

Il sindacato, un’organizzazione molto potente, nata per essere al fianco dei lavoratori e tutelarli, non sempre riesce a svolgere efficacemente il suo ruolo: i sindacati all’epoca odierna scendono con estrema facilità a compromessi con i datori di lavoro, sempre più arroganti e prepotenti. Anche le loro forme di lotta (sciopero e conseguente riduzione del già misero stipendio) non sono più adeguate ai nostri tempi e non sortiscono più il loro effetto, come nel passato. Si tratta di un’organizzazione che andrebbe ripensata, riorganizzata e rilanciata. La politica concertativa dei sindacati confederali, infatti, appare essere molto lontana dai problemi e dalle reali esigenze dei lavoratori e gli stessi delegati sindacali RSU e RSA si trovano sempre più in difficoltà e stanno perdendo credibilità agli occhi dei lavoratori.

Molti dei diritti, conquistati a suo tempo dai lavoratori assieme alle organizzazioni sindacali sono andati persi, e a fianco del lavoratore non troviamo più un sindacato forte, fatto di persone che credono nella loro missione, con forti valori ispiratori, che li vedeva accanto ai più deboli. Le stesse contrattazioni sindacali non sono più a vantaggio dei lavoratori e le aziende utilizzano maggiormente il loro potere per compiere abusi aziendali, spesso indisturbati e con la connivenza di altre “istituzioni politiche”. Attualmente non viviamo più “in una Repubblica fondata sul lavoro” e, pertanto, la precarietà nel lavoro e in tanti altri ambiti, caratterizza i nostri tempi (difficili e complessi) e crea forte instabilità e malessere a livello personale e sociale.

Gli stessi sindacalisti, oggi giorno, sono vittime del mobbing, soprattutto quelli che ne hanno la vera vocazione e che, quando si espongono per tutelare un lavoratore, pagano in prima persona le lotte che portano avanti. Anche loro combattono da soli e non sempre trovano il sostegno e la protezione delle organizzazioni sindacali, di cui fanno parte.

Il mobbing, infatti, non è un fenomeno monitorato dal sindacato e tutelato da essi attraverso i Contratti di lavoro o specifiche Commissioni interne/esterne all’Azienda, atte a prevenire, promuovere e soprattutto tutelare, prima che sia troppo tardi, lo stato psico-fisico del lavoratore. Se il mobbizzato si ammala in un contesto lavorativo malsano (a lui non adatto e pertanto lesivo alla sua salute), deve continuare per anni a rimanere in quel luogo di lavoro, sottostando a violenze e soprusi quotidiani, in attesa che la magistratura si pronunci e sentenzi. D’altra parte, visto che le vertenze nei vari gradi di giudizio richiedono almeno una decina di anni, il lavoratore vittima del mobbing è destinato a diventare un malato cronico, a perdere la sua professionalità, a screditare la sua immagine professionale e personale, fino ad arrivare a non essere più in grado di lavorare e/o svolgere come prima il suo lavoro. Anche se il mobbizzato vincerà la causa, non saprà più cosa farsene. Quando si compromette la salute, l’immagine, la professionalità del lavoratore, la rete dei rapporti personali, sociali e professionali da lui tenuti in precedenza, etc. è quasi impossibile per il mobbizzato ricominciare da capo la propria vita (personale e professionale). Le sue energie saranno ridotte e le sue capacità e competenze fortemente “lesionate e danneggiate” dai suoi trascorsi di “violenza” ripetuta e sistematica, che hanno mutato in profondità la sua visione del mondo e la sua voglia di lavorare e di essere produttivo.

In questo scenario di forte instabilità, precarietà e “approssimatezza” nei vari ambiti (lavoro, politica, economia, finanza, giustizia, sanità, etc.) l’individuo prova disagio e tende ad ammalarsi. Non è un caso che depressione sia la patologia più comune di questo secolo. Per i più giovani e per gli anziani (con entrate minime per vivere) si prospettano tempi molto difficili per la loro “sopravvivenza” (economica, emotiva ed esistenziale).

Le scelte politiche, economiche, finanziarie, sociali, fiscali, sul lavoro, etc. effettuate dal nostro Governo ed attuate dagli Organi competenti, in sinergia con le varie Istituzioni politiche, si ripercuotono sull’individuo, sulle organizzazioni e sulla società.  Spesso, senza esserne consapevoli, direttamente o indirettamente, siamo co-responsabili delle scelte e delle decisioni che vengono poste in essere, con superficialità; ci manca la capacità di risolvere i problemi in modo sistemico e non riflettiamo mai sugli effetti e sulle conseguenze, nel tempo e nello spazio, delle decisioni che si vorrebbero attuare. Così facendo ognuno di noi si trova coinvolto in situazioni della vita spesso ingovernabili.

Per ciò che riguarda il fenomeno del mobbing, ad esempio, non ci si rende conto che non occupandosi seriamente e concretamente di questo fenomeno sociale (destinato sempre più ad allargarsi), possiamo contribuire a creare individui frustrati, malati e improduttivi, che in futuro possono per necessità trasformarsi in possibili delinquenti e/o criminali. E’ evidente che le difficoltà economiche dovute alla disoccupazione crescente, comportano seri problemi personali e familiari, che spingono l’individuo a fare scelte di lavoro “facili e molto remunerative” (anche se rischiose, illegali e/o illeciti), per porre fine allo stato di prostrazione e sopravvivenza quotidiana.

Tale articolo si pone come obiettivo quello di risvegliare le “coscienze ancora dormienti” e sensibilizzare l’individuo e le varie Istituzioni politiche, al fine di prevenire il fenomeno delle violenze morali e/o sessuali sul luogo di lavoro, tutelare concretamente i lavoratori mobbizzati, (promuovendone e tutelandone la salute) e, soprattutto, arginare quelle che sono le conseguenze di questo dilagante fenomeno, che potrebbe accrescere nel tempo il disagio della collettività (con patologie sempre più frequenti come: stress lavorativo, alcolismo, tossicodipendenza, anoressia, bulimia, depressione, attacchi di panico, etc.) e la delinquenza comune.

A tale fine, s’intende sollecitare e promuovere dibattiti, conferenze, corsi di formazione, laboratori esperienziali, proposte di legge, nuove lotte e progetti condivisi tra associazioni affini ed altro ancora. Tali iniziative potrebbero a loro volta stimolare, sensibilizzare, accrescere ed integrare le competenze delle persone coinvolte nel processo (istituzioni politiche, sindacati, ispettori del lavoro, sanitari, giuristi, magistrati, etc.), che come abbiamo visto hanno il difficile compito di prevenire, tutelare i lavoratori mobbizzati e arrestare, per quanto sia possibile, il dilagante fenomeno del mobbing.

Una maggiore consapevolezza sulle probabili conseguenze di questo fenomeno sociale, venuto a costituirsi come “nuova forma di business aziendale”, potrebbe aiutare le Istituzioni politiche e tutti gli attori coinvolti nel processo, ad occuparsi in modo responsabile di questo problema, in modo da arginare gli effetti e le conseguenze di questo fenomeno sociale, che coinvolge innanzitutto il mondo del lavoro, ma che si estende e ripercuote  nella vita personale e sociale di tutte quelle persone (loro famiglie, amici e conoscenti), coinvolte direttamente o indirettamente dallo stress e dal disagio lavorativo e occupazionale.

Tania Lardo

Roma, 10/1/2007

(fonte:www.deltanews.it/)

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