Il contenzioso del lavoro nel Gruppo IMI: la dequalificazione del dr. Sergio Marchetti

 

Pretura di Roma, 20 febbraio 1995 - Est.  Perra - Marchetti  (avv. Angelozzi) c. IMI - Istituto Mobiliare Italiano S.p.A. (avv. Scognamiglio).

 

 

Assegnazione di dipendente con esperienza legale a mansioni di analisi tributaria, in area amministrativa, con sbocco in forzata inattività - Violazione dell'art. 2103 e diritto al risarcimento danni alla professionalità, in via equitativa - Danni morali - Insussistenza - Danno biologico - Irrisarcibilità per mancata prova di nesso di casualità.

 

L'art. 2103 c.c. in tema di jus variandi implica che le nuove mansioni debbano essere aderenti alla specifica competenza tecnico-professionale del dipendente, salvaguardandone il livello professionale e devono, in ogni caso, essere tali da consentire la piena utilizzazione o, addirittura, l'arricchimento del patrimonio professionale acquisito nella pregressa fase del rapporto (equivalenza non riscontrata nell'assegnazione di un procuratore del Servizio legale, con pregressa esperienza di consulenza legale, alla Direzione Bilancio per l'esame di problematiche fiscali).

Ne consegue il diritto del ricorrente alla riassegnazione di funzioni di consulenza legale o equivalenti, aventi lo stesso contenuto professionale nonché quello al risarcimento di danno alla professionalità (definito, in via equitativa, in 50 milioni atteso che il ricorrente avrebbe concorso al danno con la propria inerzia, a fronte di 10 anni di dequalifícazione sconfinata, negli ultimi 5 anni, in forzata inattività).

Non sussiste nel demansionamento il danno morale, risarcibile nei soli casi cui rinvia l'art. 2059 c.c.

Parimenti irrisarcibile il danno biologico in carenza di prova di nesso di casualità con l'asserito pregiudizio allo stato di salute.

 

(Omissis)

 

SVOLGIMENTO  DEL PROCESSO - Con ricorso ritualmente notificato Marchetti Sergio espone: di essere stato assunto dall'IMI in data 2.3.1972 con la qualifica di impiegato di prima categoria ed assegnato al Servizio legale; di essere iscritto alla data di assunzione nel Registro praticanti Procuratori di Roma; di aver ottenuto in data 13 marzo 1975, e con decorrenza dal 23.7.1974 , riconoscimento della qualifica di Capo reparto; di essere stato poi promosso in data 23.7.1976 e, con decorrenza dal 1 agosto 1976, Vice Capo ufficio; di aver espletato dalla data di assunzione a tutto il 1981 attività di relatore legale per le istruttorie necessarie alla stipula dei contratti di finanziamento dell'IMI; di essere stato promosso, con decorrenza dal 24.1.1981, Capo Ufficio e di essere stato assegnato nel dicembre 1982 alla Segreteria Amministrazione del Patrimonio con compiti di consulente nel settore immobiliare, addetto alla stipula dei contratti di compravendita immobiliare, all'assistenza e stipula degli stessi, alla redazione di pareri legali, alla rappresentanza dell'IMI presso terzi; di aver inoltrato, una volta divenuto procuratore legale, espressa richiesta in data 3.9.1976 affinché gli fosse rilasciata la prescritta dichiarazione per l'iscrizione all'Albo speciale dei procuratori legali dell'IMI, richiesta non considerata dall'Istituto; di aver reiterato nel 1982 analoga richiesta rimasta anch'essa senza esito e di essere, pertanto, stato costretto a proporre ricorso tramite la F.A.B.I. alla Direzione Generale dell'IMI che gli rilasciava, in data 16.1.1984, la dichiarazione; di essere stato adibito, con lettera del 14.2.1985 e a seguito della soppressione della Segreteria Amministrazione Patrimonio, alla disamina delle problematiche tributarie senza che gli fosse concessa la facoltà di partecipare ad idonei corsi di aggiornamento professionale; di essere stato, quindi,dalla suddetta data impedito di svolgere le mansioni a lui affidate e qualsiasi altre; di essere stato cancellato dall'Albo speciale degli avvocati e procuratori IMI con delibera del 26/3/1987 e 11/6/87 del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e Procuratori di Roma; di aver subito, pertanto un danno alla sua professionalità nonché un danno morale e biologico a causa della sua esclusione da qualsiasi attività lavorativa; tutto ciò premesso, chiedeva a questo Pretore di riconoscere il suo diritto all'immediato ripristino delle funzioni di consulente legale dell'IMI, alla iscrizione all'Albo speciale degli avvocati e procuratori dell'IMI con effetto retroattivo, alla ricostruzione della carriera, al risarcimento dei danni quantificati nella misura di L. 1 miliardo.

Si è costituita in giudizio l'IMI chiedendo il rigetto del ricorso.

Veniva espletata prova per testi e dall'esito la causa, dopo il deposito di note autorizzate,veniva all'odierna udienza discussa e decisa come da separato dispositivo.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE - Dalle dichiarazioni delle parti e dalle testimonianze raccolte è emerso con certezza che il ricorrente fu adibito fino al 1981 all'istruttoria legale delle operazioni di finanziamento, attività che prima era inserita nel Servizio legale e successivamente fu decentrata nei vari settori operativi (v. teste Corsale).

Dal 1982 fu assegnato alla Segreteria Amministrazione Patrimonio dove si occupò delle funzioni legali inerenti ai contratti di compravendita immobiliare, alla loro istruttoria, alla redazione di pareri e, comunque, alla contrattualistica connessa alle forniture e alla gestione del patrimonio immobiliare dell'IMI (v. teste Corsale); dal 1985 il Marchetti fu assegnato alla Direzione Bilancio e Programmazione per svolgere la funzione di "esaminare problematiche tributarie previo aggiornamento" (v. lettera del gennaio 1985 in atti); in pratica da tale data non ha svolto progressivamente alcuna mansione in quanto non aveva competenza specifica in materia né fu sottoposto ad alcun aggiornamento mediante la frequentazione di corsi specifici, se si eccettuano i due brevissimi corsi di cui vi è prova agli atti.  D'altro canto è stato accertato che il Servizio legale dell'IMI, che originariamente comprendeva un ufficio istruttoria legale ed un ufficio contenzioso, è stato poi ridotto - a seguito sia del progressivo decentramento dell'attività di istruttoria legale nei vari settori operativi, sia a seguito dell'intervento in proposito del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati nel 1985 (v. documentazione prodotta da parte convenuta, dichiarazioni legale rappresentante IMI e del teste De Gregorio Pietro) - all'ufficio contenzioso e cioè all'attività professionale contenziosa in senso stretto con esclusione della mera attività di consulenza giuridica.  Il Marchetti, quindi, pur avendo svolto fino al 1985 attività di consulenza legale e, quindi, attività a contenuto giuridico e legale in senso lato, non era inserito precedentemente a tale data nel Servizio legale propriamente detto ed in particolare nell'Ufficio contenzioso (v. teste De Gregorio), essendo stata la sua assegnazione al Servizio legale-Segreteria Consulenza legale in data 10/1/1984 meramente formale per realizzare il requisito previsto dall'art. 3,4' comma, lettera b) dei R.D.L. n. 1578/1933 per l'iscrizione all'Albo degli avvocati e procuratori mentre di fatto continuava a svolgere l'attività di cui prima si è detto presso la Segreteria Amministrazione Patrimonio.

Ne deriva che la cancellazione del nominativo del ricorrente dall'Albo speciale non può essere addebitata all'IMI ma è stata la conseguenza dell'intervento del Consiglio dell'Ordine inteso a verificare quali dipendenti dell'Istituto addetti formalmente al Servizio legale operassero effettivamente nell'ambito della trattazione delle cause e degli affari propri dell'Ente con riferimento al quarto comma lett. b) dell'art. 3 R.D.L. n. 1578/1933; né il provvedimento di cancellazione è stato tempestivamente impugnato dal Marchetti mediante apposito reclamo al Consiglio Nazionale Forense.

La domanda di riconoscere il suo diritto all'iscrizione nell'Albo speciale degli Avvocati e Procuratori non può, pertanto, essere accolta; né il ricorrente vanta alcun diritto ad essere inserito nel Servizio legale-Ufficio contenzioso in quanto dal momento della sua assunzione non ha mai svolto le funzioni di trattazione delle cause proprie di quell'ufficio, come gli altri dipendenti aventi lo stesso titolo di procuratore legale ma non addetti a tale ufficio, che parimenti al ricorrente sono stati cancellati dall'Albo speciale (v. teste Corsale).

La domanda di assegnazione a mansioni a contenuto legale deve, invece, essere accolta.

Dalla lettera di assegnazione delle nuove mansioni concernenti la disamina delle problematiche tributarie del gennaio 1985, emerge che era previsto un "previo aggiornamento" in realtà mai effettuato dal ricorrente.  Tale previsione conferma l'assunto di parte ricorrente in ordine alla specificità delle mansioni per lo svolgimento delle quali non era sufficiente una mera preparazione giuridica come quella di un laureato in giurisprudenza pur in possesso del titolo di procuratore legale, che pure può ricomprendere la conoscenza generale degli istituti di diritto tributario.

Tale conclusione è stata confermata dal teste Enzo Bosco, dirigente dell'IMI e preposto,dal gennaio 1987 al settembre 1992, alla struttura "Funzione Bilancio" alla quale fu assegnato il Marchetti.

Il teste citato ha, infatti, dichiarato: "Il Marchetti non ha potuto svolgere alcuna attività né io gli ho potuto assegnare alcuna mansione in quanto egli era un procuratore legale e non aveva alcuna competenza specifica in materia fiscale e tributaria.  La struttura da me diretta, infatti, si occupava della predisposizione dei bilanci, della amministrazione e della contabilità in generale, della predisposizione delle dichiarazioni delle imposte dell'Istituto, dei rapporti con la Banca d'Italia raccogliendo tutti i dati e le informazioni da trasporre in tali documenti.  Occorreva, pertanto, per svolgere tali mansioni, una competenza specifica. Ho provato ad affidargli all'inizio delle mansioni ma mi sono accorto che non aveva un'adeguata preparazione di base.  In tale struttura potevamo aver bisogno di una consulenza legale tributaria ma per ciò c'era un consulente esterno e poi fu costituito un Consorzio di studi e ricerche fiscali che era a disposizione di tutto il Gruppo, non solo dell'IMI, ciò intorno al 1990" ... "La preparazione dei quesiti veniva effettuata nell'ufficio ma anche questo richiedeva una specifica competenza tecnica" ... "ho chiesto più volte il suo trasferimento ad altra struttura".

E' rimasto, pertanto, accertato che almeno dal 1988 il Marchetti non ha svolto più alcuna mansione rimanendo di fatto inutilizzato.

Secondo giurisprudenza costante,che questo Pretore condivide, l'art. 2103 c.c., nel regolare l'esercizio dello ius variandi del datore di lavoro, prevede la possibilità di attribuire nuove mansioni al lavoratore in relazione alle esigenze organizzative dell'azienda ma nel rispetto, oltre che dell'equivalenza delle nuove mansioni, della tutela del patrimonio professionale del lavoratore.  In particolare le nuove mansioni devono essere aderenti alla specifica competenza tecnico-professionale del dipendente, salvaguardandone il livello professionale, e devono in ogni caso essere tali da consentire la piena utilizzazione o, addirittura, l'arricchimento del patrimonio professionale acquisito nella fase pregressa del rapporto (v.  Cass. 6 gennaio 1988 n. 1296; Cass. 19 luglio 1990 n. 7370; Cass. 17 marzo 1990 n. 2254; Cass. 19 marzo 1991 n. 2896).

Da quanto prima si è detto emerge che le nuove mansioni affidate al Marchetti nel 1985 non erano conformi al dettato normativo dell'art. 2103 c.c. nella sua corretta interpretazione.  Tale assegnazione si deve, pertanto, ritenere illegittima.

è rimasto provato l'assunto difensivo dell'IMI secondo il quale in sostanza il Marchetti sarebbe stato spostato ad altre mansioni in quanto non aveva dimostrato capacità professionale ed impegno sufficiente nello svolgimento delle precedenti.

In proposito, infatti, al di là della generica valutazione del teste Corsale non vi è agli atti alcun giudizio di demerito precedente al 1985, né tanto meno una qualsiasi contestazione disciplinare.  Né comunque tale circostanza può fondare un mutamento di mansioni illegittimo, potendo semmai giustificare una mancata promozione o una sanzione disciplinare non escluso il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

La violazione dell'art. 2103 c.c. verificatasi a seguito della assegnazione al Marchetti di mansioni aventi una speficità non inerente alla propria professionalità e successivamente delle condizioni di forzata inattività senza assegnazione di compiti, ha, senz'altro, pregiudicato il ricorrente sul piano della carriera causando la mancata utilizzazione e la dispersione del corredo di nozioni ed esperienze acquisite.

Deve, pertanto, essere risarcito al Marchetti il danno alla professionalità.

Questo, però, non può essere quantificato nella misura e secondo i criteri indicati dal ricorrente.  Non è, infatti, certo né il ricorrente lo ha provato, che egli se fosse rimasto assegnato alle precedenti funzioni, avrebbe conseguito le promozioni a quadro, e soprattutto a dirigente, essendo irrilevante che gli altri dipendenti, rimasti nel Servizio legale, siano diventati quasi tutti dirigenti.

Infatti, come previsto dall'art. 107 del ccnl di categoria, le promozioni avvengono presso l'IMI per merito sulla base di una valutazione discrezionale dell'azienda, basata sulle esigenze organizzative e funzionari degli uffici, la valutazione delle capacità professionali e delle  attitudini, la risultanza di un positivo e specifico giudizio sul merito lavorativo del dipendente.

Il ricorrente aveva, quindi, soltanto una possibilità di promozione, solo una "chance", per cui è esclusa la commisurazione e l'identificazione del danno risarcibile con le retribuzioni per la qualifica superiore.

Inoltre non può non tenersi in adeguata considerazione l'inerzia del Marchetti che non è risultato essersi attivato per ottenere dal datore di lavoro l'assegnazione ad altre mansioni, né ha richiesto di poter partecipare a corsi di aggiornamento professionale (v.dichiarazioni teste Bosco, De Gregorio) e solo nel 1993 ha invocato la tutela patrimoniale del proprio diritto, con ciò concorrendo nella determinazione del danno.

Alla luce delle precedenti considerazioni si ritiene equo quantificare il danno, ex art. 1226 c.c., in L. 50 milioni.

Non esistono le condizioni di legge (art. 2059 c.c.) per l'attribuzione al ricorrente di un risarcimento per presunti danni morali.

Quanto al danno biologico il Marchetti non ha offerto alcuna prova in ordine alla sua esistenza e, soprattutto, al nesso di causalità fra i fatti lamentati ed un eventuale pregiudizio alla salute.

Il ricorso va, quindi, accolto nei limiti indicati in dispositivo.

Le spese di lite seguono la soccombenza.

 

(Omissis)

 

Nota di MARIO MEUCCI, a commento della sentenza delle Pretura di Roma, del 20  febbraio 1995.

 

Replica ad un'annotazione in tema di equivalenza professionale

 

1.         La decisione soprariportata è stata pubblicata - prima della nostra rivista - in Riv. it. dir. lav. 1996, Il, 65, con annotazione critica di Pollera, La questione dell'equivalenza delle mansioni nell'area della professionalità intellettuale più elevata.

Ci saremmo astenuti dal prendere posizione sulle corrette affermazioni di principio effettuate dal magistrato romano in ordine al riscontro della non equivalenza "tra le mansioni di consulenza legale " per i contratti di finanziamento - disimpegnate dal ricorrente per oltre 10 anni - e quelle cui è stato d'imperio successivamente spostato quale "incaricato dell'esame di problematiche fiscali" nella Direzione Bilancio dell'Azienda convenuta, se non ci fossimo trovati in presenza di questo teorico, incondivisibile e pericoloso commento di Pollera, tentativamente volto ad introdurre un' inaccettabile distinzione, in tema di "equivalenza" 'ex art. 2103 c.c., suppostamente diversa per i lavoratori di bassa o media qualificazione (tornitori, alesatori, fresatori, cassieri, contabili, ecc.) e per i lavoratori riconducibili all'area della c.d. "professionalità intellettuale più elevata " (per usare la stessa dizione dell'annotatrice).

Quest'ultima, già tramite una ricognizione sottolineatrice della preferenza (verso) e dell'auspicata prevalenza della nozione "dinamica"  di equivalenza professionale contrapposta a quella "statica" - la prima valorizzante la teorica potenzialità implementativa delle nuove mansioni mentre la seconda si fonda sulla concretezza della qualificazione o specializzazione acquisita nei compiti disimpegnati - si adopera per individuare una strada atta ad incrinare la consolidata nozione legale di equivalenza (delle mansioni ad quem rispetto a quelle a quo), ravvisabile secondo la Cassazione e la prevalente dottrina solo qualora "le mansioni successive consentano l'utilizzazione ed il conseguente perfezionamento del pregresso e specifico patrimonio di professionalità e di cognizioni acquisite " (così, per tutte, Cass. n. 169/1986, ecc.).

Infatti, come evidenziò una progressiva decisione del 1983 della Suprema Corte, quando le successive mansioni implichino l'azzeramento del pregresso patrimonio di conoscenze e di cognizioni (cioè a dire la loro inutilizzazione futura), ciò non solo occasiona un illegittimo danno al singolo - oltrechè una violazione dell'art. 13 stat. lav. - ma si riverbera in danno al patrimonio di professionalità collettiva, per tal via "sacrificato alle esigenze dell'organizzazione aziendale del lavoro ed al profitto dell'impresa" (così Cass. 27 maggio 1983, n. 3671).

Ma l'annotatrice compie il suo volo pindarico quando afferma che "non si comprende davvero come il Pretore romano abbia potuto ritenere che un procuratore legale non possa svolgere la propria attività in un settore che, per quanto specifico come quello tributario, rientra senza dubbio nelle competenze di un laureato in giurisprudenza che abbia superato il concorso di procuratore legale ".

Il nocciolo del problema - legittimità dello ius variandi e non astratta idoneità a farsi carico del mutamento di mansioni - sembra non essere stato affatto colto; in ogni caso la sostanza delle affermazioni del magistrato romano, in tema di equivalenza professionale, non può essere demolita o inficiata da queste apodittiche notazioni.

Va infatti sottolineato come il ricorrente non  fosse un neo assunto, con pari attitudini potenziali nelle diverse branche del diritto, derivantigli dalla laurea in giurisprudenza e dall'approfondimento occasionato dal superamento del concorso a procuratore legale.

Egli era un impiegato assunto nel marzo 1972 per strutturare l'organico del servizio legale dell'Ente convenuto - come si desume dalla parte in fatto omessa della decisione (da parte della Rivista dell’annotatrice Pollera), che viene ora ripubblicata integralmente per fornire al lettore un quadro più completo della fattispecie (ma vedila, già integralmente, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 1995, 963) – adibito fino al 1981 a compiti di "relatore legale per l'istruttoria dei finanziamenti " alle aziende clienti, assegnato poi dopo un successivo periodo di svolgimento (per 4 anni) di incombenze legali presso la Segreteria Patrimonio immobiliare – nel febbraio 1985 (cioè ben dopo 13 anni dal disimpegno di incombenze legali specifiche) alla Direzione Bilancio con compiti attinenti all'esame di problematiche fiscali, per le quali i responsabili di questa Direzione lo certificarono (e non poteva essere altrimenti) impreparato professionalmente, richiedendone inutilmente la sostituzione agli uffici preposti alla gestione delle risorse dell'Ente.

Il ricorrente era, quindi, un soggetto la cui precedente ed ultradecennale esperienza lo aveva qualificato e specializzato eminentemente nel campo della "consulenza legale" per l'attività istruttoria dei finanziamento. Anche se, potenzialnwnte, gli studi universitari - compiuti oltre 10 anni prima - gli avessero fornito un'infarinatura di "teoria” del diritto tributario, il susseguirsi impetuoso delle norme in materia (già di per sé intricata), la carenza di esperienza pratica e di una benché minima attività formativa o di aggiornamento specialistico, fanno percepire a chiunque come le nuove, pretese, mansioni fossero totalmente innovative e disomogenee con la qualificazione antecedentemente maturata e posseduta. Certo che - se dispensato dall'entrare immediatamente nel ciclo produttivo aziendale - il ricorrente fosse stato sottoposto a corsi professionali o avesse compiuto qualche anno di pratica presso studi fiscali atta a sottrarlo dalla condizione di neofita in materia (ed alle umilianti attestazioni di incompetenza dei responsabili della Direzione Bilancio), egli avrebbe potuto rendersi utile e produttivo anche nel nuovo filone tributario.  Ma questo ipotizzato percorso e queste prospettate esigenze di riqualificazione giustappunto lumeggiano la carenza di quel requisito di equivalenza che la norma legale (art. 2103 c.c.) richiede "sussistente al momento" della variazione di mansioni, per conferire legittimità allo ius variandi datoriale.

Se poi dobbiamo configurare la nozione di equivalenza come soluzione differita e realizzabile alla distanza dalla disposta variazione di mansioni talora conseguibile dopo anni, in quanto soluzione subordinata a nuove esperienze pratiche e formative - si dovrà dar almeno atto che questa non è certo stata la volontà legislativa nello stilare l'art. 13 dello Statuto, ma è solo il frutto più che "maturo " di una posteriore e riemergente volontà correttiva, ispirata a quella flessibilità delle norme e a quel liberismo gestionale tanto rivendicato dai fautori di tesi riduttive e compressive delle conquiste dei lavoratori e del nostro diritto del lavoro.

Del resto, a conclusione, non si capisce perché nel campo delle libere professioni - esemplificativamente in quello della medicina - si coltivi e si incentivi (anche nell'ottica di un progresso scientifico, oltrechè per motivi meno nobili, di carattere economico) ampiamente la specializzazione nelle varie branche della scienza medica, così come nell'ambito della ricerca e della docenza universitaria si formino e si strutturino competenze specialistiche nelle varie branche di una medesima scienza (ad esempio quella del diritto: civile, amministrativo fallimentare, societario, penale, processuale, ecc.), mentre invece tutto ciò debba essere precluso ai "professionisti" operanti nelle aziende, confinabili - tramite l'azzeramento della pregressa qualificazione (costruita dopo anni ed anni di impegno e di studi teorico-pratici) - nel genericismo e nella fungibilità più spinta, in ragione della sola appartenenza alla "classe dei lavoratori subordinati". Tra i lavoratori subordinati vi sono, come tra i lavoratori autonomi, i cd. "professionals" (cioè gli operatori professionalizzati ad alta qualificazione) rinvenibili nell'area della cd. professionalità intellettuale più elevata, ai quali - forse solo per il fatto dell'essere caratterizzati dal possesso di una maggiore potenzialità o attitudine ad apprendere le innovazioni indotte dal cambiamento - si vorrebbe richiedere o imporre, dall'interno e dall'esterno, il continuo mutamento di mestiere e la sistematica riconversione professionale in mansioni diverse, non equivalenti, non omogenee ma, nel migliore dei casi, solo affini in senso lato.  Contrariamente alla contrastata tesi che l'annotatrice si ripropone di sostenere, va sottolineato che è proprio per queste figure professionali dell'area intellettuale più elevata che la norma statutaria va azionata e resa maggiormente operante, giacché proprio per essi rileva e si attualizza il c.d. danno alla professionalità, in ragione di un più difficile (e più facilmente errato) azionamento dello ius variandi aziendale.

 

2.       Sotto altri profili la decisione sopra riportata ha invece un percorso argomentativo non del tutto soddisfacente.

Appare infatti iniquo liquidare 50 milioni a fronte di una dequalificazione durata 10 anni (di cui 5 perduti in forzata inattività), talché riteniamo che si sia fatto cattivo uso del potere equitativo giudiziale – ex art. 1226 c.c. e 432 c.p.c. - pressoché ignorando il doveroso riconoscimento di una congrua somma risarcitoria del danno da dequalificazione (o demansionamento congiunto a forzata inattività) ed impegnandosi, all’opposto, per dire  al ricorrente una cosa pacifica e cioè che non poteva vantare un diritto automatico all'avanzamento in carriera come i colleghi di pari anzianità e professionalità specifica e solo, semmai, una chance (o probabilistica opportunità).

Al riguardo è nozione acquisita quella per cui la "perdita di chance " - se evidenziata e provata, per comparazione con i colleghi, dal ricorrente dà luogo ad un indennizzo risarcitorio non tanto pari alla differenza retributiva tra il livello della qualifica rivendicata e quello della qualifica nella quale si è (per colpa aziendale) segnato il passo, ma ad una percentuale ridotta o riproporzionata di tale differenziale.

Il magistrato, invero, non ha dato conto alcuno della misura o peso conferito - nell'onnicomprensivo indennizzo risarcitorio - alla "perdita di chance ".

La decisione, tramite la riscontrata irrisorietà del risarcimento - in senso relativo e tenuto conto di una dequalificazione congiunta ad inattività protrattasi per oltre un quarto della vita lavorativa - tradisce anche la sostanza dell'insegnamento della Corte di Cassazione che, in una decisione sulla "dequalificazione per lottizzazione" alla Rai, ha asserito che "un fatto come quello in esame che si incentra ... prima ancora che sulla qualifica, sul vulnus alla personalità e alla libertà del lavoratore ... necessita di un risarcimento di danno: questo è l'essenziale che, cioè, un risarcimento ...vi deve essere, perché resti tutelata l'esigenza del libero svolgimento dell'attività lavorativa e della salvaguardia della personalità del lavoratore" (così Cass. 16 dicembre 1992 n. 13299, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 1993,315). E' una tecnica, quella risarcitoria, necessitata nel nostro ordinamento e che, per essere efficace e dissuasiva della messa in atto e della stabilizzazione di illegittimi comportamenti datoriali, dovrebbe sostanziarsi concretamente ed incisivamente dal lato della quantificazione del danno.

Anche in tal modo riteniamo che non riuscirebbe a sottrarsi ai condivisibili rilievi della dottrina che ne sottolinea il carattere insoddisfacente e surrogatorio, asserendo che "l'estensione dell'area dei danni risarcibili … è il segno non tanto del diffondersi di principi di civiltà giuridica, quanto della sostanziale incapacità di rendere effettivi e coercibili diritti o pretese toccati dall'esecuzione del contratto di lavoro, pur se estranei all'adempimento dell'obbligazione " ... "Pur lodevole nelle intenzioni, essa degrada al rango secondario una tutela che dovrebbe essere primaria ed assoluta, quantomeno quando è in primo piano la dignità e la salute del lavoratore" ... "Se la persona non può essere protetta, si paghi almeno un prezzo (che non sia simbolico o irrisorio, n.da.); è la vecchia logica che, per anni ha privato di spazi applicativi sul piano dell'adempimento diretto, anche giudiziale (ex art. 1453 c.c.) l'art. 2087 c.c. ed è la stessa logica strisciante che tende a sostituire all'effettività dei diritti della persona nell'ambito contrattuale prospettive risarcitorie che condizionano ed orientano in concreto la stessa amministrazione del rapporto di lavoro " (così Montuschi, Problemi del danno alla persona nel rapporto di lavoro, in Riv. it. dir. lav. 1994, I, 336 - 337).

Inoltre esprimiamo il nostro netto dissenso sulla asserita configurazione di un concorso di responsabilità del "soggetto vessato" nella determinazione del danno subito - con le conseguenze civilistiche ex art. 1227 c.c. - per non essersi il ricorrente, secondo l'opinione del magistrato, l'attivato per ottenere dal datore di lavoro l'assegnazione ad altre mansioni e per non aver richiesto di partecipare a corsi di aggiornamento professionale ed aver invocato solo nel 1993 (cioè a distanza di molti anni, n.d.a.) la tutela patrimoniale del proprio diritto” innanzi all'autorità giudiziaria.

Va detto, con tutta chiarezza, che al lavoratore spostato a mansioni non equivalenti e pregiudizievoli del pregresso bagaglio di professionalità, oltre all'obbligo di far rilevare all'azienda inadempiente l'illegittimità del proprio ostinato comportamento, non si può far carico l'inerzia ravvisata nella mancanza di suggerimenti per soluzioni alternative ovvero il fatto di non essersi dato da fare (aveva addirittura il diritto, ex art. 1460 c.c., di rifiutare di adempiere!) per richiedere corsi di riconversione e riqualificazione onde rendere legittima la richiesta aziendale di disimpegno di una mansione implicante una professionalità eterogenea, stravolgente e non gradita.  Neppure gli si può addebitare una presunta intempestività del ricorso giudiziale, considerato - per chi ha dimestichezza della vita aziendale - che la scelta di convenire il proprio datore di lavoro in giudizio è soluzione irreversibilmente traumatica e massimamente sofferta e necessita di una adeguata meditazione talché si realizza, di solito, nel momento in cui sono individualmente superate pesanti condizioni psicologiche o nel momento in cui si è usciti da situazioni di intensa frustrazione e si intravedono segnali direcupero del depresso stato di salute psico-fisica.

C'è poi da non dimenticare il fatto che il datore di lavoro, nel rapporto subordinato, detiene, ex artt. 2094 e 210.4 c.c., il potere direttivo ed organizzativo con tutta pienezza e del suo cattivo uso deve essere chiamato a rispondere con altrettanta pienezza, senza attenuanti (a danno del lavoratore) e senza che si debba pretendere che il lavoratore si trasformi in un "ausiliario " dell'imprenditore per l'assunzione delle decisioni più corrette, tanto meno quando l'imprenditore non ha nessuna intenzione di prestare ascolto a chicchessia (come dimostra, nel caso di specie, il fatto di essere l'azienda rimasta insensibile alle reiterate segnalazioni di inattitudine del ricorrente al disimpegno delle incombenze fiscali, provenienti dai responsabili dell'Area amministrativa).

Condivisibile si rileva, invece, l'esclusione del danno morale - ricorrente per consolidato orientamento solo nelle ipotesi di reato ex art. 2059 c.c. - e del danno biologico, alla sola condizione, in quest'ultimo caso, che il ricorrente, in fattispecie effettivamente pregiudicato nello stato di salute, non sia riuscito a (o abbia superficialmente ritenuto superfluo) provare il nesso di causalità dall'illegittimo, dequalificante e frustrante, comportamento aziendale; prova sulla quale - sia detto fuori dai denti - molto formalisticamente si insiste (v.  Cass. n. 8835/1991, in Dir. giur. 1993, 351, con nota di Bifulco). Inattività del lavoratore e danno biologico), anche se il comportamento aziendale, pure in difetto di prova medico-legale e secondo comune conoscenza, non può certo aver giovato in serenità al ricorrente, per l'intrinseco carattere offensivo ed afflittivo della propria dignità, dei propri ideali di autorealizzazione e della propria immagine e considerazione da parte dei componenti della c.d. "comunità aziendale".  Sull'onere della prova del danno biologico si ritiene, pertanto, necessaria una impostazione più elastica ed ispirata al buon senso comune, evitando di addossare al lavoratore "probationes " non solo dispendiose ma talora diaboliche.

 

3.         Per approfondimenti sulla tematica della dequalificazione e del danno biologico, si rinvia a Meucci, Danno alla salute psichica per illegittimo comportamento datoriale, nel volume Il rapporto di lavoro nell'impresa, ESI, Napoli 1991, 132 e ss.; Meucci, Risarcimento per dequalificazione e per danno biologico (nota a Pret.  Roma 17.44.1992), in questa Lav. prev. Oggi 1992, 6, 1172, cui adde nota a Cass. n. 41111990, ibidem 1990,2397.  Si veda, ex plurimis, anche la nota redazionale e l'articolo di Nisticò, Lesione della professionalità, perdita di chance e danno biologico, in Tosc.lav. giur. 1995,1, 73 e ss.  Sulla perdita di chance, si rinvia alla nota (a Cass. n. 5026/1993) di Musy, Sicilcasse ed il danno da perdita di una chance, in Giur. it. 1994, I, 1, 234 e a Nocella, Concorsi privati, perdita di chance e risarcibilità del danno, in Dir. lav. 1994, Il, 314.

Sul danno biologico, esaustivamente, Lanotte, Danno biologico: natura giuridica e sua risarcibilità, in Mass. giur. lav., 1995,529 e bibliografia completa ivi citata.

 

Mario Meucci

(sentenza pubblicata in Lavoro e previdenza Oggi, n.7/1996, p. 1370 e nota a p.1373)

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