La disciplina giuridica delle invenzioni del lavoratore
Sommario:
1.
Premessa
2.
Invenzioni
di servizio
3.
Invenzioni
aziendali
4.
Invenzioni
occasionali
1.
Premessa
Nello svolgersi del
rapporto di lavoro – specie nei settori industriali - non è infrequente che il lavoratore, in forme e modalità diverse,
con nozioni e strumenti aziendali o propri, crei un nuovo progetto o sistema o
metta a punto un procedimento o metodologia innovativa - brevettabile – direttamente ricollegabile
al tipo di lavoro dedotto in contratto oppure afferente, più genericamente, al
ramo di attività dell’impresa (desumibile dall’oggetto sociale) in cui opera.
La recente decisione n. 10851 del 5 novembre 1997 della
sezione lavoro della Cassazione (1) ha esaminato nuovamente la problematica
delle invenzioni di servizio e di azienda – di cui rispettivamente alla
disciplina del 1° e 2° comma dell’art. 23 r.d. 29.6.1939, n. 1127 - effettuando delle condivisibili distinzioni
ed affermando che la semplice previsione nel contratto individuale di lavoro
dell’espletamento di una “attività di ricerca” da parte del dipendente
(retribuita in quanto tale), espletabile in azienda (Montedison S.p.A., nella
fattispecie) non preclude al “ricercatore”, in mancanza dell’espressa
previsione di una “retribuzione supplementare” compensativa dell’eventuale
invenzione brevettabile, la corresponsione di un “equo premio” (a mente del 2°
co. dell’art. 23 cit.), previsto appunto per le “invenzioni d’azienda”, in
quanto l’invenzione del ricercatore,
nella fattispecie di carenza di previsione di una retribuzione supplementare
specifica, non può ritenersi compensata dalla retribuzione ordinaria
contrattuale pattuita quale corrispettivo della normale attività di ricerca.
La Suprema corte (est. La Terza) si è così espressa:
“La disciplina di cui all’art. 23 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, nel sancire
l’automatica appartenenza al datore di lavoro dei diritti derivanti
dall’invenzione e nel porre così un’eccezione al principio che titolare dei
diritti stessi è lo stesso inventore, dà rilievo alla circostanza che
l’invenzione è conseguita dal dipendente nell’ambito delle strutture
organizzate dal datore di lavoro con oneri economici anche di rilevante entità;
tuttavia, al fine di contemperare i due interessi contrapposti, la stessa
disciplina prevede altresì che al lavoratore derivi dal suo apporto un concreto profitto, che deve essergli
assicurato mediante l’erogazione da parte del datore di lavoro o di una
specifica retribuzione o di un equo premio. La concretizzazione della prima
ipotesi presuppone un preventivo
accordo delle parti, che è insito nella previsione dell’art. 23, primo comma, della invenzione
come oggetto della prestazione lavorativa, fermo restando che quella del
lavoratore dipendente rimane una prestazione di mezzi e non di risultato (onde
il contratto ai sensi del primo comma comprende implicitamente anche l’attività
di ricerca finalizzata all’invenzione), poiché in tal caso la retribuzione
pattuita sarà necessariamente compensativa dell’invenzione; non è sufficiente,
invece, che sia convenuta come oggetto della prestazione un’attività di
ricerca, la quale non ha come oggetto e scopo essenziale la realizzazione di
invenzioni brevettabili, potendo consentire la soluzione di problemi tecnici
fondamentali per l’imprenditore anche senza l’introduzione di un quid novi e
potendo sfociare in invenzioni scientifiche insuscettibili di immediata
applicazione e quindi non brevettabili, e neanche la probabilità che dalla
diversa attività dedotta in contratto
scaturiscano invenzioni può sostituire la pattuizione di una specifica
retribuzione, poiché il secondo comma dell’art. 23, disciplinando l’ipotesi in
cui l’invenzione non sia prevista come oggetto del contratto, ma sia conseguita
nell’esecuzione del contratto di lavoro (cosiddetta invenzione d’azienda),
prevede – quale ipotesi ostativa del diritto all’equo indennizzo – che le parti
abbiano stabilito una retribuzione per l’attività inventiva e quindi ha
evidentemente preso in considerazione (non assimilandoli a quelli disciplinati
dal primo comma) proprio i casi in cui appare probabile che scaturiscano
invenzioni da un’attività avente diverso oggetto”.
I condivisibili principi ci offrono l’occasione per una
disamina completa della problematica -
sottesa al caso deciso ed afferente alle invenzioni industriali realizzate dal lavoratore dipendente - al
fine di fornire al lettore un’organica prospettazione della relativa, datata,
normativa.
La materia delle invenzioni industriali, in ordine alla
quale esistevano nella nostra dottrina – prima dell’emanazione della
legislazione sui diritti d’autore – notevoli perplessità, è stata oggetto di
approfondimento soprattutto ad opera degli studiosi tedeschi che sono pervenuti
a delle classificazioni tipologiche che, solo parzialmente, il nostro
legislatore ha recepito negli articoli che vanno dal 23 al 26 del r.d. 29
giugno 1939, n. 1127 sui “brevetti per le invenzioni industriali” che,
unitamente all’art. 2590 c.c., regolano la specifica materia. Negli articoli
testé citati – fermo restando il diritto morale (inalienabile ed
imprescrittibile) del lavoratore inventore, ex art. 2590 c.c., di essere
riconosciuto autore dell’invenzione a prescindere dalle modalità con le quali
alla stessa è pervenuto – vengono delineate, in sintesi, le ipotesi di attività
inventiva rilevanti nello svolgimento del rapporto di lavoro, classificabili
nel modo seguente.
2.
Invenzioni
di servizio
Le invenzioni di servizio sono quelle realizzate nell’adempimento di un rapporto di lavoro il
cui oggetto ricomprende espressamente la prestazione e l'esplicazione di
un'attività inventiva (o di ricerca alla stessa espressamente finalizzata) in
funzione della quale il lavoratore é stato assunto. Tale ipotesi si riferisce a
quei rapporti di lavoro nei quali il compenso di prestazione è ricollegabile –
con nesso di stretta causalità – al risultato inventivo (c.d. opus
immateriale), risultando esclusa, secondo la dottrina e la giurisprudenza
più condivisibile, la necessità della preventiva determinazione di un compenso
aggiuntivo e distinto dalla retribuzione
corrispettiva dell’attività continuativa di lavoro, essendo, tale retribuzione,
remunerativa in maniera unitaria ed inscindibile sia dell’attività di ricerca
(strumentale all’invenzione) sia, in particolare, dell’attività inventiva
oggetto delle obbligazioni contrattuali. In tale ipotesi – a differenza di
quella che successivamente delineeremo al punto 3 – il rapporto si è costituito
con il lavoratore in funzione della necessità
e dell’aspettativa del datore di lavoro che il dipendente, attraverso lo
studio, la ricerca, la progettazione e la sperimentazione, pervenga a risultati
inventivi suscettibili di utile e concreta applicazione nel processo
produttivo. Pertanto l’invenzione del lavoratore non è un quid pluris
rispetto alla propedeutica prestazione lavorativa di tipo intellettuale o
manuale, ma è l’atteso risultato e l’effettiva utilitas del datore di
lavoro conseguente alla quotidiana applicazione del lavoratore nella ricerca e
studio, le quali, nei confronti dell’invenzione, si atteggiano ad attività preparatorie, isolatamente improduttive.
La fattispecie è tuttavia piuttosto astratta o comunque
riscontrabile – alla verifica di fatto – in poche realtà operative. Più
frequente è invece l’ipotesi in cui l’attività di ricerca, studio e progettazione
non è meramente preparatoria nei riguardi del risultato inventivo, ma – quale
prevalente e continuativa attività ed oggetto preminente del contratto di
lavoro – è di per se stessa utile in quanto conferisce al datore di lavoro un
complesso materiale di studio ed esperienze, potendo – come dice Cass. n.
10851/’98 – “consentire la soluzione di problemi tecnici fondamentali per
l’imprenditore anche senza l’introduzione di un quid novi e potendo
sfociare in invenzioni insuscettibili di immediata applicazione e quindi non
brevettabili”. L’invenzione si configura, in questo caso, come un’eventualità
cui tende a dar corpo reale lo sforzo e l’impegno del lavoratore. In tal caso
l’invenzione emergente, per rientrare nella fattispecie delle “invenzioni di
servizio” di cui trattiamo, deve essere supportata dalla previsione espressa
della “attività inventiva” tra le componenti l’oggetto del contratto e
retribuita in modo specifico e distinto mediante – di norma – compenso
aggiuntivo predeterminato, oppure anche in maniera onnicomprensiva ad opera
della retribuzione globalmente corrispettiva della prestazione complessa,
sempre che risulti chiara e provata la volontà delle parti di ricomprendere nel
compenso unitario una componente corrispettiva – anche se non contabilmente
determinata, ma determinabile eventualmente per differenza con il trattamento
tabellare contrattuale del “ricercatore” – dell’attività inventiva.
3.
Invenzioni
aziendali
Le
invenzioni aziendali sono quelle realizzate nell’adempimento o nell’esecuzione di
un rapporto di lavoro che, tuttavia, non si svolge in maniera ordinariamente
finalizzata all’attività inventiva. L’invenzione è pertanto, normalmente, il
frutto “eventuale ed aggiuntivo”, non predeterminato né specificamente
retribuito preventivamente, sia di un’attività di studio e ricerca come di
un’attività diversa e più generica, utili entrambe per il datore di lavoro di
per se stesse, a prescindere dall’eventualità dell’invenzione.
L’invenzione che il lavoratore occasiona costituisce, in
questa ipotesi, realmente un quid pluris, in termini di utilità
imprenditoriale; beneficio che, in quanto non compensato preventivamente, sarà
remunerato – dal datore di lavoro cui la legge ricollega i vantaggi
patrimoniali di utilizzazione – al lavoratore, mediante conferimento di un
“equo premio”, non definibile discrezionalmente ma tenuto conto
“dell’importanza dell’invenzione” (2° co., art. 23 cit.). In caso di disaccordo
tra le parti in ordine all’adeguatezza o “congruità” dello stesso, le parti o
una di esse ricorreranno ex art. 25 r.d. n. 1127/’39, ad un Collegio arbitrale
di “amichevoli compositori” allo scopo di provocarne un lodo (o decisione)
attinente alla determinazione quantitativa, così come – dopo la decisione n.
127/1977 della Corte costituzionale (2) – possono adire, in alternativa o
successivamente, l’Autorità giudiziaria
ordinaria allo stesso scopo, essendo stato, per l’appunto, disatteso
dalla citata sentenza il carattere di “obbligatorietà necessaria” che l’art. 25
della legge speciale aveva conferito al lodo
arbitrale nonché rimossa la connessa preclusione di ricorso al giudice
ordinario.
Le ragioni per le quali queste invenzioni vengono attribuite, per l’utilizzazione patrimoniale, al datore di lavoro, risiedono nella connessione della res nova con le specifiche mansioni o – secondo gran parte della dottrina – con il ramo di attività aziendale congiunto al fatto di essere discese, con nesso di causalità necessaria o all’opposto di vera e propria accidentalità, in conseguenza di nozioni e cognizioni aziendali, dell’uso di attrezzature, materiali o strumentazioni dell’impresa nonché dell’essersi realizzate prevalentemente nel tempo usualmente dedicato alla normale prestazione lavorativa. Con il concetto di invenzione realizzata “prevalentemente” nel tempo convenuto per la prestazione collaborativa, la dottrina intende (3) far rientrare, ragionevolmente, in tale ipotesi di invenzione c.d. “vincolata o d’azienda” anche quella il cui perfezionamento o completamento finale sia avvenuto utilizzando fasi di quiescenza del rapporto di lavoro (es. riposi settimanali, ferie, aspettative, ecc.); sia argomentando, a sostegno, che è intrinseco al talento del ricercatore continuare a riflettere o ad operare in queste pause di calma sia perché non ritiene opportuno né logico attribuire una squilibrata rilevanza all’elemento “temporale” rispetto agli altri elementi evidenziati, rilevanza che finirebbe per frustrare la ratio dell’art. 23, secondo comma. La realizzazione finale o il completamento in tempi extra contrattuali, da sola non altera la natura dell’invenzione, fermi restando gli altri fattori, per portarla a collocarsi tra le invenzioni occasionali (di cui al successivo punto 4) né pregiudica l’appropriazione dei diritti patrimoniali da parte del datore di lavoro, venendo in considerazione, semmai, in positivo per l’inventore, tale aspetto accessorio di “maggiore impegno” individuale solo ai fini della determinazione del quantum dell’equo premio spettante al lavoratore, per il minor utilizzo da parte dell’inventore della massa delle disponibilità – in esse incluso lato sensu anche il tempo lavorativo – dell’azienda.
E' controverso se il diritto all'equo premio spetti solo per le invenzioni aziendali brevettate ovvero anche per quelle che, pur essendo state messe dal lavoratore a disposizione del datore di lavoro, non siano state da quest'ultimo - per varie ragioni - brevettate.
Secondo taluni in dottrina l'equo premio spetterebbe una volta che il lavoratore abbia assolto l'onere della comunicazione e messa a disposizione dei dati del "trovato" al datore di lavoro (4) anche se questi preferisca non chiedere il brevetto e/o sfruttare in segreto l'invenzione.
La cassazione è invece da tempo orientata nel senso fatto presente dalla recentissima decisione n. 7484 del 5 giugno 2000 (5), secondo la quale: "In caso di invenzione di azienda, di cui al comma 2 dell'art. 23 del r.d. n. 1127/1939, il diritto del lavoratore all'equo premio ed il correlativo obbligo del datore di lavoro di riconoscerlo sorgono con il conseguimento del brevetto, non essendo sufficiente che si tratti di innovazioni suscettibili di brevettazione, ma non brevettate; il diritto del lavoratore, infatti, consegue all'insorgenza in favore del datore di lavoro dei diritti derivanti dall'invenzione, che sono conferiti, ai sensi dell'art. 4 dello stesso r.d., solo con la concessione del brevetto. Pertanto è la brevettazione, in quanto costitutiva, che condiziona l'insorgere dei diritti del datore di lavoro e, quindi, del diritto del prestatore al premio".
Questo orientamento eviterebbe "l'assurdo di imporre al datore di lavoro lo sfruttamento di un 'trovato' che potrebbe anche rivelarsi estraneo ai piani di sviluppo aziendale, obbligandolo a sopportare i relativi oneri economici in contrasto con i principi della libera iniziativa economica" (6). Questa impostazione è condivisibile solamente alla condizione - peraltro ammessa dalla cassazione (7) - che il lavoratore/inventore possa tutelare altrimenti la propria posizione patrimoniale, con una brevettazione diretta (previa sollecitazione e diffida nei confronti dell'indisponibile datore di lavoro) dell'invenzione dallo stesso realizzata.
Sempre secondo la Cassazione (8) l'equo premio spetterebbe anche in caso di nullità dei brevetti e verrebbe meno solo nell'ipotesi in cui la caducazione dell'invenzione abbia efficacia retroattiva (ex tunc), in quanto che, se la brevettazione ha efficacia costitutiva del diritto all'equo premio, la rimozione retroattiva dello steso implica di conseguenza il venir meno dello stesso.
Roma,
20 novembre 2000
(pubblicato, senza gli attuali
aggiornamenti, in Lav. prev.
Oggi 1998, 10, 1697)
(1) In Mass. giur. lav., Mass. Cass.1/1998, 6, n. 20 (m.).
(2) Trovasi in Mass.
giur. lav. 1977, 552. Ha ritenuto incostituzionale l’art. 25, r.d. n.
1127/’39, nella parte in cui rendeva obbligatorio il ricorso al previsto
Collegio arbitrale per la soluzione delle divergenze insorte tra le parti in
ordine alla determinazione dell’equo premio, canone o prezzo, compensativi
delle invenzioni aziendali e, rispettivamente, delle occasionali.
(3) Vedi, ad es., Corrado, Trattato di diritto del lavoro, Torino 1973, 357.
(4) Così, Vercellone, Le invenzioni non brevettate del lavoratore subordinato, in Riv. dir. ind. 1960, I, 333; Sena, Brevi considerazioni intorno alle invenzioni del lavoratore non brevettate, in Temi 1960, 31; Bucolo, Sul diritto all'equo premio previsto dall'art. 23 r.d. n. 1127 del 1939, in Riv. dir. ind. 1980, II, 268; Bonelli, Privativa per invenzione industriale, Nss. D. I., XIII, Torino, 1966, 940.
(5) In Guida al diritto 2000, 24, p.56; conf. Cass. 13.4.1991, 3991, in Riv. dir. ind. 1993, II, 345.
(7) Cfr. Cass. 10.1.1989, n. 30 in Mass. giur. lav. 1989, 48. In dottrina, conf. Balletti, Riflessioni sul diritto all'utilizzazione delle invenzioni realizzate dal prestatore di lavoro, in Riv. giur. lav. 1984, I, 116, che pone in particolare l'accento sulla necessità di "diffida" del lavoratore al proprio datore di lavoro al fine di sottrarsi ad una ipotizzabile violazione degli obblighi di fedeltà, in caso di autonoma brevettazione.
(8) Così Cass. 5. 6. 2000, n. 7484, cit, che esclude che una declaratoria meramente incidentale della nullità del brevetto possa far venir meno l'equo premio; conf. Cass. 13. 4. 1991, n. 3991, in Riv. dir. ind. 1993, II, 345.
(9) Così Vercellone, Le
invenzioni dei dipendenti, Milano 1961, 204 e ss.; Giarrattana, Osservazioni sugli artt. 23 e 24 r.d. n. 1127 del 29 giugno 1939, in tema di
invenzioni dei prestatori di lavoro, in Foro it. 1960, I, 1380.
(10) Corrado, op. cit., 365.
(11) Così Teofilatto,
Sull’obbligo di comunicazione
dell’invenzione da parte del dipendente ai sensi dell’art. 24 della l.
brev., in Mass. giur. lav. 1961, 104.
(12) Così Riva Sanseverino, Sul
contenuto dell’obbligo di fedeltà, in Dir. ec. 1963, 515;
Vercellone, op. cit., 173; App. Brescia 6.8.1960, in Mass. giur. lav.
1961, 103; Teofilatto, op. cit., 103; Napoletano, Corso di diritto
del lavoro, Napoli 1968, 168.
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