CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - 17 giugno 2005, n. 13068 — Pres. Ravagnani — Est. Picone — Ansaldo Energia S.p.A. c. Fo., Ca., Tr., Manital Consorzio.
Trasferimento d’azienda - Nozione - Servizi dati in outsourcing - Configurabilità - Esclusione - Applicabilità art. 2112 c.c. - Esclusione - Necessità del consenso dei lavoratori ceduti - Sussistenza.
L'art. 2112 c.c., anche prima delle modificazioni introdotte dall'art. 1 d.lgs. n. 18 del 2001, non precludendo il trasferimento di un ramo (o parte) di azienda, postulava comunque, per la sua applicazione a tale limitato trasferimento, che venisse ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presentasse quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi, con esclusione, quindi, della possibilità che l'unificazione di un complesso di beni (di per sé privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario) discendesse dalla volontà dell'imprenditore cedente al momento della cessione. Ne consegue che non è riconducibile alla nozione di cessione di azienda il contratto con il quale viene realizzata la c.d. «esternalizzazione» dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda nei sensi suindicati, e che in tali casi la vicenda traslativa, sul piano dei rapporti di lavoro, va qualificata come cessione dei relativi contratti, che richiede per il suo perfezionamento il consenso del lavoratore ceduto (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento alla cessione di un ramo di azienda, identificato nei c.d. «Servizi generali», comprendente attività non riconducibili alla nozione di unità produttiva o di parte di azienda, per essere caratterizzato unicamente dalla non riferibilità all'attività di base dell'azienda cedente, aveva ravvisato un processo di esternalizzazione non integrante la cessione di ramo di azienda ed aveva ritenuto applicabili ai rapporti di lavoro ceduti le norme sulla cessione dei contratti).
Fatto. — In data 4 luglio 1997 l’Ansaldo Energia S.p.A. inviava le comunicazioni ex art. 47, l. n. 428/1990 alle rsa in ordine all’intenzione di cedere il ramo d’azienda «Servizi Generali» al Consorzio Manital. La decisione di cessione veniva giustificata con la finalità di rispondere «all’esigenza di impegnare sempre più le capacità aziendali nelle attività dirette su prodotto, mercato e tecnologie, contenendo, nella misura possibile, gli altri alti costi di funzionamento»; in particolare, l’operazione aziendale veniva definita come rientrante nell’ambito di un più ampio programma di riorganizzazione aziendale tendente a far riacquisire «competitività» all’An. En. Il ramo d’azienda, identificato nei c.d. «Servizi generali» comprendeva le seguenti attività: conduzione e manutenzione di impianti termotecnici, di impianti elettrici, telefonici, Tvcc-Td, di impianti di sicurezza, controllo ed antincendio, di ascensori e montacarichi e di altri impianti speciali; manutenzione di immobili industriali e civili e relative pertinenze; manutenzione reti di viabilità; monitoraggio e riparazioni reti fognarie ed idriche; progettazione di nuovi impianti generali; gestione pratiche per autorizzazioni edilizie, permessi di costruzione, autorizzazioni Usl, Vvff, ecc.; gestione e manutenzione attrezzature mensa; gestione e manutenzione di fotocopiatrici ed altre attrezzature di ufficio; movimentazione arredi, materiali ed attrezzature; facchinaggio; gestione dei mezzi relativi alla trasmissione delle informazioni (telex, fax, ecc.), distribuzione documentazione; ricevimento e smistamento posta; fattorinaggio interno ed esterno; riproduzione della documentazione (disegni, ecc.); gestione degli archivi generali, di deposito e relativa conservazione e messa a disposizione della documentazione; pulizia dei fabbricati; giardinaggio; gestione e distribuzione cancelleria; gestione di pratiche relative alle trasferte dei dipendenti (prenotazioni, acquisto biglietti, rinnovo e visto passaporti, autonoleggio, «navette», ecc.); traduzioni documenti; segreteria, reporting ed altri compiti di carattere gestionale e/o di supporto riferiti alle attività suddette. In data 9 settembre 1997 è stato sottoscritto il contratto di cessione del ramo aziendale tra l’An. En. S.p.A. e Ma. - Consorzio per i servizi integrati, con indicazione dei beni e rapporti giuridici, tra cui i contratti di lavoro dei dipendenti addetti ai servizi trasferiti. L’operatività del trasferimento di azienda è stata fatta decorrere dal 15 settembre 1997. Intanto, in data 29 luglio 1997, l’An. En. aveva stipulato con Ma. - Consorzio per i servizi integrati un contratto di fornitura di servizi e manutenzioni generali, onde assicurare continuazione delle attività inerenti ai servizi generali. La qualificazione giuridica dell’operazione di ristrutturazione aziendale come cessione di ramo di azienda, con conseguente applicazione dell’art. 2112 c.c., è stata contestata da alcuni dei lavoratori interessati, secondo il cui assunto la fattispecie era, invece, di semplice cessione dei contratti di lavoro in corso con l’An. En., da considerare inefficace in quanto non era intervenuto il consenso del contraente ceduto, consenso che, comunque, sarebbe stato in ogni caso necessario anche in presenza di cessione di ramo di azienda. Nella controversia sottoposta al vaglio della Corte, con ricorsi al pretore di Genova Ga. Fo., Al. Ca. ed En. Tr. hanno domandato l’accertamento dell’invalidità della cessione del contratto di lavoro, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno. Hanno chiesto altresì la dichiarazione di invalidità dello stesso contratto di appalto dei servizi sopra menzionati, per violazione, da un lato, del divieto di interposizione nelle prestazioni di lavoro, dall’altro, dell’art. 24 del c.c.n.l., che vieta di affidare in appalto le attività direttamente connesse a quelle aziendali o relative alla manutenzione ordinaria. Il Tribunale, organo sostituito al pretore, ha rigettato la domanda, ma la sentenza è stata riformata, in accoglimento dell’appello dei lavoratori, dalla Corte di appello di Genova, che ha dichiarato la nullità della cessione del contratto di lavoro da An. En. S.p.A. a Ma. e condannato la prima «a reinserire i ricorrenti nella loro funzione lavorativa e nella retribuzione anteriore alla cessione». La Corte di Genova ha ritenuto che alla fattispecie di cessione di ramo di azienda, cui si applicano gli artt. 2112 c.c. e 47 l. n. 428/1990, risulta completamente estranea l’operazione di mera «esternalizzazione» di attività aziendali, non idonea come tale ad esplicare effetti diretti sui contratti di lavoro (ferma restando la possibilità di effetti indiretti, potendo, in ipotesi, la ristrutturazione tradursi in riduzione di personale mediante le procedure previste dalla legge). La ricorrenza dell’una o dell’altra delle fattispecie dipende, a giudizio della sentenza, da dati assolutamente oggettivi, non certo dalle determinazioni del datore di lavoro, dati da identificare, perché si possa dire di essere in presenza di un ramo di azienda — anche alla stregua della normativa comunitaria e della giurisprudenza della Corte di Giustizia Cee — nella preesistenza di un nucleo minimo dotato di autonomia operativa e finanziaria, idoneo a giustificare l’unificazione funzionale della parte di azienda ceduta, autonomia nella specie completamente insussistente. La cassazione della sentenza è domandata con ricorso per cinque motivi dalla S.p.A. An. En. Si è costituito con controricorso Ma. - Consorzio per i servizi integrati - proponendo altresì ricorso incidentale per un unico motivo nei confronti di En. Tr.; non hanno svolto attività difensive i lavoratori intimati. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e Ma. Consorzio ha anche replicato per iscritto alle conclusioni del Pubblico ministero.
Diritto. — 1. Preliminarmente, la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
2. Il ricorso incidentale, «tardivo» ai sensi dell’art. 334 c.p.c., in quanto proposto nel termine di cui all’art. 370 stesso codice e non in quello di cui all’art. 327 c.p.c., pone una questione pregiudiziale di rito relativamente alla statuizione emessa nei confronti di En. Tr. Si deduce che il giudizio di appello era stato proposto dal procuratore, avv. Co. Sa. Am., privo di procura alle liti. Si precisa che la procura rilasciata al detto difensore per il giudizio di primo grado era stata revocata con il rilascio di procura ad altro difensore (avv. Go.), il quale aveva presentato «atto di costituzione di nuovo difensore», come indicato anche nell’epigrafe della sentenza di primo grado.
2.1. Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile per la ragione, assorbente ogni altro rilievo, che è stato proposto, da soggetto interamente soccombente nel giudizio di merito e in posizione di «cointeressato» rispetto alla ricorrente principale, nei confronti di parte diversa dall’impugnante principale. In tale situazione, infatti, siccome l’interesse all’impugnazione era insorto incondizionatamente per effetto della statuizione di merito e non della proposizione del ricorso principale, non sussiste alcuna dipendenza da questo ultimo che legittimi la proposizione del ricorso una volta decorso il termine di cui all’art. 327 c.p.c. (v. Cass. 24 marzo 2004, n. 5920; 15 maggio 2003, n. 7519; 9 febbraio 1995, n. 1466).
3. Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 177 del Trattato Cee, per avere la Corte di Genova rifiutato di accogliere la richiesta di rimessione degli atti alla Corte di Giustizia europea in merito all’interpretazione del senso e della portata delle direttive 14 febbraio 1977, n. 187, e 29 giugno 1998, n. 50, atteso che, in presenza del mutamento del titolare di un’entità organizzata in modo stabile, costituita dal complesso dei lavoratori stabilmente incaricati di svolgere attività omogenee, la legislazione comunitaria impone di considerare il lavoratore trasferito con l’impresa, da intendere quale organizzazione funzionale di beni e rapporti giuridici che ne consentano l’esercizio.
3.1. Il secondo motivo denuncia motivazione contraddittoria su di un punto decisivo per avere la sentenza impu-gnata dichiarato di volersi uniformare ai principi dell’ordinamento comunitario come precisati dalla Corte di Giustizia, mentre in realtà con essi si era posta in contrasto affermando che «le risorse [...] anche [...] modeste non debbono difettare di un centro direttivo ed organizzativo, capace di renderle idonee al fine produttivo perseguito». Al contrario, l’entità economica può consistere anche in una semplice attività, valutabile economicamente e che conservi la propria identità con il trasferimento, mediante una valutazione non astratta ma concreta.
3.2. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. perché l’operazione di «esternalizzazione» di servizi può ben essere realizzata con lo strumento del trasferimento di un ramo di azienda e ciò proprio al fine di garantire l’occupazione, senza procedere all’estinzione dei rapporti di lavoro divenuti inutili, e, quindi, nella prospettiva di garanzia dei diritti dei lavoratori che è l’obiettivo del legislatore comunitario; l’art. 2112 c.c., infatti, richiede la cessione di un’insieme di beni coordinati per l’esercizio di un’attività di impresa, senza che sia necessario anche che tale esercizio sia attuale, bastando l’astratta idoneità allo scopo produttivo unitario.
3.3. In conclusione, a giudizio della società An., si era in presenza di un’entità economica che l’imprenditore poteva collocare sul mercato, ancorché il dato dell’organizzazione autonoma (che, del resto, non è mai configurabile come tale in relazione a qualsiasi ramo di azienda, specie se relativo ad attività accessorie) non fosse preesistente al trasferimento, ma solo con la cessione si fosse realizzata l’unificazione di determinati servizi e attività in capo ad un unico soggetto, il quale era stato così posto in condizione di rispondere a domande del mercato. Pertanto l’autonomia dell’entità economica (nel caso, i servizi generali) deve apprezzarsi in concreto, per il fatto che alcuni beni siano separabili dalla parte restante dell’azienda e, immediatamente (come accaduto nel caso concreto, senza alterazioni dell’organizzazione preesistente) siano in grado di consentire la realizzazione di servizi e prodotti richiesti dal mercato.
3.4. Né rappresentava un ostacolo l’eterogeneità delle attività cedute, essendo fondamentale per integrare un’attività economica, la comunanza dell’attività delle maestranze trasferite che sia idonea a conferire alla stessa una vera e propria autonomia produttiva, comunanza consistente nel fatto che si trattava dei servizi ausiliari a quelli propri dell’attività produttiva dell’azienda, la cui prestazione era continuata senza soluzioni presso Ma. acquistando altresì l’attitudine (prima solo potenziale) di prestare gli stessi servizi anche a terzi.
3.5. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la sentenza impugnata, tra l’altro, affermato che l’An. En. S.p.A. non aveva fornito la prova della sussistenza del ramo d’azienda, mentre, in realtà, tutti gli elementi della fattispecie erano dimostrati e comunque non contestati.
3.6. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1406 c.c. per avere il giudice del merito omesso di considerare il comportamento del lavoratore, di accettazione dell’incremento retributivo riconosciuto all’atto del passaggio alle dipendenze di Ma., ai fini del significato negoziale di consenso alla cessione del contratto, con conseguente cessazione della materia del contendere.
4. Il ricorso principale va rigettato. Tutte le questioni poste con i suesposti motivi di ricorso sono già state esaminate e ritenute non fondate da decisioni della Corte rese in controversie concernenti la stessa vicenda (Cass. 10 gennaio 2004, n. 206; 14 dicembre 2002, n. 17919; 4 dicembre 2002, n. 17207; 25 ottobre 2002, n. 15105). Pertanto, in mancanza di ragioni nuove e diverse da quelle disattese nei giudizi analoghi, deve operare il principio di fedeltà ai precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l’assolvimento della funzione ordinamentale e, al contempo, di rilevanza costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale affidata alla Corte di Cassazione (vedi Cass. Sez. Un., 4 luglio 2003, n. 10615; 15 aprile 2003, n. 5994). Si rinvia, di conseguenza, alla motivazione dei precedenti richiamati, di cui si espongono in sintesi i punti essenziali.
4.1. In relazione ai temi contenuti nei primi quattro motivi di ricorso, concernenti una questione sostanzialmente unica, va ribadito che l’art. 2112 c.c., anche prima delle modificazioni introdotte dall’art. 1, d.lgs. n. 18/2001, non precludendo il trasferimento di un ramo (o parte) di azienda, postulava comunque, per la sua applicazione a tale limitato trasferimento, che venisse ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presentasse quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni o servizi, con esclusione, quindi, della possibilità che l’unificazione di un complesso di beni (di per sé privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario) discendesse dalla volontà dell’imprenditore cedente al momento della cessione.
4.2. Più in particolare, lo stesso art. 2112 c.c., anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 18 del 2001, attuativo della direttiva comunitaria n. 50 del 1998, consente, letto in linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi in merito all’interpretazione della direttiva n. 187 del 1977 e con le esplicite indicazioni fornite dalla direttiva n. 50 del 1998, di ricondurre, ai fini da esso considerati, alla cessione di azienda anche il trasferimento di un ramo della stessa, purché si tratti di un insieme di elementi produttivi organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività, che si presentino prima del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione, idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la propria identità. In presenza di tali condizioni, può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare know how (o, comunque, dell’utilizzo di copyright, brevetti, marchi, ecc.), realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 ss. c.c. Requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall’art. 2112 c.c. resta comunque, anche in siffatte ipotesi, l’elemento della organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili, configurandosi altrimenti la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto.
4.3. Ne consegue che non è riconducibile alla nozione di cessione d’azienda il contratto con il quale viene realizzata la c.d. esternalizzazione dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda nei sensi suindicati. Per queste ragioni deve escludersi la sussistenza dei requisiti per configurare la cessione di azienda nel trasferimento — ricondotto dalla società cedente e dalla cessionaria al fenomeno cosiddetto di outsourcing, comprendente tutte le possibili tecniche mediante le quali un’impresa dismette la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi estranei alle «competenze di base» — da una società ad altra del ramo d’azienda «servizi generali», considerato che di esso non sono state chiarite struttura e dimensione, le attività del preteso ramo non sono risultate del tutto corrispondenti a quelle trasferite, non è stata provata l’autonomia organizzativa, e che inoltre esso si caratterizza per la estrema eterogeneità delle attività dei lavoratori addetti, e per la mancanza di qualsiasi funzione unitaria, suscettibile di farlo assurgere in qualche modo ad unitaria «entità economica».
4.4. In relazione all’ordinamento comunitario, va inoltre confermato che la direttiva 2001/23 Ce, con cui sono state abrogate sia la direttiva del 1977 che quella del 1998, non ha contenuti innovativi, ma mere finalità di sistemazione della regolazione, in relazione alle sostanziali modifiche apportate dalla direttiva del 1998. In ogni caso, l’eventuale acclaramento del contrasto tra ordinamento comunitario (direttiva 77/187) e ordinamento interno, relativamente alla definizione di ramo d’azienda, è inidoneo a produrre immediatamente effetti sul rapporto giuridico controverso, stante il principio dell’inefficacia orizzontale delle direttive. Ne consegue l’irrilevanza del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in merito all’interpretazione della direttiva 77/187.
4.5. Né possono trovare accoglimento, infine, le censure contenute nel quinto motivo del ricorso. I giudici del merito hanno accertato in fatto che, di fronte all’univoca contestazione degli effetti che la società An. En. intendeva collegare ai contratti di cessione e di appalto, non era consentito desumere una volontà negoziale contraria dalla circostanza della prosecuzione dell’attività lavorativa alle formali dipendenze del Consorzio Ma. e della riscossione del superminimo unilateralmente attribuito dallo stesso consorzio. Si tratta di valutazione neppure specificamente contestata e comunque insindacabile in questa sede perché sorretta da motivazione sufficiente e logicamente plausibile.
5. Le spese vanno interamente compensate tra la società An. En. e il Consorzio Ma.; nulla da provvedere sulle spese nei confronti delle parti intimate (Omissis).
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Cass. – Sez. lav. – sentenza 28 settembre-17 ottobre 2005, n. 20012- Pres. Ianniruberto – Rel. Vidiri - Pm. Matera (conf.) – Ricorrente Finmeccanica Spa – controricorrente Manital
Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Genova Marisa Pili e gli altri litisconsorzi in epigrafe riferivano che erano dipendenti della Spa Ansaldo Trasporti e che in data 9 settembre 1997 era stato comunicato che con effetto dal 15 settembre 1997 doveva ritenersi il loro rapporto lavorativo ceduto al Consorzio Manital per i servizi integrati, per essere stato trasferito, alla stregua del disposto dell’articolo 2112 Cc, il ramo aziendale al quale essi erano addetti. In realtà però non era, nel caso di specie, configurabile la fattispecie regolata dal citato articolo 2112 Cc in quanto il ramo d’azienda postula l’esistenza di un complesso di beni, finalizzato all’esercizio di una specifica parte dell’attività economica esercitata dall’imprenditore e dotata dei caratteri dell’autonomia e della separabilità dalla restante parte del complesso aziendale, mentre in realtà i cosiddetti servizi generali ceduti rappresentavano solamente attività di puro costo, senza alcun legame tra loro (per essere inerenti a servizi accessori, dalla manutenzione delle fotocopiatrici alla gestione degli archivi ed a quella di pratiche amministrative o, in gergale, di segreteria) tanto che la stessa distinzione fra servizi da esternalizzare e servizi da mantenere all’interno della società era stata attuata nella totale assenza di criteri obiettivi.
Per di più dopo il trasferimento nella di fatto era cambiato per cui l’operazione costituiva anche una violazione del divieto di appalto di mere prestazioni di lavoro, perché il Consorzio Manital era obiettivamente e normativamente inidoneo ad assumere personale a tempo indeterminato per prestazioni di meri servizi e perché tutti i lavoratori trasferiti avevano continuato a svolgere le identiche attività spiegata in precedenza senza mutamento alcuno neanche nelle modalità di espletamento del lavoro.
Tutto ciò premesso, i ricorrenti chiedevano che il pretore, accertata e dichiarata l’illegittimità del trasferimento d’azienda attuato senza il loro consenso nonché della cessione del loro rapporto e del contratto di appalto, condannasse la Spa Ansaldo Trasporti a reintegrarli nel loro posto di lavoro e nelle precedenti mansioni, con tutte le eventuali differenze retributive nonché al risarcimento dei danni ex articolo 18 Statuto lavoratori previa occorrendo dichiarazione di illegittimità del licenziamento di fatto operato dalla Ansaldo.
Dopo la costituzione della società Ansaldo e del Consorzio Manital, il primo giudice respingeva il ricorso e, su gravame dei lavoratori, la Corte d’appello di Genova con sentenza del 26 luglio 2002 dichiarava la nullità della cessione del contratto di lavoro disposta dalla Ansaldo Trasporti Spa al Consorzio per i servizi integrati, e conseguentemente condannava la Spa Finmeccanica, quale società incorporante la Ansaldo, a reintegrare i ricorrenti nel posto di lavoro con mansioni e retribuzioni precedenti al 15 settembre 1997, respingendo ogni ulteriore domanda. Nel pervenire a tali conclusioni la Corte territoriale osservava che alla fattispecie di cessione di ramo d’azienda, cui si applicano gli articoli 2112 Cc e 47 legge 428/90, era completamente estranea l’operazione di “esternalizzazione” dei servizi, messa in atto dalla società Ansaldo, perché la cessione di un ramo aziendale non dipende di certo dalle mere determinazioni volitive del datore di lavoro ma da dati oggettivi consistenti – anche alla stregua della normativa comunitaria, della Corte di giustizia Cee e della Corte di cassazione – nella preesistenza di un minimo di beni dotato di autonomia operativa capace di giustificare l’unificazione funzionale della parte di azienda ceduta. Ne conseguiva che, negata la ricorrenza del trasferimento di ramo aziendale, la fattispecie doveva essere inquadrata nella cessione di contratti di lavoro senza consenso dei contraenti ceduti sicché la nullità di detta cessione comportava la continuazione del rapporto di lavoro in capo all’Ansaldo e successivamente alla Finmeccanica, con il riconoscimento ai lavoratori della posizione occupata prima della cessione e con la retribuzione ad essa collegata.
Avverso tale sentenza la Spa Finmeccanica propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
Si è costituito con controricorso Manital Consorzio per i servizi integrati.
Resistono con controricorso i lavoratori proponendo con lo stesso atto ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi.
La Finmeccanica ha, infine, depositato controricorso al ricorso incidentale condizionato.
La Finmeccanica ed i lavoratori hanno depositato note difensive.
Motivi della decisione
Preliminarmente la Corte riunisce i ricorsi proposti contro la stessa sentenza (articolo 335 Cpc).
La società ricorrente con il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 177 del Trattato Cee, per avere il Tribunale rifiutato di accogliere la richiesta di rimessione degli atti alla Corte di giustizia europea in merito all’interpretazione del senso e della portata delle direttive 14 febbraio 1977 n. 187 e 29 giugno 1998 n. 50; con il secondo motivo denunzia contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere il giudice d’appello dichiarato di volersi uniformare ai principi dell’ordinamento comunitario, come precisati dalla Corte di giustizia, mentre in realtà con essi si è posto in contrasto; con il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2112 Cc perché l’operazione di “esternalizzazione” di servizi può ben essere realizzata con lo strumento del trasferimento di un ramo d’azienda, e ciò proprio al fine di garantire i posti di lavoro senza procedere all’estinzione dei rapporti di lavoro divenuti inutili, quindi, nella prospettiva di garanzia dei diritti dei lavoratori che è l’obiettivo del legislatore comunitario, richiedendo, infatti, il suddetto articolo 2112 Cc la cessione di un insieme di beni coordinati per l’esercizio di una attività di impresa, senza che sia necessario anche che tale esercizio sia attuale, bastando l’astratta idoneità allo scopo produttivo unitario; con il quarto e quinto motivo denunzia infine violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 Cc e dell’articolo 1406 Cc per avere la sentenza impugnata tra l’altro affermato che l’Ansaldo non aveva fornito la prova della sussistenza del ramo d’azienda mentre, in realtà, tutti gli elementi della fattispecie erano dimostrati e comunque non contestati (quarto motivo), e per avere ancora il giudice d’appello omesso di valorizzare il significato del comportamento del lavoratore sull’incremento retributivo riconosciuto all’atto del passaggio alle dipendenze di Manital, nel senso di accettazione tacita della cessione del contratto, con cessazione della materia del contendere.
Il ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato.
Questa Corte in una fattispecie analoga ha statuito che il trasferimento ad altra impresa dei lavoratori addetti ad una struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e caratterizzata dall’estrema eterogeneità delle funzioni degli addetti, insuscettibile di assurgere ad unitaria entità economica, non può configurare una cessione del ramo d’azienda cui sia applicabile il disposto dell’articolo 2112 Cc ma costituisce mera cessione di contratti di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti (cfr. in tali sensi Cassazione 17207/02). In altri termini la giurisprudenza della Corte ha recepito una nozione commercialistica di azienda, ai sensi dell’articolo 2555 Cc, attribuendo rilievo decisivo al requisito dell’autonomia organizzativa del ramo d’azienda ceduto che, deve presentarsi come idoneo al perseguimento dei fini dell’impresa. Alla stregua di questi principi non può condividersi la tesi della ricorrente società (e del Consorzio Manital) secondo cui l’autonomia funzionale del ramo trasferito può essere soltanto potenziale presso il cedente, essendo sufficiente, al fine dell’attribuzione della qualità del ramo d’azienda, l’astratta idoneità del nucleo di beni o rapporti ceduti ad essere organizzati per l’esercizio futuro di una attività. Al riguardo è stato precisato che il diritto positivo richiede per l’applicazione dell’articolo 2112 Cc che sia ceduto un complesso di beni, che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica, funzionalizzata allo svolgimento di una attività volta alla produzione di beni e servizi. Altrimenti sarebbe la volontà dell’imprenditore ad unificare un complesso di beni (di per sé privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario), al solo fine di renderlo oggetto di un contratto di cessione di ramo d’azienda, rendendo applicabile la relativa disciplina sulla sorte dei rapporti di lavoro.
Né per andare in contrario avviso vale il richiamo alla normativa comunitaria atteso che – come ha questa Corte già affermato nella sentenza ricordata avente ad oggetto una controversia articolata negli stessi termini – né le decisioni della Corte di giustizia europea né le direttive europee si pongono in contrasto con gli enunciati principi, che risultano pienamente in linea con la direttiva 98/50 (secondo la quale l’entità economica è da intendere come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere una attività economica, sia essa essenziale o accessoria, che deve conservare, con il trasferimento “di parte di imprese o di stabilimenti”, la propria identità) e con la più recente direttiva 2001/23 Cee (che in buona parte presenta connotati particolarmente ricognitivi della precedente regolamentazione della complessa materia in esame) (cfr. in motivazione Cassazione 17207/02 cit.).
Dalle considerazioni che precedono discende l’insussistenza delle condizioni per operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea in ordine alla interpretazione delle direttive europee. Anche ammettendo che le direttive suddette debbano interpretarsi nei sensi patrocinati dalla Finmeccanica la decisione in tali termini della Corte europea non sarebbe rilevante nella controversia in oggetto dal momento che l’acclaramento di eventuali contrasti tra ordinamento comunitario ed ordinamento interno risulterebbe, in ogni caso, inidoneo a produrre effetti sul rapporto giuridico controverso, stante il principio dell’inefficacia orizzontale (cioè nei rapporti interprivati) delle direttive, ancorché precise ed incondizionate.
Va, inoltre, rimarcato che nel caso di specie, sulla base delle emergenze processuali, è risultato poi che nei servizi esternalizzati, oggetto del trasferimento, non si configurava alcuna realtà organizzativa riconducibile alla nozione di unità produttiva, sicché appare pienamente condivisibile l’assunto del giudice d’appello, secondo cui l’elemento centrale anche del ramo d’azienda è costituito dalla “organizzazione” dei fattori della produzione, intesa come il legame oggettivo tra i fattori stessi, qualificato e determinato dal fattore produttivo perseguito.
Per concludere non merita alcuna censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la mancanza dei requisiti richiesti per configurare il ramo d’azienda ed applicare imperativamente l’articolo 2112 Cc (e l’automatismo in esso sancito), e conseguentemente ha configurato la vicenda traslativa come cessione del contratto di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del lavoratore escluso.
Infine non può trovare accoglimento neanche il quinto motivo del ricorso principale non potendosi evincere dai comportamenti delle parti e dagli atti di causa, una accettazione tacita – con una efficacia abdicativi di diritti acquisiti – da parte dei lavoratori della cessione del contratto per effetto dell’incremento del trattamento retributivo goduto per effetto del trasferimento, suscettibile di condurre ad una declaratoria della cessazione della materia del contendere.
La decisione del rigetto del ricorso principale porta all’assorbimento del ricorso condizionato di Pili Marisa e dei suoi litisconsorzi, con il quale, con duplice motivo, si censura la sentenza impugnata per non avere tenuto nel dovuto conto i profili riguardanti la violazione della legge 1369/60 ed il divieto contrattuale di appalti continuativi svolti in azienda (ex articolo 24, parte generale, Sezione terza, Ccnl - Metalmeccanici pubblici). Al riguardo è sufficiente osservare che il ricorso in oggetto è stato proposto, appunto, in via condizionata in ragione dell’assenza per la parte ricorrente di alcuna ulteriore utilità rispetto a quanto già ottenuto con la sentenza impugnata.
La Spa Finmeccanica e la Manital Consorzio, rimasti soccombenti, vanno condannati in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidata unitamente agli onorari difensivi, come in dispositivo.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale, e condanna la Spa Finmeccanica e Manital Consorzio per i servizi integrati al pagamento in solido delle spese del presente giudiziosi cassazione, liquidata in euro 20, oltre euro 4000 per onorari difensivi.
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