I
Direttivi dell'area gestione del personale di Poste Italiane SpA non “potrebbero” (impunemente) svolgere attività
sindacale o rivestire incarichi in seno alle OO.SS., secondo la Circ. n. 14 del
17.3.2000 della Direzione Centrale Risorse Umane (annullata giudizialmente
perché antisindacale)
*****
(testo
integrale)
sezione
monocratica del lavoro
Giudice
: ( Dr. Gaetano SCHIAVONE )
ORDINANZA
SCIOGLIMENTO RISERVA
CAUSA
DI LAVORO N. 331/00 R. G. C.
promossa
da
U.G.L. PISA
in persona del seg. Prov.le Luigi Coscia ( Avv. G. ORSITTO )
contro
POSTE ITALIANE S. P. A. ( Avv.ti Alberto NICCOLAI e Luigi FIORILLO )
Il Giudice
del Lavoro, dr. G. Schiavone, sciogliendo la riserva di che a verbale d’udienza
del 27. 06. 2000,
premette
1) con atto
depositato l’8. 06. 2000, Luigi Coscia, Segretario Prov.le della U.G.L.,
ricorreva a questo Giudice per sentir dichiarare, ex art. 28 St. Lav.,
l’antisindacalità della condotta tenuta dalle POSTE ITALIANE spa -Direttore
Centrale delle Risorse Umane - nel formare e disporre l’applicazione a tutto il
personale della circolare n. 14/2000 del 17. 03. 2000, poiché la medesima:
"contiene senza ombra di dubbio per non chiari e giustificati motivi
l’ordine a tutto il personale con incarichi dirigenziali di non intraprendere
attività sindacale o a rivestire incarichi sindacali all’interno dell’azienda
pena il trasferimento ad altro servizio e/o sede". Era invocato, quindi,
nel vantaggio delle spese di lite, un ordine di "revoca della medesima
circolare previa idonea pubblicità dell’accoglimento dell’odierno ricorso";
2)
ritualmente si costituiva in lite POSTE ITALIANE spa concludendo per
l’inammissibilità del ricorso in quanto non era stato posto in essere alcun
atto di concreta attuazione della circolare e, subordinatamente, per il rigetto
del ricorso per infondatezza, con condanna di controparte alla refusione delle
spese di giudizio;
conclude
A) LA
CONDOTTA ANTISINDACALE.
L’art. 28
St. Lav. tutela le prerogative sindacali prevedendo una sanzione di carattere
reale (rimozione degli effetti): "qualora il datore di lavoro ponga in
essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e
dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero".
In dottrina
e giurisprudenza è pacifico che scopo della norma sia quello di garantire
l’effettivo godimento dei diritti sindacali previsti dallo Statuto dei
Lavoratori ovvero da altre norme, anche secondarie (usi). In sostanza la
garanzia offerta è contro ogni attentato alla presenza del sindacato in
azienda, all’effettivo rispetto delle libertà connesse ed all’attività
sindacale lato sensu, sia pure affermatesi in base a consolidate prassi,
che ne forgiano la sostanza.
Nel caso di
specie può concludersi che la violazione sia consistita in una palese minaccia,
attuale e non futura -ma su questo si veda oltre- sia contro le prerogative del
sindacato, sia avverso lo stesso diritto di sciopero. Si legge, infatti, nella
citata circolare: "(…) anche l’espletamento di incarichi nell’ambito
(…) di OO.SS., ancorché consentito dalle vigenti previsioni di legge e di
contratto, non può non correlarsi alle esigenze dell’azienda di ricevere
prestazioni adeguate al livello di responsabilità richiesto. (…). Infatti i
doveri e le responsabilità che competono ai lavoratori con (…) funzioni di
carattere direttivo richiedono, (…), il presidio costante e continuativo della
posizione di lavoro (…)".
Questo
significa in altre parole che l’azienda reagirà se funzionari fra quelli
indicati non presiederanno continuativamente il proprio posto di lavoro, cosa
che puntualmente avviene in caso di partecipazione a manifestazioni di
sciopero. E le affermazioni sono tanto più gravi se si tien conto che
scientemente vengono fatte, "ancorché consentito dalle vigenti
previsioni di legge e di contratto".
Insomma,
nonostante la Costituzione, lo Statuto, il contratto, le POSTE spa intendono …
In chiave
più generale, il datore di lavoro, dopo aver inquadrato l’attività sindacale e
gli eventuali incarichi presso il sindacato alla stregua di "Attività
extra lavorative", quasi a sottolineare l’estraneità di questi fatti
dalla organizzazione e divisione del lavoro e a voler scrivere una pagina in
radicale opposizione rispetto alla storia delle relazioni industriali italiane,
almeno dell’ultimo trentennio e dopo aver affermato la necessità che ogni
"attività extra lavorativa (…) ancorché consentita dalle vigenti
previsioni di legge e di contratto, non può non correlarsi all’esigenza
dell’Azienda di ricevere prestazioni adeguate al livello di responsabilità
richiesto dalle specifiche posizioni di lavoro", chiarisce, qualora ve
ne fosse bisogno, che "incarichi nell’ambito di OO.SS. risultano, per
esempio, inconciliabili con le funzioni di responsabilità di gestione di
risorse umane, a tutti i livelli della struttura organizzativa della Società".
Non pare
che ci vogliano particolari doti ermeneutiche per capire che, fuor di metafora,
il proponimento è esplicito: chi parteciperà ad attività sindacali non potrà
mai aspirare ad incarichi organizzativi del personale, foss’anche una modesta
squadra di lavoro (a tutti i livelli, si legge sopra).
E la
circolare con intento, come dire, pedagogico, nel timore che non fosse stata
sufficientemente esplicita, prosegue dicendo: "considerata detta
evidente inconciliabilità, si rende necessario prevedere un diverso
orientamento dei lavoratori in questione", id est: dimettetevi dal
sindacato!
Ad ogni
modo, quand’anche i lavoratori pervicacemente non volessero attenersi a quelle
disposizioni, "la Società si farà carico (…) di ricercare per i
predetti lavoratori, nel rispetto delle formalità e condizioni eventualmente
richieste dalla legge, altra posizione di lavoro, compatibile con le esigenze
aziendali e coerente sia con l’inquadramento rivestito dal dipendente che con
l’espletamento del mandato ricevuto", come si legge nel penultimo
capoverso. Ecco, dunque, appalesato il contenuto della sanzione prevista dalla
società per il lavoratore ostinatamente sindacalizzato, cioè una collocazione
in posizione relegata, lontana da qualsiasi responsabilità organizzativa del
personale, a tutti i livelli, e per ciò solo coerente con i fini
aziendali.
Ora, a
parte il fatto che la circolare tradisce una concezione aziendalistica
ampiamente superata dai tempi e piuttosto da anni cinquanta, a parte, però, il
rilievo che ciascuno può gestire la propria azienda come più gli aggrada, salva
la responsabilità verso la proprietà che, nella specie, è in mano pubblica, a
parte ciò va detto che difficilmente si assiste ad un concentrato di violazioni
ai diritti sindacali anche lontanamente paragonabile a quello posto in essere
con la circolare in argomento e lo stupore è maggiore se si pensa che ad
introdurre il presente ricorso sia stata una sola sigla sindacale e non tutte
quelle aziendali. Ma tant’è.
Che
innanzitutto sia attentato il diritto di sciopero è stato sopra dimostrato ma
quel che non è assolutamente dubitabile è che prima ancora quel che viene minacciata
è la libertà sindacale di proselitismo e esternazione del proprio programma che
è l’essenza stessa dell’agire sindacale, una sorta di prius rispetto ad
ogni altra. Con buon margine di certezza può affermarsi che, dopo la detta
circolare, mai più alcun lavoratore delle POSTE penserà, se non con spirito
sacrificale, di accostarsi ad un sindacato e nessun sindacalista mai più
tenterà di allargare la propria base adesiva, essendo sottoposte tutte queste
azioni alle ora viste conseguenze.
La
violazione degli art. 14 (diritto di associazione e di attività sindacale),
art. 15 (atti discriminatori), art. 22 (trasferimenti dei dirigenti delle RSA)
dello Statuto dei lavoratori è di palmare evidenza ma prima di tutto quel che
balza immediatamente alla vista è il totale disconoscimento dell’imperativo di
cui all’art. 39 Cost., dettato a tutela della libertà sindacale tout court.
La condotta datoriale si è posta automaticamente "in contrasto con le
regole destinate a tutelare in via immediata e diretta lo svolgimento
dell’attività sindacale e l’esercizio del diritto di sciopero, di talché
l’antisindacalità della condotta è implicita né, al fine di integrarla, occorre
uno specifico intento lesivo del datore di lavoro" (Cass. n.
6193/1998).
B) L’AMMISSIBILITA’ DEL RICORSO.
Da
escludere in maniera radicale è che si possa parlare nella fattispecie di
inammissibilità del ricorso per difetto di attualità della denunciata
antisindacalità della circolare, ché, al più, potrebbe svolgere effetti de
futuro.
Ora,
innanzitutto va detto che l’obiettivo primario della circolare, quello di
procurare diffuso timore per una propria adesione sindacale, può ritenersi
raggiunto non appena quell’atto è stato portato a conoscenza dei lavoratori ma
va anche aggiunto che se così fosse, se cioè non vi fosse alcun risvolto di
violazione attuale delle prerogative sindacali nella condotta tenuta, se ne
avrebbe un’immediata riconferma nell’impossibilità di dare concreta attuazione
al comando del Giudice.
Va
rammentato che, infatti, la norma in discussione è articolata in maniera tale
da prevedere non solo l’accertamento e la dichiarazione dell’antisindacalità
dell’atto o fatto, quanto, nel concreto, l’ordine di rimuoverne gli effetti. Va
da sé, dunque, che se il danno fosse de futuro, nessuna immediata
attuazione si potrebbe dare al comando giudiziale.
Le cose,
però, non stanno in questi termini. Non v’è dubbio, infatti, che la rimozione
possa e debba avere pronta attuazione mediante il comando di ritiro della
circolare de qua, adeguatamente pubblicizzato.
Che la
detta circolare abbia la potenzialità d’ingenerare il timore della rimozione od
allontanamento del dirigente sindacalizzato è la stessa parte resistente ad
ammetterlo a chiare lettere. Si legge infatti nella memoria di costituzione: "(…)
né può comportare –se non come puro ipotetico timore- lo spostamento od il
trasferimento di un dirigente della O.S. ricorrente" (Pag. 4). Così
come è pure ammesso dalla resistente che una delle conseguenze della detta
circolare sarà inevitabilmente il trasferimento del dipendente, poiché si
scrive senza parafrasi o circonlocuzioni di sorta, che: "la Società si
farà carico (…) di ricercare per i predetti lavoratori, nel rispetto delle
formalità e condizioni eventualmente richieste dalla legge, altra posizione di
lavoro, compatibile con le esigenze aziendali e coerente sia con
l’inquadramento rivestito dal dipendente che con l’espletamento del mandato
ricevuto".
C) LA
RIMOZIONE DEGLI EFFETTI.
L’unico
requisito che si richiede al provvedimento del Giudice è l’idoneità a
ripristinare la legalità violata e, poiché, come visto questa violazione
consiste nell’ingenerare timore nei lavoratori per la loro eventuale
affiliazione sindacale, ovvero per l’assunzione di determinate cariche
all’interno del sindacato, va da sé che la legalità potrà considerarsi
ripristinata solo disponendo un ordine di contenuto eguale e contrario. Nella
fattispecie tale ordine consiste non solo nel ritiro della circolare ma
nell’ordine di dare pubblicità al presente provvedimento con le stesse modalità
assegnate alla pubblicizzazione della circolare, cioè con diramazione ed
affissione nella bacheca aziendale per un periodo di tempo pari a quello
durante il quale la circolare è rimasta affissa.
Le spese
seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.
Q. M.
Il Giudice
del Lavoro DICHIARA l’antisindacalità del comportamento tenuto da POSTE
ITALIANE spa nel formare e divulgare fra gli uffici dipendenti e i lavoratori
subordinati la Circolare n. 14/2000 del 17. 03. 2000 a firma del Direttore
delle Risorse Umane, DICHIARA conseguentemente la nullità del predetto atto
perché formato in violazione dell’art. 28 St. Lav. ORDINANDO che del medesimo
non sia tenuto conto alcuno a tutti i fini giuridici del rapporto di lavoro con
i lavoratori dipendenti. ORDINA a POSTE ITALIANE spa di dare al presente
decreto la medesima diffusione data alla predetta circolare, nonché che il
medesimo rimanga affisso alle bacheche degli uffici dipendenti della provincia
di Pisa per lo stesso periodo temporale di affissione della circolare n.
14/2000. CONDANNA le POSTE ITALIANE spa a rimborsare all’U.G.L. le spese di
lite liquidate in £. 3.500.000 di cui £. 1.500.000 per diritti, £. 300.000 per
spese ed il resto per onorari, oltre IVA e CAP di legge.
Pisa, 13.
07. 2000
IL GIUDICE
d. L. dr. G. Schiavone
II
Di seguito la sentenza emessa in sede di opposizione delle Poste Italiane S.p.A. all'ordinanza sub. I
Tribunale
di Pisa, sez. lav. (giudice unico di 1° grado) 2 ottobre 2002 – Est. Nisticò
– Poste Italiane S.p.A (avv. Niccolai, Fiorillo) c. CL, segretario provinciale della UGL di Pisa
Direttive impartite con circolare dalla Direzione Centrale del Personale di Poste Italiane - Statuenti incompatibilità di svolgimento di attività sindacale per i dipendenti con funzioni direttive nell’area della gestione del personale – Concretizza attività antisindacale per il contenuto dissuasivo e confliggente con i diritti costituzionali del lavoratore ex art. 39 Cost., in tema di indifferenziato esercizio dell’attività sindacale.
A
parere della “Direzione centrale risorse umane” di Poste Italiane s.p.a. la
partecipazione ad attività sindacale di quanti lavorino negli uffici del
personale sarebbe una attività “extralavorativa” confliggente con gli
interessi dell’azienda.
La
conclusione cui perviene il datore di lavoro e della quale appena si è detto
non meriterebbe diffuse considerazioni, perché la storia del nostro sistema
lavoristico è tutta nel senso contrario a questa affermazione, quantomeno per
il dovuto rispetto a quella previsione della nostra Costituzione (art. 39) che
assicura a tutti i lavoratori l’esercizio dei diritti sindacali e
dell’attività sindacale, che, per la sua funzione di equilibrio, tutela e
bilanciamento di forze, non può certo definirsi una attività extralavorativa,
come quella di un qualsiasi furbo dopolavorista. Lo Statuto dei lavoratori –
il cui contenuto sembra sconosciuto all’Autore del documento – rappresenta,
infatti, la Carta del sindacalismo sul posto di lavoro ed assicura con diversi
strumenti l’esercizio dell’attività in azienda, ovviamente secondo le
modulazioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Certo è che
ove il datore di lavoro – come sembra nel caso di specie – sia pervaso da
avversità culturale nei confronti dell’attività sindacale di chi sia
incaricato di compiti di gestione del personale potrà, di fatto, e nei limiti
in cui non si violino i criteri di correttezza e buona fede e gli altri più
rigidi di cui allo Statuto, selezionare i dipendenti meno sensibili a certe
istanze per formare il suo ufficio personale o di relazione industriale od
affidare tali compiti a chi condivida senza riserve l’operato datoriale.
Quello che, però, non può fare è paventare l’allontanamento od il
trasferimento ad altro incarico di chi già rivesta il ruolo di incaricato a
quel servizio ed intenda, come gli assicura la Costituzione, occuparsi anche di
questioni sindacali.
Fare
gli “interessi” dell’azienda non significa sposare acriticamente ogni
determinazione del datore di lavoro o doversi spogliare della propria dimensione
collettiva . L’equivoco culturale che ha informato la determinazione datoriale
di cui oggi si discute riposa, infatti, sul convincimento che occuparsi del
personale debba necessariamente consistere nell’occuparsene “in un certo
modo” e dunque in condizioni di conflittualità istituzionale con ogni tipo di
istanza che provenga dai lavoratori; la qual cosa corrisponde ad una
impostazione che non tiene conto del ruolo che il nostro ordinamento assegna
alla dimensione collettiva in azienda, e cioè alla funzione istituzionale e
fisiologica di indispensabile dialettica fra le parti al fine del raggiungimento
proprio di quegli equilibri che meglio di ogni altra cosa concorrono a
realizzare “ l’interesse” aziendale.
Per l'indubbia ed inequivocabile efficacia dissuasiva di cui è dotata la predetta circolare aziendale, sussiste comportamento antisindacale (e obbligo di rimozione degli effetti mediante revoca della medesima), atteso che il comportamento antisindacale tipizzato dall'art. 28 s.l. non si realizza, com'è noto, solo quando la parte datoriale ponga in essere atti concreti e materiali, ma anche quando - come certamente nel caso di specie - enuncia le sue determinazioni che abbiano quel carattere di potenzialità offensiva tale da determinare il convincimento nel destinatario della "convenienza" di evitare l'esercizio dei diritti sindacali.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
decreto 13.7.2000 il Tribunale di Pisa - in esito ad un giudizio ex art. 28 s.l.
promosso dal Segretario della UGL – riteneva l’antisindacalità del
comportamento posto in essere dal datore di lavoro (Poste Italiane s.p.a.)
consistito nell’adozione di una “circolare” (n. 14/2000) adottata dalla
Direzione Centrale Risorse Umane/Relazioni industriali nella quale si enunciava
il principio della sostanziale incompatibilità della attività sindacale svolta
da dipendenti incaricati di funzioni direttive nell’area di gestione del
personale. A sostegno dell’opposizione svolgeva numerose censure delle quali
in motivazione.
Resisteva
in giudizio il Rappresentante sindacale chiedendo il rigetto dell’opposizione.
All’udienza
del 2.10.2002, senza l’assunzione di mezzi istruttori, il giudice decideva la
causa dando pubblica lettura del dispositivo.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
L’opposizione
è del tutto infondata.
In
via preliminare il datore di lavoro lamenta che il giudice ex art. 28 abbia
adottato il suo provvedimento senza tener conto che la circolare in questione
avesse portata e rilevanza nazionale per il suo provenire dalla Direzione
generale e che nessun organo periferico avesse adottato provvedimenti
applicativi tali da radicare in Pisa un oggettivo comportamento censurabile.
L’argomento
non è condivisibile. Nel prevedere l’intervento ai fini della repressione
della condotta tipizzata dall’art. 28 s.l., il legislatore si è preoccupato,
assegnando la gestione della speciale procedura ai rappresentati periferici dei
sindacati , di disegnare una dimensione “locale” del conflitto avuto
riguardo ai suoi effetti. Questo si ricava, oltre che dalle stesse finalità
dello speciale procedimento destinato ad incidere nella concretezza, da quella
costante affermazione giurisprudenziale secondo cui
il luogo dove è posta in essere la condotta è quello in cui essa ha
prodotto i suoi effetti ( fra le molte, Cass. 4220/94, Cass. 3622/93) e non
dove l’eventuale atto deve essere adottato o sia stato adottato , compresa
l’ipotesi di pluralità di violazione in astratto di cognizione di diverse
circoscrizioni giudiziarie (Cass. 8673/93) o rilevante sul piano nazionale (Pret.
Pisa 23.6.1992, Foro It., 1993, I, 977). Tesi, questa, del tutto condivisibile
posto che lo speciale procedimento ha come intimo significato quello di
affermare la violazione “sul territorio” e non dove, in astratto, si
assumano le determinazioni di vertice.
D’altro
canto, se fosse vera la tesi sostenute da Poste s.p.a. , quali sarebbero gli “organismi
locali delle associazioni sindacali nazionali” (v. art. 28 cit.)
legittimati a proporre il giudizio quando questa investa il contenuto di un atto
di gestione del rapporto di lavoro destinata ad incidere sul tutto il territorio
in cui un’azienda si trova ad operare ( e quindi sull’intero territorio del
Paese nel caso delle Poste)?.
La
mancanza di una soluzione a questa domanda conferma, allora, se ve ne fosse
bisogno, la ammissibilità in (ogni) sede locale del procedimento ex art. 28
s.l. ancorché l’atto denunciato abbia valenza indifferenziata su tutto il
territorio nazionale.
Nel
merito è opinione di questo giudice che il contenuto della circolare 14/2000
del 17.3.2000 abbia una conclamata potenzialità lesiva ex art. 28 s.l..
Basterebbe riflettere sull’” oggetto” della circolare che dice della
“incompatibilità” delle attività extralavorative, per individuare
come attività extralavorative quelle subordinate in favore di terzi, quelle
autonome in favore di terzi e…gli incarichi sindacali.
Esordisce,
ancora, la “circolare” in questione rammentando che i dipendenti delle Poste
(come quelli di qualsiasi datore di lavoro, ndr.) non possono svolgere attività
contraria agli interessi dell’Azienda: e questo è vero e sacrosanto
posto che lo dice il codice civile e lo suggerisce la struttura stessa del
rapporto di lavoro subordinato. Da tale dovere di non confliggere con gli
interessi dell’azienda il datore di lavoro trae alcune conseguenze: non si può
svolgere attività alle dipendenze di terzi, non si può svolgere (se non a
certe condizioni) attività autonoma e non si può svolgere attività sindacale
quando si tratti di dipendenti che prestino servizio nell’area della gestione
delle risorse umane (rectius: del personale, perché gli uomini non
dovrebbero mai, neppure lessicalmente, essere definiti “risorse”, come un
qualsiasi elemento materiale o finanziario dell’impresa).
Dunque,
a parere della “Direzione centrale risorse umane” di Poste Italiane s.p.a.
la partecipazione ad attività sindacale di quanti lavorino negli uffici del
personale sarebbe una attività “extralavorativa” confliggente con gli
interessi dell’azienda.
La
conclusione cui perviene il datore di lavoro e dalla quale appena si è detto
non meriterebbe diffuse considerazioni, perché la storia del nostro sistema
lavoristico è tutta nel senso contrario a questa affermazione, quantomeno per
il dovuto rispetto a quella previsione della nostra Costituzione (art. 39) che
assicura a tutti i lavoratori l’esercizio dei diritti sindacali e
dell’attività sindacale, che, per la sua funzione di equilibrio, tutela e
bilanciamento di forze, non può certo definirsi una attività extralavorativa,
come quella di un qualsiasi furbo dopolavorista. Lo Statuto dei lavoratori –
il cui contenuto sembra sconosciuto all’Autore del documento – rappresenta,
infatti, la Carta del sindacalismo sul posto di lavoro ed assicura con diversi
strumenti l’esercizio dell’attività in azienda, ovviamente secondo
le modulazioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
Certo
è che ove il datore di lavoro – come sembra nel caso di specie – sia
pervaso da avversità culturale nei confronti dell’attività sindacale di chi
sia incaricato di compiti di gestione del personale potrà, di fatto, e nei
limiti in cui non si violino i criteri di correttezza e buona fede e gli altri
più rigidi di cui allo statuto, selezionare i dipendenti meno sensibili a certe
istanze per formare il suo ufficio personale o di relazione industriale od
affidare tali compiti a chi condivida senza riserve l’operato datoriale.
Quello che, però, non può fare è paventare l’allontanamento od il
trasferimento ad altro incarico di chi già rivesta il ruolo di incaricato a
quel servizio ed intenda, come gli assicura la Costituzione, occuparsi anche di
questioni sindacali.
Fare
gli “interessi” dell’azienda non significa sposare acriticamente ogni
determinazione del datore di lavoro o doversi spogliare della propria dimensione
collettiva . L’equivoco culturale che ha informato la determinazione datoriale
di cui oggi si discute riposa, infatti, sul convincimento che occuparsi del
personale debba necessariamente consistere nell’occuparsene “in un certo
modo” e dunque in condizioni di conflittualità istituzionale con ogni tipo di
istanza che provenga dai lavoratori; la qual cosa corrisponde ad una
impostazione che non tiene conto del ruolo che il nostro ordinamento assegna
alla dimensione collettiva in azienda, e cioè alla funzione istituzionale e
fisiologica di indispensabile dialettica fra le parti al fine del raggiungimento
proprio di quegli equilibri che meglio di ogni altra cosa concorrono a
realizzare “ l’interesse” aziendale . Al contrario Poste Italiane , con il
documento denunciato dalla a.s. ricorrente , dimostra l’intenzione di
confinare la dimensione collettiva a quelle fasce di lavoratori la cui posizione
conflittuale appartenga allo svolgimento di mansioni ed incarichi non connotati
da margini di responsabilità o partecipazione alle decisioni aziendali. Su
questo equivoco sembra fondarsi, dunque, la equiparazione dell’attività
sindacale alle attività extralavorative.
Nessun
serio dubbio può sussistere sulla potenzialità lesiva della “circolare” in
questione, che, ovviamente, va letta in tutto il suo contenuto, poiché se in
premessa si dice che certi lavoratori non possono attivarsi sul piano sindacale,
nel seguito di preannuncia il loro “ diverso orientamento” e dunque, in
concreto, il mutamento di funzioni, non esclusa la possibilità del materiale
trasferimento di sede.
In
buona sostanza il datore di lavoro dice di non ritenere possibile che un addetto
al personale od alle relazioni industriali possa porre in essere attività
sindacale e che , ove questo si verifichi, il dipendente sarà rimosso da
quell’incarico: si preannuncia, dunque, un esercizio dello ius variandi
del tutto estraneo allo schema oggettivo di cui all’art. 2013 c.c..
Così
stando le cose non vi sono dubbi sull’efficacia dissuasiva della
determinazione datoriale, perché chiunque, fra i lavoratori, abbia del buon
senso capisce che, se il suo incarico rientra fra quelli che Poste ritiene possa
esse svolto solo dai “fedelissimi”, non potrà ( o quantomeno non gli
converrà) svolgere attività sindacale, pena la rimozione dell’incarico o
peggio. Il che realizza un clamoroso illegittimo tentativo di limitare (se non
azzerare) l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti. Ed il
comportamento antisindacale tipizzato dall’art. 28 s.l. come è noto, non si
realizza solo quando la parte datoriale ponga in essere atti concreti e
materiali, ma anche quando, come certamente nel caso di specie, enuncia le sue
determinazioni che abbiano quel carattere di potenzialità offensiva tale da
determinare il convincimento nel destinatario della “ convenienza” di
evitare l’esercizio dei suoi diritti sindacali. E nel caso concreto, come
evidenziato in esordio, la potenzialità offensiva rimane rafforzata dall’aver
grossolanamente accumunato nella stessa fattispecie vietata la prestazione
extralavorativa all’attività sindacale, quasi la seconda, come la prima,
realizzasse l’espletamento di attività contraria a (malintesi) interessi
aziendali.
Singolare
è poi la considerazione sulla necessità che i lavoratori addetti al personale
ed alle relazioni sindacali assicurino il “presidio costante e continuativo
della posizione di lavoro per la realizzazione degli obiettivi di carattere
tecnico-organizzativo e produttivo nonché di gestione delle risorse umane”.
Sembra di capire (ma è proprio così) che – secondo gli intendimenti
aziendali - questi lavoratori non abbiano diritto, come tutti gli altri, alle
guarentigie previste dallo Statuto dei lavoratori (permessi, assemblea, altre
attività ), perché non possono mai lasciare la “posizione di lavoro”;
dunque una sorta di fedeltà anche fisica, il cui significato appare di un
inequivoco contenuto di assoluta dedizione, che confligge, fra l’altro, con la
regola costituzionale che subordina l’esercizio dell’impresa al rispetto
della “libertà” e della “dignità umana” (art. 41 Cost.).
Il
contenuto altamente dissuasivo che si evince dalla lettura di questo documento
consente di ritenere, in definitiva, che la sua diffusione abbia avuto
l’intento di realizzare una compromissione grave dello spazio collettivo che
il nostro ordinamento e la Costituzione garantiscono a tutti i lavoratori
indipendentemente dalla loro funzioni in azienda.
Le
spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il
Giudice rigetta l’opposizione. Condanna parte opponente al pagamento delle
spese di lite che liquida in e 2500 oltre iva e cap di cui € 1500 per onorari,
e 990 per diritti ed e 10 per spese.
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