I Direttivi dell'area gestione del personale di Poste Italiane SpA non “potrebbero” (impunemente) svolgere attività sindacale o rivestire incarichi in seno alle OO.SS., secondo la Circ. n. 14 del 17.3.2000 della Direzione Centrale Risorse Umane (annullata giudizialmente perché antisindacale)

I
Trib. Pisa, sez. lav. 1° grado, 13 luglio 2000 (ordinanza) -  Giud.  Schiavone – UGL di Pisa (avv. G. Orsitto) c. Poste Italiane SpA (avv. Alberto Niccolai e Luigi Fiorillo)
 
Circolare della Direzione Centrale Risorse Umane di Poste Italiane SpA che vieta sostanzialmente, per supposte ragioni di efficientismo aziendale, al personale direttivo di svolgere attività sindacale - Antisindacalità dell’atto in sé, aggravata dalla minaccia di rimozione dal ruolo e dalla preposizione e/o coordinamento e gestione di risorse umane sottordinate – Rimozione degli effetti ex art. 28 Stat. lav. – Ordine giudiziale di ritiro della circolare illegittima.
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 (Massima)
Va dichiarata antisindacale (e quindi ne va ordinato il ritiro con addizionale pubblicizzazione in bacheca dell’accoglimento del presente ricorso ex art. 28 statuto dei lavoratori) la circolare n. 14/2000 della Direzione Centrale Risorse Umane di Poste Italiane SpA, la quale afferma: “(…) anche l’espletamento di incarichi nell’ambito (…) di OO.SS., ancorché consentito dalle vigenti previsioni di legge e di contratto, non può non correlarsi alle esigenze dell’azienda di ricevere prestazioni adeguate al livello di responsabilità richiesto. (…). Infatti i doveri e le responsabilità che competono ai lavoratori con (…) funzioni di carattere direttivo richiedono, (…), il presidio costante e continuativo della posizione di lavoro (…)", premurandosi poi di precisare che: “incarichi nell’ambito di OO.SS. risultano, per esempio, inconciliabili con le funzioni di responsabilità di gestione di risorse umane, a tutti i livelli della struttura organizzativa della Società" e che, comunque, nei confronti di quei funzionari direttivi che pervicacemente  non volessero attenersi a queste disposizioni : “la Società si farà carico (…) di ricercare per i predetti lavoratori, nel rispetto delle formalità e condizioni eventualmente richieste dalla legge, altra posizione di lavoro, compatibile con le esigenze aziendali e coerente sia con l’inquadramento rivestito dal dipendente che con l’espletamento del mandato ricevuto”.
La violazione degli art. 14 (diritto di associazione e di attività sindacale), art. 15 (atti discriminatori), art. 22 (trasferimenti dei dirigenti delle RSA) dello Statuto dei lavoratori è di palmare evidenza ma prima di tutto quel che balza immediatamente alla vista è il totale disconoscimento dell’imperativo di cui all’art. 39 Cost., dettato a tutela della libertà sindacale tout court. La condotta datoriale si è posta automaticamente "in contrasto con le regole destinate a tutelare in via immediata e diretta lo svolgimento dell’attività sindacale e l’esercizio del diritto di sciopero, di talché l’antisindacalità della condotta è implicita né, al fine di integrarla, occorre uno specifico intento lesivo del datore di lavoro" (Cass. n. 6193/1998).

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 (testo integrale)

TRIBUNALE DI PISA

sezione monocratica del lavoro

Giudice : ( Dr. Gaetano SCHIAVONE )

ORDINANZA SCIOGLIMENTO RISERVA

CAUSA DI LAVORO N. 331/00 R. G. C.

promossa da

U.G.L. PISA in persona del seg. Prov.le Luigi Coscia ( Avv. G. ORSITTO )

contro

POSTE ITALIANE S. P. A. ( Avv.ti Alberto NICCOLAI e Luigi  FIORILLO )

Il Giudice del Lavoro, dr. G. Schiavone, sciogliendo la riserva di che a verbale d’udienza del 27. 06. 2000,

 

premette

 

1) con atto depositato l’8. 06. 2000, Luigi Coscia, Segretario Prov.le della U.G.L., ricorreva a questo Giudice per sentir dichiarare, ex art. 28 St. Lav., l’antisindacalità della condotta tenuta dalle POSTE ITALIANE spa -Direttore Centrale delle Risorse Umane - nel formare e disporre l’applicazione a tutto il personale della circolare n. 14/2000 del 17. 03. 2000, poiché la medesima: "contiene senza ombra di dubbio per non chiari e giustificati motivi l’ordine a tutto il personale con incarichi dirigenziali di non intraprendere attività sindacale o a rivestire incarichi sindacali all’interno dell’azienda pena il trasferimento ad altro servizio e/o sede". Era invocato, quindi, nel vantaggio delle spese di lite, un ordine di "revoca della medesima circolare previa idonea pubblicità dell’accoglimento dell’odierno ricorso";

2) ritualmente si costituiva in lite POSTE ITALIANE spa concludendo per l’inammissibilità del ricorso in quanto non era stato posto in essere alcun atto di concreta attuazione della circolare e, subordinatamente, per il rigetto del ricorso per infondatezza, con condanna di controparte alla refusione delle spese di giudizio;

 

conclude

 

A) LA CONDOTTA ANTISINDACALE.

L’art. 28 St. Lav. tutela le prerogative sindacali prevedendo una sanzione di carattere reale (rimozione degli effetti): "qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero".

In dottrina e giurisprudenza è pacifico che scopo della norma sia quello di garantire l’effettivo godimento dei diritti sindacali previsti dallo Statuto dei Lavoratori ovvero da altre norme, anche secondarie (usi). In sostanza la garanzia offerta è contro ogni attentato alla presenza del sindacato in azienda, all’effettivo rispetto delle libertà connesse ed all’attività sindacale lato sensu, sia pure affermatesi in base a consolidate prassi, che ne forgiano la sostanza.

Nel caso di specie può concludersi che la violazione sia consistita in una palese minaccia, attuale e non futura -ma su questo si veda oltre- sia contro le prerogative del sindacato, sia avverso lo stesso diritto di sciopero. Si legge, infatti, nella citata circolare: "(…) anche l’espletamento di incarichi nell’ambito (…) di OO.SS., ancorché consentito dalle vigenti previsioni di legge e di contratto, non può non correlarsi alle esigenze dell’azienda di ricevere prestazioni adeguate al livello di responsabilità richiesto. (…). Infatti i doveri e le responsabilità che competono ai lavoratori con (…) funzioni di carattere direttivo richiedono, (…), il presidio costante e continuativo della posizione di lavoro (…)".

Questo significa in altre parole che l’azienda reagirà se funzionari fra quelli indicati non presiederanno continuativamente il proprio posto di lavoro, cosa che puntualmente avviene in caso di partecipazione a manifestazioni di sciopero. E le affermazioni sono tanto più gravi se si tien conto che scientemente vengono fatte, "ancorché consentito dalle vigenti previsioni di legge e di contratto".

Insomma, nonostante la Costituzione, lo Statuto, il contratto, le POSTE spa intendono …

In chiave più generale, il datore di lavoro, dopo aver inquadrato l’attività sindacale e gli eventuali incarichi presso il sindacato alla stregua di "Attività extra lavorative", quasi a sottolineare l’estraneità di questi fatti dalla organizzazione e divisione del lavoro e a voler scrivere una pagina in radicale opposizione rispetto alla storia delle relazioni industriali italiane, almeno dell’ultimo trentennio e dopo aver affermato la necessità che ogni "attività extra lavorativa (…) ancorché consentita dalle vigenti previsioni di legge e di contratto, non può non correlarsi all’esigenza dell’Azienda di ricevere prestazioni adeguate al livello di responsabilità richiesto dalle specifiche posizioni di lavoro", chiarisce, qualora ve ne fosse bisogno, che "incarichi nell’ambito di OO.SS. risultano, per esempio, inconciliabili con le funzioni di responsabilità di gestione di risorse umane, a tutti i livelli della struttura organizzativa della Società".

Non pare che ci vogliano particolari doti ermeneutiche per capire che, fuor di metafora, il proponimento è esplicito: chi parteciperà ad attività sindacali non potrà mai aspirare ad incarichi organizzativi del personale, foss’anche una modesta squadra di lavoro (a tutti i livelli, si legge sopra).

E la circolare con intento, come dire, pedagogico, nel timore che non fosse stata sufficientemente esplicita, prosegue dicendo: "considerata detta evidente inconciliabilità, si rende necessario prevedere un diverso orientamento dei lavoratori in questione", id est: dimettetevi dal sindacato!

Ad ogni modo, quand’anche i lavoratori pervicacemente non volessero attenersi a quelle disposizioni, "la Società si farà carico (…) di ricercare per i predetti lavoratori, nel rispetto delle formalità e condizioni eventualmente richieste dalla legge, altra posizione di lavoro, compatibile con le esigenze aziendali e coerente sia con l’inquadramento rivestito dal dipendente che con l’espletamento del mandato ricevuto", come si legge nel penultimo capoverso. Ecco, dunque, appalesato il contenuto della sanzione prevista dalla società per il lavoratore ostinatamente sindacalizzato, cioè una collocazione in posizione relegata, lontana da qualsiasi responsabilità organizzativa del personale, a tutti i livelli, e per ciò solo coerente con i fini aziendali.

Ora, a parte il fatto che la circolare tradisce una concezione aziendalistica ampiamente superata dai tempi e piuttosto da anni cinquanta, a parte, però, il rilievo che ciascuno può gestire la propria azienda come più gli aggrada, salva la responsabilità verso la proprietà che, nella specie, è in mano pubblica, a parte ciò va detto che difficilmente si assiste ad un concentrato di violazioni ai diritti sindacali anche lontanamente paragonabile a quello posto in essere con la circolare in argomento e lo stupore è maggiore se si pensa che ad introdurre il presente ricorso sia stata una sola sigla sindacale e non tutte quelle aziendali. Ma tant’è.

Che innanzitutto sia attentato il diritto di sciopero è stato sopra dimostrato ma quel che non è assolutamente dubitabile è che prima ancora quel che viene minacciata è la libertà sindacale di proselitismo e esternazione del proprio programma che è l’essenza stessa dell’agire sindacale, una sorta di prius rispetto ad ogni altra. Con buon margine di certezza può affermarsi che, dopo la detta circolare, mai più alcun lavoratore delle POSTE penserà, se non con spirito sacrificale, di accostarsi ad un sindacato e nessun sindacalista mai più tenterà di allargare la propria base adesiva, essendo sottoposte tutte queste azioni alle ora viste conseguenze.

La violazione degli art. 14 (diritto di associazione e di attività sindacale), art. 15 (atti discriminatori), art. 22 (trasferimenti dei dirigenti delle RSA) dello Statuto dei lavoratori è di palmare evidenza ma prima di tutto quel che balza immediatamente alla vista è il totale disconoscimento dell’imperativo di cui all’art. 39 Cost., dettato a tutela della libertà sindacale tout court. La condotta datoriale si è posta automaticamente "in contrasto con le regole destinate a tutelare in via immediata e diretta lo svolgimento dell’attività sindacale e l’esercizio del diritto di sciopero, di talché l’antisindacalità della condotta è implicita né, al fine di integrarla, occorre uno specifico intento lesivo del datore di lavoro" (Cass. n. 6193/1998).

 

B)  L’AMMISSIBILITA’ DEL RICORSO.

Da escludere in maniera radicale è che si possa parlare nella fattispecie di inammissibilità del ricorso per difetto di attualità della denunciata antisindacalità della circolare, ché, al più, potrebbe svolgere effetti de futuro.

Ora, innanzitutto va detto che l’obiettivo primario della circolare, quello di procurare diffuso timore per una propria adesione sindacale, può ritenersi raggiunto non appena quell’atto è stato portato a conoscenza dei lavoratori ma va anche aggiunto che se così fosse, se cioè non vi fosse alcun risvolto di violazione attuale delle prerogative sindacali nella condotta tenuta, se ne avrebbe un’immediata riconferma nell’impossibilità di dare concreta attuazione al comando del Giudice.

Va rammentato che, infatti, la norma in discussione è articolata in maniera tale da prevedere non solo l’accertamento e la dichiarazione dell’antisindacalità dell’atto o fatto, quanto, nel concreto, l’ordine di rimuoverne gli effetti. Va da sé, dunque, che se il danno fosse de futuro, nessuna immediata attuazione si potrebbe dare al comando giudiziale.

Le cose, però, non stanno in questi termini. Non v’è dubbio, infatti, che la rimozione possa e debba avere pronta attuazione mediante il comando di ritiro della circolare de qua, adeguatamente pubblicizzato.

Che la detta circolare abbia la potenzialità d’ingenerare il timore della rimozione od allontanamento del dirigente sindacalizzato è la stessa parte resistente ad ammetterlo a chiare lettere. Si legge infatti nella memoria di costituzione: "(…) né può comportare –se non come puro ipotetico timore- lo spostamento od il trasferimento di un dirigente della O.S. ricorrente" (Pag. 4). Così come è pure ammesso dalla resistente che una delle conseguenze della detta circolare sarà inevitabilmente il trasferimento del dipendente, poiché si scrive senza parafrasi o circonlocuzioni di sorta, che: "la Società si farà carico (…) di ricercare per i predetti lavoratori, nel rispetto delle formalità e condizioni eventualmente richieste dalla legge, altra posizione di lavoro, compatibile con le esigenze aziendali e coerente sia con l’inquadramento rivestito dal dipendente che con l’espletamento del mandato ricevuto".

 

C) LA RIMOZIONE DEGLI EFFETTI.

L’unico requisito che si richiede al provvedimento del Giudice è l’idoneità a ripristinare la legalità violata e, poiché, come visto questa violazione consiste nell’ingenerare timore nei lavoratori per la loro eventuale affiliazione sindacale, ovvero per l’assunzione di determinate cariche all’interno del sindacato, va da sé che la legalità potrà considerarsi ripristinata solo disponendo un ordine di contenuto eguale e contrario. Nella fattispecie tale ordine consiste non solo nel ritiro della circolare ma nell’ordine di dare pubblicità al presente provvedimento con le stesse modalità assegnate alla pubblicizzazione della circolare, cioè con diramazione ed affissione nella bacheca aziendale per un periodo di tempo pari a quello durante il quale la circolare è rimasta affissa.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P. Q. M.

 

Il Giudice del Lavoro DICHIARA l’antisindacalità del comportamento tenuto da POSTE ITALIANE spa nel formare e divulgare fra gli uffici dipendenti e i lavoratori subordinati la Circolare n. 14/2000 del 17. 03. 2000 a firma del Direttore delle Risorse Umane, DICHIARA conseguentemente la nullità del predetto atto perché formato in violazione dell’art. 28 St. Lav. ORDINANDO che del medesimo non sia tenuto conto alcuno a tutti i fini giuridici del rapporto di lavoro con i lavoratori dipendenti. ORDINA a POSTE ITALIANE spa di dare al presente decreto la medesima diffusione data alla predetta circolare, nonché che il medesimo rimanga affisso alle bacheche degli uffici dipendenti della provincia di Pisa per lo stesso periodo temporale di affissione della circolare n. 14/2000. CONDANNA le POSTE ITALIANE spa a rimborsare all’U.G.L. le spese di lite liquidate in £. 3.500.000 di cui £. 1.500.000 per diritti, £. 300.000 per spese ed il resto per onorari, oltre IVA e CAP di legge.

Pisa, 13. 07. 2000

IL GIUDICE d. L. dr. G. Schiavone

 

II

Di seguito la sentenza emessa in sede di opposizione delle Poste Italiane S.p.A. all'ordinanza sub. I

Tribunale di Pisa, sez. lav. (giudice unico di 1° grado) 2 ottobre 2002 – Est. Nisticò – Poste Italiane S.p.A (avv. Niccolai, Fiorillo) c. CL, segretario provinciale della UGL di Pisa (avv. Orsitto).

 

Direttive impartite con circolare dalla Direzione Centrale del Personale di Poste Italiane - Statuenti incompatibilità di svolgimento di attività sindacale per i dipendenti con funzioni direttive nell’area della gestione del personale – Concretizza attività antisindacale per il contenuto dissuasivo e confliggente con i diritti costituzionali del lavoratore ex art. 39 Cost., in tema di indifferenziato esercizio dell’attività sindacale.

 

A parere della “Direzione centrale risorse umane” di Poste Italiane s.p.a. la partecipazione ad attività sindacale di quanti lavorino negli uffici del personale sarebbe una attività “extralavorativa” confliggente con gli interessi dell’azienda.

La conclusione cui perviene il datore di lavoro e della quale appena si è detto non meriterebbe diffuse considerazioni, perché la storia del nostro sistema lavoristico è tutta nel senso contrario a questa affermazione, quantomeno per il dovuto rispetto a quella previsione della nostra Costituzione (art. 39) che assicura a tutti i lavoratori l’esercizio dei diritti sindacali e dell’attività sindacale, che, per la sua funzione di equilibrio, tutela e bilanciamento di forze, non può certo definirsi una attività extralavorativa, come quella di un qualsiasi furbo dopolavorista. Lo Statuto dei lavoratori – il cui contenuto sembra sconosciuto all’Autore del documento – rappresenta, infatti, la Carta del sindacalismo sul posto di lavoro ed assicura con diversi strumenti l’esercizio dell’attività in azienda, ovviamente secondo le modulazioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Certo è che ove il datore di lavoro – come sembra nel caso di specie – sia pervaso da avversità culturale nei confronti dell’attività sindacale di chi sia incaricato di compiti di gestione del personale potrà, di fatto, e nei limiti in cui non si violino i criteri di correttezza e buona fede e gli altri più rigidi di cui allo Statuto, selezionare i dipendenti meno sensibili a certe istanze per formare il suo ufficio personale o di relazione industriale od affidare tali compiti a chi condivida senza riserve l’operato datoriale. Quello che, però, non può fare è paventare l’allontanamento od il trasferimento ad altro incarico di chi già rivesta il ruolo di incaricato a quel servizio ed intenda, come gli assicura la Costituzione, occuparsi anche di questioni sindacali.

Fare gli “interessi” dell’azienda non significa sposare acriticamente ogni determinazione del datore di lavoro o doversi spogliare della propria dimensione collettiva . L’equivoco culturale che ha informato la determinazione datoriale di cui oggi si discute riposa, infatti, sul convincimento che occuparsi del personale debba necessariamente consistere nell’occuparsene “in un certo modo” e dunque in condizioni di conflittualità istituzionale con ogni tipo di istanza che provenga dai lavoratori; la qual cosa corrisponde ad una impostazione che non tiene conto del ruolo che il nostro ordinamento assegna alla dimensione collettiva in azienda, e cioè alla funzione istituzionale e fisiologica di indispensabile dialettica fra le parti al fine del raggiungimento proprio di quegli equilibri che meglio di ogni altra cosa concorrono a realizzare “ l’interesse” aziendale.

Per l'indubbia ed inequivocabile efficacia dissuasiva di cui è dotata la predetta circolare aziendale, sussiste comportamento antisindacale (e obbligo di rimozione degli effetti mediante revoca della medesima), atteso che il comportamento antisindacale tipizzato dall'art. 28 s.l. non si realizza, com'è noto, solo quando la parte datoriale ponga in essere atti concreti e materiali, ma anche quando - come certamente nel caso di specie - enuncia le sue determinazioni che abbiano quel carattere di potenzialità offensiva tale da determinare il convincimento nel destinatario della "convenienza" di evitare l'esercizio dei diritti sindacali.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 13.7.2000 il Tribunale di Pisa - in esito ad un giudizio ex art. 28 s.l. promosso dal Segretario della UGL – riteneva l’antisindacalità del comportamento posto in essere dal datore di lavoro (Poste Italiane s.p.a.) consistito nell’adozione di una “circolare” (n. 14/2000) adottata dalla Direzione Centrale Risorse Umane/Relazioni industriali nella quale si enunciava il principio della sostanziale incompatibilità della attività sindacale svolta da dipendenti incaricati di funzioni direttive nell’area di gestione del personale. A sostegno dell’opposizione svolgeva numerose censure delle quali in motivazione.

Resisteva in giudizio il Rappresentante sindacale chiedendo il rigetto dell’opposizione.

All’udienza del 2.10.2002, senza l’assunzione di mezzi istruttori, il giudice decideva la causa dando pubblica lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’opposizione è del tutto infondata.

In via preliminare il datore di lavoro lamenta che il giudice ex art. 28 abbia adottato il suo provvedimento senza tener conto che la circolare in questione avesse portata e rilevanza nazionale per il suo provenire dalla Direzione generale e che nessun organo periferico avesse adottato provvedimenti applicativi tali da radicare in Pisa un oggettivo comportamento censurabile.

L’argomento non è condivisibile. Nel prevedere l’intervento ai fini della repressione della condotta tipizzata dall’art. 28 s.l., il legislatore si è preoccupato, assegnando la gestione della speciale procedura ai rappresentati periferici dei sindacati , di disegnare una dimensione “locale” del conflitto avuto riguardo ai suoi effetti. Questo si ricava, oltre che dalle stesse finalità dello speciale procedimento destinato ad incidere nella concretezza, da quella costante affermazione giurisprudenziale secondo cui  il luogo dove è posta in essere la condotta è quello in cui essa ha prodotto i suoi effetti ( fra le molte, Cass. 4220/94, Cass. 3622/93) e non dove l’eventuale atto deve essere adottato o sia stato adottato , compresa l’ipotesi di pluralità di violazione in astratto di cognizione di diverse circoscrizioni giudiziarie (Cass. 8673/93) o rilevante sul piano nazionale (Pret. Pisa 23.6.1992, Foro It., 1993, I, 977). Tesi, questa, del tutto condivisibile posto che lo speciale procedimento ha come intimo significato quello di affermare la violazione “sul territorio” e non dove, in astratto, si assumano le determinazioni di vertice.

D’altro canto, se fosse vera la tesi sostenute da Poste s.p.a. , quali sarebbero gli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali” (v. art. 28 cit.) legittimati a proporre il giudizio quando questa investa il contenuto di un atto di gestione del rapporto di lavoro destinata ad incidere sul tutto il territorio in cui un’azienda si trova ad operare ( e quindi sull’intero territorio del Paese nel caso delle Poste)?.

La mancanza di una soluzione a questa domanda conferma, allora, se ve ne fosse bisogno, la ammissibilità in (ogni) sede locale del procedimento ex art. 28 s.l. ancorché l’atto denunciato abbia valenza indifferenziata su tutto il territorio nazionale.

Nel merito è opinione di questo giudice che il contenuto della circolare 14/2000 del 17.3.2000 abbia una conclamata potenzialità lesiva ex art. 28 s.l.. Basterebbe riflettere sull’” oggetto” della circolare che dice della “incompatibilità” delle attività extralavorative, per individuare come attività extralavorative quelle subordinate in favore di terzi, quelle autonome in favore di terzi e…gli incarichi sindacali.

Esordisce, ancora, la “circolare” in questione rammentando che i dipendenti delle Poste (come quelli di qualsiasi datore di lavoro, ndr.) non possono svolgere attività contraria agli interessi dell’Azienda: e questo è vero e sacrosanto posto che lo dice il codice civile e lo suggerisce la struttura stessa del rapporto di lavoro subordinato. Da tale dovere di non confliggere con gli interessi dell’azienda il datore di lavoro trae alcune conseguenze: non si può svolgere attività alle dipendenze di terzi, non si può svolgere (se non a certe condizioni) attività autonoma e non si può svolgere attività sindacale quando si tratti di dipendenti che prestino servizio nell’area della gestione delle risorse umane (rectius: del personale, perché gli uomini non dovrebbero mai, neppure lessicalmente, essere definiti “risorse”, come un qualsiasi elemento materiale o finanziario dell’impresa).

Dunque, a parere della “Direzione centrale risorse umane” di Poste Italiane s.p.a. la partecipazione ad attività sindacale di quanti lavorino negli uffici del personale sarebbe una attività “extralavorativa” confliggente con gli interessi dell’azienda.

La conclusione cui perviene il datore di lavoro e dalla quale appena si è detto non meriterebbe diffuse considerazioni, perché la storia del nostro sistema lavoristico è tutta nel senso contrario a questa affermazione, quantomeno per il dovuto rispetto a quella previsione della nostra Costituzione (art. 39) che assicura a tutti i lavoratori l’esercizio dei diritti sindacali e dell’attività sindacale, che, per la sua funzione di equilibrio, tutela e bilanciamento di forze, non può certo definirsi una attività extralavorativa, come quella di un qualsiasi furbo dopolavorista. Lo Statuto dei lavoratori – il cui contenuto sembra sconosciuto all’Autore del documento – rappresenta, infatti, la Carta del sindacalismo sul posto di lavoro ed assicura con diversi strumenti l’esercizio dell’attività in azienda, ovviamente secondo le modulazioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

Certo è che ove il datore di lavoro – come sembra nel caso di specie – sia pervaso da avversità culturale nei confronti dell’attività sindacale di chi sia incaricato di compiti di gestione del personale potrà, di fatto, e nei limiti in cui non si violino i criteri di correttezza e buona fede e gli altri più rigidi di cui allo statuto, selezionare i dipendenti meno sensibili a certe istanze per formare il suo ufficio personale o di relazione industriale od affidare tali compiti a chi condivida senza riserve l’operato datoriale. Quello che, però, non può fare è paventare l’allontanamento od il trasferimento ad altro incarico di chi già rivesta il ruolo di incaricato a quel servizio ed intenda, come gli assicura la Costituzione, occuparsi anche di questioni sindacali.

Fare gli “interessi” dell’azienda non significa sposare acriticamente ogni determinazione del datore di lavoro o doversi spogliare della propria dimensione collettiva . L’equivoco culturale che ha informato la determinazione datoriale di cui oggi si discute riposa, infatti, sul convincimento che occuparsi del personale debba necessariamente consistere nell’occuparsene “in un certo modo” e dunque in condizioni di conflittualità istituzionale con ogni tipo di istanza che provenga dai lavoratori; la qual cosa corrisponde ad una impostazione che non tiene conto del ruolo che il nostro ordinamento assegna alla dimensione collettiva in azienda, e cioè alla funzione istituzionale e fisiologica di indispensabile dialettica fra le parti al fine del raggiungimento proprio di quegli equilibri che meglio di ogni altra cosa concorrono a realizzare “ l’interesse” aziendale . Al contrario Poste Italiane , con il documento denunciato dalla a.s. ricorrente , dimostra l’intenzione di confinare la dimensione collettiva a quelle fasce di lavoratori la cui posizione conflittuale appartenga allo svolgimento di mansioni ed incarichi non connotati da margini di responsabilità o partecipazione alle decisioni aziendali. Su questo equivoco sembra fondarsi, dunque, la equiparazione dell’attività sindacale alle attività extralavorative.

Nessun serio dubbio può sussistere sulla potenzialità lesiva della “circolare” in questione, che, ovviamente, va letta in tutto il suo contenuto, poiché se in premessa si dice che certi lavoratori non possono attivarsi sul piano sindacale, nel seguito di preannuncia il loro “ diverso orientamento” e dunque, in concreto, il mutamento di funzioni, non esclusa la possibilità del materiale trasferimento di sede.

In buona sostanza il datore di lavoro dice di non ritenere possibile che un addetto al personale od alle relazioni industriali possa porre in essere attività sindacale e che , ove questo si verifichi, il dipendente sarà rimosso da quell’incarico: si preannuncia, dunque, un esercizio dello ius variandi del tutto estraneo allo schema oggettivo di cui all’art. 2013 c.c..

Così stando le cose non vi sono dubbi sull’efficacia dissuasiva della determinazione datoriale, perché chiunque, fra i lavoratori, abbia del buon senso capisce che, se il suo incarico rientra fra quelli che Poste ritiene possa esse svolto solo dai “fedelissimi”, non potrà ( o quantomeno non gli converrà) svolgere attività sindacale, pena la rimozione dell’incarico o peggio. Il che realizza un clamoroso illegittimo tentativo di limitare (se non azzerare) l’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti. Ed il comportamento antisindacale tipizzato dall’art. 28 s.l. come è noto, non si realizza solo quando la parte datoriale ponga in essere atti concreti e materiali, ma anche quando, come certamente nel caso di specie, enuncia le sue determinazioni che abbiano quel carattere di potenzialità offensiva tale da determinare il convincimento nel destinatario della “ convenienza” di evitare l’esercizio dei suoi diritti sindacali. E nel caso concreto, come evidenziato in esordio, la potenzialità offensiva rimane rafforzata dall’aver grossolanamente accumunato nella stessa fattispecie vietata la prestazione extralavorativa all’attività sindacale, quasi la seconda, come la prima, realizzasse l’espletamento di attività contraria a (malintesi) interessi aziendali.

Singolare è poi la considerazione sulla necessità che i lavoratori addetti al personale ed alle relazioni sindacali assicurino il “presidio costante e continuativo della posizione di lavoro per la realizzazione degli obiettivi di carattere tecnico-organizzativo e produttivo nonché di gestione delle risorse umane”. Sembra di capire (ma è proprio così) che – secondo gli intendimenti aziendali - questi lavoratori non abbiano diritto, come tutti gli altri, alle guarentigie previste dallo Statuto dei lavoratori (permessi, assemblea, altre attività ), perché non possono mai lasciare la “posizione di lavoro”; dunque una sorta di fedeltà anche fisica, il cui significato appare di un inequivoco contenuto di assoluta dedizione, che confligge, fra l’altro, con la regola costituzionale che subordina l’esercizio dell’impresa al rispetto della “libertà” e della “dignità umana” (art. 41 Cost.).

Il contenuto altamente dissuasivo che si evince dalla lettura di questo documento consente di ritenere, in definitiva, che la sua diffusione abbia avuto l’intento di realizzare una compromissione grave dello spazio collettivo che il nostro ordinamento e la Costituzione garantiscono a tutti i lavoratori indipendentemente dalla loro funzioni in azienda.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Giudice rigetta l’opposizione. Condanna parte opponente al pagamento delle spese di lite che liquida in e 2500 oltre iva e cap di cui € 1500 per onorari, e 990 per diritti ed e 10 per spese.

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