Rassegna di sentenze e articoli sulla c.d. perdita di chance (e danno da mancata promozione)

 

Corte di cassazione, Sezione lavoro, 18 gennaio 2006, n. 852

 

Perdita di chance e di occasione promotiva – Differenze.

 

Occorre distinguere tra il danno da mancata promozione da quello di perdita di chance. Nel primo caso, il lavoratore, che agisca per risarcimento del danno, deve provare sia l'illegittimità della procedura concorsuale sia che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell'elenco dei promossi; nel secondo caso - sul presupposto della irrimediabile perdita di chance in ragione dell'irripetibilità della procedura con le stesse modalità e gli stessi partecipanti di quella ritenuta illegittima - si fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile; ne consegue che, mentre il danno da mancata promozione può trovare un ristoro corrispondente in pieno con la perdita dei vantaggi connessi alla superiore qualifica (non solo di natura economica, ma anche normativa), il danno da perdita di chance può solo commisurarsi, ma non identificarsi, nella perdita di quei vantaggi, in ragione del grado di probabilità - esistente al momento della legittima esclusione - di conseguire la promozione (Cassazione 734/2002; 123/2003).

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. dinanzi al Giudice del lavoro di Locri S.S.A. conveniva in giudizio la S.p.a. Ferrovie dello Stato - alle cui dipendenze aveva prestato servizio fino al 31 dicembre 1993 - esponendo: che la società convenuta gli aveva riconosciuto la qualifica di "tecnico di stazione" solo con decorrenza 4 novembre 1991, mentre il Pretore-Giudice del lavoro di Locri (adito in un precedente giudizio definito con sentenza del 24 giugno 1994) aveva stabilito che detta qualifica gli fosse riconosciuta dal 5 febbraio 1988; che la società aveva indetto, con "bando" del 9 agosto 1991, una prova-selezione di accertamento professionale per la promozione a "I tecnico" riservata ai dipendenti aventi la qualifica di "tecnico stazione" da almeno tre anni (requisito, quindi, in possesso di esso ricorrente in forza della cennata sentenza passata in giudicato); che tutti coloro che avevano partecipato a detta prova-selezione avevano ottenuto la promozione a "I tecnico"; che, se avesse ottenuto il tempestivo riconoscimento della qualifica di "tecnico di stazione" (spettantegli a decorrere dal 5 febbraio 1988 iussu iudicis), avrebbe potuto partecipare alla prova-selezione, per cui, avendolo la società convenuta illegittimamente escluso, la stessa era responsabile di ciò con ogni relativa conseguenza risarcitoria. Il ricorrente richiedeva, quindi, la condanna della società datrice di lavoro al risarcimento dei danni quantificati, equitativamente, in complessive lire 35.000.000 oltre agli "accessori di legge".

Si costituiva in giudizio la S.p.a. Ferrovie dello Stato che impugnava integralmente la domanda attorea e ne richiedeva il rigetto.

L'adito giudice del lavoro rigettava il ricorso e - su impugnativa di S.S.A. e ricostituitosi in contraddittorio - la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava l'appello, compensando le spese del grado.

Per quello che rileva in questa sede la Corte territoriale ha rimarcato che: a) «l'odierno appellante nessuna prova ha fornito (pur avendone l'onere) che, ove avesse avuto la possibilità di partecipare da tecnico di stazione all'accertamento professionale suddetto per conseguire la qualifica di "primo tecnico", avrebbe certamente superato la selezione»; b) «l'esito positivo era comunque condizionato ad una valutazione finale dei profili ottenuti dalla frequenza del corso, per cui l'accoglimento della domanda attorea avrebbe preteso la prova (che, invece, non risulta fornita) della sussistenza di tutti i presupposti atti a consentire una valutazione favorevole ai fini dell'attribuzione del nuovo profilo professionale».

Per la cassazione di tale sentenza S.S.A. propone ricorso assistito da tre motivi e sostenuto da memoria ex art. 378 c.p.c.

La S.p.a. Rete Ferroviaria Italiana (subentrata alla S.p.a. Ferrovie dello Stato) resiste con controricorso e deposita memoria ex art. 378 c.p.c. nonché "atto di deposito dei documenti ex art. 372, comma 2, c.p.c.".

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente - denunciando "violazione degli artt. 2043, 1226 e 2697 c.c., 115 e 116, 324 e 329 c.p.c.; nonché vizi di motivazione" - rileva criticamente che «l'onere probatorio era stato pienamente assolto dal ricorrente il quale aveva dimostrato documentalmente sia il proprio diritto a partecipare alla procedura di accertamento professionale per il passaggio a "I tecnico" sia che il suo mancato inserimento tra i dipendenti ammessi alla selezione era dipeso esclusivamente da colpa della società» ed addebita al giudice di appello di non avere considerato che «il decidente di primo grado aveva già acclarato il diritto del S. a partecipare all'accertamento professionale, [per cui] la sussistenza di tale diritto non aveva costituito oggetto specifico di impugnazione e, di conseguenza, ciò aveva determinato l'acquiescenza parziale alla sentenza ex art. 329, comma 2, c.p.c. ed il passaggio in giudicato della statuizione sul punto».

Con il secondo motivo il ricorrente - denunciando "violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., nonché vizi di motivazione" - censura la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale «errato nell'individuare il petitum e la causa petendi della fattispecie dedotta in giudizio (azione di risarcimento danni per perdita di chance) e l'onere probatorio posto a carico del ricorrente così determinando la falsa applicazione denunciata per error in procedendo».

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente - denunciando "violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., nonché vizi di motivazione" - censura la decisione impugnata «per non avere la Corte d'appello ammesso i mezzi di prova richiesti senza motivare sul punto e, contraddittoriamente, di avere rigettato la domanda proprio per la mancanza di prova in ordine alle circostanze che costituivano l'oggetto della richiesta prova per testi».

2. Il ricorso dinanzi proposto si appalesa fondato.

Al riguardo, con riferimento al secondo motivo di ricorso da esaminarsi anteriormente al primo per evidente priorità logica, effettivamente la Corte territoriale ha omesso di motivare e, quindi, di decidere - donde l'ammissibilità della disamina degli atti processuali del giudizio di merito anche nella presente sede di legittimità essendo stato dedotto un error in procedendo nella sentenza impugnata - sul punto concernente il risarcimento danni per la cosiddetta "perdita di chance" conseguente all'illegittima esclusione del S. dalla prova-selezione di accertamento professionale di cui al bando del 9 agosto 1991, in quanto ha erroneamente qualificato la domanda giudiziale del S. (intesa ad ottenere dalla società datrice di lavoro il risarcimento danni al cennato titolo e per la relativa causale) come domanda di qualifica superiore ovvero di risarcimento danni per mancata promozione alla qualifica superiore.

A tale proposito occorre, infatti, distinguere tra il danno da mancata promozione da quello di perdita di chance, nel primo caso, il lavoratore, che agisca per risarcimento del danno, deve provare sia l'illegittimità della procedura concorsuale sia che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell'elenco dei promossi; nel secondo caso - sul presupposto della irrimediabile perdita di chance in ragione dell'irripetibilità della procedura con le stesse modalità e gli stessi partecipanti di quella ritenuta illegittima - si fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile; ne consegue che, mentre il danno da mancata promozione può trovare un ristoro corrispondente in pieno con la perdita dei vantaggi connessi alla superiore qualifica (non solo di natura economica, ma anche normativa), il danno da perdita di chance può solo commisurarsi, ma non identificarsi, nella perdita di quei vantaggi, in ragione del grado di probabilità - esistente al momento della legittima esclusione - di conseguire la promozione (Cassazione 734/2002; 123/2003).

Nella specie, dalla disamina dell'originario ricorso giudiziale, si evince chiaramente che il S. non aveva affatto richiesto la promozione a "I tecnico", bensì il risarcimento del danno conseguente alla sua illegittima esclusione dalla summenzionata prova-selezione di accertamento professionale per la responsabilità della S.p.a. Ferrovie dello Stato: per cui la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, che ha qualificato e definito erroneamente la domanda giudiziale del ricorrente, deve essere su tale punto cassata con ogni relativa conseguenza.

La prima di tali conseguenze è quella inerente al primo motivo del ricorso relativamente alla statuizione sul contenuto dell'onere probatorio a carico del ricorrente, il quale - secondo la Corte territoriale nel brano motivazione già trascritto in cui si compendia sostanzialmente detta statuizione - avrebbe dovuto «fornire la prova che, ove avesse avuto possibilità di partecipare da "tecnico di stazione" all'accertamento professionale suddetto per conseguire la qualifica di "primo tecnico", avrebbe certamente superato la selezione»: statuizione questa del tutto errata in quanto, nel caso di giudizio instaurato dal lavoratore per ottenere il risarcimento danno per perdita di chance, il ricorrente ha l'onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pure se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo della probabilità, la possibilità che avrebbe avuto di conseguire il superiore inquadramento, atteso che la valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. presuppone che risulti comprovata l'esistenza di un danno risarcibile (Cassazione 2254/2004).

Ha, quindi, fondamentalmente errato il Giudice di appello nel non valutare i documenti prodotti di S. (e analiticamente elencati, anche in relazione al loro contenuto, dal ricorrente in perfetto adempimento al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione) e, così, nel disattendere la richiesta di ammissione di prova testimoniale sui "capitoli" articolati dallo stesso S. (e pure testualmente riportati nel ricorso in adempimento, anche qui, al principio di autosufficienza) - per cui, sotto quest'ultimo profilo, deve essere specificamente accolto anche il terzo motivo di ricorso.

3. In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto da S.A.S. deve essere accolto e, per l'effetto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa ad altro giudice - che si designa nella Corte di appello di Messina - affinché proceda al riesame della controversia sulla base delle risultanze processuali ed in applicazione dei principi di diritto summenzionati e dia, poi, corretta motivazione del decisum.

Il Giudice del rinvio provvederà, altresì, in ordine alle spese del giudizio di cassazione (art. 385, comma 3, c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Messina.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE LAVORO, 14 dicembre 2001 n. 15810

 

Danno da perdita di chance per inadempimento datoriale da carente motivazione delle scelte promotive in contesto di valutazione per merito comparativo – Ricorso al criterio equitativo.

 

La violazione di un obbligo strumentale di comportamento - quale quello recato dalla menzionata norma contrattuale, implicante l’esaustiva motivazione della scelta dei dirigenti  - integrata nel suo contenuto dal generale obbligo di correttezza e buona fede, ha comunque una valenza patrimoniale e quindi è fonte di danno risarcibile.

Ai fini della determinazione del danno risarcibile per perdita di «chance», riscontrato in riferimento ad una procedura di selezione dei dipendenti per l’accesso alla qualifica superiore, è possibile fare ricorso al criterio equitativo individuandone il canone applicativo nella valutazione della probabilità di promozione che aveva il danneggiato desunta dal rapporto tra i dipendenti promossi e i dipendenti astrattamente idonei alla promozione. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in riferimento ad una procedura di selezione di dipendenti ferroviari per l’accesso alla dirigenza, pur avendo fatto correttamente ricorso al criterio equitativo nei suindicati termini era giunta tuttavia ad una quantificazione del danno considerata erronea in quanto, ai fini del calcolo della percentuale di probabilità di promozione, aveva rapportato il numero dei dipendenti che avevano ottenuto la nomina a dirigente non a tutti i dipendenti astrattamente idonei ad ottenere tale nomina, ma esclusivamente ai dipendenti la cui idoneità era stata accertata con uno specifico corso di formazione, non considerando così gli ispettori che per la loro iniziale qualifica più elevata erano idonei di per sé all’accesso alla dirigenza senza necessità della verifica per il tramite del corso di formazione).

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso depositato in data 20 dicembre 1993 C.F. si rivolgeva al pretore di Ancona, quale giudice del lavoro; lamentava di non essere stato «immesso nella dirigenza» nonostante il suo brillante superamento della prova di idoneità finale del corso di formazione dirigenziale tenutosi a Foligno dal 6 al 25 luglio 1990, come previsto dagli articoli 3 e 4 del c.c.n.l. dei dirigenti ff.ss.

Altri 30 dipendenti della società, dei quarantaquattro idonei al corso, erano invece stati nominati dirigenti con varie deliberazioni.

Il ricorrente rappresentava l'illegittimità della condotta tenuta dalla società che, omettendo di motivare il risultato della valutazione comparativa effettuata tra tutti gli idonei e, di conseguenza, pretermettendo di indicare i criteri seguiti nella scelta, aveva apertamente violato l'obbligo di correttezza e buona fede, impedendo di fatto qualunque verifica di regolarità ai dipendenti pretermessi.

In via subordinata rivendicava comunque il diritto al risarcimento del danno conseguente alla mancata attribuzione della qualifica dirigenziale.

Si costituiva in giudizio la convenuta società sostenendo che l'idoneità documentata all'esito del corso non poteva equivalere all'automatico acquisto del diritto alla qualifica dirigenziale; chiedeva quindi la reiezione di entrambe le pretese avversarie.

2. Il pretore con sentenza del 12 dicembre 1995 respingeva il ricorso e dichiarava compensate le spese di lite.

Riteneva il primo giudice che la società datrice di lavoro non avesse ottemperato all'obbligo di esaustiva motivazione della scelta dei dirigenti, effettuata secondo i criteri pur largamente discrezionali previsti dalla contrattazione collettiva di settore, e che pertanto avesse tenuto una condotta contraria ai criteri di buona fede e correttezza che debbono ispirare il comportamento delle parti nella esecuzione del contratto.

Tuttavia il ricorrente non aveva fornito la prova di essere in possesso dei requisiti attitudinali e di professionalità richiesti dalla norma collettiva, in misura tale da poter essere preferito agli altri concorrenti nominati dirigenti, con conseguente impossibilità di accoglimento della domanda principale; inoltre lo stesso non aveva neppure dimostrato la sussistenza della concreta possibilità di essere nominato dirigente.

Avverso la sentenza proponeva appello il C. con ricorso depositato il 3 agosto 1996 e ne chiedeva la riforma. Ribadita la illegittimità del comportamento datoriale, come già rilevato dal pretore, deduceva che la mancata prova della sua migliore posizione rispetto agli altri dipendenti nominati alla qualifica dirigenziale era derivata esclusivamente dall'inottemperanza della società all'ordine di produzione documentale emesso dal pretore, riguardante le relazioni, collettive ed individuali, accompagnatorie della nomina di ciascun dirigente e certamente contenenti i singoli curricula; che esso ricorrente non aveva, ovviamente, alcuna disponibilità dei dati relativi agli altri concorrenti, in possesso del solo datore, e che quindi la mancata produzione documentale gli avrebbe sempre impedito di fornire qualunque prova comparativa; faceva comunque presente che già dal solo esame dei titoli di studio in possesso dei promossi e degli esclusi era possibile verificare il suo maggior diritto alla promozione rispetto ad alcuni dei nominati; insisteva per l'accoglimento della propria domanda principale, ed in subordine di quella di risarcimento del danno, da quantificare sulla base delle retribuzioni che avrebbe percepito se fosse stato promosso.

Si costituiva la società appellata e chiedeva il rigetto del gravame. Ribadiva la legittimità dei propri criteri di scelta dei dirigenti: erano stati preferiti coloro che già da tempo avrebbero potuto ricoprire la qualifica di dirigenti, quali gli ispettori capo aggiunti e gli ispettori principali. Contestava l'inadempimento all'ordine di esibizione dato dal pretore, dichiarando di aver versato agli atti tutto quanto richiesto dal giudice e deduceva la inammissibilità della inversione dell'onere della prova che il dipendente pretendeva di effettuare. Ribadiva che il ricorrente non aveva provato il nesso causale fra il comportamento del datore e la mancata promozione, avendo dimostrato solo la propria positiva partecipazione al corso di formazione dei dirigenti.

3. Il Tribunale di Ancona con sentenza del 29 maggio-9 settembre 1998 ha riformato la pronuncia di primo grado, dichiarando il diritto del C. al risarcimento del danno per la perdita di chance, nella misura del 70% dei maggiori introiti cha al predetto sarebbero derivati per differenze retributive in relazione alla qualifica di dirigente, dal febbraio 1992 per cinque anni; contestualmente disponeva, per la quantificazione del risarcimento dovuto, la prosecuzione del giudizio con separata ordinanza.

Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la società Ferrovie dello Stato con un unico motivo di ricorso, illustrato anche con successiva memoria.

Resiste il C. con controricorso e con successiva memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza (art. 360, n. 5 c.p.c.).

Secondo la società ricorrente il tribunale di Ancona ha omesso - o quantomeno ha motivato in modo insufficiente ed anche contraddittorio - le ragioni che l'hanno indotto a determinare in 30 (trenta) il numero dei posti di dirigente disponibili ed in 44 (quarantaquattro) il numero dei possibili candidati e conseguentemente ha errato nel riconoscere il 70% di possibilità al C.

Infatti il giudice di secondo grado, pur affermando che sono risarcibili le chances che il lavoratore aveva nelle operazioni di selezione, non spiega perché fosse predeterminabile il numero dei promossi antecedentemente a tali operazioni quando neanche le stesse Ferrovie dello Stato erano in grado di stabilire con certezza quale sarebbe stato il numero dei promossi, dal momento che a determinarlo sarebbero state quelle «esigenze tecniche ed organizzative» richiamate dall'articolo 3 del c.c.n.l. e che evidentemente erano soggette a mutamenti continui essendo condizionate da situazioni contingenti.

Quanto poi all'affermazione secondo la quale a concorrere per i presunti trenta posti di dirigente vi erano solo quarantaquattro persone, la difesa della società rileva che il tribunale omette di spiegare perché ha escluso dal calcolo dei possibili candidati proprio coloro che avevano maggiori possibilità di accedere alla dirigenza, cioè gli ispettori capo aggiunti e gli ispettori principali.

Questi infatti, ai sensi dell'articolo 4 del c.c.n.l., erano stati esentati dal partecipare al corso di formazione, «avendo maturato adeguati percorsi formativi». Quindi il tribunale ha arbitrariamente individuato il numero dei possibili candidati, omettendo di considerare che il personale appartenente alle qualifiche suddette poteva essere immesso nella carriera dirigenziale con titolo di preferenza rispetto ai dipendenti (come il C.) con qualifica di quadro, i quali, per ottenere l'idoneità, avevano dovuto frequentare il corso di formazione.

2. Il ricorso è parzialmente fondato.

2.1. Deve innanzi tutto premettersi che la difesa della società non pone più in discussione la violazione delle regole di buona fede e correttezza nella selezione dei dipendenti per l'accesso alla qualifica dirigenziale.

Risulta dalla pronuncia impugnata che l'articolo 3 del c.c.n.l. di categoria, applicabile al rapporto di lavoro, prevedeva sia il corso di formazione per i quadri al fine dell'acquisto dell'idoneità alla promozione alla qualifica di dirigente, sia la successiva nomina. Vi era pertanto un duplice momento selettivo: quello che l'accesso al corso di formazione, fondato essenzialmente sulle capacità professionali dei dipendenti che già rivestivano la qualifica di quadri; quello per la nomina vera e propria, centrato sulle «esigenze tecniche ed organizzative» della società.

Il primo criterio non è mai venuto in gioco in questa controversia perché è pacifico che il C. avesse le capacità professionali per essere scelto per la partecipazione al corso; così come è pacifico che lo stesso - al pari di altri quarantaquattro dipendenti su cinquantanove partecipanti al corso - abbia superato la prova di idoneità alla fine del corso.

Il secondo criterio - che implicava un maggior grado di discrezionalità della società nella scelta in quanto fondato non già sulle capacità professionali dei quadri alla dirigenza (in quanto già accertate con il corso di formazione e la prova di valutazione), bensì sulle esigenze aziendali - è stato invece oggetto di contestazione. Ma sia il pretore che il tribunale hanno accertato la violazione della norma contrattuale, ritenuta peraltro integrata dal generale obbligo di correttezza e buona fede.

Questo capo della sentenza di secondo grado, confermativo in parte qua di quello della pronuncia di primo grado, non è stato oggetto di ricorso per cassazione e quindi su di esso si è formato il giudicato interno.

2.2. Il ricorso censura invece il capo della sentenza che riguarda le conseguenze dell'accertato inadempimento, ossia il risarcimento del danno e segnatamente i criteri di liquidazione dello stesso.

A tal proposito deve innanzi tutto rilevarsi che correttamente la sentenza impugnata ha fatto ricorso al criterio equitativo per la determinazione del danno risarcibile.

La violazione di un obbligo strumentale di comportamento, quale quello recato dalla menzionata norma contrattuale, integrata nel suo contenuto dal generale obbligo di correttezza e buona fede, ha comunque una valenza patrimoniale e quindi è fonte di danno risarcibile.

Il ricorso al residuale criterio equitativo è stato ammesso dalla giurisprudenza di questa corte (Cassazione, sezione lavoro, 14074/00; 8132/00; 8468/00) proprio con riferimento alle procedure di selezione dei dipendenti per l'accesso alla qualifica superiore. Il canone applicativo del criterio equitativo è stato dal tribunale individuato nella valutazione della probabilità di promozione che aveva il dipendente. La giurisprudenza di questa corte (sopra citata) ha a tal proposito parlato di risarcimento del danno per perdita di chance, che sta appunto a significare la valutazione equitativa del danno a mezzo del canone probabilistico riferito alla promozione. Il che non vuol dire che viene risarcito un danno probabile; il danno è certo quanto all'an debeatur perché certo è l'inadempimento di un'obbligazione strumentale da parte del datore di lavoro (quella di effettuare la scelta secondo un determinato criterio e comunque secondo correttezza e buona fede), obbligazione che ha un contenuto patrimoniale. Il criterio probabilistico gioca solo sul piano della quantificazione del danno nel più generale ambito della liquidazione equitativa.

Ma, a ben vedere, la censura della società ricorrente non si appunta in realtà neppure sull'esattezza di questa impostazione, seguita dal tribunale e contestata dalla richiamata giurisprudenza di questa corte. La censura è più limitata perché è mirata all'esatta applicazione del criterio probabilistico. Secondo la difesa della società la sentenza impugnata non avrebbe motivato, in modo sufficiente e non contraddittorio, la quantificazione nel 70% della chance di promozione che aveva il C.; ed è questa più specifica censura ad essere parzialmente fondata.

2.3. Tale chance è - secondo il tribunale - null'altro che il rapporto tra i dipendenti che successivamente erano stati promossi quali dirigenti (33) ed i dipendenti che avevano seguito il corso di formazione e superato la prova di valutazione (44).

Quanto al «numeratore» di questo rapporto la censura è infondata.

È pacifico che il ricorrente aveva l'idoneità a dirigente e quindi avrebbe potuto ricoprire qualunque dei trenta posti presi in considerazione dal tribunale. Il fatto che la società non abbia ex ante comunicato un vero e proprio bando di concorso non rileva una volta che c'è - come c'era nella specie - una norma contrattuale che impone una valutazione comparativa per la nomina a dirigente, ancorché ampiamente discrezionale.

Quanto al «denominatore» la censura è invece fondata perché il tribunale non ha, immotivatamente, considerato gli ispettori che avevano ex se l'idoneità alla nomina a dirigente. Nel momento in cui la società ha proceduto progressivamente alla nomina di trenta dirigenti nell'anno i dipendenti potenzialmente destinatari della nomina erano non solo quelli la cui idoneità era stata specificamente accertata con il corso di formazione suddetto, ma anche quelli, che per la loro iniziale più elevata qualifica, erano di per sé idonei senza necessità della verifica per il tramite del corso di formazione.

Dovendo questa valutazione in chiave probabilistica essere fatta ex ante occorreva considerare i dipendenti - ma tutti i dipendenti (gli ispettori e quelli che avevano superato il corso di formazione) - idonei alla qualifica di dirigente, a prescindere dalla circostanza che nelle nuove nomine in concreto la società avesse in ipotesi privilegiato gli uni o gli altri.

Invece il tribunale, dopo aver riconosciuto che gli ispettori erano idonei alla nomina a dirigenti ancorché non avessero partecipato al corso suddetto, ha poi, senza alcuna motivazione, omesso di considerarli nel numero dei potenziali dirigenti al fine del calcolo della percentuale di probabilità che il C. aveva di essere nominato dirigente. Ciò ridonda in contraddittorietà della motivazione limitatamente a tale punto, contraddittorietà che non può ritenersi risolta dal mero (ed ambiguo) riferimento contenuto nella sentenza alla circostanza che la società si accingeva a coprire i posti di dirigenti con gli idonei che provenivano dal corso di formazione suddetto.

Vero è che nella memoria difensiva per l'udienza il controricorrente deduce più puntualmente che gli ispettori avevano un percorso di carriera autonomo. Ma tale circostanza - che indurrebbe a ritenere che neppure al numeratore del rapporto suddetto sono stati considerati gli ispettori nominati dirigenti sicché in effetti sussisterebbe una giustificazione plausibile della mancata considerazione degli ispettori anche al denominatore del rapporto medesimo - non risulta affatto dalla pronuncia impugnata (e dovrà essere verificata dal giudice di rinvio).

Sussiste quindi il rilevato vizio di motivazione della pronuncia impugnata, la quale deve essere cassata in parte qua con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Bologna.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Bologna.

 

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Il Danno da Perdita di chance

 

Con riferimento a questo tipo di danno, è possibile esporre le conclusioni a cui è giunta la dottrina, dopo circa un ventennio di discussioni e dibattiti, sul tema del danno da perdita di chance segnalando come il dibattito non è ancora concluso ed è suscettibile d’altre evoluzioni nel corso del tempo.

Questo perché l’argomento trattato è un argomento relativamente giovane, infatti, pur essendo, trascorso un ventennio dalla prima pronuncia giurisprudenziale sulla chance, [1] solo da pochi anni se ne parla in modo continuo e soprattutto è possibile ritrovare un sempre crescente numero di sentenze emesse sull’argomento, infatti, prima non era possibile ritrovare una grossa produzione giurisprudenziale, perché vi era una scarsa considerazione dell’argomento data anche la sua natura, iniziale di semplice aspettativa di mero fatto pertanto questa, poteva trovare tutela solo come lesione di una posizione giuridica soggettiva, la chance intesa appunto come aspettativa di mero fatto non poteva essere ne considerata ne risarcita. [2] Questo era dovuto alla nozione della responsabilità civile, la quale,era intesa come tutela dei soli diritti soggettivi assoluti, essendo legata alla teoria della colpa.

Secondo questa teoria, il risarcimento del danno era dovuto soltanto quando esisteva un collegamento certo tra condotta ed evento e pertanto, si poteva dimostrare la colpevolezza del soggetto agente .[3]

La conseguenza di questa teoria era che la responsabilità ed il conseguente obbligo risarcitorio assumevano un ruolo di sanzione all’interno dell’ordinamento. In questo modo, non si poteva comprendere le mutate esigenze di protezione espresse dai consociati se non attraverso vere proprie operazioni d’ortopedia giuridica.[4] In realtà la dottrina moderna ha chiarito come la responsabilità civile non era legata alla teoria della colpa come criterio ordinatore della stessa. L’abbandono di tale posizione si è ripercossa sul piano del risarcimento del danno, infatti, alla luce delle conclusioni, riportate sull’ingiustizia del danno, il principio dell’integrale riparazione sembra rispondere più a criteri di limiti alla risarcibilità dello stesso ovvero come quantificazione, pertanto in questa direzione, l’ingiustizia è riferita al danno e non alla condotta o al fatto, emerge dunque così una funzione diversa della responsabilità civile, la quale, si pone come principale obiettivo non già l’aspetto sanzionatorio quanto invece una funzione di protezione di situazioni soggettive da non intendersi solo ed univocamente come tutela di diritti soggettivi assoluti.[5]

Alla luce di ciò è stato possibile ricomprendere la chance non già come aspettativa legittima tutelata soltanto di riflesso dall’ordinamento quale lesione di diritti soggettivi, bensì come danno autonomo suscettibile di valutazione economica, perché perdita attuale di un miglioramento patrimoniale futuro è possibile.[6]

In definitiva con la chance si esprime l’esigenza di tutelare non già le probabilità perdute quanto piuttosto la valutazione di un certo comportamento imposto dalla legge[7] quale il dovere di correttezza e buona fede nelle obbligazioni art. 1175.c.c. , nelle trattive art. 1337 c.c. o l’ordinaria diligenza richiesta nell’adempimento delle obbligazioni art. 1176 c.c. o con riferimento alla seconda parte del predetto articolo, alla colpa professionale ovvero all’obbligo che aveva il professionista d’informare il proprio assistito sulle possibilità che questi aveva di conseguire un risultato. Da tutte queste situazioni può derivare un danno ingiusto ex. 2043. tutelabile direttamente dall’ordinamento perché espressione di un interesse protetto dallo stesso ordinamento e per quanto riguarda la sua liquidazione si assume come parametro di riferimento l’utile economico realizzabile diminuito di un coefficiente di riduzione che dipenda dal grado di probabilità di conseguirlo e qualora non sia possibile determinare il danno nel suo preciso ammontare, a norma degli articoli 1226 e 2056 c.c. potrà essere liquidato dal giudice ( anche d’ufficio ) equitativamente, ricorrendo a presunzioni ad elementi indiziari e calcolo di probabilità.[8]

Infine a conclusione del lavoro svolto non resta che evidenziare come la chance rappresenti oggi una forma di tutela della personalità umana.

Questo valore è espresso nella carta fondamentale all’articolo. 2 e segna il passaggio da una concezione settoriale dell’ordinamento ad una concezione unitaria dello stesso sulla base dei valori espressi dalla costituzione. Con riferimento all’area del danno da perdita di chance è necessario, in via preliminare, chiarire il concetto di danno nei suoi aspetti di danno patrimoniale e non patrimoniale e verificare come al loro interno possa trovare spazio il danno da perdita di chance.

Con il termine danno patrimoniale; si fa riferimento alla situazione del patrimonio del soggetto danneggiato dal fatto illecito o del creditore, prima della commissione del fatto illecito o all’inadempimento.

La norma fondamentale è l’art. 1223 c.c, il quale come abbiamo avuto modo di vedere si compone di una parte percettiva che suggerisce un criterio di delimitazione delle conseguenze dannose risarcibili. Questo in conseguenza del lungo lavoro interpretativo svolto dalla dottrina sull’articolo appena citato, infatti, l’art. 1223 c.c. “ il risarcimento del danno per l’inadempimento o il ritardo o il fatto illecito deve comprendere così la perdita subita dal creditore o danneggiato quanto il mancato guadagno, perché ne siano conseguenze immediate e dirette.”. Come si evince dalla lettura del testo esso esprime una chiara direttiva nel senso di una reintegrazione integrale del patrimonio leso dall’inadempimento o dal fatto illecito in tale direzione si muovono insieme dottrina e giurisprudenza proprio perché il risarcimento del danno sia esso derivante da fatto illecito extracontrattuale art. 2043 c.c. o responsabilità contrattuale art. 1218 c.c.[9] è volto a ripristinare il patrimonio del danneggiato, ripristinando la situazione originaria antecedente al momento in cui si è verificato il fatto produttivo del danno.

Il fatto può essere sia un fatto illecito sia un inadempimento, la direttiva in esame è rubricata risarcimento del danno in questo modo si pone come clausola generale dell’ordinamento. Ragionando in questi termini, sia la Dottrina che la Giurisprudenza, sono giunti a collocare l’art. 1223 nell’ambito delle norme la cui funzione è la delimitazione delle conseguenze risarcibili dell’evento dannoso lasciando alle norme sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale ( art. 1218 e 2043 c.c.) la disciplina del nesso causale tra condotta ed evento.[10]

Ora il problema si presenta in una veste più chiara, infatti, da una lettura sistematica della norma si evince come il danno risarcibile e danno patrimoniale possono assumere una duplice prospettiva ovvero: La perdita patrimoniale cioè, la diminuzione subita e il mancato aumento del patrimonio, ovvero, il guadagno che avrebbero potuto percepire il creditore o il danneggiato, qualora non fosse stato attuato l’inadempimento o il fatto illecito.

La terminologia più ricorrente per alludere a questi due termini è di Danno Emergente ( perdite subite) e Lucro Cessante (mancato guadagno). La distinzione tra mancato guadagno e perdita subita non stà ad indicare, nel contesto dell’ art. 1223 c.c., una differenza di disciplina, bensì svolge soltanto una funzione descrittiva del danno risarcibile. Pertanto le due figure di danno emergente e di lucro cessante servono soltanto ad identificare i pregiudizi relativi come aspetti del danno risarcibile.

A maggior chiarimento possiamo aggiungere che la differenza tra questi due aspetti consiste nel rilievo di come le perdite subite corrispondono a sottrazioni d’utilità, le quali già esistevano nel patrimonio del danneggiato, mentre i lucri cessanti corrispondono a nuove utilità presumibilmente conseguibili dal danneggiato, qualora non si fosse verificato il fatto illecito o l’inadempimento.

In definitiva, il danno può sempre atteggiarsi come danno emergente e lucro cessante è l’unica differenza tra i due elementi dal danno consiste nella maggiore difficoltà di prova inerente al lucro cessante, con il risultato che questa figura di danno si presterà più facilmente ad essere soggetto ad una valutazione equitativa. [11]

Nell’ambito del lucro cessante, si è tentato di farvi rientrare la nozione di perdita di chance. Con riferimento a questo problema la dottrina per lungo tempo ha escluso la risarcibilità[12], sulla base del presupposto che la chance si risolveva nella lesione di un interesse di mero fatto pertanto si è tentato di impostare il problema della risarcibilità in altri termini e si è rilevato come si pervenga a risultati diversi a seconda che si equipari la perdita di chance al lucro cessante o al danno emergente.[13]

Considerando la chance come perdita di un risultato utile, questa si differenzia dal lucro cessante perché esiste maggiore incertezza tra condotta ed evento [14] riguardo al verificarsi del pregiudizio. Nel lucro cessante la prova che deve essere fonita non riguarda lo stesso lucro cessante in se considerato, quanto i requisiti e i presupposti necessari, affinché lo stesso lucro cessante quale danno risarcibile viene in essere.

Si è osservato come, con riguardo al lucro cessante, la certezza del danno, indica la garanzia circa la sussistenza dei presupposti, inoltre atteso che il criterio sancito dall’art. 1223 c.c. (risarcibilità delle conseguenze immediate e dirette) s’integra quali la certezza, attualità e prevedibilità del danno, sorgerebbero problemi sotto il profilo causale, perché assimilando la chance al lucro cessante, si è alla presenza di un pregiudizio solo potenziale o eventuale e quindi collegato in modo incerto con l’evento dannoso, ovvero il danno derivante da perdita di chance essendo privo di certezza non può essere risarcito[15].La chance intesa, quindi, come risultato utile non può trovare spazio all’interno del danno patrimoniale proprio perché priva del requisito di certezza. Invece, quando si guarda alla chance, non già come perdita di un risultato utile, bensì, come l’opportunità che ha il soggetto danneggiato di conseguire un risultato che si configuri utile, nelle aspirazioni del soggetto stesso; la prospettiva cambia radicalmente e la chance può essere risarcita perché, in quest’ipotesi, essa diviene un’aspettativa già presente nel patrimonio del danneggiato.

Una parte della dottrina, propone quindi di considerare la perdita di chance non già come lucro cessante, bensì come danno emergente; questo sulla scorta dell’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, operato sull’art. 1223 con riferimento alla risarcibilità delle conseguenze mediate indirette, le quali, da una prima lettura dell’articolo in esame non rientra nell’area del danno risarcibile, perché questo interpretato in modo letterale risarcisce solo le conseguenze immediate e dirette; infatti, per lungo tempo la dottrina per ricomprendere questi danni e ricorsa a metodi d’ortopedia legislativa[16], questo perché mancava una tutela della persona adeguata, infatti, la chance intesa appunto come opportunità ha potuto trovare spazio con riferimento alla tutela della persona, proprio perché la corte costituzionale nella sentenza n 84/86, la qual è definita da molti autori come storica, perché ha definito il valore persona, alla luce dei valori costituzionali espressi negli articoli 2,3,32,24 cost, come un complesso d’opportunità e d’aspettative ( presenti e future), tutte direttamente tutelabili ex art 2043 c.c.[17]

Alla luce del dibattito, qui appena intravisto, per ricomprendere tali danni all’ interno dell’ area risarcibile la dottrina ha elaborato un doppio principio, ovvero con riferimento al danno patrimoniale si sancisce il principio dell’ integrale risarcimento del danno secondo il disposto letterale dell’ art. 1223.c.c.; mentre con riferimento ai danni mediati indiretti, questi vanno risarciti secondo il principio della regolarità causale, il quale è desunto dall’articolo. 41.2. comma del c.p il rapporto di causalità è escluso quando l’evento si è verificato per il sopravvenire di un’anomala deviazione rispetto a quello che, senza la stessa deviazione, sarebbe stato lo sviluppo normale della serie causa Procedendo in questa direzione si è giunti ad affermare, come la perdita di chance non è un danno futuro quanto un danno presente perché la chance è perduta nel momento in cui avviene il fatto illecito, tuttavia per aversi certezza del danno da perdita di chance è necessario che le probabilità di conseguire il risultato favorevole siano superiori al 50%[18]

Seguendo tale prospettiva la chance è considerata di per sé risarcibile, rappresentando un bene avente valore economico esistente nel patrimonio del soggetto. In questo senso la chance ha trovato applicazione soprattutto all’interno del diritto del lavoro[19] con riferimento alle inadempienze del datore di lavoro. Si parte dal presupposto di come la chance d’accesso ad un’attività lavorativa è già nel patrimonio del danneggiato e pertanto la perdita è suscettibile di valutazione economica.[20]

Per il danno non patrimoniale, il codice prevede una regola di tipicità legislativa (art. 2059) questo è identificato con il danno morale- soggettivo, quindi con il dolore, fisico o psichico. Non si dubita come il risarcimento del danno, si possa avere solo nei casi espressamente determinati dalla legge, e riguarda le ipotesi in cui il danno deriva da un fatto illecito, il quale, si configura anche come reato ( art 185 2 comma c.p.) e le offese contenute in scritti o discorsi pronunciati davanti alle autorità giudiziarie( art 89 comma 2 c.p.c. e art 598 comma 2 c.p.p.) a queste ipotesi di recente si è aggiunta l’ipotesi prevista dalla legge sulla responsabilità per colpa grave e dolo del giudice sul risarcimento del danno non patrimoniale derivante da privazione della libertà personale.

La nozione di danno non patrimoniale aveva, inizialmente funzione meramente punitiva; in questa direzione si voleva accogliere un concetto ristretto di danno morale consistente nel danno morale soggettivo, consistente nel perturbamento dello stato d’animo del danneggiato, derivatogli dall’offesa ricevuta, come tale non valutabile in termini monetari.[21]

La teoria era sostenuta sulla base del vecchio codice penale in cui era all’art. 38 aveva previsto la riparazione in denaro per ogni delitto contro l’onore della persona o della famiglia, in tal senso il danno morale, consisteva nei dolori e nelle sofferenze, non potendo essere propriamente risarcito perché non sarebbe diminuito il patrimonio della persona che li subisce, pertanto, era possibile solo alleviarlo punendo le persone, le quali, avevano commesso l’offesa obbligandole a pagare un compenso a titolo di conforto.

Pertanto una simile scelta legislativa di restringere la risarcibilità dei danni morali era giustificata sull’origine storica della norma; ovvero, la necessità di attuare un particolare rafforzamento del carattere preventivo e sanzionatorio della responsabilità civile in relazione a fatti illeciti particolarmente qualificati, e più di altri da prevenire[22] .Pur tuttavia una simile giustificazione conduce ad una equiparazione tra danno morale e pena privata questa appare appropriata soltanto per quei fatti lesivi di interessi come l’ onore appunto e la reputazione, in cui è possibile instaurare una correlazione effettiva tra la sanzione con funzione punitiva e l’ intenzionalità di arrecare l’ offesa da parte del danneggiante.[23]

Una tale giustificazione non appare sufficiente quando si tratta di fatti illeciti, i quali, integrano reati meramente colposi come nel caso delle lesioni personali perché in simili casi l’ unico profilo considerato dai giudici è, il profilo, risarcitorio satisfattorio e non certo punitivo, in considerazione di come tra i parametri di riferimento non figura la gravità della condotta. Ciò posto si evince come la giustificazione, oggi, di questo restringimento dell’area danni morali sia nel rilievo di voler collocare tali danni nell’ambito delle norme ispirate a ridurre la risarcibilità degli stessi, i quali, sono di difficile accertamento.[24]

La correlazione tra l’art. 2059 del codice civile e l’art 185 c.p. fa in modo come questo è il caso principale in considerazione della scelta operata dal legislatore di restringere appunto l’area del danno morale ai casi previsti dalla legge e di quello operata dall’art 185 c.p. di estendere a tutti i reati, senza distinzione tra quelli dolosi e colposi, il risarcimento del danno non patrimoniale.

Da quanto fin qui esposto è possibile arguire come il danno non patrimoniale, si differenzia dal danno patrimoniale in merito al risarcimento; proprio perché, il danno non patrimoniale è collocato nell’ambito delle conseguenze mediate indirette la cui risarcibilità è valutata in modo equitativo secondo il disposto degli articoli 1223, 1225, 1227 c.c. i quali circoscrivono l’area del danno morale al solo perturbamento soggettivo subito dal danneggiato appare più manifesto e in un certo senso in re ipsa[25].

Accanto a questi due tipi di danni si è inserito un terzo tipo di danno i danni alla persona[26] .Proprio con riferimento a questo tipo di danno trovano applicabilità il danno da perdita di chance occorre precisare come per danno alla persona s’intende il danno al valore persona inteso come valore nel suo complesso, costituito da un patrimonio d’utilità scarse.

In altri termini la persona è considerata e tutelata nel suo modo di esistere, di essere, in tutte le sue occupazioni presenti e future nelle quali si realizza la sua personalità[27].Con riferimento a tale tipo di definizione, si può comprendere l’area del danno da perdita di chance la quale essendo direttamente collegato alla tutela della persona[28] abbraccia un’area la quale copre tanto la responsabilità precontrattuale, come la mancata conclusione di un contratto per via di false informazioni; quanto la responsabilità contrattuale ed extra, con riferimento alla seconda, può essere l’inadempimento delle obbligazioni del datore di lavoro, infine con riferimento all’ultima è possibile riferirsi alla perdita della capacità lavorativa. L’ ambito è vasto, proprio perché vasto è l’ambito in cui può manifestarsi la personalità dell’individuo così come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 84/86.

In fine occorre ancora evidenziare come oggi la Giurisprudenza di concerto con la dottrina ritiene che il Danno da Perdita di chance rientri nel lucro cessante proprio perché rappresenta la violazione di precisi obblighi che si fanno discendere dalla legge o dal contratto obblighi che sono posti a carico di un soggetto e che costituiscono un interesse della controparte come sono la diligenza nell’adempimento delle obbligazioni espresso dal primo comma dell’articolo 1176 e che rappresentano un interesse del creditore a vedere soddisfatta la prestazione la quale richiede da parte del debitore una diligenza adeguata al tipo di prestazione richiesta così è possibile parlare di perdita di chance con riferimento alla mancata vittoria di una causa a seguito della violazione dell’obbligo di diligenza professionale richiesto al professionista, nello specifico un avvocato.

Come dimostrato dalla sentenza n. 1286, emessa dalla Suprema Corte di Cassazione il 6/2/1998[29], nella sentenza si legge, infatti, “ In ipotesi di responsabilità (già accertata con sentenza passata in giudicato) del professionista per negligente condotta della causa, ai fini della prova del danno e del nesso di causalità, tra la condotta del professionista ed il pregiudizio che il cliente assume di aver subito, è sufficiente dimostrare che il corretto svolgimento dell’attività difensiva del legale avrebbe avuto probabilità di successo”. Dalla sentenza evidenziata; si ricava come il ricorso al criterio della chance rappresenti oggi un criterio utile per la quantificazione del danno. Nel quale, entrano in gioco proprio le probabilità di successo che una determinata attività in assenza d’errori compiuti dal professionista e che costituiscono la violazione di precisi obblighi contrattuali quale e la diligenza nell’adempimento del mandato, articolo 1710 del cod. civ. Infine proprio l’indagine sulla colpa ha portato ad evidenziare delle aree di confine tra la colpa contrattuale e la colpa aquiliana perché entrambe hanno il medesimo fondamento ovvero il risarcimento del danno.

In questo modo è stato possibile enucleare tutta una serie d’ipotesi in cui comprendere il danno da perdita di chance senza ricorrere a tecniche d’ortopedia giuridica[30].

E' possibile evidenziare, come la chance, può trovare applicazione nella disciplina del Lavoro sia come mancata conclusione del contratto di lavoro a seguito del comportamento illecito del futuro datore di lavoro così come sancito dalla sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro il 19/11/1983 n 6906 in cui si legge che “ E’ risarcibile il danno da perdita di una chance, già esistente nel patrimonio dei dipendenti al momento del comportamento illecito del datore di lavoro, ed idonea a produrre anche solo probabilmente e non con assoluta certezza un determinato reddito” dalla sentenza riportata si ricava come la perdita di chance non costituisce la perdita di un risultato favorevole (diritto al posto di lavoro), quanto la perdita di possibilità di conseguire un risultato utile (diritto a poter sostenere gli ulteriori esami al fine di ottenere quel posto di lavoro), possibilità esistente nel patrimonio dei lavoratori nel momento in cui hanno subito il comportamento illecito dell’azienda e la conseguente lesione del proprio diritto la quale si configura come un’aspettativa legittima tutelata dall’ordinamento proprio perché rappresenta un diritto in attesa di espansione, rappresentando la concreta possibilità da parte dei lavoratori di concludere il contratto mandato a monte a seguito del comportamento illecito del futuro datore di lavoro[31].

Sia, come violazione di precisi obblighi contrattuali da parte del datore di lavoro come può essere il danno prodotto da dequalificazione professionale così come affermato nella sentenza del 26/08/1196 emessa dal pretore di Milano nella quale si evidenzia come l’assegnazione al lavoratore di mansioni inferiori, costituisce una chiara violazione dell’art 2103 cod civ sostituito dall’articolo 13 della legge in materia di lavoro del 27 maggio 1970 n 300 un assegnazione a mansioni inferiori comporta una perdita una perdita di possibilità (chance) di valorizzare ed utilizzare la sua professionalità determinandone l’ impoverimento che ne impedisce la crescita in termini professionali appunto. In tale prospettiva, è evidente come il demansionamento determina per il lavoratore un pregiudizio al suo bagaglio professionale che si traduce in un danno patrimonialmente valutabile e risarcibile in via equitativa dal Giudice secondo un calcolo prognostico sulle probabilità effettive e concrete, che ha il lavoratore, di conseguire un risultato utile impiegando al meglio il suo bagaglio professionale.[32]

In ultimo è possibile parlare di danno da perdita di chance con riferimento ai danni alla persona a seguito di sinistro in cui è possibile la risarcibilità del danno da perdita di chance lavorativa come affermato dal tribunale di Forlì nella sentenza del 5/12/1989[33] .Dall’esame delle sentenze riportate è possibile evidenziare come il danno da perdita di chance si collega al danno evento proprio perché rappresenta la violazione di precisi obblighi quali appunto la buona fede nelle trattative o la diligenza professionale o ancora il dovere di protezione dell’altrui incolumità e pertanto concorre a qualificare la condotta del soggetto come colposa o dolosa che esprime appunto si badi bene non l’ illecita del danno cosi come si riteneva un tempo quanto l’ illiceità del comportamento, pertanto, la chance, rappresenta un utile strumento per graduare tutelare tutte le posizioni sopra evidenziate che altrimenti resterebbero inespresse[34].Così inteso, il danno da perdita di chance rientra oggi nel lucro cessante proprio perché lo stesso, oggi, alla luce degli sviluppi sull’ingiustizia del danno non rappresenta più un bene suscettibile di valutazione economica quanto il vantaggio derivante dalle situazioni giuridiche tutelate dall’ordinamento[35].

In sostanza si è passati da una sostanziale irrisarcibilità del danno da perdita di chance, alla sua piena risarcibilità, come dimostrato dalle recenti sentenze emesse dalla Suprema Corte Di Cassazione in materia.[36]

In fine, a conclusione del lavoro, resta da segnalare come, la nozione del danno da perdita di chance assume un significato diverso ogni qual volta si fa riferimento alla responsabilità del medico nei confronti del paziente, il quale, a seguito d’interventi o di cure erronee, sia stato privato della chance di guarire o di sopravvivere, in queste ipotesi il termine chance assume un significato ambiguo potendo essere usato al contempo al fine di condannare il medico a risarcire il danno quando sarebbe potuto andare indenne da responsabilità per incertezza del nesso di causalità, e a ridurre il quantum del risarcimento, quando con il fatto medico concorra un rischio oggettivo[37].

In campo medico si usa il termine chance per valutare il pregiudizio subito proprio perché in questi casi è certa la non corretta esecuzione dell’intervento, ma non l’apporto causale riguardo alla produzione dell’evento stesso morte o peggioramento delle condizioni di salute, pertanto in questo senso la chance non rappresenta una possibilità preesistente nel patrimonio dell’individuo proprio perché è lo stesso comportamento del medico a provocare il danno quindi così intesa il termine chance assume il significato di un’indagine sul comportamento tenuto dal medico al fine di valutare la sua responsabilità non già dal punto di vista della causalità bensì dalla diligenza impiegata nell’intervento e se in sostanza questa è adeguata al tipo di cure richieste e se esistevano al momento dell’intervento situazioni oggettive di rischio connesse con l’intervento stesso[38].

In conclusione possiamo segnalare come in questo campo il dibattito resta aperto, proprio perché non vi è nessuna certezza del danno neppure probabile quindi la chance diviene uno strumento per valutare il pregiudizio subito dal paziente or bene proprio in virtù di questo aspetto molti autori n’escludono la risarcibilità non potendosi dimostrare neppure potenzialmente una qualche responsabilità in capo al medico dal punto di vista oggettivo della causalità materiale bensì soltanto dal punto di vista della diligenza media richiesta dal tipo d’attività esercitata dal soggetto articolo. 1176. comma .2.cod civ[39]

Infine a conclusione del lavoro svolto non resta che ribadire come oggi la chance, rappresenti oggi all’ interno del sistema normativo uno strumento utile per valutare in concreto la violazione degli obblighi di buona fede e di diligenza che sono espressione diretta dell’ articolo 2 della costituzione che informa di se tutto l’ ordinamento pertanto così intesa la chance può trovare accoglimento all’ interno del sistema normativo proprio come tutela della personalità umana espresso dall’ articolo sopra riportato e risarcibile anche in via equitativa dal giudice ogni qual volta non si riesce a dimostrare l’ esatto ammontare del danno mentre per la sua esistenza è sufficiente dare la prova non dell’ effettivo raggiungimento di un risultato quanto la violazione dei doveri di diligenza e buona fede che non hanno permesso in concreto il verificarsi della possibilità di conseguire un risultato utile o di evitare un danno.

dr. Antonio De Rosa

(fonte:http://www.studiogiuridico.it/)

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Danno da perdita di occasione favorevole

 

Sommario: 1. Premessa; 2. Il danno da perdita di occasione favorevole; 3. Le tesi giurisprudenziali; 4. Valutazione e liquidazione del danno; 5. La chance nell’attività medica

 

1. Premessa

Per una disamina del danno da perdita di occasione favorevole è necessario partire dalla regola cardine dell’intero sistema della responsabilità civile o aquiliana, l’art. 2043 cc., analizzando brevemente i tratti caratteristici della Grundnorm dell’illecito aquiliano[40].

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”; così si esprime il legislatore del 1942.

Tre sono gli elementi essenziali della struttura dell’illecito aquilano. Sotto il profilo oggettivo è necessario un comportamento umano, che può essere commissivo o omissivo. In secondo luogo tale comportamento deve aver causato un danno ingiusto [41], cioè ledere un interesse meritevole di tutela.

Il comportamento dannoso dev'essere legato alla produzione dell'evento dal cd. nesso di causalità, ossia dev'essere stato causa efficiente dell'effetto dannoso, deve averlo cagionato.

La dottrina e la giurisprudenza si sono attestate sulla definizione di danno risarcibile come danno costituito dalla realizzazione di un rischio normalmente connesso con il comportamento (atto o fatto illecito[42]), intendendo per normali anche i danni (cd. mediati o indiretti) che - sia pure in presenza di circostanze eccezionali - costituiscono secondo il comune giudizio (di verosimiglianza) la conseguenza ordinaria di un dato comportamento illecito.

Per lungo tempo la giurisprudenza ha ritenuto risarcibile, come danno ingiusto ex art. 2043 cc, solo la lesione di diritti assoluti, soprattutto dominicali; l’ingiustizia del danno era assommata all’elemento soggettivo, nell’idea che essendo la colpa una violazione di una norma predisposta a tutela dei diritti dei singoli, solo in presenza di un comportamento colposo c’era la lesione del diritto e, quindi, c’era il danno ingiusto. L’ingiustizia del danno veniva ricondotta all’antigiuridicità della condotta e la selezione degli interessi meritevoli di tutela aquiliana era rinviata a varie norme del codice civile.

Solo quando ci si rese conto che la colpa non è l’unico criterio di imputazione, attraverso l’affermazione della teoria della responsabilità oggettiva, e con la riscoperta del ruolo del giudice e del valore della clausola aperta ex art. 2043, si valorizza la nozione di danno ingiusto: spetta al giudice stabilire quando, nel caso concreto, sia ravvisabile la violazione del neminem laedere [43] .

La Corte di Cassazione, sez. Un., n ° 500/1999[44] , ha definitamene stabilito che il danno ingiusto è da intendersi come il danno lesivo di diritti soggettivi o di interessi, meritevoli di tutela alla stregua dell’ordinamento giuridico.

Ora, dal momento che la fisionomia del danno risarcibile si articola ex art. 1223 c.c.[45] nelle due sottocategorie normative del danno emergente inteso come "violazione dell'interesse del creditore al conseguimento del bene dovuto e alla conservazione degli altri beni che integrano in atto il suo patrimonio" [46] e del lucro cessante, che "s'identifica con l'incremento patrimoniale netto che il danneggiato avrebbe conseguito mediante l'utilizzazione della prestazione inadempiuta o del bene leso ovvero mediante la realizzazione del contratto risoluto" [47], è naturale che la tutela risarcitoria non si arresti alla reintegrazione della lesione o pregiudizio subiti da un bene concreto, sensibile, tangibilmente ricompreso nel patrimonio "reale" del danneggiato, ma si estenda ad ulteriori categorie di beni la cui presenza non è altrettanto empiricamente percepibile dall'interessato, ma che per il diritto costituiscono situazioni giuridiche soggettive concretamente protette dall'ordinamento, ugualmente presenti nel patrimonio "giuridico" del danneggiato, sia come situazioni astratte (ossia non percepibili attraverso i sensi) che come stadi intermedi di un processo evolutivo avente come risultato finale la produzione di un bene materiale (una res, una utilitas, un profitto etc...).

In questi casi la tutela risarcitoria ha per oggetto, ancor prima che un bene inteso in senso materiale, un bene giuridico.

Pertanto prima la dottrina, poi la giurisprudenza, hanno creato nuove ed altre figure di danno al di la della lesione dei diritti dominicali o della personalità.

Una particolare propensione ad ampliare la sfera del danno risarcibile, al di là della dimensione strettamente attuale del patrimonio del danneggiato, la si riscontra nella prospettazione di un'ipotesi risarcitoria nel caso di lesione di un'aspettativa di fatto, nonché nel caso di danno patrimoniale da diffusione di informazioni inesatte, soprattutto qualora le stesse inducano il danneggiato a stipulare contratti a condizioni che - diversamente - avrebbe rifiutato.

In realtà il codice civile stesso predispone una specifica tutela all’affidamento generato nei terzi e nella controparte nella fase delle trattative precontrattuali ( artt. 1337, 1338 cc).

In questa direzione si è giunti perfino a configurare un'autonoma ipotesi di danno all'integrità del patrimonio in caso di lesione al diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento delle attività negoziali relative alla conservazione dei propri beni.

In questa prospettiva appare allora particolarmente interessante la prospettazione di un danno da perdita di occasione favorevole (chance).

 

2. Il danno da perdita di occasione favorevole

Il danno da perdita di chance[48] si verifica nel caso di definitiva perdita della possibilità, concretamente esistente nel patrimonio del danneggiato, di conseguire ulteriori vantaggi economici.

La chance non è un bene autonomo, perché ha un senso solo se inserita in una sequenza causale, costituendo l’antecedente, in termini di possibilità, del vantaggio finale [49].

La perdita di chance è considerata da alcuni un danno emergente immediato[50], ma non distinto da quello finale, consistente nel non aver conseguito il vantaggio; da altri, invece, è stata intesa come voce di danno rientrante nel lucro cessante [51].

L’occasione favorevole esiste nella sfera patrimoniale del soggetto come una mera aspettativa; tale figura giuridica, elaborata nell’ambito delle teorie del negozio giuridico (negozio condizionato), è oramai utilizzata in diversi settori giuridici: oltre all’ambito contrattuale la ritroviamo, ad esempio, anche nell’ambito delle successioni.

Si distingue tra aspettativa di diritto (o legittima) e aspettativa di fatto [52]: solo la prima è meritevole di tutela, dal momento che in tal caso la fattispecie produttiva di effetti attributiva di diritti è già in essere nei suoi primi elementi [53].

Parte della dottrina non converge con tale qualificazione della perdita di chance: si sostiene infatti che la perdita di occasione favorevole sia distinta dal danno futuro; a differenza di questo, infatti la perdita di chance consiste in un danno attuale, che è risarcibile se e in quanto l’occasione favorevole sia funzionalmente connessa alla cosa o al diritto leso.

Diversamente dal danno futuro che richiede la ragionevole certezza in ordine ad un evento che dovrà accadere, il danno da perdita di occasione favorevole è un danno determinabile in via equitativa in ragione della maggiore o minore probabilità dell’occasione perduta[54] .

 

3. Le tesi giurisprudenziali

Oggi prevale la tesi che ritiene che la perdita di chance sia una aspettativa di diritto, pienamente tutelabile [55]; ciò trova conferma nella giurisprudenza della Corte di Cassazione [56], che sostiene come “Il risarcimento di una legittima aspettativa non significa affermare la risarcibilità di una posizione soggettiva di minore consistenza rispetto al diritto soggettivo, bensì la risarcibilità del danno futuro; la c.d. perdita di una "chance" come perdita di una possibilità attuale, come lesione di un diritto e non di una mera aspettativa di fatto.”

Di recente si rinvengono affermazioni giurisprudenziali che si allontanano della tesi che qualifica la perdita di chance come un’aspettativa; si è affermato, infatti, che la chance come “concreta occasione di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione[57]. Si è inoltre sottolineato che tale posta di danno, non è meramente ipotetica o eventuale, bensì concreta ed attuale (perdita di una consistente possibilità di conseguire quel risultato), e non va commisurato alla perdita del risultato, ma alla mera possibilità di conseguirlo [58].

La configurazione di questa posta di danno risarcibile è dovuta soprattutto all'elaborazione giurisprudenziale giuslavoristica, e la sua ammissibilità - dopo qualche iniziale tentennamento - è ora pacificamente condivisa: se infatti un ventennio fa alcune pronunzie di merito sostenevano che “non è risarcibile il danno derivante da perdita di una chance, in quanto trattasi di un danno meramente potenziale, non sicuramente dimostrato e come tale non suscettibile né di valutazione, né di liquidazione equitativa [59] , oggi la Corte di legittimità riconosce che “la cosiddetta perdita di chance costituisce un’ipotesi di danno patrimoniale futuro[60] e proprio in quest’ambito del diritto ha mosso i suoi primi passi. Sintomatica la sentenza del Supremo Consesso civile, sez. lavoro, sent. n. 7745 del 27 maggio 2002 che recependo l’ormai consolidato orientamento pretorio stabilisce che nell’ambito delle procedure concorsuali “il partecipante al concorso appartenente ad una categoria protetta, che chieda il risarcimento del danno per la mancata assunzione, in violazione del rispetto della quota di riserva, non ha diritto alla costituzione del rapporto di lavoro, in quanto l'assunzione è sempre subordinata al verificarsi di tutte le condizioni richieste dal bando, ma può lamentare la perdita di una chance, come tale risarcibile in via equitativa[61].

 

4. Valutazione e liquidazione del danno

La perdita di chance è risarcibile a condizione che il danneggiato dimostri (anche in via presuntiva, ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate) la sussistenza d'un valido nesso causale tra il danno e la ragionevole probabilità della verificazione futura del danno [62].

Pertanto la dimostrazione di un nesso di causalità tra condotta illecita e perdita della chance (che deve essere attuale ed effettiva) costituisce la condizione essenziale per il riconoscimento del diritto al risarcimento: è, così, necessario "provare la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita" [63].

È evidente come in questo caso il giudice debba formulare un giudizio di carattere prognostico sulla concreta possibilità che aveva l’occasione favorevole affinché si tramutasse in realtà: non può bastare la "ragionevole certezza dell'esistenza di una non trascurabile probabilità favorevole (non necessariamente superiore al 50%)" [64], posto che il ritenere probabilmente certa l'esistenza di una probabilità (la chance) equivale alla affermazione di una probabilità di secondo grado.

La valutazione della chance in termini di effettività deve dunque tener conto anche delle possibilità di cui godevano i soggetti concorrenti con il danneggiato[65] ed aventi analoghe o comparabili possibilità di successo, e non può pertanto ridursi a tutela di una mera aspettativa di fatto [66], ma deve essere valutata sulla base delle concrete e ragionevoli possibilità di risultato[67]: in sostanza la chance dev'essere già esistente nel patrimonio del danneggiato al momento del verificarsi dell'illecito [68].

La giurisprudenza è pacificamente concorde nel risarcire il danno da perdita di occasione favorevole solo quando il giudizio prognostico dimostri che la concreta possibilità di conseguire il risultato sperato superi il 50% di probabilità.

Se dunque il potenziale della chance può esser valutato anche (e soprattutto) in base ad un giudizio presuntivo o prognostico (calcolo delle probabilità)[69], la difficoltà di provare l'esistenza della possibilità di successo non può essere superata ricorrendo ad un giudizio di carattere equitativo ex art. 1226 c.c. "atteso che l'applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l'esistenza di un danno risarcibile" [70].

Viceversa la liquidazione del danno - che deve avvenire in funzione della possibilità che aveva il danneggiato di conseguire il vantaggio sperato, ad esempio applicando alla valutazione economica di quel vantaggio un coefficiente di riduzione che tenga conto di quelle probabilità [71] - può avvenire su base equitativa, posta la naturale difficoltà di provare il preciso ammontare del pregiudizio economico dovuto alla perdita della chance.

Da quanto su esposto si evince la duplice funzione della chance: come autonomo bene della vita (es. le chances di sopravvivenza) ovvero come tecnica di dimostrazione della causalità.

 

5. La chance nell’attività medica

Nell’ambito dell’attività medica il danno da perdita di occasione favorevole ha avuto, negli ultimi tempi, maggiori ipotesi applicative.

La duplicità della chance nella materia de qua si manifesta quale bene di cui si chiede la tutela (il bene vita), nel qual caso la chance assumerà rilievo (se significativa, tale da rendere la probabilità di verificazione dell'evento morte vicina alla certezza) come tecnica di accertamento del nesso causale [72].

Altresì la chance può manifestarsi come possibilità di sopravvivenza. Pertanto, quando oggetto della domanda è la chance di sopravvivenza come danno emergente, è sufficiente che l'attore deduca una possibilità di sopravvivenza non meramente simbolica (in ipotesi anche pari al 10%) per ottenere un risarcimento del danno parametrato alla lesione lamentata.

Attenta dottrina afferma che “per questa via è dunque possibile ritenere sempre rilevanti quei comportamenti che diminuiscano in modo apprezzabile, ancorché non probabilisticamente rilevante, le possibilità di sopravvivenza[73].

Sul punto è importante segnalare la sentenza della Suprema Corte del 4 marzo 2004, n. 4400. Il Collegio, riprendendo la duplice natura della chance –bene della vita e tecnica di accertamento causale – afferma a chiare lettere che “la domanda per perdita di chances è ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato. Infatti, in questo secondo caso la stessa collocazione logico-giuridica dell'accertamento probabilistico attiene alla fase di individuazione del nesso causale, mentre nell'altro caso attiene al momento della determinazione del danno: in buona sostanza nel primo caso le chances substanziano il nesso causale, nel secondo caso sono l'oggetto della perdita e quindi del danno”. Segue quale corollario logico giuridico che dal punto di vista processuale, “ne consegue, nell'ambito della responsabilità dei medici, per prestazione errata o mancante, cui è conseguito il danno del mancato raggiungimento del risultato sperato, se è stato richiesto solo questo danno, non può il giudice esaminare ed eventualmente liquidare il danno da perdita di chances, che il creditore della prestazione sanitaria aveva, neppure intendendo questa domanda come un minus rispetto a quella proposta, costituendo invece domande diverse, non ricomprese l'una nell'altra [74].

Luca D'Apollo

(fonte: www.altalex.com/)


 

[1] Si veda, in proposito, la sentenza sul caso Steffer Cassazione 19/11/1983 n. 6906. Riportata nella rivista N.G.C.C. Del 1991 parte seconda p. 142.

[2] In  proposito è possibile leggere l’opinione espressa da Busnelli. Diritto e Obbligazioni. P. 719. Torino. 1989. Busnelli ritiene che la chance è un’aspettativa di mero fatto priva del collegamento materiale tra condotta ed evento richiesto dall’articolo 1223 del codice civile pertanto alla luce di ciò non è possibile risarcire il danno derivante da perdite di possibilità.

[3] In proposito è possibile le opinioni critiche espresse, su una simile impostazione della responsabilità civile e sul conseguente obbligo risarcitorio, da Cesare Salvi nell’enciclopedia del diritto voce responsabilità extracontrattuale p 1187ss, Visentini Trattato Breve Della responsabilità Civile, p. 37.ss, ed infine M. Barcellona “Strutture Della Responsabilità E Ingiustizia Del Danno” in Riv. Europa e Diritto Privato Del. 2000. P. 401. Ss Tutti concordi nel ritenere come l’evoluzione della responsabilità civile è dovuta alla considerazione di come la colpa non sia più l’unico criterio d’imputabilità del fatto al soggetto quanto piuttosto rappresenti uno dei criteri d’imputazione del fatto ad un soggetto

[4] M. Barcellona. In rivista Europa e Diritto Privato del 2000, p. 409.

[5] F. Mastropaolo. ’Enciclopedia Del Diritto Treccani. Voce Danno ( III Risarcimento del danno ).P. 5. Il Mastropaolo ritiene che il danno può riguardare i beni patrimoniali come quelli non patrimoniali. La sua qualificazione non è sempre perfettamente simmetrica alla qualificazione del bene protetto dal diritto leso, perché, la lesione può coinvolgere anche altri beni; pertanto è da respingere l’idea che il risarcimento, così come inteso secondo la teoria dell’integrale riparazione dei danni possa compiutamente ripristinare la situazione anteriore al verificarsi dell’evento proprio perché lo stesso concetto di risarcimento per equivalente suppone che esso non ripari lo stesso in modo perfetto. Pertanto il principio dell’integrale riparazione del danno rispondente ad un ideale di giustizia correttiva giustificata dalla colpa appare superato, perché la lesione del bene oggetto del diritto coinvolge anche altri beni. Ciò posto, per qualificare un danno, bisogna porsi dal punto di vista degli interessi tutelati e non gia dei rimedi, come può essere il risarcimento. Proprio perché quest’ ultimo esprime la tutela accordata dall’ordinamento al tipo d’interesse protetto.

[6] P. G. Monateri. Trattato di Diritto Civile Diretto da Rodolfo Sacco. Le Fonti Delle Obbligazioni. 3. La Responsabilità Civile. Torino .1998. P. 283.

[7] U. Violante nella nota di commento alla sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile il 25/09/1998 è riportata nella rivista: Danno e Responsabilità n. 5/99 P. 536. Sostiene che “ La chance perduta costituisce in definitiva un escamotage, di cui si avvale l’interprete per più facilmente individuare e graduare il quantum risarcitorio da infliggere a chi col suo comportamento non si è uniformato ai principi della correttezza e della lealtà e che per questo deve essere sanzionato. Ciò che diviene oggetto di risarcimento, non è allora la chance irrimediabilmente compromessa di conseguire un risultato utile, bensì la violazione dell’obbligo giuridicamente rilevante che imponeva un certo comportamento. Alla suddetta violazione può attribuirsi un valore in termini pecuniari proprio in ragione dell’entità della chance che si assume perduta; quest’ ultima si atteggia a misura del quantum da risarcire, così consentendo di graduare la sanzione pecuniaria in maniera più o meno gravosa.”.

[8] Confrontare l’opinione espressa da A. L. Bitetto. In Riv. Danno E Responsabilità. N. 4/2002 .P. 395 ss. La quale sostiene che “ Il danno da perdita di chance va liquidato in ragione di un criterio prognostico basato sulle concrete e ragionevoli probabilità che aveva il soggetto danneggiato di raggiungere un risultato utile, assumendo come parametro di valutazione proprio la chance, ovvero proprio il vantaggio economico complessivamente realizzabile dal danneggiato diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionato al grado di possibilità di conseguirlo e deducibile dagli elementi della situazione giuridica dedotta oppure con ricorso al criterio equitativo ex art. 1226 cod civ.”

[9] U. Majello. Rassegna di diritto civile del 1988. Ritiene che, “Nell’azione di responsabilità, la causa petendi della domanda di reintegrazione, inerente, al diritto leso è l’imputabilità del fatto lesivo al danneggiante. L’ individuazione del criterio d’imputazione potrà influire sull’individuazione della norma da applicare, solo quando dal tipo d’imputazione l’ordinamento fa dipendere una speciale regola della responsabilità. Nel delineato sistema generale della responsabilità la responsabilità contrattuale deve certamente considerarsi un’ipotesi speciale, proprio perché la sua disciplina è caraterrizzata dal fenomeno della perpetuatio obligationis nel rilievo di come il diritto al risarcimento del danno da inadempimento è sottoposto alla stessa disciplina generale dell’originario diritto di credito. Al di là, di questa particolarità normativa, ritengo tuttavia è possibile finire: U n sistema comune di responsabilità in cui sia ricompresa anche la responsabilità aquiliana, avendo entrambe lo stesso fondamento e la stessa funzione.”.

[10] Op. cit. In La Responsabilità Civile a cura di M. Bessone e G. Alpa. Torino 1996.P. 62. Al fine di comprendere, il risarcimento dei danni mediati indiretti all’interno del dettato normativo dell’articolo 1223 cod civ si ammesso un doppio criterio: “ Così, per i danni immediati e diretti è ammissibile la risarcibilità in conformità ad un semplice rapporto di condizionalità, essendo, ricompresi nella previsione letterale dell’articolo 1223 cod civ. Invece per i danni mediati indiretti non essendo ricompresi nella previsione letterale dell’articolo in esame è richiesto invece un nesso di causalità regolare.

[11] Salvi in Digesto 4 edizione p. 64

[12] Busnelli in Diritto e Obbligazioni 3, considera non risarcibile la perdita di chance proprio perché danno futuro ed incerto non dimostrabile essendo, privo del collegamento materiale tra condotta ed evento. Busnelli, Diritto e Obbligazioni 3 Torino 1989. P. 729.

Contra confrontare Franzoni, Dei fatti illeciti, in commentario al codice civile. Scialoja e Branca. A cura di Galgano. Libro IV. Delle obbligazioni(2043/2059), Bologna –Roma, 1993. sub. Art. 2056 p. 821, Franzoni sostiene che tale impostazione sia oggi da ritenersi superata a seguito degli sviluppi del dibattito sull’ingiustizia del danno, proprio perché riferendo l’ingiustizia al danno e non alla condotta è possibile risarcire la perdita di chance la quale, costituisce la violazione di situazioni ben determinate quali appunto l’obbligo di tutela dell’altrui incolumità o l’obbligo di diligenza richiesta nell’adempimento delle obbligazioni. Essendo il danno qualificato ingiusto quando lede un interesse tutelato dall’ordinamento, è possibile risarcire la perdita di chance come violazione d’interessi meritevoli di tutela. Infine il problema del nesso di causalità richiesto dall’articolo 1223, richiamato dall’articolo 2056, si supera ponendo bene in evidenza che essendo la chance una lesione di situazioni ben determinate al danneggiato è sufficiente dare la prova della violazione di questi obblighi e non dimostrare la colpevolezza del danneggiante.

[13] Bocchiola, Perdita di una chance e certezza del danno. In Riv. Trim. Di Diritto e Proc. Civile. 1976. P. 55 ss.

[14] F. Ghisiglieri, il quale dice espressamente come il problema del nesso di causalità legato alla perdita di chance, non deve essere inquadrato dalla falsa prospettiva del collegamento materiale tra condotto ed evento dannoso, perché, in tal senso, non essendo certo il verificarsi dell’evento vi sarebbe incertezza tra il nesso materiale e il danno, viceversa, qualora questo è costituito dalle probabilità perdute, allora, il collegamento è certo essendo dimostrato che un fatto illecito produce come conseguenze anche la perdita d’occasioni di raggiungere un risultato il problema è definire il campo d’applicazione della chance al fine di dettare regole certe per il suo risarcimento. Francesco Ghisiglieri. In, Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, Del. 91. Parte seconda p. 141e seguenti.

[15] G.Visentini, Trattato Breve Della Responsabilità Civile, Padova. 1996. P. 513. La Visentini ritiene come in generale non sia possibile far rientrare all’interno del danno patrimoniale, il danno da perdita di chance, perché questo tipo di danno, si presenta come un pregiudizio spesso incerto e collegato solo in modo molto probabile all’evento dannoso. Come tale, il danno da perdita di chance, per essere risarcito richiede il ricorso al giudizio equitativo e si sottrae all’applicazione del principio della riparazione integrale caratterizzante il risarcimento del danno patrimoniale.

[16] M. Barcellona, Strutture della Responsabilità e Ingiustizia del Danno. P. 401 ss. In Riv. Europa e Diritto Privato del 2000. 1.

[17] La sentenza è riportata in I Fatti Illeciti, Ingiustizia Del Danno di Giovanna Visentini. Padova. 1997. P. 11 ss.

[18] Così si è espressa la dottrina più recente per tutti confrontare Bocchiola op. cit. P. 85. Pur tuttavia parte della dottrina resta scettica sull’argomento confrontare Busnelli, Natoli, Istituzioni di diritto civile, III volume, Torino 1989. P. 659.Iquali ricollegando la chance al lucro cessante n’escludono la risarcibilità per mancanza dei requisiti d’attualità e certezza del danno.

[19] In primis la sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro nel 19/11/1983 n 6906 pubblicata in Foro it, 1984, I 1830, e in Giustizia Civile, 1984, I 1841.

[20] In tal senso è possibile leggere la sentenza della corte Costituzionale n. 84/86 riportata nel volume primo dei fatti illeciti Padova 1997. P. 11.ss. Inoltre, si veda anche la sentenza emessa dalla Suprema Corte Di Cassazione a sezioni unite, il 19/12/1985 n 6506, pubblicata su Riv. Diritto Commerciale. P. 207. Con nota di Zeno- Zencovich. Il danno per la perdita d’utilità futura. Del 1986 parte II. Investita della questione della risarcibilità della perdita di un’occasione, il caso riguardava una commissione di un concorso Enel, la quale, aveva escluso illegittimamente dalle prove orali un soggetto che aveva già superato le prove scritte. Nella specie era in gioco una lesione di un interesse legittimo. I giudici evitarono lo scoglio dell’irrisarcibilità, derivante dal tipo di lesione ragionando in termini di chance, ovvero, l’opportunità persa di poter conseguire un’utilità futura, attribuendo all’aspettativa di vincere il concorso il valore del 50% dell’incremento patrimoniale rappresentato dalla retribuzione concernente il posto Enel non coperto.

[21] Salvi in: Digesto. Discipline Privatistiche sezione civile V. Torino 1989. P. 66.ss. Visentini op. cit. P. 528.

[22] Una ricostruzione di tale precedente si legge nella sentenza n. 84. Emessa dalla Corte Costituzionale nel 1986. Cit. nella nota .102.

[23] Busnelli, Bigliazzi Geri, Natoli Diritto Civile III. Volume Torino. 1989. La concezione tradizionale dei fatti illeciti. P. 673

[24] Visentini op. cit. P. 530.

[25] Salvi op cit. P. 69.

[26] Salvi. Digesto delle discipline privatistiche. Torino. 1989. P. 67. Afferma che: ” Al sistema bipolare si sostituisce un sistema tripolare, al danno patrimoniale si aggiunge, nell’area dell’art. 2043 c.c, il danno personale il quale non è né patrimoniale né non patrimoniale. All’ art. 2059 c.c. è assegnato un ambito operativo, ridotto alle sole ipotesi in cui dal fatto lesivo sono derivanti, appunto, dal dolore fisico e sofferenze morali dove la vittima ha diritto ad un surplus di risarcimento monetario”.

[27] Sull’argomento ( Danno Biologico), è possibile confrontare le sentenze emesse, dalla Corte Costituzionale, negli anni. 1979. E. 1986, rispettivamente numeri .88/79 e 84/86. La n .88 e pubblicata. In Riv. Giur. It. del 1980 Parte. I. P. 9. Con nota di Guido Alpa, il quale pone in evidenza come la corte nella sua pronuncia, evidenzi il carattere fondamentale del diritto alla salute quale diritto primario dell’individuo tutelabile direttamente ex art. 2043 c.c. Sentenza emessa dalla stessa corte nell’anno 1986 n 84 (nota 62) in cui si afferma in modo inequivocabile come la salute non, si riferisce al solo concetto medico legale quanto travalica questo concetto ed afferisce direttamente al valore persona, inteso come patrimonio di valori e d’opportunità, presenti e future, tutte direttamente tutelabili.

[28] Valentina Di Gregorio, Valutazione Equitativa Del Danno. P. 748. Ss. A cura dei Fatti Illeciti. Padova. 1999.

[29] Con la sentenza sopra evidenziata la Suprema Corte statuisce che ai fini del risarcimento del danno derivante dalla perdita di chance di vincere una causa e in generale per la colpa del professionista è sufficiente dimostrare che il comportamento diligente del professionista avrebbe portato alla possibilità di evitare il danno. Nello specifico è sufficiente dimostrare che la causa si poteva vincere in assenza dell’errore dell’avvocato. La sentenza sopra riportata è pubblicata nel terzo volume dei Fatti illeciti, Causalità e Danno a cura di G. visentini. Padova. 1999. P. 657.

[30] Barcellona, in rivista Europa e Diritto privato del 2000 P. 454. ss. Ritiene che “ In materia di responsabilità Civile, Le chances acquisitive di utilità siano riferite alle Res le quali comprendono tanto le res corporales in senso proprio (diritti reali ) tanto la sfera personale le cui utilità e chances acquisitive dipendono dall’integrità psico fisica del danneggiato( corpo, salute, ecc.) e sia le utilità chances acquisitive di utilità riferite alle res incorporales ove esse siano legate alla possibilità di conseguire un risultato di modo che il verificarsi del fatto dannoso pregiudichi in modo definitivo la possibilità di conseguire un bene in tutte queste ipotesi il principio della colpa non è affatto un criterio principale perché si coordina con altri criteri quali la prevedibilità del danno e la possibilità che in concreto lo stesso potesse verificarsi.”.

[31] La sentenza in epigrafe è riportata nel terzo volume dei fatti Illeciti Causalità e Danno a cura di G. Visentini, Padova. 1999. P. 300ss. Nei motivi della decisione si legge come: “La chance rappresenta una violazione dell’obbligo di buona fede nelle trattative perché il futuro datore di lavoro, col suo comportamento, ha dato fondato motivo ai lavoratori di confidare nella conclusione del contratto. L’ingiustificato rifiuto del futuro datore di lavoro di consentire ai lavoratori di proseguire nelle ulteriori prove costituisce la violazione dell’obbligo di buona fede nelle trattative, avendo detti lavoratori superato con esito positivo le prove fisico attitudinali avevano diritto di partecipare alle prove pratiche, proprio perché il contratto deve va interpretato ed eseguito secondo buona fede, pertanto l’illegittimo allontanamento dei lavoratori costituisce una violazione del dovere di buona fede nelle trattative secondo il disposto dell’articolo 1337 cod civ il quale recita appunto le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede. In questo modo, la chance non è un danno futuro quanto invece un danno presente proprio perché costituisce la perdita d’occasione reale di concludere il contratto mandato a monte, dando luogo alla responsabilità per c.d. culpa in contraendo con conseguente obbligo di risarcimento del danno da perdita di chance”.

[32] Sentenza emessa dal pretore di Milano il 26/08/1996 pubblicata in Rivista critica di Diritto del Lavoro del 1997. P. 140

[33] Questa sentenza è riportata nella collana I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale: V. Di Gregorio, La Valutazione Equitativa Del Danno. Padova. 1999. P. 749.

[34] U. Violante nella nota di commento alla sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione III Sezione Civile il 25/09/1998 è riportata nella rivista: Danno e Responsabilità n. 5/99 P. 536. Sostiene che “ La chance perduta costituisce in definitiva un escamotage, di cui si avvale l’interprete per più facilmente individuare e graduare il quantum risarcitorio da infliggere a chi col suo comportamento non si è uniformato ai principi della correttezza e della lealtà e che per questo deve essere sanzionato. Ciò che diviene oggetto di risarcimento, non è allora la chance irrimediabilmente compromessa di conseguire un risultato utile, bensì la violazione dell’obbligo giuridicamente rilevante che imponeva un certo comportamento. Alla suddetta violazione può attribuirsi un valore in termini pecuniari proprio in ragione dell’entità della chance che si assume perduta; quest’ ultima si atteggia a misura del quantum da risarcire, così consentendo di graduare la sanzione pecuniaria in maniera più o meno gravosa.”.

[35] F . Mastropaolo. Alla voce risarcimento del Danno. Enciclopedia del Diritto Trecani. P. 12. Sostiene che “ Il danno da perdita di chance rientra nel lucro cessante perché il lucro cessante non è nè un bene autonomo né un’entità, bensì è soltanto un vantaggio derivante dal bene oggetto delle situazioni soggettive tutelate dal diritto. In questo senso tanto l’ipotesi di impegnare economicamente in un futuro lavoro la propria integrità fisica ( perdita di chance) come sancito dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 6906 del 19/11/1983, sia la possibilità di vincere una causa come sancito dalla sentenza n. 1286 del 06/02/1998 non sono probabilità di mero fatto ma dipendenti dal diritto che ha il creditore cliente alla prestazione. In entrambe le ipotesi, la chance si collega al danno evento ossia a quel primo evento che segna la violazione di posizione giuridica tutelata dall’ordinamento. Infine per gli interessi coinvolti non occorre verificare l’esistenza di una specifica tutela, poiché la loro rilevanza e l’ingiustizia della loro lesione viene data dalla connessione col bene giuridico violato o con la posizione giuridica violata.”.

[36] Per tutte Si veda la sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione. II. Sezione civile il 13/12/2001 n. 15759. Pubblicata nella rivista Danno e Responsabilità n. 4/2002. P. 393. Con nota d’A. L. Bitetto. La Bitetto rileva che “La chance oggi è espressione della prevedibilità del danno sancito dall’articolo 1225 cod civ proprio in considerazione dei principi di lealtà e correttezza che costituiscono l’espressione del più generale principio di solidarietà sociale e di protezione del valore persona in tutte le sue manifestazioni espresso dall’articolo 2 della carta fondamentale così come indicato nella sentenza della Corte Costituzionale nel lontano 1986”

[37] Princigalli, Perdita di chances e danno risarcibile, in Rivista critica di diritto privato del 1985 n 18 p 315-321 evidenzia come la teoria del danno da perdita di chance in campo medico assume un significato ambiguo proprio perché la chance non è un diritto o un’opportunità presente nel patrimonio dell’individuo bensì è l’opportunità di una migliore qualità della vita o l’opportunità di guarigione ed in questo senso non è possibile stabilire un collegamento certo in termini di causalità materiale tra condotta ed evento perciò si fa riferimento alla diligenza usata dal medico per valutare l’esito delle cure ed in questo senso la chance, diviene uno strumento per obbligare al risarcimento del danno il medico ogni volta che questi potrebbe andarne indenne non essendovi certezza del danno in termini di causalità o per ridurre il quantum quando si presentano situazioni oggettive connesse con l’intervento eseguito.

[38] De Matteis. La responsabilità medica. Padova. 1995. P 445. Colpa omissiva e nesso di causalità e perdita di chance. Evidenzia come “ In campo medico ogni qual volta si ha un peggioramento dello stato di salute del paziente è certa la non riuscita dell’intervento ciò che non è certo è l’apporto causale ovvero non è certo che l’errato intervento abbia determinato un peggioramento dello stato di salute del paziente perciò non è possibile parlare chance come possibilità di conseguire un risultato utile bensì si deve guardare alla condotta tenuta dal medico proprio perché è il medico stesso che determina il danno all’origine con la sua condotta pertanto in questi casi bisogna indagare sulla diligenza richiesta per il tipo d’intervento ovvero si compie un’indagine volta ad accertare se il danno poteva essere evitato usando l’ordinaria diligenza oppure esisteva situazioni di rischio oggettive connesse con il tipo d’intervento eseguito tali da giustificare il rischio di un peggioramento pertanto in questi termini la chance assume il significato di possibilità di evitare un danno è diviene uno strumento utile per valutare proprio la condotta del medico e conseguentemente il pregiudizio subito dal paziente ovvero se lo stesso poteva essere evitato proprio perché al paziente non si è preclusa la possibilità di conseguire un risultato utile quanto la possibilità di evitare un danno.

[39] Visentini. Trattato Breve delle Responsabilità Civile. Padova. 1996. P. 552. Sostiene che il dibattito in dottrina sul danno da perdita di chance di guarigione è molto acceso. Tuttavia, essa ritiene che le obiezioni espresse in termini di causalità non sembrano insormontabili.

[40] Per un’analisi dei profili generali della risarcibilità del danno si veda Franzoni, Fatti illeciti, Comm.Cod.Civ. Scialoja-Branca, 1993; Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, 1999; Monateri, Digesto delle discipline privatistiche, XVII; Di Maio, La tutela civile dei diritti, Milano, 1993; Salvi, Risarcimento del danno, in Enc. Dir., XL, 1084; Scognamiglio, Risarcimento del danno, in Noviss. Dig. It..

[41] Gazzoni, Manuale Diritto Privato, 1999, p. 673 e ss.

[42] Cfr. Perlingieri, Codice Civile Annotato, 1991, Art. 1223, p. 50.

[43] Cfr. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, 1999, p 364 e ss.

[44] Corte di Cassazione, sez. Un., n° 500/1999, in Il Foro It., 1999, I, 2487.

[45] 6 Giusto il richiamo operato dall’art. 2056 cc, secondo cui “Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso”.

[46] Bianca, Dell'inadempimento delle obbligazioni, in Comm.Cod.Civ. Scialoja-Branca, 1970, p. 236.

[47] Bianca, Dell'inadempimento delle obbligazioni, in Comm.Cod.Civ. Scialoja-Branca, 1970, p. 260.

[48] Per una valutazione complessiva del danno da perdita di occasioni favorevoli si veda Zeno Zenchovic, in Riv. Dir. Comm., 1986, II, 213; Princigalli, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1985, 315; Ghisiglieri, La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 91, II, 141; Zoli, in Riv. It. Dir. Lav., 91, I, 42.

[49] Gazzoni, Manuale Diritto Privato, 1999, p. 673 e ss.

[50] Gazzoni, Manuale Diritto Privato, 1999, p 699.

[51] Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, 1999, p 557 e ss..

[52] Con riguardo all’aspettativa si veda Pelosi, Digesto, I, 465; Nicolò , Aspettativa, Enc. Giur., III.

[53] Gazzoni, Manuale Diritto Privato, 1999, p. 65.

[54] Bianca, Diritto civile, La responsabilità, 5, 1994, 161.

[55] Da ultimo Cassazione n. 4400/2004 stabilisce che “la chance, o concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato, non è una mera aspettativa di fatto ma un'entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d'autonoma valutazione, onde la sua perdita, id est la perdita della possibilità consistente di conseguire il risultato utile del quale risulti provata la sussistenza, configura un danno concreto ed attuale”; ex pluribus Cass., 10 novembre 1998, n. 11340; 15 marzo 1996, n. 2167; 19 dicembre 1985, n. 6506.

[56] Corte di Cassazione, sez. un., 5 marzo 1993, n ° 2667.

[57] Sul punto si veda Cassazione, sez. II, sent. n. 3999 del 18 marzo 2003 che qualifica la perdita di «chance» una perdita patrimoniale consistente in una “concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene”; sulla stessa linea argomentativa si veda Cass., sez. III, sent. n. 18945 del 11 dicembre 2003.

[58] In tal senso si esprime Cassazione n. 4400/2004, in Caringella, Garofoli, Giovagnoli, in Giurisprudenza civile 2005, p 233 ss..

[59] Trib. Roma 24 novembre 78.

[60] Corte di Cassazione 25 novembre 98 n. 9598.

[61] In tema di risarcimento del danno subito da un lavoratore dipendente non ammesso dal suo datore di lavoro a partecipare ad una procedura concorsuale ex multis Cass., 19 novembre 1997, n. 11522; Cass., 10 novembre 1998, n. 11340; Cass., 22 aprile 1993, n. 4725.

[62] Corte di Cassazione, 2 dicembre 1996, n. 10748; Corte di Cassazione, 25 settembre 1998 n. 9598; Corte di Cassazione, n. 11340/1998; Corte di Cassazione, n. 15759/2001; Corte di Cassazione, 18 marzo 2003, n. 3999.

[63] Corte di Cassazione 2 dicembre 1996 n. 10748.

[64] Corte di Cassazione 22 aprile 1993 n. 4725.

[65] Sul punto in ambito concorsuale si veda Cass. sez. L, sentenza n. 15810 del 14 dicembre 2001 con cui si stabilisce che “ai fini della determinazione del danno risarcibile per perdita di «chance», riscontrato in riferimento ad una procedura di selezione dei dipendenti per l’accesso alla qualifica superiore, è possibile fare ricorso al criterio equitativo individuandone il canone applicativo nella valutazione della probabilità di promozione che aveva il danneggiato desunta dal rapporto tra i dipendenti promossi e i dipendenti astrattamente idonei alla promozione. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, in riferimento ad una procedura di selezione di dipendenti ferroviari per l’accesso alla dirigenza, pur avendo fatto correttamente ricorso al criterio equitativo nei suindicati termini era giunta tuttavia ad una quantificazione del danno considerata erronea in quanto, ai fini del calcolo della percentuale di probabilità di promozione, aveva rapportato il numero dei dipendenti che avevano ottenuto la nomina a dirigente non a tutti i dipendenti astrattamente idonei ad ottenere tale nomina, ma esclusivamente ai dipendenti la cui idoneità era stata accertata con uno specifico corso di formazione, non considerando così gli ispettori che per la loro iniziale qualifica più elevata erano idonei di per sé all’accesso alla dirigenza senza necessità della verifica per il tramite del corso di formazione); si veda anche Corte di Cassazione 19 febbraio 1992 n. 2074.

[66] Corte di Cassazione 5 marzo 1993 n. 2667.

[67] Tribunale di Monza 21 febbraio 1992.

[68] Corte di Cassazione 19 novembre 1983 n. 6906.

[69] Sul punto chiaramente Cass., sez. II, sent. n. 3999 del 18 marzo 2003 che n tema di risarcimento del danno stabilisce che “il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di «chance» (…) ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza immediata e diretta”. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che non aveva riconosciuto, in quanto non provato, il danno derivante alla parte creditrice per la perdita delle asserite «occasioni» che il mercato le avrebbe offerto per incrementare il proprio patrimonio e non sfruttate a causa dell'inadempimento dell'altra parte, ritenuta responsabile di non aver adempiuto agli obblighi scaturenti da una transazione avente ad oggetto la divisione giudiziale di beni ereditari).

[70] Corte di Cassazione 24 gennaio 1992 n. 781.

[71] Cfr. Corte di Cassazione 22 aprile 1993 n. 4725.

[72] Si veda Caringella, Studi di diritto civile.

[73] In tal senso si esprime Caringella, in Manuale di diritto civile, 2007, ed anche Caringella, Garofoli, Giovagnoli, in Giurisprudenza civile 2005, p 233 ss..

[74] Per un’attenta e dettagliata disamina della sentenza di Cassazione 4400/2004 si veda Caringella, in Manuale di diritto civile, 2007, ed anche Caringella, Garofoli, Giovagnoli, in Giurisprudenza civile 2005, p. 233 ss..

 

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