- DANNI
DA MOBBING
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- Non
è questa la sede per scendere ad un esame dettagliato della rivoluzione
interpretativa intervenuta
in materia di danno non patrimoniale da poco più di un anno a questa
parte.
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- E’
noto a tutti come, da quel rivolgimento, sia emersa una classificazione
tripartita dei pregiudizi non suscettibili di valutazione economica da
risarcirsi in applicazione dell’art. 2059 c.c.:
la Corte
costituzionale ha, in particolare, affermato che l’universo non
patrimoniale comprende “sia il danno morale soggettivo, inteso come
transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno
biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse,
costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della
persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia,
infine, il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come
esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango
costituzionale inerenti alla persona”.
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- Le
tre categorie riguarderebbero distinte componenti del danno non
patrimoniale, le quali potrebbero tutte essere attribuite alla vittima
senza il rischio di incorrere in duplicazioni risarcitorie.
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- Un
esame più attento della classificazione appena rammentata pone, tuttavia,
in luce la natura disomogenea della stessa.
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- A
ben vedere, infatti, il danno morale riguarda un determinato tipo di
riflessi provocati dal torto - vale a dire le conseguenze di ordine
sofferenziale indotte nella sfera emotiva della vittima - mentre nelle
altre due categorie si pone piuttosto l’accento sulla valenza
costituzionale dell’interesse colpito.
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- Ove
si intenda – correttamente – analizzare tali poste dal punto di vista
dei riflessi dannosi ad esse riconducibili, si tratta allora di
evidenziare come entrambe le figure vengano ad interessare lo stesso tipo
di conseguenze: vale a dire i pregiudizi che incidono su quelle attività
della persona che rappresentano il mezzo attraverso il quale essa realizza
la propria personalità.
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- A
differenziare le due voci è esclusivamente il genere di interesse la cui
lesione si pone all’origine di quei riflessi negativi; in buona
sostanza, danno biologico e danno esistenziale appaiono complementari,
poiché l’uno concerne i riflessi negativi provocati (a carico delle
attività realizzatrici della vittima) dalla lesione della salute, mentre
l’altro interessa lo stesso genere di conseguenze, prodotte dal torto
che colpisca un diverso interesse costituzionalmente garantito.
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- A
fronte di tali precisazioni si tratta, allora, di chiedersi se la
liquidazione contemporanea di entrambe le poste – cui viene dato corso
in tutte e tre le sentenze in commento – possa essere interpretata come
una duplicazione risarcitoria.
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- Per
rispondere ad una simile domanda, bisogna interrogarsi, anzi tutto, circa
gli interessi sui quali viene ad incidere l’illecito di mobbing.
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- Il
punto fondamentale da sottolineare, sotto questo aspetto, riguarda la
violazione – sempre ricorrente in casi del genere – della personalità
morale della vittima, così come si estrinseca nello svolgimento
dell’attività lavorativa.
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- Poiché
il mobbing impedisce il corretto svolgimento di quest’ultima, ne
consegue automaticamente una compromissione della realizzazione personale
del lavoratore; prima della salute della vittima, allora, ad essere incisa
è l’immagine e la dignità dell’individuo mobizzato.
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- Di
qui la conclusione che – ove sia accertato un fenomeno di mobbing – al
lavoratore sarà sempre dovuto il danno esistenziale: vale a dire quel
pregiudizio corrispondente alla compromissione dell’attività lavorativa
e ai più generali riflessi nell’esplicazione della propria personalità
determinati da una simile situazione.
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- Ciò
posto, resta da dire che la sottomissione continuativa a pratiche
vessatorie è tale da ripercuotersi, assai di frequente, sulla stessa
integrità psichica della vittima.
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- Il
lavoratore mobizzato, in una gran parte di casi, si trova a veder
compromessa anche la propria salute.
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- Ne
consegue che - laddove una malattia venga effettivamente accertata e
correlata causalmente alle vessazioni patite – è possibile dar corso al
risarcimento del danno biologico.
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- Tutto
ciò significa, allora, che potrà essere considerata senz’altro
corretta una soluzione volta ad attribuire alla vittima del mobbing, la
quale abbia riportato anche una malattia in conseguenza alle vessazioni
subite, un danno biologico da aggiungere a quello esistenziale.
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- Occorre
però precisare che – rispetto alla scansione logica seguita nelle
sentenze in commento - il percorso argomentativo segue una logica inversa:
prima viene, infatti, la lesione della dignità del lavoratore, che
determina la ricorrenza del danno esistenziale; poi, in quanto si accerti
anche la violazione della salute, a tale voce si aggiunge quella volta a
ristorare il danno biologico.
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- Resta
da dire che, poiché danno esistenziale e danno biologico interessano lo
stesso tipo di riflessi dannosi, la liquidazione del pregiudizio alla
salute verrà a coprire soltanto quelle conseguenze esistenziali
peculiarmente legate alla malattia: quelle ripercussioni, cioè, che
vengono ad incidere nella sfera della vittima oltre i normali effetti
negativi sulla qualità della vita che la vessazione abbia già prodotto a
suo carico.
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- Si
tratta, in buona sostanza, di rilevare come gli effetti negativi della
lesione della dignità del lavoratore e della lesione della sua salute
appaiono - per una quota - peculiarmente legati alle due distinte
violazioni (si pensi, ad esempio, al discredito provocato dalla perdita
del prestigio lavorativo, che dipende esclusivamente dalla lesione della
dignità, ovvero ai sintomi fisici di vertigini, astenia, e simili, legati
esclusivamente alla lesione della salute psichica); per un’altra quota
rappresentano, invece, il prodotto congiunto di entrambe le violazioni.
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- Cura
del giudice, allora, sarà porre viva attenzione nell’evitare che questi
ultimi riflessi dannosi - prodotti dalle violazioni concorrenti di
interessi distinti - possano essere liquidati due volte: sia a titolo di
danno biologico che di danno esistenziale.
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- Tale
rischio sembra, in qualche modo, emergere nella sentenza del tribunale di
Agrigento, dove non appare tratteggiata in maniera chiara la peculiarità
volta a giustificare il ristoro, a titolo di danno esistenziale, della
compromissione della relazionalità dell’individuo: quest’ultima -
vista come esigenza di ripiegamento in se stesso - sembra piuttosto
delinearsi quale riflesso tipicamente legato al disturbo psichico accusato
dal lavoratore.
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- La
stesso pericolo di duplicazione viene corso nella pronuncia milanese, dove
il danno esistenziale - pur essendo correttamente liquidato quale
conseguenza della lesione (distinta da quella alla salute) della dignità
personale del lavoratore - finisce per essere tratteggiato troppo
genericamente, quale compromissione della qualità della vita del
lavoratore all’interno e all’esterno del posto di lavoro; effetti
negativi che non sembrano differenziarsi da quelli presi in considerazione
nella liquidazione del danno biologico, quale conseguenza della patologia
psichica provocata dalle vessazioni.
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- Maggiormente
argomentata appare, invece, la liquidazione del danno esistenziale – in
aggiunta a quello biologico – da parte del tribunale di Forlì.
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- Vengono,
infatti ricondotti in tale ambito la compromissione dell’immagine
professionale della vittima e lo stigma nei suoi confronti: riflessi
negativi, questi, che prescindono dalla violazione della salute ed
appaiono, invece, peculiarmente correlata alla lesione della dignità e
dell’immagine del lavoratore.
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- L’intreccio
che lega le varie voci di danno – nell’illecito di mobbing - impone al
giudice la necessità di scandire con precisione le conseguenze negative
ricondotte a ciascuna delle poste attribuite alla vittima, onde evitare il
rischio di duplicazioni.
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- Ciò
vale non solo - come abbiamo visto finora - per quel che riguarda danno
biologico e danno esistenziale, ma anche con riguardo ad altre figure,
quali il danno morale o addirittura il danno patrimoniale.
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- Poiché
tutte e quattro le poste potranno essere liquidate a favore del lavoratore
vessato – come, ad esempio, concretamente avviene nella sentenza del
tribunale di Agrigento – si tratta di sventare il pericolo che il
medesimo effetto negativo patito dalla vittima possa essere attribuito
alla stessa più volte, sotto etichette differenti.
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- La
vittima del mobbing appare legittimata a richiedere, in ogni caso, il
risarcimento del danno morale.
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- Da
questo punto di vista, del tutto fondata appare la scelta del giudice
siciliano di non legare la riparazione di un simile pregiudizio
all’accertamento di un reato; tale posta, infatti, potrà senz’altro
essere risarcita - nella rinnovata ottica di rilettura costituzionalmente
orientata dell’art. 2059 c.c. - ogni volta che venga integrata la
lesione di un interesse protetto dalla Carta fondamentale: che, nel caso
di specie, corrisponde alla dignità del lavoratore.
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- Una
simile violazione, oltre a dare origine ad un pregiudizio nella sfera
esistenziale/esterna della vittima, si ripercuote nella sua dimensione
emozionale, compromettendone l’equilibrio psichico.
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- Anche
tali riflessi interni debbono darsi per scontati, in accordo con quanto
statuisce la sentenza in commento; resta da sottolineare che talvolta,
come nella fattispecie esaminata, il perturbamento d’animo trascende il
livello fisiologico, per sfociare in una vera e propria malattia psichica
ed in tal modo finisce allora per riverberarsi sul pregiudizio di
carattere biologico ed essere preso in considerazione anche a quella
stregua.
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- Problemi
di esatta delimitazione dei confini tra le varie figure si pongono anche
con riguardo al danno alla professionalità, che il tribunale siciliano
liquida quale pregiudizio patrimoniale, ma di cui appare ambigua e
discussa la natura.
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- Basti
qui sottolineare come, di recente,
la Cassazione
abbia – in caso di dequalificazione professionale – provveduto a
ricondurre tali ripercussioni nell’ambito dei pregiudizi non
suscettibili di valutazione economica.
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- E
sulla medesima linea si colloca la pronuncia del tribunale di Forlì che
qui si commenta, nella quale vediamo che al pregiudizio di carattere
professionale risulta attribuita la veste di danno esistenziale.
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- Ecco
allora che sarà ammissibile procedere al ristoro, in aggiunta a quest’ultimo,
di un pregiudizio di carattere patrimoniale correlato alla lesione della
professionalità esclusivamente nel caso in cui le vessazioni patite dal
lavoratore mostrino di essersi concretamente ripercosse – sia pure nei
termini di danno futuro - in una perdita di carattere economico.
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- Qualche
notazione finale va riservata al metodo seguito, nelle pronunce in
commento, ai fini della quantificazione delle voci non patrimoniali del
danno: in particolare per quel che riguarda il pregiudizio di carattere
esistenziale.
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- In
tutte le sentenze la liquidazione dello stesso risulta, per qualche verso,
agganciata a quella del danno biologico.
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- In
due casi ciò avviene prendendo a riferimento la somma concretamente
liquidata, nel caso di specie, a tale titolo. In particolare, il tribunale
milanese ritiene di rapportare il pregiudizio di carattere esistenziale
alla metà della somma liquidata quale pregiudizio alla salute, sommando
sia la componente temporanea che quella permanente.
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- Anche
il tribunale siciliano si rapporta alla somma liquidata a titolo di danno
biologico (permanente); il punto è che l’importo calcolato nella
frazione di un quinto di quest’ultimo viene poi moltiplicato per i mesi
di durata dell’attività vessatoria.
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- Il
ragionamento comune alle due sentenze, secondo cui il danno esistenziale
andrebbe rapportato ad una frazione di quello biologico, non appare
condivisibile per il fatto di basarsi su un’inversione logica; infatti,
è il danno esistenziale – nella fattispecie di mobbing – a prodursi
sempre e comunque, mentre quello biologico risulta solo eventuale.
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- Una
vessazione particolarmente grave potrebbe non essersi necessariamente
tradotta in una compromissione della salute psichica del lavoratore, ma
ugualmente aver inciso in maniera fortemente negativa sulla sua qualità
di vita.
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- Né
l’applicazione pratica del criterio in questione appare cristallina
nelle due sentenze: in un caso, vengono cumulate indistintamente le voci
di danno biologico, sommando invalidità temporanea e permanente, senza
motivare una simile operazione; dall’altra parte, viene ricostruita una
relazione tra danno esistenziale e danno biologico permanente, salvo poi
moltiplicare la somma così ottenuta per la durata della vessazione
(logica, questa, che appare piuttosto correlata alla somma attribuita
quale invalidità temporanea).
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- Maggiormente
fondata appare, invece, la strada seguita dal tribunale di Forlì, dove il
riferimento utilizzato per calcolare la somma dovuta a titolo di danno
esistenziale è quello del valore medio dell’indennità di invalidità
temporanea.
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- Dal
momento che tale somma appare – in generale - destinata a compensare il
completo impedimento delle attività realizzatrici della persona con
riguardo ad una giornata, il danno esistenziale potrà essere
opportunamente calcolato in una frazione della stessa, in ragione del
ventaglio più o meno ampio di attività compromesse dal torto.
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- Qualche
dubbio, semmai, sorge per il fatto che – nel caso di specie –
l’importo del danno esistenziale giornaliero è stato dal giudice
calcolato non già in una frazione di tale somma, ma moltiplicando la
stessa per due: se, infatti, il danno biologico temporaneo corrisponde al
totale annullamento di ogni attività della vittima, non appare
concettualmente giustificato procedere ad una moltiplicazione di tale
importo, a meno di non voler attribuire a ad una simile operazione una
valenza di carattere repressivo nei confronti del comportamento del
danneggiante.
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- 14.02.2005
- Patrizia
ZIVIZ
-
Prof. associato di Istituzioni
di diritto privato
- (fonte:
http://www.personaedanno.it)