- Sintesi
normativa del contratto a tempo determinato
-
Il contratto di lavoro a tempo determinato, già disciplinato
dalla L. n. 230/1962, dal D.L. n. 17/1983 e
dalla L. n. 56/1987, è stato oggetto di una profonda revisione ad opera
del D.Lgs. n. 368/2001, che ha abrogato tutte le norme richiamate in
precedenza ed ha approntato una nuova regolamentazione in linea con
le indicazioni comunitarie.
-
Di seguito si dà conto della
disciplina attualmente in vigore.
- Campo d'applicazione
- Ragioni
che determinano il contratto a termine
-
- Stabilisce
l'art. 1, D.Lgs. n. 368/2001 che l'apposizione di un termine al contratto
di lavoro subordinato è consentita in presenza di ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo.
- Le
ragioni che hanno determinato la scelta di tale tipologia contrattuale da
parte del datore di lavoro:
- - devono essere esplicitate, non
essendo sufficiente un generico riferimento a esigenze di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo;
- - devono rispondere ai requisiti della
oggettività e, pertanto, essere verificabili al fine di non dar luogo a comportamenti fraudolenti o abusivi;
- - devono sussistere al momento
della stipulazione del contratto (la
sopravvenuta stabilità della esigenza non può
incidere sulla legittimità del contratto di lavoro
e del suo termine).
- Le
ragioni del ricorso al contratto a termine
-
L'art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001
introduce una norma generale che consente il controllo del giudice sulla effettiva
consistenza di una delle ragioni di carattere
tecnico, organizzativo o sostitutivo ma non sul merito di essa o sulle scelte organizzative del
datore di lavoro, che restano insindacabili. Il datore
di lavoro può quindi limitarsi a indicare una qualsiasi ragione oggettiva
che renda preferibile in concreto il contratto
a termine rispetto a quello a tempo
indeterminato.
-
Suffraga tale interpretazione, in
attesa di giurisprudenza di legittimità sul punto, l'orientamento già
espresso dalla Suprema Corte con riferimento al trasferimento, per le
stesse ragioni, del lavoratore
(art. 2103 cod. civ.). In proposito,
la Cassazione
ha ritenuto che ai fini dell'efficacia del provvedimento di trasferimento del lavoratore
non è necessario che vengano contestualmente enunciate le ragioni
(tecniche, organizzative e produttive) del trasferimento stesso purché
tali ragioni, ove contestate, risultino effettive e di esse il datore di lavoro fornisca la prova (Cass. 15 maggio 2004, n. 9290; Cass. 29 aprile 2004, n. 8268) e che
il controllo giudiziale sulla legittimità del
trasferimento del lavoratore ha ad oggetto
l'accertamento in ordine alla sussistenza delle comprovate ragioni
tecniche e organizzative che devono giustificarlo, ferma restando l'insindacabilità
dell'opportunità del trasferimento (Cass. 28
luglio 2003, n. 11597). In particolare, il
controllo giurisdizionale delle comprovate ragioni tecniche, organizzative
e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato deve essere diretto ad accertare che vi sia corrispondenza tra il provvedimento adottato dal datore di lavoro e le finalità tipiche dell'impresa, e,
trovando un preciso limite nel principio di libertà dell'iniziativa
economica privata, garantita dall'art. 41 Cost., non può essere dilatato
fino a comprendere il merito della scelta operata dall'imprenditore;
quest'ultima, inoltre, non deve presentare necessariamente i caratteri
dell'inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una
delle possibili scelte, tutte ragionevoli, che il datore di lavoro può
adottare sul piano tecnico, organizzativo e produttivo (Cass. 2 gennaio
2001, n. 27).
-
L'apposizione di un termine al
contratto di lavoro per ragioni sostitutive è legittima indipendentemente
dal fatto che il personale da
sostituire si sia assentato per ragioni
imprevedibili e non programmabili e che il lavoratore sostituito abbia
diritto alla conservazione del posto di lavoro. Il contratto a termine
stipulato con questa causale, inoltre, non è assoggettato ai limiti
quantitativi eventualmente introdotti dalla autonomia collettiva (art. 10,
c. 7, lett. b, D.Lgs. n. 368/2001).
- Non sono richieste specifiche motivazioni per assumere a termine:
- - nel trasporto aereo e nei servizi aeroportuali (art. 2, D.Lgs. n. 368/2001);
- - nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, per l'esecuzione di speciali servizi non superiori a
- tre giorni (art. 10, c. 3, D.Lgs. n.
368/2001);
- -
dirigenti (art. 10, c. 4, D.Lgs. n. 368/2001);
- -
lavoratori in mobilità;
- -
lavoratori disabili ex art.
11, L
. n. 68/1999.
-
- Divieti
e limiti quantitativi
- Divieti
-
Nei seguenti casi non è ammessa la
stipulazione di contratti a tempo determinato (art. 3, D.Lgs. n.
368/2001):
- - quando si tratti di sostituire lavoratori che
esercitano il diritto di sciopero;
- - salva diversa
disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle
quali si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli artt. 4 e
24, L
. n. 223/1991 che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse
mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato. Il divieto non
opera se il contratto a termine è stipulato per sostituire lavoratori assenti o in mobilità o
abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi;
- - presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione
dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al
trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori
adibiti alle mansioni cui si riferisce il
contratto a termine;
- - per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai
sensi dell'art. 4, D.Lgs. n. 626/1994.
-
Sono esclusi dal campo di applicazione
del D.Lgs. n. 368/2001 i contratti di apprendistato, di formazione e lavoro e di lavoro temporaneo in quanto
disciplinati da normative specifiche (art.
10, D.Lgs. n. 368/2001).
- Il termine finale del contratto può
risultare anche indirettamente:
così, ad esempio, nel caso di assunzione per
ragioni sostitutive è sufficiente un mero
rinvio al momento del futuro rientro del lavoratore da sostituire.
-
Non sono previsti generalmente limiti massimi di durata del
contratto a termine, tranne che nei seguenti casi:
- - lavoro a giornata: 3 giorni
(art. 10, c. 3, D.Lgs. n. 368/2001);
- - lavoro occasionale: 12 giorni
non prorogabili (art. 1, c. 4, D.Lgs. n.
368/2001);
- - deroga al divieto di
assunzione temporanea: 3 mesi prorogabili (art. 3, lett. b), D.Lgs. n.
368/2001);
- - settore aeroportuale: 4 e 6
mesi (art. 2, D.Lgs. n. 368/2001);
- - contratti di breve durata: fino a 7 mesi,
non prorogabili, o maggior durata stabilita dalla contrattazione
collettiva (art. 10, c. 8, D.Lgs. n. 368/2001);
- - deroga al divieto per
assunzioni di lavoratori in mobilità: 12 mesi
non prorogabili (art. 3, lett. b), D.Lgs. n.
368/2001);
- - lavoratori anziani in possesso dei
requisiti di pensionamento: 2 anni, ripetibili (art. 10, c. 6, D.Lgs. n.
368/2001);
- - proroga del contratto a termine: 3 anni complessivi (art. 4, D.Lgs. n. 368/2001);
- - contratti dei dirigenti: 5 anni (art. 10, c. 4, D.Lgs.
368/2001).
- Copia del
contratto deve essere fornita al lavoratore entro cinque giorni lavorativi
dall'assunzione in servizio (art. 1, c. 3, D.Lgs. n.
368/2001).
-
Una volta scaduto il termine
prefissato, il rapporto di lavoro è concluso senza necessità di
preavviso né di comunicazioni formali.
-
- Proroga del termine
-
Il termine del contratto a tempo
determinato può essere prorogato solo quando la durata iniziale
sia inferiore a tre
anni e vi sia il consenso
del lavoratore (art. 4, D.Lgs. n. 368/2001).
-
La proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si
riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il
contratto era stato originariamente stipulato.
-
Le ragioni giustificatrici della
proroga possono essere anche diverse da quelle che hanno determinato la stipulazione del contratto
iniziale purché riconducibili a ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
-
La durata complessiva del rapporto a
termine non può comunque essere superiore a tre anni. L'onere di provare
l'obiettiva esistenza delle ragioni che giustificano la proroga è a
carico del datore di lavoro.
-
Per i contratti di breve durata non è
ammessa proroga (art. 10,
c. 8, D.Lgs. n. 368/2001).
- Prosecuzione di fatto del
rapporto di lavoro
-
Se il rapporto di lavoro continua dopo
la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato,
il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione
della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al
20% fino al decimo giorno
successivo e al 40% per ciascun giorno ulteriore (art.
5, c. 1, D.Lgs. n. 368/2001). Se il rapporto di
lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratti di durata
inferiore a sei mesi, ovvero oltre il
trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
- Possibilità di riassunzione del
lavoratore al termine del contratto
-
- Successione di contratti
- La
riassunzione del lavoratore a termine è ammessa purché
tra la fine del precedente contratto e l'inizio del nuovo vi sia un intervallo
minimo di 10 giorni (l'intervallo è di 20 giorni se il contratto precedente aveva durata superiore a sei mesi) (art. 5, c. 3, D.Lgs. n. 368/2001).
- Il mancato rispetto
dell'intervallo minimo suindicato comporta che il secondo contratto si
considera a tempo indeterminato.
- Se,
invece, tra i due contratti non vi è alcuna soluzione di continuità, il
rapporto di lavoro si considera a tempo
indeterminato dalla data di stipulazione del primo
contratto (art. 5, c. 4, D.Lgs. n. 368/2001).
- Nel caso
di successione di due o più contratti a termine tra le stesse parti,
ciascuno dei quali legittimo ed efficace, il termine di prescrizione dei
crediti retributivi inizia a decorrere per quei crediti che sorgono nel
corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza, e per
quelli che maturano alla cessazione del rapporto a partire da tale
momento, dovendo i criteri scaturenti da ciascun contratto considerarsi
autonomamente e distintamente da quelli derivanti dagli altri e non potendo assumere
efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo correnti
tra un rapporto lavorativo e quello
successivo (Cass. S.U. 16 gennaio 2003, n. 575).
- Accertamento della trasformazione del contratto e obbligo
retributivo
-
Dall'accertamento in sede giudiziaria
della natura a tempo indeterminato di un rapporto sorto originariamente a
termine non deriva automaticamente il diritto del lavoratore alle
retribuzioni relative al periodo successivo alla scadenza del termine illegittimamente apposto, atteso che tale diritto è correlato alla prestazione lavorativa: la
retribuzione non spetta finché il dipendente non provvede
ad offrire la prestazione al datore di lavoro (Cass.
22 gennaio 2004, n. 995).
-
Trattamento economico-normativo
- Cosa
spetta al lavoratore a tempo determinato?
-
Al prestatore di lavoro con contratto a tempo
determinato spettano le ferie, la tredicesima mensilità, il
trattamento di fine rapporto e ogni altro trattamento in atto
nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato
inquadrati nello stesso livello di classificazione contrattuale ed in
proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che non sia
obiettivamente incompatibile con la natura
del contratto a termine (art. 6, D.Lgs. n. 368/2001).
- Estinzione del rapporto e
conseguenze economiche: casistica
- Nel caso
di scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente
stipulato e di comunicazione (da parte del datore di lavoro) della
conseguente disdetta, non sono applicabili né la norma dell'art.
6, L
. n. 604/1966, relativa alla decadenza del lavoratore dall'impugnazione
dell'illegittimità del recesso, né la norma
dell'art.
18, L
. n. 300/1970, relativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (ancorché
la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato
dia ugualmente al lavoratore il diritto di riprendere il suo posto e di
ottenere il risarcimento del danno); è peraltro salva l'applicabilità
di entrambe tali norme
qualora il datore di lavoro, anziché limitarsi a
comunicare (con un atto nel quale non è assolutamente ravvisabile un licenziamento) la disdetta per scadenza del termine, abbia
intimato un vero e proprio licenziamento sul presupposto dell'illegittimità
del termine e della durata indeterminata del rapporto (Cass. 9 dicembre
2002, n. 17524).
-
L'estromissione di un lavoratore
dall'organizzazione aziendale per scadenza di un termine illegittimamente
apposto al contratto di lavoro non è da equiparare al licenziamento
ingiustificato e non configura una fattispecie di recesso, e l'azione
del lavoratore volta a far valere la continuità del
rapporto ha natura di azione di mero accertamento
dell'effettiva situazione giuridica derivante dalla nullità del termine
non soggetta ad alcuna decadenza, mentre, in riferimento all'azione volta
a far valere i diritti patrimoniali consequenziali all'accertamento della
permanenza in vita del rapporto, il lavoratore può ottenere soltanto il
risarcimento del danno subìto a causa della impossibilità della
prestazione cagionata dal rifiuto
ingiustificato del datore di lavoro, e a tale scopo deve attivarsi per
offrire l'esecuzione della propria prestazione lavorativa, costituendo in mora il datore di lavoro (Cass. 22 ottobre 2003, n. 15827). Il contratto di lavoro a tempo determinato connotato dalla illegittima apposizione del termine può risolversi per mutuo consenso, anche
manifestato per fatti concludenti, dovendo il comportamento
delle parti, proposto per un apprezzabile lasso di
tempo e risolventesi nella totale mancanza di operatività del rapporto,
essere valutato in modo socialmente tipico quale dichiarazione
solutoria, in presenza di principi (quali l'obbligazione
retributiva del datore di lavoro, funzionale
alla soddisfazione dei bisogni primari del dipendente, la nascita del
rapporto previdenziale) che non consentono di ritenere esistente un
rapporto di lavoro che non abbia esecuzione (Cass. 23 luglio 2004, n.
13891).
-
La disciplina della risoluzione dei
rapporti di lavoro a tempo determinato, o per i quali sia assicurata una
temporanea stabilità per mezzo di una clausola di durata minima, va
individuata tenendo conto non solo della norma specifica di cui all'art.
2119 cod. civ., ma anche delle norme generali sulla risoluzione dei
contratti a prestazioni corrispettive; in particolare, è rilevante, così
come in genere nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato,
l'impossibilità della prestazione (anche
se non può operare il raccordo, per altre ipotesi delineato, tra
impossibilità sopravvenuta e giustificato
motivo oggettivo di cui all'art.
3, L
. n. 604/1966), e in relazione ad essa
la legittimità del recesso del datore di lavoro va
stabilita in base all'esistenza o meno di un interesse apprezzabile alle
future prestazioni lavorative, da valutarsi obiettivamente, avendo
riguardo sia alle caratteristiche, anche dimensionali, dell'azienda, sia
al tipo di mansioni affidate al dipendente, mentre non rileva la
imprevedibilità del fatto sopravvenuto, che può essere causa di
risoluzione del contratto anche se prevedibile, purché l'evento, non fosse
comunque evitabile (Cass. 3 agosto 2004, n. 14871).
- In caso di non giustificato recesso ante
tempus del datore di lavoro da rapporto di lavoro a tempo determinato,
il risarcimento del danno dovuto al lavoratore va commisurato all'entità
dei compensi retributivi che lo stesso avrebbe maturato dalla data del
recesso fino alla prevista scadenza del contratto (Cass.
1 luglio 2004, n. 12092).
- Formazione
-
I lavoratori a tempo determinato
devono ricevere una formazione sufficiente
ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al
fine di prevenire rischi specifici connessi all'esecuzione del rapporto di
lavoro.
-
È rimessa alla contrattazione
collettiva la previsione di modalità e strumenti diretti ad agevolare
l'accesso dei lavoratori a tempo determinato ad opportunità di formazione
adeguata per aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e
migliorarne la mobilità occupazionale (art. 7, D.Lgs. n. 368/2001).
-
- Trattamenti
previdenziali in caso di malattia
-
Malattia
- In caso di malattia ai lavoratori a tempo
determinato spetta la conservazione del posto fino al termine di scadenza del contratto.
- I
trattamenti previdenziali di malattia sono corrisposti per un periodo non
superiore a quello di attività lavorativa prestata nei 12 mesi
immediatamente precedenti l'evento morboso, fermi restando
i limiti massimi e di durata previsti dalle vigenti disposizioni di legge (180 giorni nell'anno solare) (art.
5, c. 1, D.L. n. 463/1983).
- Nel
periodo di attività lavorativa, cui commisurare temporalmente il
trattamento di malattia debbono intendersi compresi: i periodi di cassa
integrazione e di interdizione obbligatoria dal lavoro per maternità, le
ferie e le altre giornate comunque retribuite e le giornate di riposo
settimanale (comprese le "seste giornate", in caso di settimana corta) cadenti tra due giorni
lavorati o retribuiti.
-
Il lavoratore che nei 12 mesi immediatamente precedenti non possa
far valere periodi lavorativi superiori a 30 giorni, ha diritto al
trattamento di malattia per un periodo massimo di 30 giorni nell'anno
solare. In tal caso l'indennità è corrisposta direttamente
dall'INPS. Il datore di lavoro non può anticipare l'indennità di
malattia a carico INPS per un numero di giornate superiore a quelle
effettuate dal lavoratore a tempo determinato alle proprie dipendenze. Le
indennità relative ad un maggior numero di giornate indennizzabili sono
corrisposte direttamente dall'INPS.
- Il computo dei periodi indennizzabili deve
essere effettuato per ogni evento morboso (alla data iniziale della
malattia) e quindi per ogni successivo episodio morboso potrà essere
percepita l'indennità per un periodo pari a quello lavorato nei 12 mesi precedenti. In caso di malattia insorta in un anno
e che prosegua, senza interruzione, in quello successivo, l'indennità è corrisposta nel limite massimo di 30 giorni: le giornate di malattia cadenti nell'anno successivo sono computate ai fini della determinazione dei periodi massimi indennizzabili.
-
- Informazione
-
La definizione di modalità per informare i lavoratori circa posti vacanti
disponibili in azienda è rimessa alla contrattazione
collettiva (art. 9, c. 1, D.Lgs. n. 368/2001).
-
I contratti collettivi definiscono altresì modalità
e contenuti delle informazioni da rendere alle rappresentanze
dei lavoratori in merito al lavoro a tempo determinato
nelle aziende.
- Computabilità nei limiti dimensionali dell'unità
produttiva
-
Se il contratto ha una durata
superiore a nove mesi, i lavoratori con contratto a tempo determinato sono
computabili ai fini del raggiungimento dei limiti dimensionali dell'unità
produttiva per l'esercizio
dell'attività sindacale (art. 8, D.Lgs. n. 368/2001).
-
- Adempimenti
amministrativi e sanzioni
-
Il
datore di lavoro deve comunicare entro 5 giorni ai servizi per
l'impiego competenti per territorio (art. 5, D.Lgs. n. 181/2000):
- - l'assunzione a tempo determinato;
- - la proroga del termine
inizialmente convenuto;
- - la trasformazione del
contratto da tempo determinato a tempo
indeterminato.
-
Non è necessario comunicare la
cessazione del rapporto quando il termine è scaduto; la comunicazione
invece va fatta se il rapporto si risolve prima della scadenza del termine
inizialmente comunicato.
-
- Sanzioni
-
Mancata erogazione al lavoratore delle
ferie, della tredicesima mensilità, del trattamento di fine rapporto e di
ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto
a tempo indeterminato (art. 6, D.Lgs. n. 368/2001)
-
- sanzione amministrativa da
€
25 a
€ 154;
- se l'inosservanza si
riferisce a più di 5 lavoratori
- -
sanzione amministrativa da €
154 a
€ 1.032 (art. 12, D.Lgs. n. 368/2001).
- Estinzione mediante diffida/prescrizione: € 25; se l'inosservanza si
riferisce a più di 5 lavoratori: € 154 (non
applicabile in caso di mancata erogazione delle ferie)
-
-
(fonte : Novecento
media - Marzo 2005)