Esce formalmente rafforzata (ma giuridicamente più
fragile) la discrezionalità aziendale nel riconoscimento della qualifica di
dirigente del credito, per effetto del nuovo ccnl del 1 dicembre 2000
G. Favretto - Dopo il bagno (1884)
Sommario:
1.
Premessa
2.
Conferimento della qualifica su investitura aziendale
3.
Identificazione, per requisiti obiettivi, del dirigente
4.
Critiche dottrinali e
giurisprudenziali alla valorizzazione del “riconoscimento formale” aziendale
5.
L’orientamento della
Cassazione e gli equivoci nel giudicare la pregressa clausola del settore del
credito
6.
La situazione attuale
********
1.
Premessa
In data 1 dicembre 2000 è stato
firmato tra l’ABI, in rappresentanza delle aziende di credito, e le OO.SS del
settore bancario, in rappresentanza dei dirigenti, l’Accordo di rinnovo del
ccnl per i dirigenti del settore bancario (dirigenti di istituti di credito e
delle Casse di risparmio indistintamente).
Questo contratto può definirsi il primo contratto “autonomo”
per i dirigenti del credito perché segna l’autonomia dei dirigenti dal resto
delle altre categorie di personale (inquadrate nelle 4 tradizionali aree professionali ed in una nuova quinta categoria raggruppante i c.d. “quadri direttivi”, comprensiva degli ex
funzionari un tempo regolati dallo stesso ccnl dei dirigenti, articolata in 4
livelli retributivi), tutte quante regolate ora dall’unitario ccnl dell’11
luglio 1999.
Con il nuovo contratto dei
dirigenti del credito (i cui minimi tabellari nazionali, ad anzianità senza
scatti, dal 1.1.2001 sono stati fissati nell’importo di lorde £. 7. 843.365 mensili per 13 mensilità più il
premio aziendale diverso da banca a
banca), l’ABI si è sostanzialmente
allineata alla struttura ed alle disposizioni degli omologhi ccnl dei dirigenti
d’industria e del commercio, abolendo, significativamente, la pregressa distinzione
tra dirigenti apicali e restanti dirigenti e prevedendo per tutti
indistintamente la risolubilità del rapporto – oltrechè per giusta causa ex
art. 2119 c.c. - ad nutum (ex
art. 2118 c.c.) con “giustificata motivazione”, cioè per un “giustificato
motivo convenzionale”, non necessariamente coincidente con quello individuato
dall’art. 3 della L. n. 604/’66, al cui mancato riscontro da parte del Collegio
arbitrale (o giudizialmente) consegue (non già il reintegro nel rapporto ma) la
corresponsione di significative mensilità risarcitorie. Le parti si sono
tuttavia discostate dai precitati ccnl dei dirigenti delle altre categorie sul
tema, qualificante e gravido di contenzioso, del “conferimento della categoria
o qualifica” dirigenziale che è rimasto
tra le prerogative discrezionali dell’azienda, attraverso la oscurantista previsione
del c.d. “riconoscimento o investitura formale” aziendale, in congiunzione con
i requisiti obbiettivi di responsabilità e professionalità delineati dal ccnl.
Recita la nuova norma dell’art. 2 (Inquadramento) del ccnl 1 dicembre 2000 che:
“Ai fini del presente contratto sono dirigenti coloro ai quali – sussistendo
le condizioni di subordinazione di cui all’art. 2094 c.c. ed in quanto
ricoprano nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di
professionalità, di autonomia e di potere decisionale ed esplichino le loro
funzioni di promozione, coordinamento e gestione generale al fine di realizzare
gli obiettivi dell’azienda – siano dalle rispettive aziende cui appartengono
come tali qualificati”.
Essa ripete quella vigente fino al 1975 nel settore
industriale, dizione poi abbandonata nel rinnovo del 4 aprile 1975 anche a
seguito di sanzioni di nullità circa il c.d. “riconoscimento formale”
condizionante l’attribuzione della qualifica da parte della Cassazione.
L’essere, invece, da parte delle
aziende di credito rimasti indietro di 25 anni rispetto alla “svolta” operata –
in tema classificatorio/inquadramentale – dal ccnl dei dirigenti d’industria
del 1975, ove l’inquadramento consegue esclusivamente per effetto del possesso
dei requisiti oggettivi di responsabilità e professionalità contrattualmente
codificati (e quindi indipendentemente dalla condizionante “investitura formale”
aziendale) evidenzia emblematicamente come nel settore bancario si perda, ad
ogni rinnovo, l’occasione per disfarsi
compiutamente di quella patina di vetustà che affligge da tempo il costrutto e
l’assetto normativo dei contratti di settore, improntati, dal lato
imprenditoriale, da una concezione sostanzialmente autoritaria, solo
formalmente mascherata (ma nient’affatto scalfita nel concreto) da mere
dichiarazioni di tenore “partecipativo” fra azienda, personale e strutture sindacali,
quali sono quelle reperibili nella definizione programmatica del ruolo delle rappresentanze sindacali (art. 7 ccnl
secondo il quale “Le parti ritengono che il rapporto con i dirigenti si deve ispirare ad un modello
partecipativo e che gli interventi degli organismi sindacali …dovranno essere
effettuati coerentemente al ruolo e alla funzione in azienda del personale
destinatario del presente contratto”).
2.
Conferimento
della qualifica su investitura aziendale
La
dizione contemplante il condizionante requisito del “riconoscimento formale”
della qualifica di dirigente è una dizione d’epoca, dei primordi della
contrattazione collettiva, tralatiziamente ripropostasi nel settore creditizio
senza significative innovazioni di filosofia inquadramentale nei vari rinnovi
contrattuali. Essa è ispirata al
superato (oltrechè illegittimo, se esclusivo o condizionante il diritto alla
qualifica, secondo la Cassazione) criterio del “riconoscimento formale”
aziendale ai fini dell’appartenenza alla categoria giuridica (o qualifica
contrattuale) in questione.
Giustamente,
quindi, in un datato articolo di dottrina (1) il consigliere di Cassazione
Panzarani notava come “...con riferimento
agli istituti di credito ed alle clausole del contratto collettivo nazionale
per il personale direttivo di dette aziende che del dirigente forniscono ancora
(riferendo formule che risalgono al 1951) una nozione ‘nominalistica’ (è
dirigente chi riceva un’investitura formale) è chiara la diversa ed assai
esauriente definizione che del dirigente stesso è offerta da altri contratti
collettivi, in particolare da quello per i dirigenti delle aziende industriali...E’
comprensibile pertanto che i dirigenti bancari siano animati dall’intento di
acquisire un’identità più contenutistica, al che solo la contrattazione
collettiva può adeguatamente provvedere”.
3.
Identificazione, per requisiti obiettivi, del dirigente
Un esame
comparativo con altri settori evidenzia come, mentre nel settore commerciale
sin dal 1957 (ccnl 2.5.1957, recepito in d.p.r. 15.10.1960, n. 1448, e quindi
reso erga omnes) la qualifica di
dirigente è stata ancorata evolutivamente a requisiti obiettivi (mandato in
forza del quale poter disporre della direttiva da imprimere agli affari
aziendali, ecc.) una rilevanza al “riconoscimento formale” - simile a quella a
tutt’oggi reperibile nell’art.2 ccnl 1
dicembre 2000 per i dirigenti del credito (e nel precedente art. 83 e 4, comma
4°, ccnl 22.6.1995) - era conferita nei ccnl dei dirigenti d’industria, a partire da quello del 5.12.1966 (e fino al
1975), sebbene tale contratto non trascurasse affatto l’aspetto delle mansioni,
attraverso esemplificazioni di disimpegno di funzioni.
Disponeva
appunto l’art. 1 del ccnl 5.12.1966 per i dirigenti di aziende
industriali, che erano tali “...gli institori, i direttori e condirettori
tecnici e amministrativi, i capi di importanti servizi e uffici che esercitano
ampi poteri direttivi, i procuratori ai quali la procura conferisca in modo
continuativo detti poteri o la rappresentanza di tutta o di una notevole parte
dell’azienda...sempreché...concorra il riconoscimento formale della
qualifica di dirigente da parte delle
aziende associate...”.
Tale
formula, ad ogni buon conto, venne pattiziamente abbandonata - anche a seguito delle reiterate
dichiarazioni di illegittimità della Suprema corte (2) - nella stesura del ccnl
4.4.1975 per il settore industriale, ove il “riconoscimento formale” venne
incisivamente sostituito dalla dizione affermante che “l’esistenza di fatto delle condizioni (cioè dei requisiti di cui al
1° comma dell’art. 1, pattiziamente delineanti i tratti caratterizzanti del
dirigente, n.d.r.) comporta l’attribuzione della qualifica e quindi l’applicabilità del
presente contratto”.
La
Suprema corte giunse a dichiarare la nullità, ex art. 1419 c.c., per
contrarietà a norme imperative, della clausola di “riconoscimento formale” del
vecchio ccnl dei dirigenti d’industria, per un evidente contrasto con
gli artt. 2095 e 2103 c.c. In
effetti, la ratio, oltreché la
lettera, dell’art. 2103 c.c. è tesa a strutturare, in via generale la soluzione
di acquisizione delle categorie o qualifiche per esercizio di mansioni
verificabili e sindacabili nella loro
scala di valore (da inferiori a superiori). E l’art. 2095 c.c., comma 2°, c.c.
in congiunzione con l’art. 96 disp. att. del cod. civ., esplicitamente
conferisce in esclusiva al legislatore o all’autonomia collettiva il compito di
definire i requisiti per l’appartenenza alle categorie legali ed alle loro
specificazioni contrattuali, estrinsecantesi nelle qualifiche tramite cui si
articolano in concreto, a secondo delle realtà settoriali o di singola impresa.
Nell’intento, da un lato, di sottrarre alla discrezionalità unilaterale
aziendale la fissazione dei presupposti per l’inquadramento dei lavoratori, in
quanto secondo Cass. n. 1497/1975, “va
escluso che la contrattazione collettiva possa rimettere alla volontà del
datore di lavoro...la determinazione di un elemento rilevante agli effetti
dell’inquadramento nella categoria...che la legge demanda invece all’autonomia
collettiva”, atteso che il comma 2° dell’art. 2095 c.c. dispone che “le leggi speciali e le norme corporative
(ora collettive, n.d.r.), in relazione a ciascun ramo di produzione
ed alla particolare struttura dell’impresa, determinano i requisiti di
appartenenza alle indicate categorie”. Dall’altro, per evitare che il
“potere-dovere” del giudice di determinare (a richiesta) la qualifica spettante, in caso di
contenzioso, al lavoratore sulla base dell’accertamento delle mansioni
disimpegnate “venga sostituito da un
sistema classificatorio fondato su un atto unilaterale ed, eventualmente,
arbitrario del datore di lavoro” (così, ancora, Cass. n. 1497/’75).
4.
Critiche
dottrinali e giurisprudenziali alla valorizzazione del “riconoscimento formale”
aziendale
L’art.
2 del ccnl 1 dicembre 2000 per i dirigenti del credito, invece, conferisce
ancora all’investitura formale carattere di sacralità e solo l’allegato n. 4
(ora soppresso) al precedente ccnl 22.6.1995 (ove erano indicati i gradi in cui
autonomamente le aziende articolavano il ventaglio della categoria o qualifica dirigenziale) offriva in passato,
mediante correlazione - peraltro in casi sporadici - alla funzione di
“direzione di specifiche sedi regionali” o di “uffici o servizi” (ad es.
ragioneria, fidi, finanziamenti, ecc.) qualche esiguo segnale di obiettività
definitoria, relegata a marginale eccezione quando invece dovrebbe atteggiarsi
a regola per l’individuazione della qualifica.
La
scarsa dottrina che – in vigenza del vecchio testo del ccnl dirigenti del
credito, ora peggiorato dal nuovo art. 2 ccnl 1 dicembre 2000 (ove non si fa
più cenno ad un allegato condiviso, in qualche modo, dalle Rappresentanze
sindacali e quindi riconducibile ad atto di autonomia collettiva) - si è occupata della questione nell’ambito di
trattazioni più generali (3) non ha potuto non sottolineare quanto in
precedenza da noi rilevato. E cioè che, mentre nel settore commerciale la
definizione del dirigente si viene a modellare quasi istantaneamente sulle
formule giurisprudenziali (tese a dare rilevanza all’effettività e qualità
delle funzioni o mansioni), mentre anche nel settore industriale il processo si
compie, quantunque più tardi e su sollecitazione giurisprudenziale, il ccnl dei
direttivi del credito “contiene la
formula più elastica” (4), cioè a dire, eufemismi a parte, la più
oscurantista.
La
clausola di “riconoscimento formale”, giudicata dalla dottrina - invero
peccando nel sottovalutare il ruolo e la responsabilità delle resistenze ed ostruzionismi all’innovazione
da parte delle associazioni imprenditoriali - come “l’aspetto più appariscente, esemplare, di un generale quadro di
riferimento caratterizzato dall’abdicazione, da parte dei sindacati
dirigenziali, della loro stessa funzione di autodisciplina e di
autorganizzazione che le attuali strutture dell’ordinamento sindacale assegnano
loro...”(5), non solo è
stata abbandonata su basi di forza contrattuale nel settore industriale ma
altresì dichiarata illegittima dall’oramai consolidata giurisprudenza della
Cassazione, se intesa come attributiva di un’esclusiva e condizionante rilevanza
alla volontà unilaterale del datore di lavoro agli effetti di far rivestire al
lavoratore la qualifica direttiva (o dirigenziale), a prescindere
dall’effettività, consistenza, adeguatezza
e autonomia delle mansioni. Oltre alle decisioni in precedenza citate
per il settore industriale, in senso conforme - nel settore assicurativo
contenente analoga clausola di “riconoscimento formale” - si sono pronunciate Cass. n. 5806/1985 e
Cass n. 3773/1985, secondo cui “è nulla
per violazione dell’art. 2103 c.c. la norma del contratto collettivo che
subordini il diritto del lavoratore ad ottenere la qualifica superiore...ad un
espresso riconoscimento - e quindi ad un discrezionale apprezzamento - da parte
del datore di lavoro, della sussistenza del presupposto per l’avanzamento
stesso, rappresentato dall’espletamento, ad opera del dipendente, di mansioni
superiori”.
5.
L’orientamento
della Cassazione e gli equivoci nel giudicare la pregressa clausola del settore
creditizio
La
Cassazione, nel dichiarare nulle ex art. 1419 c.c. - per contrasto con le
prescrizioni di cui agli artt. 2095 e 2103 c.c. - le clausole contrattuali di
“riconoscimento formale” della qualifica nel senso sopraindicato, ebbe a rilevare come l’art. 2095 c.c. rinvii alla
contrattazione collettiva la fissazione dei requisiti costitutivi della
qualifica (cioè a dire ad un atto di volontà negoziale, non unilaterale del
datore di lavoro) e come tali requisiti debbano essere di natura sostanziale
(in tal senso, specificatamente, Cass. n. 47/1983, in Dir. lav. 1983, II,
187 con nota di Vallebona), atteso che il 2° comma del
predetto articolo specifica che essi vanno fissati “in relazione a ciascun ramo di produzione ed alla particolare natura
dell’impresa”.
Queste
caratteristiche non erano affatto presenti nella precedente definizione del
“funzionario” - quale risultante dal 4° comma dell’art. 4 del ccnl 22.6.1995 -
e del “dirigente”, quale risultante dalla formulazione dell’art. 83 stesso ccnl del credito, anche se va detto che la Suprema corte in alcune
decisioni (6), giunse a non ritenere nulla la clausola di “riconoscimento
formale” nel settore del credito sull’erroneo convincimento - a nostro avviso -
che l’all. 4 (in precedenza 7) al ccnl 22.6.1995 (cui l’art. 83 rinvia per
l’individuazione dei gradi in cui autonomamente e non già pattiziamente,
ciascuna azienda ha articolato la qualifica dirigenziale) costituisse “atto di autonomia collettiva” e, come
tale, non collidente con la prescrizione contenuta nell’art. 2095, comma 2°,
c.c.
La
Corte di Cassazione cadde all’epoca nell’equivoco di attribuire valore
“negoziale” ad un allegato (n.4) che
invero costituiva una mera presa d’atto
- sindacalmente improvvida - di autonome iniziative o determinazioni aziendali,
la cui natura non negoziale risultava pacificamente confermata dal 3° comma
dello stesso art. 83 (già art. 79) che riconosceva alle aziende di credito la
facoltà di apportare (unilaterali) variazioni ai gradi di dirigente ivi
elencati in relazione ad esigenze organizzative che abbiano implicato mutamenti
nell’inquadramento e struttura delle filiali o stabilimenti, senza accordare
alcun ruolo di intervento negoziale alle Delegazioni sindacali aziendali al
riguardo.
D’altra
parte anche se andava riconosciuta all’organizzazione imprenditoriale
un’indubbia abilità nel senso di far
atteggiare a “graficamente” pattizio l’allegato in questione - sia per il
tramite dell’inclusione nel corpo del vecchio ccnl sia attraverso comunicazioni
di aggiornamento dei gradi alle OO.SS. stipulanti - tanto da ingenerare
nell’organo giurisdizionale l’equivoco in precedenza sottolineato, ritenemmo, a
suo tempo, non scusabile l’addizionale fatto che la Cassazione avesse potuto
considerare correttamente adempiuta la sostanzialistica prescrizione del 2° comma dell’art. 2095
c.c., afferente alla predeterminazione dei requisiti identificativi della
categoria o qualifica in questione. Invero l’allegato n. 4 conteneva pressoché
esclusivamente la sequenza nominalistica dei gradi di “dirigente” in atto
presso ogni azienda imprenditorialmente associata. Giungendo a rifluire nella
concretizzazione di vere e proprie tautologie, laddove si perveniva a desumere
- ex art. 83 in congiunzione con le dizione dell’all.4 - che “sono dirigenti
presso la banca x, il direttore generale, i vice direttori generali, i
direttori centrali, i condirettori centrali e cosi via”. Senza che fossero in
alcun modo esplicitati i requisiti alla cui stregua i predetti gradi
acquisivano contenuto effettivo e concreto (sia di per se, sia in termini
differenzianti l’uno dall’altro), per (invero non delineata) autonomia,
responsabilità, ampiezza di supervisione o di coordinamento ad es. di servizi o uffici di Direzione Generale o
centrale ovvero di Sedi periferiche o
filiali di determinate piazze (o con giro di affari oltre x Mld.) e simili, in carenza della cui specificazione
risultava inibito alla stessa funzione giurisdizionale l’esercizio di quello che la Suprema corte
ha qualificato “potere-dovere” del magistrato di accertamento della qualifica e di definizione delle eventuali controversie al riguardo.
Comunque
all’epoca sarebbe risultata risolutiva - in carenza di una verificata
indisponibilità aziendale al conferimento del ruolo per le DSA di concorrere alla strutturazione dell’elenco dei gradi
di dirigente, corredati opportunamente dalla specificazione dei distinti
requisiti costitutivi, compendiati nel
tautologico all. n. 4 del vecchi ccnl -
l’assunzione di una corrispondente indisponibilità delle OO.SS. del personale
direttivo ad avallare (ricusandone la
ricezione) l’allegato dei gradi di dirigente approntato dall’associazione
imprenditoriale tramite la mera collazione delle unilaterali comunicazioni
rappresentative delle situazioni o determinazioni autonome delle aziende
associate. Ciò al fine di non perpetuare nella Cassazione l’equivoco sulla
“natura contrattuale” e cioè pattizia dell’allegato in questione.
Addizionalmente esprimemmo, a suo tempo, l’avviso che sarebbe stata comunque auspicabile una più meditata valutazione e
presa di coscienza, da parte dei magistrati, dell’insufficienza dell’allegato
in questione a garantire il rispetto del disposto dell’art. 2095 c.c., comma
2°, c.c., in considerazione del suo intrinseco contenuto nominalistico e
tautologico.
Nel
concordare con la nostra opinione circa l’illegittimità dell’ancoraggio della
qualifica al c.d. ”riconoscimento formale” ( opinione già espressa con
riferimento al ccnl credito del 1987) oltrechè circa il carattere tautologico
del contenuto dell’all.4 afferente alla (unilaterale) definizione dei gradi di dirigente, cadeva poi in errore chi - come Ioele (7) - asserì che “l’opinione deve essere oggi rivista in relazione all’art. 79 del ccnl
del 1990 (e art. 83 del ccnl del 1995, ora art. 2 ccnl 1.12.2000 nd.r.) per il personale direttivo delle aziende di credito Assicredito. Tale
nuova clausola contrattuale...ha
parzialmente modificato il contenuto della precedente nozione di dirigente,
rendendo più incisivi e meno sfumati i requisiti sostanziali, poiché nel nuovo
testo viene fatto riferimento ad un ruolo caratterizzato da un elevato grado di
autonomia, professionalità e potere decisionale, nonché a funzioni di
promozione, coordinamento e gestione generale al fine della realizzazione degli
obiettivi dell’azienda”.
Chi scrive
ritenne – in relazione al vecchio assetto del ccnl dei direttivi del 1995, ora
rinnovato - invece di mantenere inalterata l’opinione espressa a suo
tempo, perchè alla recezione
contrattuale di taluni tratti caratterizzanti la qualifica di dirigente - di
derivazione giurisprudenziale - non si era accompagnata nel testo del vecchio articolo
83 la scomparsa di quell’elemento condizionante compendiato nella
(riconfermata) dizione per cui, pur svolgendo i predetti ruoli ed incombenze,
gli aspiranti dirigenti potevano diventarlo effettivamente solo se “siano dalle rispettive aziende cui appartengono come tali qualificati”.
Con
il nuovo art. 2 del cnnl 1 dicembre 2000 (in tema di inquadramento nella
qualifica) scompare l’allegato n. 4 (contenente i gradi e le articolazioni
delle posizioni che danno titolo, in ciascuna azienda, alla dirigenza) e
permane la sola specificazione contrattuale dei requisiti del dirigente in
aderenza alle reiterate enunciazioni giurisprudenziali. Tuttavia tale
enunciazione ha la sola valenza di circoscrivere l’ampiezza della
discrezionalità aziendale nella scelta di
designare il dirigente, ma esso comunque non lo risulterà - anche secondo il nuovo contratto - se
l’azienda non si determina, per le più varie motivazioni, a “qualificarlo come tale”, attraverso
espressa comunicazione formale.
Insomma,
mentre in precedenza (vigente il ccnl del 1987) era la sola volontà aziendale a
determinare l’attribuzione della qualifica, con la nuova dizione del 1990
(ripetuta nell’art. 83 del ccnl del 1995 e nell’art. 2 del ccnl del 1 dicembre
2000) tale volontà (o discrezionalità) non subisce scalfitture, ma si è solo
dotata di parametri di orientamento - quelli di origine giurisprudenziale - per
non fare, come Caligola, “senatore il proprio cavallo”.
E che
risulti riaffermato, immutato e non
scalfito il diritto aziendale all’investitura formale, consegue anche dalla
considerazione per cui - anche in assenza della ricezione contrattuale dei
requisiti caratterizzanti la figura del dirigente - la magistratura, in caso di
contenzioso, sempre ad essi si sarebbe richiamata, costituendo gli stessi
autonomo patrimonio del suo consolidato orientamento in materia. Cosicchè la ricezione di tali requisiti in
sede contrattuale non è neppure di
aiuto per colui il quale, pur svolgendo
di fatto le funzioni, non sia stato,
ciononostante, mai qualificato dirigente dall’azienda. Semmai la dizione
contrattuale potrà essere di un qualche freno alla nutrita serie di arbitri o
clientelismi usuali nel settore, in
ragione della facoltà sindacale di pubblica denuncia in caso di promozioni a
dirigente di soggetti che tali ruoli o compiti non si sono mai sognati di
rivestire o disimpegnare.
6.
La situazione attuale
Va tuttavia
detto, per giustificare la nostra affermazione iniziale secondo cui l’attuale
formulazione per il conferimento della
qualifica di dirigente è da un lato più autoritaria ma per contro è più fragile
giuridicamente, che a seguito della mancata previsione della riproduzione di quell’allegato (riepilogativo
delle posizioni dirigenziali nelle varie aziende associate) che aveva
ingenerato nella Cassazione l’equivoco di essere espressione di un “atto
pattizio, cioè frutto dell’autonomia collettiva” richiesta dall’art. 2095 c.c.,
il diniego del “riconoscimento formale” della qualifica dirigenziale perde il
suo pregnante significato e sarà soggetto alla valutazione giudiziaria che non
può che reiterare – come già avvenuto nel settore industriale ed assicurativo –
la sanzione di nullità ex art. 1419 c.c.
Con
ciò si vuol dire che nello specifico settore del credito si sono aperti molti
più spazi del passato per ottenere giudizialmente il riconoscimento della qualifica,
in base ai requisiti oggettivi
giurisprudenzialmente elaborati in termini di responsabilità gestionale, coordinamento,
professionalità e simili (contrattualmente recepiti nell’art. 2 del ccnl 1
dicembre 2000 e nel precedente del 22.6.1995), in quanto è stato rimosso in sede negoziale quell’elemento (l’allegato
n. 4) che costituiva la fonte dell’equivoco in cui in precedenza era caduta la Cassazione per dichiarare “legittima”
la previsione del riconoscimento
formale esercitato in relazione a posizioni o funzioni aziendali considerate “pattiziamente”
individuate.
Ora,
secondo il nuovo ccnl, le Aziende hanno la totale libertà di definire
unilateralmente le funzioni e posizioni
aziendali implicanti il
conferimento della qualifica di dirigente ma proprio per questo, in mancanza di
una “individuazione pattizia” ex art. 2095 c.c., non si sottraggono più al
sindacato giudiziario in ordine alla rispondenza delle posizioni ai requisiti
di autonomia e potere decisionale, promozione, coordinamento e gestione generale
ai fini del conseguimento degli obiettivi aziendali, talchè il mancato “riconoscimento
formale” non ha più funzione preclusiva del diritto di acquisizione della
qualifica dirigenziale. Non costituirà più una eccezione – semprechè i destinatari di tale categoria abbiano
il coraggio di attivare una verifica in
contenzioso –l’intervento della magistratura di merito e quello della
Cassazione che, anche nel pregresso assetto, potè eccezionalmente discostarsi
dall’orientamento prevalente (secondo cui ai criteri giurisprudenziali si
potrebbe accedere solo quando manchi o sia carente una specifica previsione
contrattuale collettiva (8) e potè considerare
il “riconoscimento formale” aziendale quale sola alternativa non preclusiva
dell’accertamento giudiziale effettivo, statuendo in relazione al Capo Ufficio
Studi del Monte dei Paschi di Siena (9) che:“l’appartenenza alla categoria dei dirigenti - nella specie
è stato riconosciuto tale il capo
dell’Ufficio studi, mantenuto dalla banca nella qualifica di funzionario - può
derivare tanto dall’investitura formale operata dalla banca in virtù del potere
discrezionale ad essa attribuito dalla contrattazione collettiva, quanto dalla
natura e modalità di espletamento delle funzioni attribuite al dipendente,
allorché esse implicano un particolare tipo di collaborazione con il vertice
dell’azienda”.
Ciò
detto in termini di valutazione strettamente giuridica, non possiamo non esprimere un’opinione
personale e cioè che una valutazione tutta politica dei “titolari della
categoria dirigenziale” ci porta a dire che forse è giusto che il destino e le
condizioni dei dirigenti (del credito e
non), siano rimesse alla
discrezionalità ed al beneplacito dei loro ”proprietari”...d’azienda.
Ci
ritorna infatti alla mente l’iniziativa della più grintosa (ed è tutto dire!)
consorella dirigenza sindacale delle aziende industriali di pubblicare, nel
marzo/aprile 1997, a pagamento sui principali quotidiani una lettera d’appello
- e “con il cappello in mano”, come si suol dire - agli imprenditori
indisponibili, tramite Confindustria, a rinnovare eminentemente la parte
economica dello scaduto ccnl dell’epoca. Nella lettera (che abbiamo impressa
nella memoria) si ricordava piagnucolosamente il loro ruolo di “partner” degli
imprenditori, la condivisione degli stessi valori e sembrava ci si scusasse
dell’essere stati indotti - attraverso
un’eventuale radicalizzazione delle posizioni conseguente allo “schiaffo”
confindustriale - a ”perdere la serenità
necessaria per concentrarsi meglio nell’espletamento delle proprie funzioni:
collaborare con l’imprenditore per il successo dell’azienda ...”.
Nessun
accenno di ricorso al primario strumento di contrapposizione costituzionalmente
garantito a tutti i lavoratori subordinati (ex art. 2094 c.c., contrattualmente
richiamato) per la difesa dei propri interessi, qual’è il (proletario, evidentemente) diritto di
sciopero, al quale invero in un’intervista del giorno dopo (16 aprile 1997) la
dirigenza sindacale industriale ammetteva di aver fatto un pensierino, in quanto “incoraggiata” dalla contingente
discesa “in piazza telematica” degli industriali stessi a difesa dei
loro interessi suppostamente colpiti dalla manovrina dell’allora governo Prodi.
Protesta imprenditoriale verso il Governo che avrebbe allineato le due
iniziative di contrapposizione e avrebbe pertanto privato quella dei dirigenti d’azienda del sospetto di “sgarbo” e
della carica di conflittualità “offensiva” verso i loro padroni.
(1) Panzarani, Il dirigente d’azienda: crisi d’identità,
con particolare riferimento al settore
bancario, in Dir. lav. 1982, I,
298.
(2) Cass. sez. un. 15 ottobre 1985, n. 5031, in Giust. civ. Mass.
1985, p. 1532; Cass. 21 gennaio 1984, n. 530, in Foro it. 1984, I, 2564;
Cass. 5 gennaio 1983, n. 47, in Dir. lav. 1983, II, 187 con nota di Vallebona
("Sui criteri per la identificazione del dirigente"); Cass. 14
luglio 1976, n. 2738, in Not. giurisp. lav. 1976, 241; Cass. 18 aprile 1975, n. 1497, in Foro it. 1976, I, 435; Cass. n. 2125/1973; Cass. n.
1006/1973; Cass. n. 2454/1972, ecc.
(3) Tosi, Il dirigente d’azienda, Milano 1974.
(4) Così Tosi, op.cit., 59.
(5) Così, Tosi, op.cit., 64.
(6) V. in particolare Cass.
15.10.1988 n. 5620, in Not. giurisp. lav.
1989, 17; Cass. 25.6.1988 n. 4314, ibidem
1988, 676; Cass. 8.8.1983 n. 5295, ibidem
1983, 351 e Cass. 14.7.1976 n. 2738, ibidem
1976, 241.
(7) Ioele, in Dirigenti
e funzionari nelle aziende di credito, Napoli 1995, 120.
(8)
Così Cass. 5 gennaio
1983, n. 47, in Foro it. 1983, I, 31; Cass. 8 agosto 1983, n. 5295, in Not.
giurisp. lav. 1983, 351.
(9) Cfr. Cass. n 530 del 21
gennaio 1984, in Foro it. 1984, I, 2564. V. anche nello stesso senso di
considerare il canale “investitorio formale” come esclusiva alternativa, concorrente con quella professionale e
funzionale, Cass. n. 5620/1988, cit.
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