Cass. pen., sez. V, 14 settembre 2007 n. 34849 – Pres. Nardi – Rel. Marasca- N. (avv. Surmonte) c. G. (avv. Merluzzi)
La Corte di Cassazione osserva :
G., consigliere di opposizione presso il comune di Buccino, nel corso di una intervista pubblicata dal quotidiano La città del 17 giugno 1998, facendo riferimento ad una denuncia da lui stesso sporta contro l’allora sindaco della città N., formulava giudizi – “presenza di tangentopoli buccinese e di clientelismo come conseguenza del voto di scambio” - nei confronti di quest'ultimo ritenuti offensivi.
Per tale fatto il N., con sentenza emessa dal Tribunale di Bari il 3 maggio 2005, veniva condannato alle pene di giustizia oltre al risarcimento dei danni in favore del G. costituitosi parte civile.
Con sentenza del 31 marzo 2006 la Corte di Appello di Bari, dopo avere rigettato una eccezione di incompetenza territoriale, ravvisava, ricorrendone i presupposti , nei fatti l'esercizio del diritto di critica politica ed assolveva il G. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Con il ricorso per cassazione la parte civile N. deduceva i seguenti motivi di impugnazione :
1) la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per la mancanza dei presupposti - verità dei fatti , continenza ed interesse pubblico - per ritenere l'esercizio del diritto di critica , dal momento che per il N. vi era stata soltanto la richiesta di rinvio a giudizio per alcune ipotesi di falso ideologico ;
2) la mancanza e manifesta illogicità della motivazione anche con riferimento a specifici atti del processo , dal momento che , a tutto voler concedere, nella denuncia del G. non si parlava di voto di scambio né di fatti corruttivi che potessero essere ricompresi nel termine tangentopoli.
La Corte non aveva compiuto una analisi per verificare per quali reati vi era stata iscrizione e per quali ragioni per altre ipotesi di reato prospettate dal N. vi fosse stata archiviazione . Infine il vizio di motivazione sarebbe ravvisabile anche con riferimento alla ritenuta continenza espressiva ed all'interesse pubblico alla notizia .
I motivi posti a sostegno del ricorso non sono fondati perché la Corte di merito ha valutato i fatti ed ha ritenuto sussistenti i presupposti per riconoscere l'esercizio del diritto di critica politica di cui all'articolo 51c.p. con motivazione non incongrua e non manifestamente illogica .
Da quanto è dato desumere dalle due sentenze di merito il G. rilasciò una intervista telefonica ai giornale La Città in merito alla pubblicazione di un manifesto murale con il quale aveva criticato il sindaco di Buccino in carica ricordando di averlo denunciato un anno prima per la c.d. tangentopoli buccinese. Il G. era all'epoca capo della opposizione nel consiglio comunale di Buccino.
Orbene la decisione censurata appare del tutto corretta.
Non vi è dubbio che la notizia che il capo della opposizione avesse denunciato il sindaco della città per vari reati attinenti al funzionamento della pubblica amministrazione era di interesse pubblico, essendo interesse della cittadinanza conoscere la valutazione della opposizione sull'operato di un pubblico amministratore .
E' altrettanto fuori dubbio che quando un uomo politico assuma una iniziativa così grave , come certamente è la denuncia di un amministratore in carica, abbia il diritto - dovere di comunicare alla pubblica opinione la sua iniziativa , che ha una indubbia valenza politica, dal momento che gli elettori anche su tali fatti e comportamenti dovranno poi giudicarlo.
Quanto al requisito della c.d. continenza la Corte territoriale ha spiegato che il tenore della intervista era sostanzialmente corretto.
Sono stati usati toni certamente aspri e forti per raccontare i fatti, ma mai il G. si è abbandonato a gratuiti attacchi alla persona del N., avendo sempre censurato in modo assai chiaro il comportamento del sindaco della città , e si è limitato a censurare i comportamenti politici ed amministrativi dello stesso.
Quello sullo continenza delle espressioni usate è un giudizio di merito, che per essere sorretto da una motivazione logica e congrua è esente da censure di legittimità.
Del resto il linguaggio di molti politici di livello nazionale, ed in alcuni casi addirittura dei leaders, si è talmente involgarito ed è divenuto così aggressivo, che non deve meravigliare se poi rappresentanti politici locali imitino i propri capi.
In ogni caso nella presente situazione , come è stato correttamente stabilito dalla Corte di merito , non sono ravvisabili espressioni volgari o argumenta ad hominem, ma semplicemente giudizi duri ed aspri, che sono pienamente giustificati dal contenzioso politico esistente sfociato addirittura in una denuncia penale.
Anche sul terzo necessario presupposto della verità della notizia le critiche della parte civile ricorrente non colgono nel segno.
In primo luogo è opportuno chiarire che a ben leggere l'articolo incriminato sembra che il G. avesse più che altro interesse a censurare la lentezza della giustizia, dal momento che a distanza di oltre un anno dalla presentazione della denuncia non era stato adottato alcun provvedimento dell'Autorità Giudiziaria.
Si tratta di lentezza per così dire normale per gli addetti del settore, ma che stupisce un normale cittadino, perché appare del tutto ragionevole ritenere che i procedimenti a carico di pubblici amministratori si svolgano celermente nell'interesse del denunciante e del denunciato , ma principalmente nell'interesse dei cittadini - elettori, che hanno il diritto di sapere in breve tempo se il loro sindaco sia persona che commetta reati o se l'uomo politico denunciante sia un calunniatore.
Le considerazioni sul punto dei giudici di secondo grado sono, pertanto, da condividere.
Ma anche a volere considerare l'intervista del G. una critica al sindaco, va detto che la verità della notizia appare sussistente .
Intanto vi è da chiedersi quale sia la vera notizia riportata nel testo , introducendo così un argomento non approfonditamente considerato né dalla Carte di merito né dal ricorrente.
In effetti la vera notizia sembra essere che il G., nella sua qualità di capogruppo della minoranza in consiglio comunale , aveva presentato una denuncia per gravi fatti, denominati genericamente tangentopoli buccinese contro il sindaco della città, assumendosi in tal modo pesanti responsabilità, ivi compresa anche una eventuale denuncia per calunnia.
Se è questa la notizia, unita a quella della inerzia, ritenuta dal denunciante, della competente magistratura, non vi è dubbio che essa sia vera perché effettivamente la denuncia era stata presentata e davvero il denunciante si era lamentato per la lentezza del corso della giustizia .
Ma anche a non volere ritenere questa la vera notizia fornita ai cittadini con la intervista incriminata, si deve ritenere che il requisito della verità della notizia sia soddisfatto anche con riferimento alle accuse mosse al sindaco , come ritenuto dalla Corte di merito.
Risulta, infatti, che dalla denuncia indicata sia scaturita, anche se a distanza di alcuni anni, una richiesta di rinvio a giudizio del N. per delitti di falso in atto pubblico.
Per altri fatti, invece, venne disposta l'archiviazione degli atti; non è dato sapere se l'archiviazione venne disposta per insussistenza dei fatti o per prescrizione dei reati, come sembra ipotizzare la Corte territoriale.
E' certo, però, che per i fatti denunciati come tangentopoli buccinese vi è stata una richiesta di rinvio a giudizio del con un primo vaglio da parte di un magistrato che ha ritenuto sostenibile l'accusa in dibattimento ed ha ritenuto necessaria una verifica dibattimentale della vicenda.
Ciò dimostra che i relativi fatti meritavano di essere portati alla attenzione della Magistratura, indipendentemente dall'esito finale del processo e fatta salva, ovviamente, la presunzione di innocenza dell'imputato fino alla sentenza definitiva.
La parte ricorrente ha, però, sostenuto che i reati per i quali era stato chiesto il rinvio a giudizio non avevano niente a che fare con la denunciata tangentopoli buccinese, che evoca ben altri reati.
Siffatta tesi non può essere accolta perché nel linguaggio comune ed anche giornalistico il termine tangentopoli sta ad indicare un modo di amministrare disinvolto e non rispettoso delle regole legali; con tale termine in effetti si vogliono indicare vari reati commessi da pubblici amministratori, che vanno da casi di vera e propria corruzione, ad ipotesi di illecito finanziamento dei partiti ed a fatti di ricettazione e di falso .
Interpretato in tal senso il termine usato nella intervista, i reati di falso in questione contestati al capo di una amministrazione sono certamente espressione di un uso disinvolto dei propri poteri; ci si può lamentare che il termine sia troppo enfatico e che per la situazione data era forse un po' eccessivo, ma argomentare dall'uso di tale parola che l'imputato abbia dato una notizia falsa, o meglio non vera, non è possibile perché sarebbe contro ogni logica.
Anche su tale punto la sentenza impugnata non merita , quindi , censure sotto il profilo della legittimità.
Ma il ricorrente ha sostenuto che il termine voto di scambio usato nell'intervista evocava il reato di cui all'articolo 96 del testo unico del 1957/361 , reato per il quale non vi era stata alcuna denuncia del G. e per il quale , quindi , non era stato disposto alcun rinvio a giudizio .
Anche tale prospettazione non coglie nel segno.
In effetti il G. nell'intervista ha sostenuto che si era in presenza di un clientelismo esasperato che connoterebbe ogni decisione amministrativa e che ciò sarebbe conseguenza del voto di scambio.
L'accusa , quindi, era tutta politica, nel senso che il N. accusava il sindaco di fare un a politica clientelare.
Cosa questa, peraltro, per nulla originale perché del c.d. clientelismo sarebbe permeata tutta la politica nazionale , specialmente quella meridionale, se si vuole prestare fede ai nostri politici che si accusano l'un l'altro di favorire, sia a livello locale che nazionale, i propri elettori e le proprie clientele.
Il termine voto di scambio in tale contesto politico all'evidenza non è stato utilizzato dal G. nel senso tecnico proprio del legislatore e della giurisprudenza penale, ma come espressione sintetica ed icastica per affermare che venivano favorite dalla politica del sindaco le sue clientele.
Si tratta di critica politica, dunque, forte ed aspra , ma non di attribuzione di un fatto reato specifico come erroneamente pretende il ricorrente.
In conclusione ricorrevano tutti i presupposti per ritenere sussistente nel caso di specie, come ha fatto la Corte di merito, la esimente dell'esercizio del diritto di critica .
Per le ragioni indicate il ricorso deve, pertanto, essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento .
P.Q.M.
Così deliberato in Camera di consiglio, in Roma, in data 8 maggio 2007 (depositato il 14.9.2007).
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La volgarità dilaga nel Palazzo – per la Cassazione non va più punita
La Suprema Corte: “Nessuna meraviglia se i dirigenti locali dei partiti imitano i capi nazionali”
E’ UFFICIALE: la volgarità dei politici non è punibile. Lo ha detto —sia pure a malincuore— la Cassazione, giudicando un consigliere comunale pugliese che, prendendosela con il sindaco di Buccino, gli aveva rinfacciato la «tangentopoli buccinese» e il «clientelismo» comunale. Assolto «perché il fatto non sussiste». E non solo perché «tangentopoli» è una parola «entrata nel linguaggio comune per indicare un modo di amministrare disinvolto e non rispettoso delle leggi». Non solo perché del «clientelismo» sarebbe ormai intrisa l'intera politica nazionale, «se si vuole prestare fede ai nostri politici che si accusano l'un l'altro di favorire le proprie clientele». Ma anche—e soprattutto— perché la volgarità ormai è entrata nel lessico ufficiale del Palazzo: «Il linguaggio di molti politici a livello nazionale, e in alcuni casi addirittura dei leaders — scrive la Suprema Corte nella sentenza numero 34849/2007 — si è talmente involgarito ed è divenuto così aggressivo che non deve meravigliare se poi rappresentanti politici locali imitino i loro capi».
Diciamo la verità: s'era capito. Ancora prima del «Vaffanculo Day», aleggiava un vago sospetto che a Montecitorio non valessero più —e da un pezzo— le regole importate dal Parlamento inglese nell'Ottocento, secondo le quali era severamente proibito «indicare gli oratori precedenti per nome, il che può talvolta prendere un tono di provocazione»,e dunque per citarli bisognava dire «"il nobile e dotto Lord", se si tratta di un legista, "il molto reverendo prelato", pe' vescovi, "il valoroso membro", se è un militare, o "il molto onorevole" se è, o è stato, ministro».
Se avesse rispettato questo galateo parlamentare, in una seduta di tre anni fa Cesare Previti si sarebbe dovuto rivolgere al diessino Francesco Bonito chiamandolo «il nobile e dotto deputato», anziché gridargli «sei un pezzo di merda!», e quello, di rimando, avrebbe dovuto evocarlo come «il molto onorevole parlamentare», invece di sibilargli «lo sei tu, oltre che un noto ladro e delinquente».
D'altra parte, non si poteva pretendere il rispetto delle forme da due semplici parlamentari, dopo quello che un segretario di partito come Umberto Bossi aveva detto del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro («Con una scoreggia a quello lì gli sbianchiamo i capelli»), dell'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi («E' un povero pirla, un traditore del Nord. Un Peron della mutua. Ha qualcosa di nazistoide, di mafioso») o del capo del governo in carica, Giuliano Amato («Un nano nazista»).
Una volta si diceva: vabbe’, i leghisti sono fatti così. Poi però quelli hanno fatto scuola. Non solo presso i solisti della lite come Vittorio Sgarbi (ad Alessandra Mussolini: «Tu sei una merda secca»), non solo tra i nostalgici del «me ne frego» come la medesima Mussolini (a Vladimir Luxuria: «Meglio essere fascista che frocio») o il pittoresco Francesco Storace (su Walter Veltroni: «Vinte le elezioni, dopo l'aviaria dei polli ci occuperemo del lombrico»).
No, ormai il vocabolo scurrile, il verbo tabù, l'aggettivo triviale fanno parte dell'armamento d'ordinanza del leader politico. Romano Prodi dà dell'«ubriaco» a Silvio Berlusconi, nel faccia-a faccia televisivo, e quello gli risponde chiamandolo «utile idiota». Il Cavaliere, a giudicare dagli archivi, ispira: «Ci fa schifo» ha detto di lui Oliviero Diliberto, che già lo aveva dipinto come «un pazzo estremista». «E' una persona non solo inaffidabile, ma anche pericolosa per il sistema democratico del Paese» (Luciano Violante), «E' il vero eversore di questo Paese» (Alfonso Pecoraro Scanio), «Rispetto a lui, Goebbels era un bambino» (Romano Prodi).
Però anche Berlusconi si fa ispirare dagli avversari. Fassino? «E' ricercatissimo dall'associazione delle pompe funebri, che lo vuole come testimonial». Mussi? «E'uno con la faccia a metà tra un salumiere e Hitler». Prodi? «E' un poveraccio che si illude di contare qualcosa». Sorvolando sulla sua celebre teoria sull'autolesionismo degli elettori di sinistra, che sdoganò definitivamente — nei telegiornali della sera — la parola «coglioni».
Insomma, se loro si danno del «pezzo di merda», del «delinquente», dell'«ubriaco», dell'«utile idiota», del «frocio» e del «coglione», come si fa a prendersela con un povero consigliere comunale che, in un impeto oratorio, non sa fare di meglio che tirar fuori l'aggettivo «clientelare»? Altro che una condanna: un premio, bisognava dar gli: per la temperanza, la misura e la sobrietà.
Sebastiano Messina
(fonte: la Repubblica, 15.9.2007, p. 9)
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Quando invece in luogo dell'indirizzare espressioni inopportune o epiteti pseudo-offensivi, si passa all'attribuzione di comportamenti illeciti ("cd."fatti determinati") non provati - come riscontrato dalla sottostante sentenza afferente affermazioni dell'ex magistrato ed ex parlamentare Tiziana Parenti nei confronti dell'ex sindaco di Roma Francesco Rutelli - non ricorre il beneficio della "non punibilità":
(fonti:http://www.litis.it/attnews/news.asp?id=1182;http://www.studiolegalelaw.it/new.asp?id=2656;http://www.adnkronos.com/IGN/Politica/?id=1.0.1298813851)
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