Responsabilità oggettiva del datore per fatto illecito del dipendente, agevolato dalle sue mansioni 

 

Cass., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6632 – Pres. Di Nanni – Rel. Federico

 

Responsabilità del datore per fatto del dipendente infedele – Sussistenza  quando le mansioni abbiano costituito elemento agevolativo dell’illecito.

 

La responsabilità indiretta del committente per fatto dannoso del dipendente ex art. 2049 cc, discende dall’ esistenza e  di un nesso di occasionalità necessaria tra l'illecito ed il rapporto che lega i due soggetti, intesa nel senso  che l'incombenza svolta dal dipendente abbia determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso.

Detto rapporto di occasionalità necessaria deve intendersi esistente "anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, o persino trasgredendo gli ordini ricevuti, purché sempre entro l'ambito delle proprie mansioni" (Cass. n. 2574/99). Ne deriva che la sentenza impugnata è incorsa nella violazione del citato art. 2049 cc laddove essa ha concluso per l'esclusione nel caso di specie della sussistenza di quel nesso di occasionalità necessaria per la presenza, nella condotta del dipendente infedele, di elementi "di anomalia" rispetto al corretto e normale esercizio delle mansioni di un dipendente addetto alla gestione titoli della clientela.

 

Motivi della decisione

 

Va disposta preliminarmente la riunione dei ricorsi ex art. 335 cpc.

Ricorso n. 6637/04

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito trascurato di valutare adeguatamente numerosi elementi tali da determinare in essi la legittima convinzione che l'operazione de qua si fosse perfezionata all'interno dell'azienda di credito e delle mansioni espletate in essa dal Leoni.

Con il secondo motivo lamentano la violazione dell'art. 2049 cc e l'insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, avendo erroneamente la Corte dì merito escluso la responsabilità indiretta ex art. 2049 cc della banca, per non aver immotivatamente ravvisato nel caso di specie che le mansioni affidate al dipendente avevano reso possibile il compimento dell'illecito.

I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta ed obiettiva connessione, sono fondati .

Si rileva, infatti, che il rigetto - da parte della Corte territoriale - di tutte le domande proposte dagli odierni ricorrenti nei confronti della banca resistente, ora Unicredito Italiano s.p.a., non risulta sorretto da un apparato argomentativo che appaia assolutamente coerente ed immune da vizi logici.

Ed invero, la Corte napoletana, pur essendosi mossa correttamente, nell'esposizione delle ragioni poste a fondamento della sua decisione, da elementi di fatto ritenuti come pacifici tra le parti, e cioè la consegna in data 7.6.90 a Leoni Roberto, funzionario dell'allora Banco di S. Spirito, di un assegno di £ 120 milioni da parte degli odierni ricorrenti per una operazione di finanziamento particolarmente lucrosa dallo stesso loro prospettato e, quindi, il successivo accredito sul conto corrente dei medesimi dell'importo di £ 163.500.000 ad opera dello stesso Leoni (mediante prelievo dai conti correnti di terzi estranei) , ha tratto da tali circostanze conclusioni affrettate ed immotivate, dando per scontato che i ricorrenti fossero consapevoli del prelievo della somma predetta dai conti correnti di quei terzi estranei.

Né la sentenza impugnata indica le prove certe ed inoppugnabili di questa consapevolezza (che, ove dimostrata, ne avrebbe fatto piuttosto i correi del Leoni nelle malversazioni commesse dal Leoni), facendo invece riferimento ad un singolo passaggio della comparsa di costituzione in appello dei ricorrenti (v. pag. 11 della sentenza gravata).

Anche l'affermato convincimento della Corte di merito che nel caso di specie l'intera operazione finanziaria si sia perfezionata all'esterno dell'azienda di credito ed al di fuori delle mansioni in essa svolte dal Leoni non poggia su una esauriente e soddisfacente motivazione, che ha trascurato di valutare il ruolo preciso ed in concreto svolto nella vicenda in questione dal Leoni, dipendente della banca con funzioni e mansioni di addetto alla gestione titoli dei clienti, nonché il fatto che la somma di £ 163.500.000 venne accreditata regolarmente (almeno in apparenza) sul conto corrente dei ricorrenti (accredito comprovato dalla documentazione bancaria di movimentazione del conto stesso) e che essa venne stornata dalla banca a nove mesi di distanza dall'accredito stesso.

La sentenza impugnata non ha in realtà spiegato, in modo logico e convincente, le ragioni per le quali ha escluso che l'operazione finanziaria in questione non sia stata fatta propria, per effetto del suddetto accredito e della conseguente trasmissione agli interessati dei relativi estratti conto, dall'azienda di credito, tenuto conto anche che l'attività di gestione patrimoniale rientrava nell'ambito delle attività della banca stessa ed era oggetto di un rapporto da tempo in essere con gli odierni ricorrenti, né ha spiegato ragionevolmente i motivi per cui ha ritenuto che le mansioni in concreto svolte dal Leoni nell'ambito dell'azienda di credito non abbiano reso possibile o comunque agevolato il fatto generatore del danno.

L'insufficiente motivazione su quest'ultimo punto investe un presupposto essenziale della responsabilità indiretta del committente per fatto dannoso del dipendente ex art. 2049 cc, e cioè l'esistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra l'illecito ed il rapporto che lega i due soggetti, nel senso sopra precisato che l'incombenza svolta dal dipendente abbia determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso (v. Cass. n. 4951/02).

Poiché è stato ritenuto da questa Corte che detto rapporto di occasionalità necessaria deve intendersi esistente "anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, o persino trasgredendo gli ordini ricevuti, purché sempre entro l'ambito delle proprie mansioni" (Cass. n. 2574/99), ne deriva che la sentenza impugnata sia incorsa nella violazione del citato art. 2049 cc laddove essa ha concluso per l'esclusione nel caso di specie della sussistenza di quel nesso di occasionalità necessaria per la presenza, nella condotta del dipendente infedele, di elementi "di anomalia" rispetto al corretto e normale esercizio delle mansioni di un dipendente addetto alla gestione titoli della clientela.

Tali elementi menzionati alle pagg. 15 - 17 della sentenza impugnata non escludono, però, in conclusione, che nel suo complesso l'attività espletata dal Leoni e generatrice del danno sia comunque riferibile alle mansioni svolte dal medesimo per conto dell'azienda di credito, mancando in ogni caso un'adeguata e valida motivazione in ordine all'esclusione di tale riferibilità.

Il ricorso va, dunque, accolto.

Ricorso n. 9735/04.

Con l'unico motivo la controricorrente lamenta la violazione dell'art. 91 cpc, per avere integralmente compensato tra le parti le spese del giudizio di secondo grado, malgrado la soccombenza totale delle controparti, ed avere omesso di pronunciarsi sulle spese del primo grado, così di fatto compensando anche queste ultime.

Il ricorso resta assorbito per effetto dell'accoglimento del ricorso principale.

La sentenza impugnata va conseguentemente cassata in relazione al ricorso principale accolto, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, che si atterrà ai criteri di giudizio sopra indicati e provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Riunisce i ricorsi, accoglie il ricorso principale, assorbito quello incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

 

Nota

 

Rapporti di impresa e responsabilità del datore di lavoro (Cass. 6632/2008)

 

I giudici della Suprema Corte sono, ancora una volta, intervenuti nell’ambito delle responsabilità poste in capo al datore di lavoro, per i danni arrecati dai propri dipendenti, stabilendo,nella sentenza 6632 del 2008, che “il datore di lavoro è responsabile indirettamente per il danno arrecato dal fatto illecito del dipendente, a norma dell’art. 2049 c.c., anche se il dipendente stesso ha ecceduto i limiti delle sue mansioni ed anche se ha trasgredito gli ordini ricevuti”.

Per quanto riguarda la responsabilità del datore di lavoro l’articolo 2049 c.c. configura un tipo di responsabilità oggettiva affermando che del danno cagionato dal commesso o dal domestico nell’esercizio delle proprie incombenze risponde il padrone o il committente.

Questa responsabilità applicata ai rapporti cosiddetti di impresa implica il fatto che l’imprenditore, il quale sopporta il rischio delle sua impresa, sia responsabile dei danni che vengono cagionati a terzi da soggetti inseriti nell’organizzazione aziendale.

Come affermato dalla stessa giurisprudenza, per la sussistenza della responsabilità dell’imprenditore ai sensi dell’art. 2049 c.c., non è necessario che le persone responsabili dell’illecito siano legate all’imprenditore da uno stabile rapporto di lavoro subordinato, ma è sufficiente che le stesse siano inserite, anche se temporaneamente od occasionalmente, nell’organizzazione aziendale, ed abbiano agito, in questo contesto, per conto e sotto la vigilanza dell’imprenditore (Cass. 9 agosto 2004, n. 15362; Cass. Civ., sez. III, 9 novembre 2005 n. 21685).

I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, hanno stabilito che “in tema di fatto illecito, con riferimento alla responsabilità dei padroni e committenti, ai fini dell’applicabilità della norma di cui all’art. 2049 c.c. non è richiesto l’accertamento del nesso di causalità tra l’opera dell’ausiliario e l’obbligo del debitore, nonché della sussistenza di un rapporto di subordinazione tra l’autore dell’illecito ed il proprio datore di lavoro e del collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, in quanto è sufficiente che sussista un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito stesso ed il rapporto che lega i due soggetti, nel senso che le mansioni o le incombenze affidate al secondo abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno”.

La Suprema Corte, pertanto, non ha ritenuto rilevante il fatto che “tale comportamento si sia posto in modo autonomo nell’ambito dell’incarico o abbia addirittura ecceduto dai limiti di esso, magari in trasgressione degli ordini ricevuti, sempre che il dipendente abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie, cui il datore di lavoro non sia, neppure mediamente, interessato o compartecipe”.

Manuela Rinaldi

(fonte della nota: www.personaedanno.it )

 

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